Disclaimers:
Niente mi appartiene. Queer as Folk è di
proprietà della Cowlip e della
Showtime.
Titolo
della shot: La morte può attendere
Rating: Arancione
Genere: Introspettivo,
Malinconico
Avvertimenti:
Missing Moments, Slash
Timeline:
4x07
Note
dell’autrice: Questa raccolta di one-shots ha partecipato
al Contest “Segui il sentiero dorato” sul Forum di EFP indetto da Shizue
Asahi, valutato poi da i love ace 30, classificandosi al Secondo Posto ed aggiudicandosi il premio speciale come Miglior Storia Per Caratterizzazione.
Avevamo a disposizione
10 prompt su cui poter scrivere ed io ho prenotato il seguente:
5. Il
vero coraggio consiste nell’affrontare il pericolo quando si
ha paura.
Considerato
che vi era la possibilità di poter scegliere anche altri
prompt oltre a quello
prenotato, io mi sono avventurata ed ho deciso di creare questa
mini-raccolta
di cinque capitoli che, appunto, comprende anche gli altri quattro
prompt che
ho scelto oltre a quello prenotato al momento della mia iscrizione al
Contest.
Le shots sono autoconclusive, quindi scollegate le une dalle altre, con
points of
view diversi
e con all’interno
alcuni dei personaggi secondari che hanno gravitato intorno a Brian e
Justin,
protagonisti indiscussi. I titoli dei capitoli sono stati un parto
trigemellare
e per giunta podalico, perché io con i titoli non ci so
proprio fare,
soprattutto se mi impunto di scriverli in italiano. Il titolo di tutta
questa
mini-raccolta, invece, è preso dall’omonima
canzone di Tiziano Ferro, che io ho
leggermente modificato in maniera che si addicesse meglio al contenuto
delle
storie. Se tutto va bene, aggiornerò i capitoli ogni due
giorni dall’ultima
pubblicazione.
Ora non
mi resta che augurarvi buona lettura, sperando che ciò che
ho scritto possa
piacervi! I commenti sono sempre bene accetti, naturalmente! -Martina-.
Le luci
psichedeliche del Babylon proiettano lampi di colori intensi su tutta
la pista,
riflettendosi nei tuoi occhi e sulla pelle del tuo viso, resa lucida da
un
sottile strato di sudore. La musica è assordante e tu,
muovendoti in mezzo a
tutta quella moltitudine di corpi, ti lasci trasportare dal ritmo.
Serri le
palpebre e, portando il popper sotto al naso, ne inspiri la polverina
bianca
con la narice. Reclini la testa all’indietro con un ansito,
mentre il tuo
battito cardiaco accelera ed un senso di calore pervade ogni fibra del
tuo
essere. Sollevi in aria le braccia, con le dita chiuse a pugno,
continuando a
ballare. Improvvisamente senti la mano di qualcuno tirarti per la
cintola dei
pantaloni. Sorridi: anche questa notte l’ennesima preda si
è lasciata catturare
dalla bellezza del re dei cacciatori. Riapri gli occhi, eccitato, ma ti
penti
immediatamente di averlo fatto. L’uomo davanti a te, il quale
ti tiene ancora
per la cintura, è vecchio.
Un
dannato, fottuto vecchio, con i capelli bianchi, le rughe a solcargli
il viso e
il doppio dei tuoi anni a gravargli addosso. Non te lo farebbe
diventare duro
neanche se fossi imbottito di viagra. Inorridito, togli la sua sudicia
mano con
uno scatto deciso. Ti guardi in giro e non riesci a credere ai tuoi
stessi occhi.
Tutti quei bei maschioni, che fino a pochi minuti prima ballavano
intorno a te,
sono svaniti. Ora, come nel peggiore degli incubi, ci sono solo altri
vecchi
decrepiti, senza più un solo briciolo di dignità
e con un piede nella fossa. E
sono ovunque. Ti prendi la testa
fra
le mani, strizzando con forza le palpebre. Quella stronza di Anita ti
ha
sicuramente rifilato qualche merda fatta con chissà cosa in
una vasca a Tijuana
perché, cazzo, devi essere completamente fatto per vedere certi reperti da museo. Ti passi una mano
sul volto, ringhiando
contrariato, e ti accorgi che le luci sono calate, generando un
grigiore tetro
all’interno della discoteca. I vecchi, tutt’ad un
tratto, smettono di ballare.
Si fermano e, con le braccia lungo i fianchi, chinano il capo come
fossero
burattini appesi ad un filo troppo sottile per reggerli. Una famosa
marcia
funebre, tenuta a volume piuttosto basso, sostituisce la musica dance
ed un
silenzio onirico scende sulla pista.
«Cos’è
quel muso lungo, Brian?», una voce maschile – che
ti suona piuttosto familiare
– squarcia all’improvviso tutta
quell’immobilità surreale. «Non ti stai
divertendo?»
Nella
semioscurità che ora invade il Babylon, scorgi appena quel qualcuno procedere nella tua direzione.
«Chi
cazzo sei?»
«Sono la
tua coscienza», la sua voce seria e profonda si distorce in
una risata quasi
maligna. «Sempre che tu ne abbia mai avuta una.»
Un
brivido corre lungo la tua colonna vertebrale e, d’istinto,
cominci ad
indietreggiare finché non ti ritrovi col culo piantato
contro il bancone del
bar. Lui avanza lentamente, continuando a sogghignare, nefasto e gelido
come un
fantasma venuto apposta dall’oltretomba per vendicarsi
facendosi beffe di te.
La marcia funebre finisce e le luci ritornano, vive e scintillanti, a
colorare
tutto il locale. Lasci che la tua vista si riabitui al riverbero, poi
stringi
un po’ gli occhi per mettere a fuoco la faccia
dell’uomo che ti sta davanti. E
la tua bocca si schiude dalla sorpresa non appena lo riconosci.
«Vic?»,
esclami, esterrefatto. «Ma tu non eri morto?»
«Certo
che sono morto», conferma, lanciandoti un’occhiata
eloquente ed allargando le
braccia. «Benvenuto in paradiso, Brian», sogghigna
e, nel momento stesso in cui
ti affianca, quei maledetti vecchiacci
in pista si rianimano improvvisamente, riprendendo a ballare,
scoordinati ed
imbarazzanti. Li fissi con raccapriccio prima di dare loro le spalle ed
appoggiare i gomiti sul bancone.
«Se
questo è il paradiso, preferisco bruciare tra le fiamme
dell’inferno.»
«Inferno
che presto raggiungerai se non…»
«Non mi
farò operare», lo interrompi, intuendo subito dove
volesse arrivare. «Ho deciso
di morire ancora giovane e ancora bello.»
Vic si
appoggia anche lui al bancone con la schiena ed incrocia le braccia sul
petto,
fissandoti di traverso.
«Hai
paura, non è vero?»
Lo fissi
di rimando, aggrottando la fronte.
«Di che
cazzo stai parlando?»
«Non
fingere con me, Brian. Ti conosco da quando avevi quattordici anni,
purtroppo,
e so come sei fatto.»
«Cristo,
mi sembra di sentire Debbie», esclami, alzando gli occhi al
soffitto e
roteandoli con fare scocciato.
Vic
ride, sinceramente divertito.
«Dopotutto
sono suo fratello. O meglio, ero»,
si
corregge, sospirando affranto. «Non mi è stato
concesso il tempo necessario per
fare pace con lei. Non ho neanche potuto dirle un meritato
“ti voglio bene, sorellona, grazie di tutto”…
sono uscito di scena
all’improvviso, in silenzio.»
Ti passi
una mano sulla nuca, sollevando un angolo della bocca con fare saccente.
«Se
stavi cercando un prete che potesse aiutarti ad espiare i tuoi sensi di
colpa,
hai decisamente sbagliato
persona.»
«Eppure
sono pronto a scommettere che ti piacerebbe fare il prete»,
sentenzia Vic,
ridendo di nuovo. «Pensa a quanti bei maschioni si
inginocchierebbero davanti a
te.»
Nonostante
tutta quella situazione sia oltremodo grottesca, ti ritrovi anche tu a
ridere
allegro.
«Peccato
che aprirebbero la bocca solo per confessarsi e non per
succhiarmelo.»
Vic ti
molla una pacca leggera sulla spalla.
«Allora
apri bene le orecchie, Padre Brian,
perché devo confessarti un’altra cosa: volevo
farla finita anche io, sai?»,
dice, e tu lo guardi con un’espressione interdetta dipinta
sul volto. «Quando
scoprii di essere sieropositivo, il mondo mi crollò addosso.
Ebbi una paura
tale da ponderare persino l’idea del suicidio. Pensai:
“Che cazzo, se proprio
devo morire preferisco farlo subito, così non passo tutto il
resto della mia
vita in compagnia delle medicine e con l’angoscia che questo
o quest’altro
possa essere il mio ultimo giorno sulla faccia della Terra!”.
Ero terrorizzato…
ed anche parecchio idiota», scuote la testa, ridacchiando
appena, poi si lascia
andare ad un profondo respiro. «Fu così che il
giorno dopo provai a togliermi
la vita. Ma non riuscii ad andare fino in fondo.»
«Che
cosa te lo impedì?», gli chiedi, stranamente
rapito dal suo racconto.
Vic
pianta gli occhi dritti nei tuoi.
«Debbie»,
ti risponde, serio. «Mi colse in flagrante e mi
riempì subito la faccia di
schiaffi, urlando come una pazza ed apostrofandomi con gli epiteti
più
disparati… avresti dovuto vederla, era davvero furiosa. Poi
si fermò di colpo
e, abbracciandomi, si mise a piangere», la sua voce si rompe
e vedi le sue
iridi chiare rabbuiarsi. «Ricordo che mi disse che non potevo
lasciarla sola,
che non potevo abbandonarla e procurarle un dolore così
grande… mi disse che
anche lei aveva paura, ma che ci saremmo fatti coraggio, avremmo
affrontato
insieme i pericoli della mia malattia e avremmo vinto. Rimanemmo
abbracciati
per un po’ e piansi anch’io, ma mi ripresi subito
perché mi mollò un altro schiaffo»,
conclude, ridendo e toccandosi la guancia sinistra col palmo della
mano. «Fu lo
schiaffo più bello della mia vita, lo schiaffo che mi fece
capire che avevo
ancora qualcuno per cui valeva la pena lottare.»
Rimani a
guardare Vic per qualche secondo, colpito dalle sue parole, poi abbassi
lo
sguardo.
«Io non
ho nessuno per cui ne vale la pena», sentenzi, e la tua voce,
involontariamente, si incrina, assumendo un tono triste.
«Hai la
persona che ami e che ti ama, Brian», ti contraddice lui e tu
risollevi subito
il viso. «Pensa a Justin, a come si sentirebbe se ti
lasciassi morire… pensa al
dolore che gli causeresti.»
Deglutisci
a vuoto e ci pensi, a Justin. Pensi a lui, ai suoi occhi
incredibilmente
azzurri, al suo sorriso splendente, e la paura di provare a combattere
per poi
fallire, la paura di morire davvero
e
di non rivederlo mai più, ti assale come un mare in tempesta.
«Potrei
non farcela…», mormori.
«Ce la
farai. Qualcuno ai piani alti mi ha
riferito che l’operazione andrà bene e che non
morirai… non ancora,
perlomeno», ti informa Vic, facendoti l’occhiolino.
«E chi
te l’ha detto? Dio in persona?»
«No»,
sorride furbo lui, avvicinandosi ancora di più a te.
«È stato James Dean»,
sussurra dritto nel tuo
orecchio, come se fosse il vostro piccolo segreto.
Scoppi
in una risatina colma di sarcasmo.
«Stronzate!»,
sbotti.
«I morti
non possono più mentire, Brian», afferma e tu lo
guardi con fare interrogativo,
a sopracciglia inarcate. «So che farai la cosa
giusta.»
«James
Dean ti ha detto anche questo?», esclami, prendendolo
bonariamente in giro.
Vic ti
sorride in modo piuttosto eloquente. Lo vedi allontanarsi, mentre una
pioggia
di glitter e brillantini vi investe dall’alto, in piccoli
coriandoli
luccicanti. Svanisce in silenzio, senza il minimo rumore, esattamente
come fece
prima di esalare il suo ultimo respiro. La musica si interrompe, le
luci si
spengono, la pista si svuota e tutto ciò che ti circonda,
ora, è il buio, nero
come la pece. Improvvisamente, una luce bianca e abbagliante si accende
in fondo
al Babylon. È una luce che ti chiama,
che ti invita a seguirla, che porta con sé la voce di chi ha
saputo regalarti
un po’ di sole nella vita. E tu, senza remora alcuna, ti
incammini verso di
essa.
Quella
voce insistente, che sta reclamando la tua attenzione da parecchi
secondi, si
fa sempre più reale. I tuoi occhi verdi si aprono a fatica e
la tua vista è
leggermente appannata. Ti stropicci le palpebre stanche e pesanti con i
polpastrelli, prima di renderti conto che sei malamente seduto davanti
alla
scrivania del tuo loft. Ti massaggi la nuca e sospiri, ancora un
po’ intontito.
Senti dei passi felpati avvicinarsi a te e, poco dopo, due braccia ti
circondano da dietro le spalle.
«Ti sei
addormentato?»
Guardi
Justin con la coda dell’occhio.
«Credo
di sì», fissi il computer su cui stavi
controllando alcuni documenti per la
Kinnetik. «Ho scoperto che esaminare dei noiosissimi
file per l’azienda può causare
sonnolenza.»
Lui
ridacchia sommessamente, poi inclina la testa per poterti osservare
meglio.
«Hai
fatto un brutto sogno? Sembri stravolto.»
«Non ho
niente, splendore», lo rassicuri, sporgendoti verso di lui
per baciarlo sulla
bocca. «Va tutto bene.»
Justin
ti tiene stretto a sé ancora per un po’. Le sue
braccia sono forti e sicure
intorno alle tue spalle e il suo respiro tiepido ti solletica
piacevolmente la
pelle del collo. Chiudi gli occhi, beandoti del tepore del suo corpo
contro la
tua schiena. Un tepore a cui non rinunceresti per nulla al mondo. Ed
è in quel
preciso momento che decidi di fare la
cosa giusta, che decidi di affrontare la paura del cancro ed
il pericolo
dell’intervento con coraggio e temerarietà.
Perché non vuoi perdere Justin,
perché, per lui, vale la
pena lottare
e continuare a vivere.
«Andiamo
a letto?», la sua voce interrompe il filo dei tuoi pensieri.
«È tardi.»
Annuisci
piano e Justin posa un bacio sulla tua guancia, prima di sciogliere
l’abbraccio
e dirigersi verso la zona notte del loft. Spegni il computer e,
stiracchiandoti
la schiena, ti alzi. Lo raggiungi qualche minuto più tardi,
trovandolo già
addormentato tra le pieghe delle tue lenzuola blu, ormai vinto dal
sonno. Gli
circondi la vita con un braccio, stringendolo piano a te, e lo guardi
dormire.
Poi, stanco, appoggi la fronte contro la sua nuca, continuando a
tenerlo
stretto al tuo petto. Lui non sa che sei malato e mai lo
saprà, perché non
permetterai al cancro di fotterti. Sospirando, chiudi gli occhi, con la
certezza che sopravvivrai all’operazione e sconfiggerai quel
male terribile. Un
sorriso nostalgico, quasi malinconico, ti piega le labbra. No, non
morirai. Non
ancora. Dopotutto, l’ha detto James Dean.