Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: Recchan8    18/03/2016    1 recensioni
[SEGUITO DI "Deep Memories", CROSSOVER E VICENDA PREQUEL DI "Dangerous Heritage", SPOILER DI "Deep Memories" IN DESCRIZIONE]
Fine agosto 2014.
Giappone, Morioh: una ragazza dai capelli color miele e gli occhi ambrati si presenta presso i coniugi Higashikata pretendendo di venir ospitata per un periodo di tempo indeterminato.
Italia, Napoli: un ragazzo moro dagli occhi di smeraldo è ricercato dall'organizzazione mafiosa di cui faceva parte con l'accusa di tradimento.
Cosa lega questi due personaggi così lontani ma allo stesso tempo così vicini? Un passato nascosto nelle memorie più profonde dovrà essere destato.
Il destino, a volte, sa essere davvero comico.
Genere: Azione, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Josuke Higashikata, Nuovo personaggio, Okuyasu Nijimura, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'Deep Memories'
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Il giorno dopo, sabato, Shizuka si svegliò un po' più presto del solito. Passò un quarto d'ora a rotolarsi nel letto, nessuna voglia di vedere il viso strafottente di Celeste già di prima mattina. Ancora non riusciva a credere che i suoi genitori le avessero concesso la loro ospitalità senza prima chiedere la sua opinione. Sapevano benissimo che lei mal sopportava gli estranei, per di più Joestar. Anche lei, come Josuke, non aveva avuto una bella esperienza con i membri di quella bizzarra famiglia. Certo, era stata adottata dal vecchio Joseph, ma Shizuka si era sempre sentita un peso per quell'anziano pimpante. Per Jotaro, invece, lei e i suoi due genitori erano come inesistenti, delle semplici protuberanze cresciute inaspettatamente sui rami dell'albero dei Joestar. Quella Celeste dava l'impressione di pensarla esattamente come Jotaro. Per quale motivo si era presa la briga di venirli a trovare? C'era qualcosa sotto, Shizuka ne era più che sicura.
La ragazzina scese al piano terra con indosso il suo pigiama estivo lilla e i capelli sciolti, e, un'espressione bellicosa stampata sul volto, si mise a sedere al tavolo rettangolare della sala da pranzo, attendendo che Okuyasu le portasse la colazione.
La cucina e la sala da pranzo costituivano un ampio open space, per cui Shizuka poté seguire con occhi vigili i movimenti delle due persone che stavano trafficando ai fornelli.
Celeste, i capelli raccolti nel suo chignon scarruffato, sentì un brivido correrle lungo la schiena. Avvertiva un'inquietante presenza che la stava fissando.
-”Seres, tutto bene?”- le domandò Okuyasu dall'altra parte del tavolo di marmo posizionato in mezzo alla cucina.
Celeste si riscosse e sorrise. Forse se l'era solo immaginato. Le piaceva il fatto che la sera prima, a cena, il signor Nijimura le avesse dato il permesso di dargli del tu e avesse preso a chiamarla “Seres”, l'abbreviazione del suo nome pronunciato in giapponese, “Serèsute”. Josuke, invece, pretendeva che la ragazza si rivolgesse a lui chiamandolo “Signor Higashikata” o “Dottor Higashikata”. Celeste non aveva potuto fare altro che acconsentire.
-”Ti dispiacerebbe preparare il caffè mentre porto la colazione a Shizu?”- le domandò Okuyasu con un piatto di traballanti pancakes in mano. L'uomo, con indosso il suo solito grembiule rosa, si avvicinò al tavolo della sala da pranzo e posò gli ancora fumanti pancakes sotto il naso di Shizuka.
-”Li ha fatti lei?”- borbottò la ragazzina senza alzare gli occhi dal piatto.
-”No tesoro, li ho fatti io”- rispose Okuyasu alzando entrambe le sopracciglia. Che domanda insolita.
-”Non portarmi niente che sia stato cucinato da lei”- ordinò in un sussurro.
Okuyasu, colpito dalle parole taglienti della figlia, si sistemò gli occhiali e si sedette pesantemente sulla sedia. Un minaccioso “crack” provenne dalle gambe di legno. Shizuka iniziò a mangiare la sua colazione sotto lo sguardo ancora più sgranato del solito del padre.
-”Shizu, che succede?”- le domandò sottovoce.
La ragazzina mora alzò gli occhi al cielo e serrò le labbra. “Che succede?” aveva detto. Perché doveva avere un genitore così stupido?
-”Niente”- si limitò a dire seccamente, e riprese a mangiare.
Celeste, rimasta in cucina a fissare la caffettiera (come se solo guardandola avesse potuto accelerare il processo), scosse lievemente la testa. Era riuscita a sentire il breve scambio di battute tra Shizuka e Okuyasu, e l'aperta ostilità della ragazzina la fece sorridere. Era sorprendente come una fanciulla all'apparenza tanto innocua e carina nascondesse un carattere così forte e dominante.
Spense il fornello sotto alla caffettiera e tirò giù dalla credenza due tazzine; Shizuka non lo beveva e Josuke era già a lavoro.
Povero Okuyasu”, pensò mentre versava il caffè nelle tazzine. “Marito tiranno e figlia schizofrenica...”.
Celeste entrò in sala coi due caffè in mano. Appena Shizuka la vide, la ragazzina gettò le posate nel piatto in cui troneggiavano ancora tre soffici pancakes e diventò invisibile. La sedia, come mossa da un fantasma, si scostò dal tavolo e Celeste si sentì scontrare all'altezza del braccio sinistro: Shizuka aveva appena lasciato la sala.
Okuyasu si accasciò sulla sedia e si massaggiò le tempie con le dita delle mani. Celeste si sedette al posto di Shizuka e allungò verso l'uomo una delle due tazzine.
-”Scusala, Seres...”- biascicò Okuyasu aggiungendo due cucchiaini di zucchero al caffè. -”Shizu non è abituata agli estranei”-.
-”Fa niente”- sorrise la giovane. -”Tanto non mi tratterrò per molto... Credo”-.
Okyasu notò un improvviso e inaspettato cambiamento nei lineamenti della ragazza: nonostante la bocca stesse ancora sorridendo, i suoi occhi dal taglio allungato sembravano stessero piangendo. Eppure sul suo viso non stava scorrendo alcuna lacrima. L'uomo, non volendo far rattristare l'ospite, iniziò a raccontarle qualcosa di sé e della sua famiglia, partendo da quando lui e Josuke si erano trasferiti in America fino al loro matrimonio e all'adozione di Shizuka.
-”E' una storia davvero interessante!”- commentò Celeste alla fine. -”Sai, in Italia voi non potete né sposarvi né adottare figli. Abbiamo il papa in casa...”-.
Okuyasu alzò le sopracciglia e si lasciò sfuggire un “Oh!” di sorpresa.
-”Davvero il papa sta a casa tua?!”-.
La mano di Celeste che reggeva la sua tazzina si fermò a mezz'aria. La giovane aprì la bocca per dire qualcosa ma non ci riuscì: la stupidità di Okuyasu l'aveva lasciata di stucco. Posò la tazzina sul tavolo e si schiarì la voce, cercando in tutti i modi di non scoppiare a ridergli in faccia.
-”O-Okuyasu, è s-solo un modo di d-dire... Significa che la Santa Sede si trova in Italia, non che il papa abita a casa della mia famiglia”-.
-”Ah...”- disse l'uomo visibilmente colpito. -”Ma allora cosa c'entra il papa con le unioni omosessuali?”-.
Non me lo sta chiedendo davvero...”, pensò Celeste con un sopracciglio alzato. Davvero non sapeva niente sui principi della Chiesa e sui suoi continui tentativi di metter bocca nelle questioni governative del Paese? La giovane bionda si strinse un poco nelle spalle. Era comprensibile; del resto Okuyasu, da giapponese, come poteva essere a conoscenza delle questioni italiane?
-”Bene, lascia allora che ti spieghi qualcosina”- iniziò Celeste accavallando le gambe.
Okuyasu, per la prima volta in tutta la sua vita, riuscì a seguire una spiegazione di mezz'ora senza distrarsi mai.

 

 

Sapeva che per lui la porta di quell'ufficio era sempre aperta, ma Josuke quella mattina bussò ugualmente e attese di ricevere il permesso prima di fare il suo ingresso nell'ufficio di Tomoe Kawaguchi, neurologa e vice-primario. La trovò seduta alla scrivania intenta a limarsi le unghie. Come al solito non aveva molto lavoro da fare. Beata lei.
Tomoe non dovette alzare lo sguardo per sapere chi fosse appena entrato; quell'odore di omosessualità era inconfondibile.
-”Dottor Gay, buongiorno”- lo salutò posando la lima sulla scrivania.
Josuke biascicò un “Buongiorno un cazzo” e si sedette malamente, lasciando capire alla donna dai capelli tinti di rosso scuro che c'era qualcosa che non andava.
-”Hai la coda storta, Tomoe”- le disse a un tratto indicandole i capelli.
La donna si portò subito le mani alla testa e si sciolse la coda per poi rifarla sotto lo sguardo vigile di Josuke, il quale alzò un pollice per approvare il lavoro appena svolto dalla neurologa.
-”Bene, capelli a parte, hai bisogno di qualcosa?”-.
Josuke alzò le mani e mimò un arcobaleno sopra la sua testa.
-”Ferie”- disse mentre muoveva le mani.
Tomoe arricciò le labbra e alzò le sopracciglia. Prese un fascicolo da un cassetto della scrivania e iniziò a sfogliarlo. Se non ricordava male, Josuke aveva già fissato le sue ferie per la seconda settimana di settembre...
-”Bimbo, non posso dartene altre”- disse senza alzare gli occhi dai fogli. -”E' difficile sostituirti, sai?”-.
-”Non ne voglio altre, vorrei solo anticiparle”-.
Tomoe abbassò di scatto il fascicolo e lanciò una strana occhiata a Josuke.
-”Che c'è? Non ti piace la mia maglietta?”- domandò quello guardandosi la t-shirt verde lime con la scritta “Fuck you all” in rosa shocking.
-”Josuke, che domande fai? Ovviamente mi fa schifo”-.
Tomoe Kawaguchi era una donna bella, magra e dall'altezza perfettamente rientrante nella media giapponese. Il suo sguardo non lasciava spesso trapelare i suoi pensieri, e ciò la rendeva una persona intrigante. Il suo stile sobrio ed elegante era in netto contrasto con quello pacchiano e appariscente del collega, ma questo non significava che i due non andassero d'accordo. Tomoe conosceva Josuke da anni, da quando, nel 1999, era stato ricoverato in seguito allo scontro con Yoshikage Kira. La donna si divertiva a stuzzicarlo e a prenderlo in giro e Josuke, sotto sotto, era contento di ciò.
-”Stai invecchiando, Tomoe”- disse Josuke in tutta risposta. Incrociò le braccia al largo petto e alzò il mento.
-”E tu stai perdendo la possibilità che le ferie ti vengano spostate”- rispose la donna sorridendo malignamente. Il suo sorriso si allargò quando vide Josuke boccheggiare. Ah, com'era facile metterlo con le spalle al muro!
-”Tomoe, ti prego, mi servono”- la supplicò improvvisamente serio. Si sistemò sulla sedia e si morse il labbro, a disagio. -”Sono anche disposto a fare straordinari a caso, ma ti supplico, anticipami le ferie. Mi bastano quattro giorni, davvero”-.
Tomoe, dopo aver fissato Josuke per un po', sospirò, prese una penna e si annotò qualcosa su di un foglio. Non aveva mai visto Josuke supplicare qualcuno in quel modo; evidentemente gli era successo qualcosa a casa. Non osò chiedere per paura di toccare un tasto dolente.
-”E quattro giorni siano”- si arrese. -”Da lunedì a giovedì, estremi compresi. Mi devi un favore, ragazzino diversamente eterosessuale”- aggiunse puntandogli la penna contro.
Josuke scattò in piedi e ringraziò più volte il vice-primario. Moriva dalla voglia di raccontarle di Celeste e di quello stupido di suo marito, ma sapeva che le questioni dei Joestar dovevano rimanere tra i Joestar, o almeno, tra quelli che conoscevano tutta la storia.
Uscì dall'ufficio di Tomoe e si richiuse dolcemente la porta alle spalle. Strinse i pugni lungo i fianchi, lo sguardo abbassato sui Dr. Martens fucsia. Un dubbio atroce lo stava consumando dalla sera precedente ed esisteva un'unica persona in grado di dargli un consiglio a riguardo. Josuke, il camice bianco svolazzante, percorse a grandi passi la lunga corsia finché non si imbatté in un'infermiera. Non ricordava il suo nome, ma a chi importava? Tanto aveva affibbiato a tutte dei nomignoli.
-”Vitino da Vespa, vado un momento dal dottor Hirose e torno”- la avvisò indicando la sua direzione con gli indici delle mani. -”Grazie a queste favolose gambe che mi ritrovo non ci metterò molto”- aggiunse facendo l'occhiolino.
Lasciata la sognante infermiera alle proprie spalle, Josuke si affrettò a raggiungere lo studio di Koichi Hirose, psicoterapeuta dell'ospedale e amico di lunga data del dottor Higashikata.
-”Koichi!”- proruppe Josuke nello studio spalancando la porta.
Koichi, seduto alla scrivania a ordinare dei documenti, sobbalzò per lo spavento. Alcuni fogli scivolarono a terra e il dottore mingherlino si affrettò a radunarli e a raccoglierli.
-”Josuke, quante volte ti ho detto di bussare prima di entrare?”- lo rimproverò con uno sguardo che tentava invano di essere minaccioso.
Josuke fece spallucce, chiuse la porta con un fianco e fece per sedersi sulla piccola sedia posta davanti alla scrivania del collega, ma ci ripensò. Tutte le sante volte che poggiava il sedere su quel mobile infernale non riusciva mai a rialzarsi; il suo fondoschiena ci rimaneva sempre incastrato.
Koichi notò le occhiate schifate che Josuke stava lanciando alla sedia e nascose dietro ai fogli un sorrisetto.
-”Nicki Minaj pagherebbe oro per avere il mio culo. Starò in piedi”- proclamò il dottor Higashikata scostando da parte la sedia.
-”Lo sospettavo”- rispose Koichi. -”Ad ogni modo, come mai sei qui? Hai traumatizzato di nuovo Matsumoto?”- domandò.
-”No, no, questa volta Matsumoto non c'entra niente”- si affrettò a dire Josuke. -”E' una questione... bizzarra. Koichi, quello che sto per dirti... Ecco... Non lo raccontare a nessuno, neppure a tua moglie, okay?”-.
Mica vorrà raccontarmi una delle sue assurde esperienze sessuali con Okuyasu, vero?!”, pensò Koichi allarmato.
-”V-va bene...”- rispose con un sorriso tirato.
-”Vediamo se riesco a essere sintetico...”- borbottò Josuke carezzandosi distrattamente quel filo di barba che portava sulle guance e sul mento. -”Ieri pomeriggio si è presentata a casa mia una donna che sostiene di essere la mia prozia e mi ha chiesto ospitalità per qualche giorno”-.
Koichi si portò una mano al petto e si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. Il pericolo del racconto erotico era stato sventato.
-”E quindi? Quale sarebbe il problema?”- domandò iniziando a giocherellare con la penna che i suoi due figli gli avevano regalato per la festa del papà.
-”Koichi, dice di essere mia prozia”- disse Josuke protendendosi un poco in avanti. -”Mia prozia”- ripeté calcando le parole.
-”La... zia di tua madre?”-.
-”La zia di mio padre”-.
Koichi smise di scatto di giocare con la penna, la quale gli scivolò dalle dita e finì per terra ai piedi di Josuke. Il dottor Higashikata si chinò a raccoglierla e la restituì a un Koichi sconvolto e disorientato. Josuke strinse le labbra e annuì lievemente.
-”La sorella di Giorno Giovanna?”- domandò Koichi con esitazione, come se il solo pronunciare quel nome avrebbe potuto portargli anni e anni di sfortuna. -”Non sapevo avesse una sorella”-.
-”Nemmeno io, per questo la storia mi puzza. Sostiene di essere la sorellastra di quello gnocco e di averlo scoperto solo due anni fa. Ha la voglia, ha uno Stand, ma io non mi fido. C'è qualcosa in lei che non mi convince”-.
-”E' pur sempre figlia di Dio Brando, Josuke, è normale che non ti vada a genio a pelle”- gli fece notare Koichi. -”Voi Joestar siete i nemici naturali di Dio”-.
-”Koichi, c'è qualcosa che non va”- insistette Josuke chinandosi sulla scrivania e sovrastando Koichi. Il dottor Hirose premette la schiena contro lo schienale della sedia e guardò terrorizzato l'omone che lo fissava dall'alto. -”Quando la Fondazione Speedwagon scoprì la mia esistenza, Jotaro venne a cercarmi; quando saltò fuori l'esistenza di Giorno, Jotaro ti spedì in Italia. Perché nessuno ha mai saputo dell'esistenza di quella ragazza? Stando a quanto ha detto, Jotaro si è imbattuto in lei per puro caso. Ma la cosa che più mi disturba è il fatto che questa ragazza, Celeste, dimostri appena venti anni. Se fosse davvero figlia di Dio Brando dovrebbe averne minimo ventisei. Io... Dovrei forse telefonare a Jotaro?”-.
Koichi distolse lo sguardo dagli occhi chiari di Josuke e si schiarì la voce, a disagio. Stranamente non sapeva cosa consigliare all'amico. Era certo che contattare Jotaro sarebbe stata la soluzione migliore, ma era ben conscio che ciò avrebbe, in un modo o in un altro, condotto a una nuova faida familiare. Era normale che Josuke non si fidasse di questa Celeste, anche Koichi al suo posto sarebbe avanzato coi piedi di piombo. Lanciò una rapida occhiata all'amico in trepidante attesa di conoscere la sua risposta.
-”Credo...”- iniziò titubante. -”Ecco... Prima di risponderti potrei conoscerla?”-.
La frase di Koichi spiazzò Josuke, il quale tornò in posizione eretta e sbatté le palpebre un paio di volte, sorpreso. Koichi si strinse nelle spalle esili e mostrò i palmi, come a dire “Al momento non so cosa consigliarti”.
-”Non è possibile. Non puoi venire solo tu a casa mia, Yukako si insospettirebbe”- disse Josuke scuotendo la testa.
-”Vorrà dire che verrà anche lei”-.
-”Koichi, ti avevo detto che vorrei che Yu...”-.
-”Credi davvero che Okuyasu non abbia già telefonato a mia moglie?”- domandò Koichi mostrando il display del suo cellulare all'amico. Gli era appena arrivato un messaggio da Yukako in cui c'era scritto che il giorno dopo, su invito di Okuyasu, sarebbero andati a far visita agli Higashikata.
Josuke si passò una mano sul viso e ringhiò esasperato. Perché suo marito aveva deciso di sbandierare ai quattro venti l'esistenza di Celeste? Possibile che non avesse ancora capito che quella ragazza era un grande punto interrogativo personificato? Per non parlare poi del suo Stand, una figura imponente dallo smoking trinciato e un elmo rinascimentale col pennacchio che aveva definito la sua portatrice “figlia”. A volte Josuke si stupiva ancora della demenza di Okuyasu.
-”Facciamo che ne riparliamo dopo la visita di domani?”- propose Koichi.
Josuke annuì distrattamente e si apprestò a lasciare lo studio del collega. Salutò Koichi e contemporaneamente estrasse il cellulare dalla tasca del camicie, uscendo in corsia e dirigendosi verso la parte opposta dell'edificio ospedaliero.
-”Oku”- disse quando il marito rispose dopo qualche squillo. -”Sei una testa di cazzo!”-.

 

 



NOTE DELL'AUTRICE
"Why looking for answers, just leaves a question?" ---> Voice
Mentre Okuyasu va d'amore e d'accordo con Celeste, Shizuka e Josuke sono ancora sulla difensiva. Nel prossimo capitolo dedicato alla storia di Celeste verrà introdotta la famiglia Hirose (già descritta in "Dangerous Heritage"). Chissà se Koichi riuscirà a scoprire qualcosina...
Nel prossimo capitolo vedremo la Squadra della Mezzanotte in azione >:)
Alla prossima! ^^

 

   
 
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