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Autore: HolyBlackSpear    18/03/2016    3 recensioni
Gli Ichinose non erano ben visti nella famiglia Hiragi, men che meno lo erano le famiglie a loro subordinati. Eppure, quando Seishiro l'aveva vista, l'unica cosa che aveva potuto fare era innamorarsene.
Si chiamava Sayuri. Aveva i capelli color grano tanto lunghi da poterci affogare dentro, e gli occhi di un sabbia dolcissimo. Ricordava che la prima cosa che le avesse visto fare era ridere e arrossire, e ancora adesso non si era scordato quel momento.
Nella famiglia Hiragi, però, non c'era spazio per nulla di simile all'amore. E quel sentimento tanto cantato dai poeti, il dolce nettare di vita e matrice fondamentale del mondo, nel suo cuore intossicato era finito per diventar petrolio. Un veleno che pompava ad ogni battito in ogni centimetro del suo corpo. Trasformandolo nella cosa più simile ad un corteggiatore che riuscisse ad essere.
E che si traduceva nell'essere il suo aguzzino.
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Seishiro x Sayuri | Non-Con
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Sayuri Hanayori
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
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last of all Note: Seishiro x Sayuri | R - Arancione
Parole: 1765
Avvertimenti: Non-con | Contenuti Forti



Last of all.
{Schooled by a bitch.}

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Ichinose Guren. Quante volte aveva sentito quel nome? Probabilmente fin da quando era solo un bambino, già istruito all'odio e alla violenza.
All'inizio gli era sembrata una parola come un'altra. Un nome perso in un fiume di essi, trascurabile e irrilevante. Le cose, però, erano cambiate piuttosto rapidamente.

La prima volta in cui quel nome lo aveva infastidito era stato quando anche suo padre l'aveva pronunciato. Con la sua mente di bambino, Seishiro non aveva registrato le informazioni essenziali che Tenri e un collaboratore si stavano scambiando, riguardo alla sua posizione sociale, ai suoi parenti, ai problemi che stava causando. Aveva soltanto colto l'interesse eccessivo di suo padre per una persona che non era lui e che andava a discapito delle rade attenzioni che il genitore gli rivolgeva.
Come non odiare chi allontanava ulteriormente da lui un già assente padre, completamente estraneo all'affettività di cui aveva bisogno?

Con il tempo, aveva imparato meglio chi fosse e cosa volesse. Era apparentemente il figlio bastardo di Sakae Ichinose e di una donna misteriosamente scomparsa. Un rifiuto, dunque, proprio come gli avevano insegnato essere tutti quelli della sua stirpe, visto anche ciò che stava provando a fare. Innamorarsi di sua sorella maggiore, Mahiru, futuro leader della famiglia? Assurdo, era soltanto un mero desiderio di scalata sociale. Presto sarebbe stato estinto, come si fa con un fiammifero che sta bruciando troppo e sta per scottare la mano del suo possessore.



Gli Ichinose non erano ben visti nella famiglia Hiragi, men che meno lo erano le famiglie a loro subordinati. Eppure, quando Seishiro l'aveva vista, l'unica cosa che aveva potuto fare era innamorarsene.
Si chiamava Sayuri. Aveva i capelli color grano tanto lunghi da poterci affogare dentro, e gli occhi di un sabbia dolcissimo. Ricordava che la prima cosa che le avesse visto fare era ridere e arrossire, e ancora adesso non si era scordato quel momento.
Nella famiglia Hiragi, però, non c'era spazio per nulla di simile all'amore. E quel sentimento tanto cantato dai poeti, il dolce nettare di vita e matrice fondamentale del mondo, nel suo cuore intossicato era finito per diventar petrolio. Un veleno che pompava ad ogni battito in ogni centimetro del suo corpo. Trasformandolo nella cosa più simile ad un corteggiatore che riuscisse ad essere.
E che si traduceva nell'essere il suo aguzzino.

Ichinose era un figlio di puttana, e non solo per le voci che circolavano sulla madre scomparsa.
Aveva scoperto poco dopo, ascoltando una conversazione fra lei e la sua amica Shigure da lontano che era proprio lui, il bastardo, ad averle rubato il cuore, ed era proprio lui il ragazzo il cui pensiero la faceva sorridere come il primo giorno.
Ogni parola che le sentiva pronunciare, ogni pregio che le sue labbra decantavano di lui era un dardo di fiele che gli veniva scagliato addosso. La maggior parte delle ferite era al petto.
Si era sentito male, si era sentito superato. Proprio come ogni singolo istante della sua vita.
Superato a scuola.
Superato dagli impegni che allontanavano suo padre.
Superato dai fratelli.
Superato da lei.
Seishiro, quel giorno stesso, aveva deciso che sarebbe finita.



Aveva iniziato ad infastidirla. Se non avrebbe  mai potuto ottenere le attenzioni che voleva da lei, allora se le sarebbe prese.
Gli Hiragi non erano mai secondi. Men che meno a figli bastardi di famiglie del cazzo, che valevano meno della cicca che aveva in bocca. Solo il loro destino era affine: essere schiacciati ripetutamente, per poi essere buttati nella spazzatura.
Ricordava ancora quanto gli era sembrata spaventata, il primo giorno in cui le aveva afferrato il braccio. Il suo polso era piccolo, la pelle morbida come se vi avesse messo della crema. Sarebbe stato piacevole, farsi accarezzare da una sua mano?
«S-seishiro-sama, mi lasci, per favore...»
Inutile, aveva soltanto stretto di più. E coi suoi compagni in lontananza, lei da sola e fragile rispetto alla sua comporatura indubbiamente superiore, lui si era sentito per la prima volta potente.
Potente e in grado di fare qualsiasi cosa avesse voluto.
«Non ti ho mai dato il permesso di chiamarmi per nome, puttana
Lo schiaffo non era stato premeditato. Si infranse sulle sue gote morbide e giovani come una sassata che colpisce il vetro, mandandola in frantumi. La testa di Sayuri si era voltata di scatto, accompagnata nel gesto da un gemito di dolore mischiato a un urlo, mentre la pelle diventava rossa.
Non avrebbe mai voluto picchiarla. Ma se l'unico modo che lui aveva avuto per attirare l'attenzione di suo padre era stato quello di farsi picchiare, perchè non doveva succedere anche al contrario? Superfluo, inoltre, era aggiungere che fosse uno sfogo. Era come se tutta la rabbia che aveva dentro, repressa fin dal primo istante in cui era venuto alla luce, volesse esplodere adesso.
E quello era solo un assaggio.

Quel giorno le era andata bene. L'aveva gettata soltanto per terra con uno strattone, afferrandola per quei capelli che tanto gli piacevano. Le lacrime che le avevano bagnato il viso erano state tanto improvvise da fargli pena e fargli provare il desiderio di consolarla e stringerla, dentro al cuore. La sua mente, però, corrotta dal potere e dalla violenza, l'aveva registrata soltanto come amabilmente patetica.
Il desiderio di fondo però, quello di poterla abbracciare, non era passato. Soltanto che si stava traducendo in un volere nettamente meno dolce.



Era un sabato pomeriggio. Lei stava tornando a casa lungo una strada di periferia poco trafficata, apparentemente contenta nel suo camminare.
Lui le stava dietro, silenzioso, mangiando però a mano a mano la terra che li separava.
I suoi ricordi iniziavano a diventar confusi nel momento esatto in cui la sua mano aveva spinto la sua spalla a girarsi, affondando poi di colpo fra i capelli a tirarla dove volesse, secondo il proprio desiderio.
Ricordava che il vicolo in cui l'aveva condotta era angusto, umido e puzzava di urina. Sapeva che l'avevano fatto innervosire, i suoi strilli e le sue preghiere, e che l'aveva picchiata una, due, tante volte. Quando la sua voce aveva smesso di combattere ed era rimasto soltanto un corpo tremante e dolorante, aveva incominciato a spogliarla.

Non aveva continuato lì. L'aveva portata, aiutato dalla sera e da un taxi prontamente pagato per comprare il silenzio del guidatore, in uno di quegli appartamenti squallidi da poveracci, quelli che hanno a malapena il letto e un tavolo, e che nei sobborghi più malfamati vengono affittati per una notte al fine di bucarsi, sfondarsi di marijuana e alcohol e fare sesso extraconiugale.
Il letto aveva cigolato, quando l'aveva gettata su di esso, così come la sua voce mentre lo pregava ancora una volta di fermarsi.
Ma perchè continuava a chiederglielo? Perchè non l'accettava e basta? Erano ripugnanti i suoi baci, il suo viso, le sue mani? Le era sgradito l'unico tocco che sapeva regalarle, l'unico modo che avesse per accarezzarla?
L'aveva spogliata incurante, lottando senza difficoltà contro alle sue mani, disperatamente violente all'inizio, poi sempre più riluttanti e rassegnate, fino a che rimasero soltanto ai lati del capo, abbandonate al fianco di esso mentre singhiozzava.
Era bello, il suo corpo, il suo seno, le sue gambe e ciò che aveva fra di esse. Era stato bello il suo viso quando gliel'aveva detto ed era arrossito, quando le sue labbra aveva sussultato assieme al corpo alla sua mano che era scivolata proprio lì, a sfiorarla per la prima volta nel vero senso della parola.
Si era quasi vergognato, della propria inespertezza, della curiosità eccitata con cui fissava ogni reazione, ignorando le sue richieste di smetterla o, perlomeno, di non guardarla.
Era anche, perfino, un po' arrossito, quando era finalmente affondato in lei e l'aveva fatta sua.

Quando si era svegliato, un paio d'ore dopo, era nel bel mezzo della notte. Le lenzuola, madide di sudore e sporche di sangue e dei loro umori erano stropicciate sotto al suo corpo, eppure non ebbe davvero voglia di sollevarsi da esse.
Si era girato, invece. Sayuri gli dava la schiena, in quel momento, stretta sul bordo del letto più che potesse, con le gambe tirate contro al petto e il viso affondato in esse. Aveva lungo le cosce i segni di ciò che avevano fatto, sulla schiena e sul collo lividi e succhiotti facevano la loro comparsa, deturpando il dolcissimo oro della sua carnagione.
Piano, un po' insicuro, aveva allungato le dita verso di lei, passando i polpastrelli lungo la sua colonna vertebrale e lungo un fianco. Pur nel sonno, aveva sentito i suoi muscoli irrigidirsi.
«Perchè Ichinose? - aveva chiesto lui, assecondando i suoi pensieri con un filo di voce - Perchè non io? Non sei felice, con me?»
Non si aspettava davvero che gli arrivasse una riposta. Forse perchè le sue erano le domande insensate di una mente malata, forse perchè, soprattutto, lei stava dormendo.
Invece la sua voce ruppe la notte, squarciandola a metà. E la velocità con cui si espanse nell'aria fu direttamente proporzionale alla ferita che gli spalancò nel petto.
«No. Non lo sono.»



I risvolti della situazione Seishiro non li ricordava più tutti. Sapeva che alla mattina lei si era rivestita di ciò che rimaneva di essi e se n'era andata, pur sapendo che era ancora sveglio nel letto, con gli occhi piantati nel soffitto. Aveva sentito il rumore dei suoi singhiozzi al cellulare, poi una macchina era arrivata e se li era portati via. Ringraziava il cielo che non fosse salito nessuno a picchiarlo a sangue, perchè non avrebbe davvero avuto la forza di reagire.
Immobile nel suo letto, quello stesso catasto di lenzuola luride e avviluppate, i suoi occhi rame erano fissati contro al soffitto, i capelli neri abbandonati lungo al cuscino in maniera disordinata.
Era rimasto così a lungo, prima che qualcuno si ricordasse della sua esistenza, prima che il cellulare vibrasse e la voce di Kureto gli partisse nelle orecchie.
Nessuno fece riferimento alla sua scorribanda.
Alla sera, invece che una punizione, da suo padre ricevette un complimento.
«Le puttane degli Ichinose non meritano altro.»

Quando Seishiro si era chiuso in camera, dopo quell'orribile giornata di niente, era rimasto solo con se stesso.
Chewbacca era addomentanto sul tappeto ai piedi del letto e lui si era fissato, nudo, dentro al grosso specchio che aveva su una parete.
Quella ragazza tanto fragile, tanto patetica e debole, l'inutile sgualdrina degli Ichinose, gli aveva insegnato una lezione molto più grande di tutte le cinghiate, le botte, gli schiaffi e i calci.
Una lezione che faceva molto più male di qualsiasi ferita, ma che non avrebbe mai lasciato una cicatrice visibili.
Una leziona data da una puttana.

Seishiro non era solo il secondo.
Seishiro era l'ultimo fra tutti.



{Post Scriptum:

Che dire ai miei lettori riguardo  a questa storia? È diversa da ciò che scrivo di solito, e senza dubbio le tematiche sono molto forti, molto più di quanto io non abbia mai scritto.
Il personaggio di Seishiro è indubbiamente stronzo. Di questo penso ce ne siamo accorti tutti. Oltre a questo, però, Seishiro è anche codardo. Sappiamo che ubbidisce ciecamente agli ordini di suo padre e a differenza di Kureto, che ha la forza di carattere per ribellarsi astutamente, l'Hiragi più giovane di sottomette, totalmente plasmato sotto l'ideale di Tenri.
Questo suo atteggiamento nei confronti di un padre senza dubbio dispotico mi ha molto colpito. E se da una parte mi ha affascinata la crudele macchinazione di Kureto alle spalle del padre, dall'altra mi sono sentita interessata a cosa pensasse davvero Seishiro, nella propria testa.
L'idea che ho elaborato è piuttosto sintetizzata nella fanfiction da me scritta. Quella di una persona estremamente sola e che ha a disposizione soltanto la violenza per essere sopra agli altri.

Sayuri è stata scelta per un motivo preciso: Nella Light Novel c'è un punto in cui Seishiro la picchia e fa per spogliarla, venendo poi fermato. Ho voluto un po' giocare sulla traccia di questo fatto, forgiandolo in maniera differente e più grammatica per poter dar voce ai pensieri del ragazzo.
   
 
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