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Autore: Yumeha    18/03/2016    15 recensioni
Sul fatto che prima o poi i miei genitori si sarebbero separati, ormai era chiaro a tutti. E sinceramente non potevo che esserne felice. Non ne potevo più di sentire mamma e papà litigare in piena notte, schivare oggetti contundenti che volavano già di prima mattina, e poi passare all’ignorarsi per tutta la giornata. Insomma, ne andava della mia sanità mentale.
Di conseguenza era palese che prima o poi si sarebbero lasciati, lo immaginavo. Ma non potevo di certo predire che mamma lasciasse definitivamente il cognome Heartphilia e che si risposasse. Anche se questo avrei dovuto perlomeno sospettarlo, dopotutto Layla sembrava la personificazione della perfezione. Ma la mia fervida immaginazione di scrittrice non poteva arrivare a tanto: mamma non poteva sposarsi con un Dragneel!
Se prima mi sembrava di vivere in una clinica psichiatrica, la mia nuova famiglia decisamente troppo allargata, era praticamente un manicomio…
~
«Scommettiamo che entro la fine dell’anno tu e Natsu vi mettete insieme?» ghignò la mia migliore amica.
Inarcai un sopracciglio. «Scommettiamo che entro la fine dell’anno io quello lo ammazzo?»
«Andata.» Levy mi sorrise divertita.
«La posta in gioco?» chiesi, guardinga.
«La reputazione.» le sue labbra si curvarono in un sorriso sadico.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lucy Heartphilia, Meredy, Natsu, Sting Eucliffe, Wendy
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Forti emozioni, scrigni profanati e scommesse pericolose

Cap 11~

A chi piacciono gli ospedali? A nessuno, ti fanno passare le pene dell’Inferno e oltretutto ti fanno osservare gente che come te soffre allo stesso modo. E se ci finisci senza sapere perché? Brutta roba. Volete sapere cos’altro è brutto? Quelle giornate talmente storte che cominciano non appena scendi dal letto, inciampi e cadi per terra come un sacco di patate accartocciato sul pavimento. Vorresti uccidere tutti, ma non puoi. Davvero frustrante, non c’è che dire. E se un omicidio questa volta lo commettessi sul serio? Dite che sarebbe tanto grave?
 
***
 
Soffitto bianco.
Muri bianchi.
Lenzuola bianche.
Quell’unico colore colpì le mie iridi, percepii il dolore da sotto le palpebre persino quando li richiusi. Impiegai un paio di minuti prima di riuscire a guardarmi in giro, senza problemi.
Arricciai il naso a causa della puzza di antisettici che aleggiava nell’aria.
Realizzai di essere in uno ospedale e feci una smorfia. Quando mi tirai su, dalle mie labbra scappò un gemito di dolore. Abbassai lo sguardo e guardai al di sotto della vestaglia canuta con cui ero stata vestita: indossavo una spessa garza che mi fasciava da un fianco all’altro. Quello destro doleva ancora tantissimo. Così anche il braccio sinistro era stato fasciato, ma al di sotto non intravedevo alcuna macchia. A fianco a me, su un tavolino, era stata lasciata una bacinella d’acqua intrisa di un liquido rossastro che vorticava all’interno, con un movimento a spirale. Sempre lì vicino le vecchie garze con cui probabilmente mi avevano medicata, totalmente inzuppate di sangue.
Altro rosso catturò la mia attenzione, meno intenso però, non era pari a quello del liquido viscoso. Facendo attenzione e spostando delicatamente le lenzuola dal mio corpo, adagiai le punte dei piedi nudi sul pavimento gelido. Mi mossi barcollante, il ginocchio sinistro mi faceva male.
Ero ridotta ad uno straccio.
E non mi ricordavo nemmeno perché.
Come una falena attratta dalla luce mi avvicinai a quella macchia rossastra che faceva un terribile contrasto con tutto quel bianco che mi circondava. Allungai una mano verso il mazzo di rose che era stato appoggiato su una poltrona e lo esaminai, incuriosita. All’interno vi scorsi un bigliettino, feci fatica a mettere a fuoco e a leggere, non avevo né le lenti né gli occhiali.
Adagiai il foglietto sul tavolino, poi appoggiai i polpastrelli accanto agli angoli degli occhi e tirai la pelle, stendendola e assottigliando la forma. Alcune lettere cominciarono a mettersi al proprio posto, seppur sfocate.
“Dio, ma sono una talpa…”
 
Mi dispiace molto per ciò che è successo, spero che le tue ferite possano guarire velocemente. Quelle del corpo e dell’anima. Perché sì, so di averti ferita, nel profondo. Ma sai Lucy, a volte la possessione oscura la mente…
 
Corrugai la fronte a quelle parole, non capendo. Improvvisamente mi illuminai: Natsu mi aveva finalmente chiesto scusa come si deve per avermi provocato così tanti guai!
Fu in quel momento, che il ricordo di lui mi colpì con forza, accompagnato da un terribile senso d’ansia.
Com’era possibile che non riuscissi a ricordare nulla?! Cos’era successo?
Sentii il battito cardiaco aumentare, riuscire a gestire l’agitazione era sempre stato un grosso problema per me. Senza perdere ulteriore tempo, abbandonai il regalo inaspettato sulla poltrona che stava accanto al lettino e sgattaiolai fuori dalla stanza.
Non appena uscii e mi richiusi la porta alle spalle, mi schiacciai contro la superficie dura, per evitare di essere investita da un medico che marciava a passo veloce, tra le mani teneva stretti dei campioncini di sangue e un paio di siringhe.
La testa cominciò a girarmi, percependo l’instabilità improvvisa delle gambe, diventate due gelatine. Ero anche agofobica, lo ammetto…
Mi strinsi tra le braccia, facendo una smorfia quando sfiorai il braccio sinistro, ustionato. Ero consapevole del fatto che mi sarebbero rimaste delle cicatrici, ma mi sarebbe piaciuto perlomeno rammentare il perché. In compenso avevo fatto un sogno strano, mi ricordavo vagamente qualche scena, ma era tutto offuscato e confuso. Ogni tanto mi sembrava ancora di sentire qualche grido rimbombarmi nelle orecchie, ma era chiaramente una sensazione dovuta ai ricordi di quella specie di visione onirica che aveva prodotto il mio malato cervello.
Cercai di confondermi tra tutta quella gente che correva frettolosa, non dovevo farmi notare o i dottori mi avrebbero trascinata nuovamente nella mia stanza.
Ora quello che dovevo fare era cercare di capire dove fosse quella di Natsu.
Chiedere a uno dei medici era del tutto fuori questione, sarebbe bastata un’occhiata più attenta e mi avrebbero rispedita indietro.
Fu in quel momento che il mio sguardo venne attratto dalla figura di un medico donna, giovanissima. Era del tutto nel panico, si vedeva come cercava con gli occhi spalancati tra delle carte e nel frattempo si guardava in giro, frenetica e sempre più agitata. Era sicuramente nuova ed inesperta, era perfetta.
«Mi scusi?» sussurrai.
La ragazza sobbalzò e per poco non le scappò un urlo. «Sì?» la voce le uscì stridula.
«Sto cercando la stanza di un ragazzo di nome Natsu Dragneel, potrebbe indicarmela?»
Lei inorridì, vidi il sangue defluirle dal viso, rendendolo quasi cianotico. Gli occhioni azzurri erano spalancati. «Sì, ehm… Ecco…»
Inarcai un sopracciglio. «Ci sono dei problemi?»
«N-no!» scosse la testa, forse troppo velocemente. «Chiedo a un mio collega.»
«Aspetti!» la afferrai per un braccio. Ora quella ad inorridire ero io. «Non ce n’è bisogno, voglio sapere solo dov’è la stanza. A giudicare degli schedari che ha in mano dovrebbe occuparsi lei dello smistamento, a quanto vedo.»
Notai la sua retina velarsi di lacrime e mi chiesi che problemi avesse. «E-ecco, io… Ho perso la scheda del signor Dragneel.» disse tutto d’un fiato.
“Ah.”
«E ora?» domandai, guardandomi in giro per assicurarmi di non essere vista da nessuno.
La ragazza abbassò lo sguardo colpevole, fu allora che le sue sopracciglia chiare si aggrottarono, sottoponendomi a un più adeguato controllo. «Tu sei una paziente! Cosa ci fai fuori? Devi stare a riposo! Ora chiamo immediatamente un mio superiore!»
Il mio cuore perse un battito, così agii d’impulso. «Fallo e io dirò che hai perso dei documenti importanti per la sicurezza di un paziente.»
Dalle sue labbra scappò un gridolino, per poi tapparmi immediatamente la bocca e trascinarmi all’interno di una camera vuota. Prima di chiudere la porta si guardò in giro, per assicurarsi che nessuno l’avesse vista.
Inarcai un sopracciglio. «Cos’è, hai bisogno di un posto appartato per farmi fuori ed evitare che apra bocca?»
Lei sgranò gli occhioni. «Per Mavis, per chi mi hai presa?»
«Io stavo solo scherzando.» sbuffai. «Allora, che si fa?»
Scosse la testa. «Non lo so, posso provare ad entrare in ogni stanza.»
La guardai scettica. «Non penso sia una buona idea, disturberesti e capirebbero che hai perso i tuoi fogli.»
«Maledizione! Ma quando mi deciderò a mettere la testa a posto?» brontolò, accasciandosi su una sedia e prendendosi la testa fra le mani.
Sospirai, sedendomi sul lettino e fissando con astio un punto non ben definito del pavimento. «Non hai delle copie? Magari dei file nel computer.»
La ragazza scattò in piedi con una velocità tale da far ribaltare la sedia all’indietro, facendomi oltretutto spaventare. «Ma certo! Sul mio pc ho riordinato ogni scheda!» Corse velocissima verso la porta, ma poco prima di abbassare la maniglia, si voltò e mi sorrise. «Grazie, ehm… come-»
«Lucy.» la anticipai.
Il suo sorriso si fece ancora più ampio. «Grazie Lucy, mi hai salvata.»
Mi strinsi nelle spalle. «Guarda che voglio sapere la stanza, ti aspetto qui. Il tuo nome è invece?»
«Sì, faccio presto. Mi chiamo Mirajane.»
Annuii distratta e osservai accigliata la sua figura algida sparire dalla mia visuale. Ero terribilmente nervosa, iniziai a torturarmi le mani sentendole parecchio sudate. Cercai di sforzarmi e provare a ricordare qualcosa, qualsiasi cosa. Ma nulla, sembrava che la mia testa avesse subito un improvviso blackout.
Il senso di agitazione era tale da farmi sentire male, sentivo il battito cardiaco nelle orecchie e il respiro era diventato meno regolare. Strinsi con le mani le lenzuola fresche e serrai gli occhi con forza. Le tempie sembravano pulsare, mi stava per scoppiare la testa.
Mi voltai e notai sollevata una finestra, mi avvicinai e la spalancai. Il vento freddo di novembre mi investì con forza, facendomi rabbrividire. Però sembrò regalarmi appena un po’ di sollievo.
Sospirai pesantemente e adagiai le mani sul davanzale di pietra gelida. Fu in quel momento che però mi accorsi di alcune voci appena fuori dalla stanza, quando mi voltai feci appena in tempo a vedere la maniglia abbassarsi: non persi ulteriore tempo e con uno scatto che mi causò una terribile fitta al fianco, scattai dietro la porta e mi appiattii contro il muro. Abbassai lo sguardo e vidi una sottile linea rossastra macchiare il candore della fascia. Alzai il viso, serrando gli occhi e mordendomi il labbro inferiore per il dolore.
«È sicuramente stato molto fortunato, niente da dire.» borbottò una voce maschile che non riconobbi.
«Ma ora sta bene?»
“Mamma?”
«Possiamo vederlo?»
“E questo è quell’idiota di Dragneel Sr, ci scommetto.”
«Preferirei che aspettaste ancora un po’, non si è ancora svegliato il ragazzo, vorrei che riposasse e che non venisse disturbato.»
Stava parlando di Natsu, ne ero certa.
«Capisco, aspetteremo dunque. Potrebbe ripeterci la stanza per cortesia?»
Le tre figure si allontanarono finalmente dalla porta, posizionandosi al centro della stanza. Rischiai di essere vista da Igneel per un soffio, ma riuscii a spostarmi senza farmi vedere e senza fare rumore.
Vidi Layla avvicinarsi alla stessa finestra a cui mi ero avvicinata io poco prima e appoggiare i palmi delle mani sul marmo. Eravamo così simili, ora che la vedevo da questa prospettiva. Sembrava la mia copia più vecchia – non che mia mamma fosse vecchia, dato che aveva solo vent’anni in più di me. Sul suo viso intravidi tutta la stanchezza, la preoccupazione, l’ansia e lo spavento che quella situazione assurda le aveva procurato.
Il dottore annuì e fornì il numero della stanza e le indicazioni per raggiungerla. Il mio cervello immediatamente le incise a fuoco nella memoria. Dopo aver consolato mia madre e il mio patrigno uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Ma loro rimasero voltati verso il cielo grigiastro minacciante pioggia.
Ringraziai non so quale divinità e pregai perché rimanessero girati e attesi, timorosa di muovere anche un solo passo.
«Igneel… » lo chiamò mia madre con voce strozzata. «Sono sollevata dal fatto che Natsu ora sia fuori pericolo. Ma ho paura che la mia bambina quando si sveglierà possa aver dimenticato anche me.»
Alzai lo sguardo, puntandolo contro la sua schiena, più attenta.
Il mio patrigno allungò un braccio nella sua direzione e la strinse a sé, baciandola sulla testa. «Lucy è la ragazza più tosta che io abbia mai conosciuto, sono sicuro che non basta così poco per metterla fuori gioco.» Sembrava stesse sorridendo.
E anche le mie labbra si arricciarono a quel commento.
«Ma hai sentito i medici! Ha avuto un trauma cranico, dannazione!» sbottò, una lacrima scivolò veloce lungo la sua guancia.
Deglutii a vuoto, percepivo i palmi delle mani sudati ma i polpastrelli totalmente ghiacciati. Volevo avvicinarmi, appoggiarle delicatamente una mano sulla spalla e dirle che stavo bene, ma non riuscivo a muovermi.
«Sì, ma lieve. Hanno detto che dopo il primo stadio di incoscienza, avrebbe rimosso ciò che le è successo. L’unica cosa danneggiata è stata parte della memoria, ma sta bene, questo è l’importante. Layla sai benissimo che sarebbe potuta andare molto peggio di così.»
Gli argini si ruppero: mia madre scoppiò a piangere e abbracciò di slancio il suo nuovo marito.
Percepii un fastidiosissimo groppo incastrato in gola e così sentii il bisogno di levare le tende da lì. Mossi delicatamente i piedi, il più silenziosamente possibile e aprii celermente la porta. Prima che potessero alzare lo sguardo io ero già sgusciata fuori dalla stanza.
Iniziai a correre, velocemente, senza preoccuparmi di rischiare di investire qualcuno. Svoltai l’angolo bruscamente, tanto che dovetti aggrapparmi all’angolo del muro per non scivolare in avanti e ripresi a correre. Percepii un altro lembo di pelle strapparsi, macchiando ulteriormente la garza e questa volta iniziare a lasciare qualche macchiolina persino sulla veste.
Il mio sguardo si posò su un numero e immediatamente la mia corsa si arrestò. Aprii la porta senza preoccuparmi di provare prima ad ascoltare all’interno per vedere se ci fosse qualcuno, feci irruenza e ciò che mi si parò davanti mi fece vacillare.
Il rosa era l’unico colore caldo che sembrava donare un po’ di calore in quella camera. Mi avvicinai e allungai una mano verso di lui, ma subito dopo la ritrassi. Il colore della pelle sembrava essere più chiaro, il colorito abbronzato che avevo sempre invidiato di lui sembrava sparito. Sui suoi zigomi erano presenti dei graffi, i quali ombreggiati delle ciglia degli occhi chiusi. Le labbra erano leggermente schiuse, dalle quali fuoriusciva un leggero respiro.
Raccolsi tutta la mia forza e spostai le lenzuola: era senza maglietta, ma anche lui, come me, era stato fasciato da un fianco all’altro. La differenza stava nel punto colpito, la sua ferita era sull’addome.
Sentii gli occhi pizzicare, ma nessuna lacrima sfuggì al mio autocontrollo. Le mie dita sfiorarono le sue, delineando il suo arto coi polpastrelli. Raggiunto il palmo mi bloccai, intrecciando la mia mano alla sua. Giurai di aver visto le sue ciglia tremare, ma forse era stata solo un’impressione o un gioco di ombre.
Senza sciogliere la stretta mi sedetti sulla poltroncina che era posta accanto al lettino. Con la mano libera gli scostai i capelli ribelli che gli erano finiti davanti al viso, rimanendo a studiare assorta il suo volto. Accarezzai i suoi lineamenti con una dolcezza tale che fu in grado di stupire perfino me stessa.
Lanciai un’ultima occhiata alle sue ferite e il bisogno di conoscere la verità si fece più impellente.
«Ehi, bell’addormentata, hai intenzione di svegliarti o ti devo baciare?» feci un sorriso amaro, continuando a fissare imperterrita la sua fasciatura.
«Se avessi avuto la certezza che l’avresti fatto sul serio, avrei fatto finta di dormire ancora un po’.»
Sobbalzai, voltandomi di scatto. «Natsu?»
«Ebbene sì, lo ammetto.» ghignò.
Immediatamente mi oscurai. «Cos’è successo? Io… n-non ricordo.»
Il ragazzo inarcò un sopracciglio. «In che senso scusa?»
«Ho origliato la conversazione tra mamma e Igneel, ho avuto un leggero trauma cranico. Il mio cervello ho rimosso tutto quello che è successo.» abbassai lo sguardo.
Lui strabuzzò gli occhi. Lo vidi dare un colpo di reni e alzarsi di botto, per avvicinarsi maggiormente a me. Sul suo viso passò velocissima una smorfia di dolore, pensai di essermela addirittura immaginata, ma capii di averci visto giusto quando lo beccai mettersi una mano sulla ferita, improvvisamente riaperta.
«Sembra che entrambi non siamo capaci di rimanere fermi e lasciare che le ferite guariscano.»
Sembrò soppesare le mie parole e poi lanciò un’occhiata più attenta alla mia figura, osservando la macchia rossastra stendersi, esattamente come la sua. «Ma Lucy! Devi stare a riposo! Insomma hai perso anche la memoria, cazzo! Chissà cos’altro hai dimenticato!»
Lo osservai andare nel panico, deliziata. Adoravo vederlo preoccupato per me.
«Magari non ho dimenticato nulla, anzi ne sono più che certa.» mi strinsi nelle spalle, avvicinandomi a lui sempre di più.
Mi girava la testa, anche più di prima. E in più continuavo a perdere sangue.
La mano che lui aveva appoggiato poco prima sul suo addome, passò sulla mia spalla. Sentii le sue dita scivolare su tutta la lunghezza del braccio, con estrema lentezza, fino alla mia mano. I brividi che mi colsero colpirono a randellate il mio ultimo neurone superstite, non facendomi più capire nulla.
Adagiai il mio arto sul suo petto, disegnando piccoli cerchietti sulla sua pelle. Questa volta notai una sottile ma lunga cicatrice sul suo collo, e immediatamente le mie dita scattarono su quel punto, iniziando a delinearla con attenta precisione.
«Ma senti un po’, ritornando al discorso di prima, se adesso mi sdraio e faccio finta di cadere in un lungo e profondo sonno, mi risvegli con un altrettanto lungo bacio?» il sorrisetto storto e dannatamente malizioso che accompagnò le sue parole, mi spinsero ad annuire, totalmente stregata.
«Anche se, la donna qua sarei io.» ridacchiai.
Natsu mi afferrò l’avambraccio destro, quello privo di fasciature, e mi strattonò verso di sé, costringendomi ad appoggiare il petto su parte del suo. «Possiamo sempre rimediare.»
Aggrottai le sopracciglia. «Te mi confondi.»
«In che senso?» borbottò.
«Prima mi ignori, poi fai così. Deciditi!» sbuffai.
Il ragazzo si allontanò da me, raddrizzando la schiena e appoggiandosi delicatamente contro la spalliera del lettino, senza fare movimenti bruschi. Abbassò lo sguardo, puntandolo sulle sue mani.
«È complicato.» sospirò.
Gli lanciai un’occhiata torva. «Spiegamelo, non sono stupida.»
Lui alzò gli occhi al cielo. «Non intendevo dire quello. Diamine, con voi donne bisogna sempre specificare!»
Un sorrisetto divertito increspò le mie labbra. «Forza, illuminami.»
«Non posso.» mormorò, sembrava abbattuto.
Inarcai un sopracciglio. «E poi quelle col ciclo siamo noi, eh! Siete talmente lunatici che è quasi impossibile starvi dietro! Te poi sei un caso allucinante.»
Mi alzai e feci per dirigermi verso la porta.
«Lu, aspetta.» brontolò.
«Uhm?»
«Un giorno te ne parlerò, promesso. Magari quando tutto questo casino sarà finito.»
Lo fissai, a lungo. «Ci conto.»
Lui annuì.
Appoggiai una mano sulla maniglia e l’abbassai con forza. «Ci vediamo a casa, lunatico.»
«Ciao piccola
“Non può avermi chiamata sul serio in quel modo…”
A quel nomignolo sbarrai gli occhi e per non far trapelare il mio turbamento interiore, scappai via dalla stanza, lasciandomi alle spalle quella macchia rosa.
 
***
 
Fortunatamente non passammo molto tempo in ospedale, fummo rispediti dopo un sette, otto giorni a casa. Volevano solo assicurarsi che fosse tutto a posto, per questo furono allungati un po’ i tempi.
Quando tornai a casa, dovetti rimettermi alla pari con tutto lo studio arretrato, il quale era ovviamente troppo. La materia che mi causò più problemi era, ovviamente, filosofia. Che disciplina inutile! La odiavo con tutta me stessa, ma avevo bisogno di riuscire a prendere la sufficienza almeno questa volta. Novembre era ormai quasi finito e gli ultimi giorni di questo mese avevano tutta l’intenzione di passare velocissimi e catapultarci verso l’inizio di dicembre.
Gettai il libro a terra con stizza e mandai al diavolo Cartesio e Spinoza con tutte le loro stronzate. Mi alzai dalla scrivania e mi gettai sul letto pesantemente, godendomi la sensazione di morbidezza. Strinsi con forza il cuscino e mi soffermai a pensare su quel poco che avevo capito: i miei sogni stavano cercando di farmi ricordare gli avvenimenti che la mia memoria aveva rimosso. Era come se un remotissimo angolo del mio cervello non avesse mai cancellato alcuna scena e cercava di ripropormele ogni notte. Ma al mio risveglio non riuscivo a ricordarmi molto, se non qualche suono o qualche frase.
Quando alzai lo sguardo e notai il lungo specchio che percorreva un lato del muro, mi alzai. Mi posizionai davanti ad esso e osservai la mia figura, a lungo, poi mi decisi: afferrai i lembi della maglietta e la sollevai. Osservai con attenzione le cicatrici che deturpavano il mio corpo giovane. Tre grosse linee rosate mi segnavano l’epidermide del fianco destro, mentre l’intero avambraccio sinistro presentava una bruciatura, rendendo la pelle più rosea.
Mi demoralizzai a vedere ciò che la mia sconsideratezza aveva causato. Non me lo ricordavo, ma ero certa che fosse tutta colpa mia.
Avevo rovinato il mio corpo.
Appoggiai la fronte contro lo specchio freddo e sospirai, sconsolata. Il labbro inferiore tremò, volevo piangere, ma che senso aveva?
“Mavis, ma quanto mi sono rammollita?!”
Abbassai la maglietta con stizza, quel giorno mi ero svegliata decisamente male, sentivo scorrermi l’acido al posto del sangue. Ero nervosa, arrabbiata, stanca. Insomma, ero preda delle classiche giornate no; ti alzi e vuoi rompere la tazza in testa a qualcuno, vai a scuola e vuoi colpire col banco l’oca di turno – riferimenti a Lisanna puramente casuali –, torni a casa e vuoi prendere a calci nel deretano il tuo nuovo fratellastro – che tanto nuovo ormai non è, visto che sono passati quasi quattro mesi –, ti metti a studiare la materia che odi più di tutte e l’unica cosa che vorresti fare è tornare indietro nel tempo e mettere le zampe intorno al collo del filosofo stronzo di turno.
In poche parole quel giorno ero sicuramente in grado di uccidere qualcuno.
Sopra la maglietta indossai un grosso felpone sgualcito, talmente grande che sarebbe potuta entrare tranquillamente un’altra me. Lanciai un’occhiata alla lunga coda dorata totalmente in disordine, ma non mi preoccupai di riordinarla. Nemmeno di togliere la grossa montatura nera squadrata adagiata sul piccolo naso. Il trucco era come sempre completamente assente, eccetto per un velo di mascara.
Spinsi col polpastrello del medio gli occhiali, per sistemarli ed uscii dalla stanza per andare al bagno.
Mi accorsi di una figura che mi passò davanti, così mi fermai per evitare di andarle addosso. Alzai lo sguardo, puntandolo in due paia di occhi verdi.
«Caspita, va bene che mancano pochi giorni ad Halloween, ma non mi sembra il caso di anticipare i tempi.»
Ed ecco il ragazzo mestruato.
Gli lanciai un’occhiataccia. «Dragneel, ma come siamo simpatici oggi.» sibilai.
«Io sono sempre simpatico.» gongolò.
«Certo, come un manico di scopa ficcato su per il culo.» brontolai.
Lui fischiò, sarcastico. «Vedo che oggi il camionista ucraino che è in te è più presente che mai.»
«E speriamo anche che t’investa.» grugnii.
Natsu spalancò gli occhi, fingendo un’espressione oltraggiata. «Ma ti mancherei.»
Inarcai un sopracciglio. «Solo perché oggi mi sento particolarmente magnanima, inviterò il tuo fantasma alla festa che organizzerò sopra la tua lapide.»
Lui si mise una mano sul cuore, anche ‘stavolta falsamente commosso. Cominciavo ad odiare il suo teatrino. «Non credo di meritare cotanta bontà.»
«Bene, allora levati o sul serio non scappi alla furia cieca del manico di scopa, sai lui ha un debole per i posti oscuri.»
Il rosato alzò le mani in segno di resa e se ne andò ridacchiando, infilandosi poi nel bagno. Mi ci vollero un paio di secondi per capire dove fosse entrato.
Mi fiondai alla porta, sbattendoci con forza le nocche. «Natsu!» gridai.
Lo sentii sghignazzare. «Ma come, prima non ero solo Dragneel?»
«Dragneel,» iniziai masticando ogni singola lettera di quel cognome. « apri questa porta.»
«Ma io sono in doccia, non pensavo fossi così intraprendente, Heartphilia.»
“Madonna, adesso gli spacco la testa.”
«Non è vero! Io non sento l’acqua!» sbottai.
In risposta ebbi lo scrosciare dell’acqua della doccia. «Ora sì.»
Non lo potevo vedere ma ero certa che su quelle labbra fosse presente un dannatissimo ghigno.
«Be’ non m’interessa! Fammi entrare!» sbattei i piedi, come una bambina stupida.
«In doccia? Vogliamo riprendere da dove abbiamo interrotto l’altra volta?»
Sentii la faccia andarmi a fuoco.
«Imbecille.» sussurrai.
«Ti ho sentita.» mi gridò dietro lui, ridendo.
Gli feci una linguaccia, sapendo di non poter esser vista. «Dragneel, sei un maniaco totalmente privo di galanteria!» gli urlai dietro, sbattendo un pugno sulla porta.
Solo che invece di scontrare le nocche contro la superficie solida, le sbattei contro il petto leggermente bagnato di Natsu.
Alzai lo sguardo.
“Eh no.”
Tossicchiai a disagio, facendo un passo indietro.
Lui mi sorrise sornione. «Be’? Ora te ne vai? Hai insistito tanto per avere questo bagno.»
«Affogati dentro la doccia.» sibilai voltandomi e correndo verso il piano di sotto, verso il secondo bagno.
“Ma guarda un po’! Uscire solo con uno striminzito asciugamano attorno ai fianchi! Gioca sporco!”
Grugnii infastidita, entrando nella stanza senza che qualcun altro mi creasse problemi questa volta.
«Che presuntuoso!» sbottai, sbattendo una mano sul lavandino in preda al nervoso.
Mi sembrava di sentire delle scariche elettriche intorno al corpo, avevo bisogno di sfogarmi.
Lanciai un’occhiata al cellulare e scorsi i messaggi sul gruppo in cui ero insieme alle due mie migliori amiche.
Levy – Cosa vogliamo fare ad Halloween?
Lluvia – Stuprare gente ubriaca
Levy – Peccato che tu e Gray non condividiate la stessa compagnia
Lluvia – Ma Lucy è molto amica col fratello minore di Gray, Lyon…
Lucy – Dove vuoi arrivare?
Lluvia – Okay statemi a sentire ora
Levy – Oh Mavis, ho paura
Lucy – Non riesco a seguire bene i discorsi quando sono seduta sul mio trono
Levy – Avresti anche potuto risparmiarcelo…
Lucy – Ma come, lo sai che ti tengo aggiornata su tutto ♥
Lluvia – Allora, io quest’anno voglio ricordarmelo Halloween, voglio divertirmi e voglio fare casini. Lucy, tu conosci bene Lyon, in classe state quasi sempre insieme. E oltretutto vivi con Natsu, il migliore amico di Gray. Sei proprio in mezzo alle persone che conosce meglio. L’idea è: invitiamo tanta gente, tra cui loro e divertiamoci.
Levy – Non accetterà mai
Lucy – Accetto
Levy – Che cosa?!
Lluvia – Fantastico! Dove organizziamo?
Lucy – Mio padre è come al solito fuori per lavoro nel periodo di Halloween, facciamo villa Heartphilia?
Lluvia – Io. Ti. Amo.
Levy – Finirà molto male…
Sì, ne ero consapevole anche io. Sarebbe stato un disastro e qualcuno si sarebbe fatto male, come in ogni party a villa Heartphilia che si rispetti. Solitamente il festaiolo tra i figli di Jude era Sting, le sue feste erano le migliori e finiva per invitare ogni volta tutta la scuola. Io avevo solo fatto qualche pigiama party con le mie amiche più strette, nulla di così trasgressivo.
Questa volta la festa sarebbe stata organizzata da me e tutti sarebbero stati invitati.
Bloccai il telefono con un sorrisetto compiaciuto.
 
Uscita dal bagno mi diressi in cucina con l’intenzione di saccheggiarla. Quando però cominciai ad avvicinarmi alla meta il mio udito captò una voce che riconobbi subito. Mi appiattii contro il muro e rimasi in ascolto.
«Quindi ha organizzato un party del genere per Halloween? È proprio da lei.» sospirò Natsu, ma dal suono capii che stesse sorridendo.
«Hai intenzione di andarci?» domandò Gray.
«Non lo so.» Mi sporsi appena e lo vidi passarsi una mano tra i capelli, in un gesto secco e rapido.
Il moro si strinse nelle spalle. «Decidi in fretta, Halloween sta arrivando, sai che odio le decisioni prese all’ultimo minuto.»
Natsu sbuffò spazientito. «Sì, va bene.»
Gray inarcò un sopracciglio. «Sì va bene, cosa? Sì andiamo o sì deciderai in fretta?»
«Deciderò in fretta, d’altronde stiamo parlando di una delle feste di Lisanna, sai benissimo che ci sarà un casino infernale, tra l’altro con brutti elementi.»
Strinsi i pugni, solo il nome di quella mi faceva ribollire il sangue nelle vene, non gliel’avevo ancora fatta pagare per la pesante frecciatina che mi aveva tirato poco prima che mi saltasse in testa l’idea di metterla sotto in retromarcia con la macchina e presto avrei avuto la mia vendetta.
Entrai in cucina con nonchalance, ostentando una sicurezza che in realtà non possedevo. Mi mossi ancheggiando e canticchiando una melodia che mi era rimasta in testa da un po’. Mi sentii gli sguardi dei ragazzi addosso ma non mi voltai. Mi allungai, alzandomi in punta di piedi per afferrare dalla mensolina in alto un barattolo di Nutella. Successivamente aprii la cassettiera, afferrai un cucchiaio e la richiusi con un colpo di fianchi.
Mi girai e feci un sorriso a Gray, accompagnato da un occhiolino. Il tutto senza degnare Natsu di un solo sguardo.
Me ne andai trotterellando, mantenendo stretto fra le mani il mio piccolo trofeo.
Ma appena sviai l’angolo mi appiattii nuovamente contro il muro, raddrizzando i padiglioni auricolari.
«Ancora vi ignorate?» ridacchiò Gray.
Natsu sbuffò. «Non so più cosa fare dopo quello che è successo.»
Inarcai un sopracciglio, a cosa si riferiva?
Sentii il moro sospirare e indugiare un attimo. «Forse dovresti sbattertene e fare ciò che vuoi realmente.»
«Ma certo! Tanto ci lascio la pelle io!» sbottò.
Aggrottai la fronte, sempre più confusa. E diciamocelo, sempre più distratta, cominciavo a sentire la voce della Nutella perfino nella testa. Il che è terribilmente inquietante, gli mancava solo il bigliettino con scritto “eat me” alla Alice nel paese delle meraviglie e poi avevamo concluso il quadretto.
«Fa’ un po’ quello che vuoi, Natsu.» borbottò l’amico.
Mi strinsi nelle spalle, avevo origliato abbastanza, anche se la discussione fu totalmente incomprensibile. E se ci fosse sotto qualcosa di grosso? Mi fermai e mi voltai verso i due ragazzi, percependo un senso di angoscia attanagliarmi lo stomaco.
Sbuffai e corsi su per le scale, rientrando in camera mia. Appoggiai il barattolo e il cucchiaio sulla scrivania, successivamente afferrai il cellulare e composi un numero.
– Pronto?
«Ti devo parlare, vieni.»
– Diamo ordini oggi?
La sentii ridacchiare. «Muoviti.»
Spensi la chiamata e gettai il telefono sul letto. Mi ci sedetti anche io, appoggiando i gomiti sulle ginocchia divaricate, mentre le mani mi sostenevano la testa.
C’era qualcosa che mi stonava in tutta questa faccenda, avevo una brutta sensazione, bruttissima.
Non passò molto prima che il campanello suonasse dopo la telefonata. Mi fiondai giù dalle scale, velocissima. Natsu e Gray si erano spostati in salotto e quando mi videro arrivare come un missile mi guardarono perplessi. Una testolina dai riccioluti capelli turchini entrò nella mia visuale.
«Spero che la motivazione sia buona, dato che mi hai fatto interrompere la mia maratona di film.»
La osservai meglio. «Hai qualcosa di bianco all’angolo della bocca.»
Levy arrossì e i due ragazzi si sbracciarono dal divano per scorgere meglio. «Sì, sai che mi strafogo di gelato alla panna quando sono depressa.» mormorò.
Sospirai sollevata. «Per un attimo ho pensato di averti perduta.»
«In che sens- NO!» sbottò tutto d’un tratto, bordeaux in viso, facendomi scoppiare in una forte risata.
Lei mi colpì con un pugnetto su una spalla, offesa. «Muoviti stupida.»
Annuii e prendendola per un polso la trascinai nella mia camera. Una volta chiusa la porta alle mie spalle tirai un lungo sospiro.
«Bene,» sbattei le mani. «sarà lunga, ti avviso.»
Levy si strinse nelle spalle. «Non ho in programma di morire domani, perciò inizia prima che la mancanza col gelato mi costringa a lasciarti qua come un fico a parlare da sola.»
Alzai gli occhi al cielo. «Non ho gelato, ma ho quella, vado a prendere un secondo cucchiaio?»
«Mavis, tra gelato e Nutella domani mi ritroverò la cellulite pure in faccia. Dai va bene, vai a prenderlo, prima che risolva usando le mani.»
«Sei un animale.» ridacchiai.
Lei mi lanciò un bacio aereo. «Tutta influenza tua, tesoro.»
A passo veloce tornai in cucina e quando passai scorsi Sting e Rogue discutere, probabilmente stavano decidendo cosa fare anche loro per Halloween.
«Sting?» lo chiamai.
Il biondo si girò, avvicinandomi e dandomi un bacio sulla fronte. «Ciao sorellina.»
Lo guardai sospettosa. «Oggi sei di buon umore?»
«Fin troppo.» grugnì Rogue.
«Bene, perché io invece potrei essere in grado di squartare qualcuno con» aprii l cassettiera e afferrai un secondo cucchiaio. «questo.»
«È successo qualcosa?» chiese aggrottando le sopracciglia il moro.
«Sì, i tuoi risvoltini mi urtano il sistema nervoso.» brontolai.
Lui ridacchiò. «Nulla di nuovo, allora.»
Attesi un attimo. «Be’?» incrociai le braccia al petto.
Il ragazzo mi osservò confuso. «Be’ cosa?»
Sbuffai rumorosamente e mi piegai in avanti per abbassagli quei cosi indecenti. Mi sentii in pace con me stessa ora. «Ora sei libero.»
«Guarda che non ero impossessato da nulla.» borbottò.
«Invece sì, dal demone risvoltino.»
«Tu hai dei problemi.» sbuffò.
«Contro i risvoltini? Tantissimi.»
Mi allontanai e corsi per andare in camera, ma prima mi voltai di nuovo e beccai Rogue cercare di risistemarsi i jeans.
«Fermo lì!» gridai.
Il moro sussultò. «Mi hai fatto spaventare, cretina!»
«Dai Lu, lasciagli fare quello che vuole.» sbuffò Natsu dal salone, che ci stava osservando insieme al suo amico.
“Ma quello è ancora lì? Se l’avesse saputo Lluvia sarebbe corsa qui in un attimo.”
«Nessuno ha chiesto la tua opinione, maniaco privo di galanteria.» grugnii.
«Come ti ha chiamato?» chiese stranito Gray.
Il rosato sghignazzò divertito.
«Lucy!» urlò da camera mia Levy.
«Arrivo, arrivo!»
Feci le scale a due a due e aprii la porta di scatto, fiondandomi dentro.
«Alleluia! Pensavo ti avessero rapita gli alieni.» sbuffò.
Le lanciai il cucchiaio, che prese malamente al volo. Ormai il sole era calato e fuori era praticamente buio, così spensi la luce e accesi solo la piccola abatjour che trasmetteva una debole luce aranciata, illuminando appena le nostre figure che erano più distanti. Mi sedetti sul tappeto peloso e feci cenno alla mia amica di sedersi davanti a me, mettendo al centro la Nutella. La stappai e ci infilai con forza il cucchiaio, tirando su tanta crema marroncina. Mi ficcai la posata in bocca e guardai la turchina.
«Tfi fefo dife elle coshe.»
Levy alzò gli occhi al cielo. «Lucy, Dio santo, manda giù e poi parla.»
Deglutii. «Io adesso ti racconterò tutto ciò che è successo in questa casa, non mi interrompere, fammi arrivare fino alla fine.»
La ragazza annuì perplessa, immergendo anche lei il suo cucchiaio nel vasetto.
Schiusi le labbra e tutte le vicende che erano successe da quando era arrivata in questa villetta, vennero riportate alla luce. Volevo parlarle di Natsu, di tutto ciò che avevamo condiviso in questo tempo, tenermi tutto dentro cominciava a risultare pesante. Il mio scrigno dei segreti cominciava ad essere fin troppo pieno, avevo paura di scoppiare al momento sbagliato e con la persona sbagliata. Per cui parlarne con la mia migliore amica non poteva che essere la cosa giusta.
Man mano che le parole fluivano dalle mie corde vocali per poi essere liberate, mi sembrava di percepire un senso di leggerezza. Era come se stessi rigurgitando tutte le mie angosce, i miei dubbi, le mie insicurezze. Era un sensazione piacevole ma allo stesso tempo spiacevole, era come se qualcuno stesse profanando il mio scrigno oscuro, tutto ciò che non volevo venisse scoperto.
Odiavo aprirmi con le persone, ero convinta che tutti fossero armati di una lama che non avrebbero esitato ad usare non appena avessero scoperto qualcosa.
Non volevo fidarmi.
Avevo paura a fidarmi.
Quante persone mi avevano deluso dopo essermi fidata? Tutte.
Che fossero semplicemente quelle sbagliate? Probabile.
Ma avevo motivi per riprendere ad essere come prima? No.
La testa mi stava scoppiando, Levy invece sembrava concentrata, non mi aveva mai guardata negli occhi né tantomeno interrotta, si limitava a mangiare Nutella e ogni tanto rigirava il cucchiaio tra le mani piccole.
Quando finii di raccontare con gli ultimi avvenimenti di questo pomeriggio mi sentii quasi instabile, stordita e vuota. Gran parte del mio scrigno aveva perso contenuto.
Le lanciai un’occhiata da sotto le mie ciglia impiastricciate da quel poco mascara che avevo messo quella mattina e rimasi in attesa.
Passarono alcuni minuti, in cui tra di noi calò un silenzio tombale.
Improvvisamente Levy sbatté il cucchiaio all’interno del vasetto e mi sorrise enigmatica. «Scommettiamo che entro la fine dell’anno tu e Natsu vi mettete insieme?» ghignò.
Inarcai un sopracciglio. «Scommettiamo che entro la fine dell’anno io quello lo ammazzo?»
«Andata.» lei mi sorrise divertita.
«La posta in gioco?» chiesi, guardinga.
«La reputazione.» le sue labbra si curvarono in un sorriso sadico.
La guardai diffidente, ma annuii, tanto avrei vinto io come ogni volta. Anche se questa volta la mia migliore amica sembrava sicura e determinata a riscattare il suo premio finale.
Poi mi venne un dubbio. «Fine anno questo o quello scolastico?»
«Scolastico.» ridacchiò. «Vedremo a giugno chi vincerà.»
 
***
 
Levy, Gray e Rogue erano rimasti a cena, insieme a tutta la famiglia. Mamma e Igneel avevano deciso di uscire a cena fuori invece e fare una passeggiata romantica. Al solo pensiero mi saliva tutto quello che avevo mangiato. Anche se ormai erano già rientrati da un pezzo.
Quella sensazione di nervosismo e acidume che mi si era impossessata del mio corpo non era ancora svanita. Mi sentivo inquieta, forse a causa di ciò che avevo rivelato a Levy.
Mi rigirai nel letto per la decima volta, ormai il lenzuolo mi si era attorcigliato attorno formando una sorta di seconda pelle. Vista da fuori sembravo quasi una mummia imbalsamata. Strinsi la federa del cuscino con forza e osservai la sveglia, segnava l’una e mezza di notte. Ormai tutti dormivano da un pezzo. Nonostante fossi coperta unicamente dal lenzuolo stavo sudando e avevo il respiro accelerato. Strinsi le palpebre e cercai di rilassarmi, ma più mi imponevo di dormire più l’ultima traccia di sonno sembrava scivolare via.
Passò un’altra ora prima che cadessi in un sonno tormentato.
 
«Lu.»
Quella voce, avrei potuto riconoscerla anche a distanza di anni.
«Lu.»
Mi avvicinai, ma intorno a me era tutto bianco, terribilmente bianco. Allungai una mano davanti a me e provai a chiamare il suo nome, ma dalle mie corde vocali non vibrò alcun suono. Appoggiai una mano sulla gola, aggrottando le sopracciglia.
«Lu? Perché non vieni?»
Sto arrivando, ma tu dove sei?
Mi voltai, freneticamente, ma il bianco era l’unica cosa che i miei occhi erano in grado di poter vedere.
I miei occhi, giusto.
Le mie palpebre scivolarono veloci e mi lasciai guidare dal suono della sua voce calda e terribilmente sensuale.
Il mio cuore pompava sangue velocissimo.
«Lu, sono qui, ancora un po’.»
Un passo, due passi, tre passi…
«Ci sei quasi, non arrenderti piccola mia.»
Quel soprannome, solo lui poteva chiamarmi così. Sto arrivando.
«Ora ci sei, apri gli occhi.»
Le mie palpebre si sollevarono lentamente ma ciò che vidi mi lasciò sgomenta. Il bianco era diventato nero e sotto di me c’era uno strapiombo, un abisso, lungo, profondo, denso e infinito. Come la paura che io provavo. Feci dei passi indietro, barcollando e incespicando.
No!
«Piccola, abbandonati a me.»
Improvvisamente sentii sul mio corpo delle mani, forti, dure, violente. Urlai, o almeno, ci provai perché ancora le mie corde vocali si ribellarono al mio volere.
No, no!
Provai a ribellarmi, ma il mio corpo sembrava essersi paralizzato.
«Forza! Forza Lucy! Dov’è quella spavalderia che mostri sempre quando parli, sfidi o minacci? Dov’è?! La verità è che non c’è, tu esteriormente sembri forte, ma all’interno sei debole, schifosamente debole. Te la prendi con le persone che ti vogliono bene e non reagisci come si dovrebbe con quelle che ti fanno del male. Lucy, rinsavisci!»
Questa non era la sua voce, sembrava invece la mia, anche se io non avevo parlato. Quella non era altro che la mia coscienza interiore. Mi aveva sbattuto in faccia la realtà delle cose, con crudeltà.
La verità fa male, l’avevo sempre pensato.
Quelle mani non facevano che starmi addosso, percepii persino le unghie ma io non riuscivo a muovermi.
Ero debole.
Debole.
Debole.
Quella parola continuava a rimbombarmi nella testa come un’eco lontana.
Schiusi le labbra e cercai di urlare ancora.
Improvvisamente fu come se venissi risucchiata, le mani scivolarono dal mio corpo e io venni catapultata fuori.
 
Mossi le braccia, urlando e scalciando.
«Lucy!» gridò qualcuno.
Delle braccia mi strinsero e mio sbattei il naso contro quello che doveva essere un petto, ben delineato e bollente.
«Sht, stai calma, ci sono io ora.» sussurrò.
Osai solo in quel momento aprire gli occhi e mi ritrovai abbarbicata contro il corpo caldo di Natsu. Scoppiai a piangere, forte. Le mani del rosato corsero dietro la mia schiena e mi strinsero forte a lui, sistemandosi meglio sul mio letto e mettendosi in una posizione più comoda per abbracciarmi in una stretta che quasi mi privò del respiro. Il mio corpo aderiva perfettamente al suo, eravamo talmente vicini da poter sentire il suo respiro infrangersi sulla mia spalla scoperta e su parte del collo. Ma io ero troppo occupata a piangere e a sfogarmi per dar importanza a tutto questo.
Indossavo solo una maglia lunga troppo larga, che mi cadeva sempre da una spalla, al di sotto di essa non avevo pantaloni. Eppure Natsu non sembrò farci nemmeno caso.
Continuava a sussurrami parole e massaggiarmi con decisione la schiena, continuò finché il mio pianto non divenne unicamente un singhiozzo, solo allora le sue mani iniziarono a rallentare i movimenti, essere meno decise, quasi solo un tocco leggero coi polpastrelli. Ero sudata, sentivo la maglietta appiccicata contro il mio corpo come una seconda pelle, ma a lui non sembrava dare fastidio.
Lo apprezzai molto.
Solo quando finii di piangere tolsi le mani dal viso e le allungai verso il corpo del mio fratellastro, ricambiando l’abbraccio.
«Ti ho sentita urlare, hai svegliato tutti.» sussurrò appoggiando le labbra contro la mia fronte.
«Davvero? Mi dispiace.» brontolai.
«Non ti preoccupare, ho spedito tutti quanti a dormire e ho detto che mi sarei occupato io di te.»
«E Sting ha sul serio accettato senza fare storie?»
Lo sentii sorridere. «No, ci ho impiegato un po’ per convincerlo, voleva che fosse lui a consolarti.»
Sorrisi anche io, immaginavo. «E tu come mai hai insistito per venire al posto di mio fratello?»
Rimase in silenzio, tanto che pensai non avesse intenzione di rispondere. Quando schiusi le labbra per riprovarci, lui parlò. «Perché volevo farlo io.»
Strinsi improvvisamente la sua maglietta tra i pugni. «Perché?»
«Perché sì.»
«Non è una motivazione valida.» sbuffai.
Ridacchiò e a quel suono mi sentii decisamente meglio, fu come una ventata di sensazioni positive. Non me lo spiegai nemmeno io ma mi piaceva come suono, per non parlare della sua risata. «Per ora è valida.»
«Per ora?»
«Ma come siamo curiosi.»
Percepii le sue labbra arricciarsi e premere sulla mia fronte, poi sentii uno schiocco.
Sbarrai gli occhi.
«Perché?»
Lui si allontanò appena, quanto bastava per potermi guardare negli occhi. «Perché cosa?»
«Perché ti prendi gioco del mio cuore?» mi accigliai. «O Lisanna o me, scegli Dragneel.»
Lui strabuzzò gli occhi, evidentemente sorpreso. «I-io… Non-»
«Come pensavo, esci da qui.» ordinai, delusa.
Ma davvero ero delusa?
«Lu, aspetta.» tentò lui.
Con uno scossone mi liberai di lui e cercai di farlo scendere dal letto, spingendolo. Mi pizzicavano gli occhi, di nuovo.
«Fuori!» ripetei con maggior enfasi, spingendolo più forte.
Ma il rosato continuava ad aggrapparsi alle mie braccia, tenendomi stretta a sé, nonostante io stessi usando persino i piedi per spingerlo.
«Per favore, Lucy!» la sua voce si alzò.
Serrai le palpebre e ci misi maggior forza, riuscendo a buttarlo giù dal letto, ma quel maledetto riuscì ad afferrarmi l’avambraccio e trascinarmi con sé, facendomi cadere sopra di lui con un tonfo e sbattendo un gomito sul pavimento freddo. Gemetti per il dolore e mettendogli una mano sulla faccia, cercai di rialzarmi sibilando ogni tipo di insulto.
Ma lui appoggiò le mani sulle mie spalle e mi costrinse a rimanere giù.
«Natsu!» quasi urlai.
«Sono stato costretto!» sbottò lui, improvvisamente.
Mi fermai, di botto.
“Cosa?”
Lo guardai a lungo e osservai quegli occhi espressivi, quasi come se potessi leggervi all’interno tutte le risposte che avrei voluto avere da lui. Mi accigliai, continuando a fissarlo. «Spiegati meglio e fai che la risposta questa volta sia abbastanza esaustiva, o giuro che mi metto ad urlare e mi invento la scusa che hai cercato di mettermi le mani addosso.»
Lui sbuffò. «Non posso.»
“E va bene…”
Presi un lungo respiro e schiusi le labbra per far librare l’urlo dalle mie corde vocali. Ma Natsu fu più svelto, mi tappò la bocca con una mano, premendo deciso.
«Okay, okay! Ma stai zitta!» grugnì. «Maledizione, se finisce male è solo colpa tua…» sibilò.
Inarcai un sopracciglio. «Avanti.»
Lui abbassò lo sguardo, l’espressione totalmente corrucciata. «Sono stato minacciato, mi hanno detto che non mi devo avvicinare a te per nessun motivo, o le persone che mi sono più care potrebbero ferirsi.» sussurrò, come se avesse timore di farsi sentire.
Fu come se mi mancasse la terra sotto i piedi, mi tirai su a sedere, non rendendomi conto di essere ancora posizionata sopra di lui. Guardai un punto non definito del muro, gli occhi spalancati e le braccia che cadevano inermi lungo il corpo.
Perché? Perché non me ne andava mai bene una?
Una lacrima scivolò rapida e solcò la guancia, rigandomi la pelle. Perché mi sentivo presa in giro?
«Perché continui a prenderti gioco di me?»
Lui mi guardò come se fossi impazzita. «Ma ti ho detto la verità!» sbottò.
Mi alzai, quasi barcollando e ciondolai fino all’armadio, frugai tra l’infinità di vestiti e tirai fuori una valigetta nera. La aprii ed estrassi la carabina che usavo quando andavo al poligono, la caricai con un piombino e la puntai contro il rosato.
Lui sbarrò gli occhi ed indietreggiò fino a quando la sua schiena non sbatté contro il comodino che era a fianco al letto, l’abatjour che vi era depositata sopra tremò leggermente.
«Esci da questa stanza o giuro sulla mia anima che ti riempio la testa di piombo.»
Natsu non se lo fece ripetere due volte, come una molla saltò in piedi ed uscì dalla mia stanza alla velocità della luce.
Le mie gambe cedettero e le mie ginocchia si schiantarono contro il pavimento. Sentii il dolore arrivarmi al cervello ma l’apatia di quel momento mi permise di ignorare il male.
Le parole e la scommessa che avevo fatto con Levy mi tornarono prepotentemente alle mente. Accarezzai la carabina e guardai fuori dalla finestra.
“Come era ovvio, la scommessa potrei vincerla già anche ora.”
Mi alzai a fatica e presi una decisione.
   
 
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