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Autore: ElaineAnneMarley    19/03/2016    1 recensioni
È il primo giorno d’estate e Agata viene avvicinata da un ragazzo dall’aria smarrita. È la prima volta che incontra qualcuno di Levante, il continente al di là delle montagne. Lui ha i tratti tipici dei levantini: la pelle olivastra e gli occhi a mandorla. Gli occhi. Occhi di un colore simile non esistono, neanche a Levante. Sono di un blu intenso con scaglie ambrate e sembrano racchiudere la storia del mondo.
«Ti ho trovata» e il ragazzo lascia andare un sospiro di sollievo «appena in tempo.»
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 7
 
PONENTE, 6 ANNI E 26 GIORNI FA – La promessa

 

“Hai capito parlavo di te, vero?” Tseren aveva un modo di dire le cose che la disorientava. Non vi girava intorno, ma arrivava dritto al punto senza preoccuparsi troppo della reazione che le sue parole suscitavano.
“Siamo parenti?” se ne uscì Agata, così su due piedi. Le era venuto in mente in quel momento, perché era la spiegazione più razionale. La ragazza cercava sempre di razionalizzare le cose, ma in quel contesto le sue doti deduttive erano allo sbaraglio.
Lui rise di gusto. “No, neanche lontanamente”.
“Come ci capiamo parlando due lingue diverse?” avrebbe dovuto chiedergli perché la stava cercando, ma le domande le uscivano in modo disordinato, senza che avesse il pieno controllo di se stessa, una cosa che non le accadeva mai.
“Perché siamo legati” disse lui bevendo tutto d’un fiato il bicchiere di succo di cocco speziato che aveva di fronte.
“Basta risposte evasive” sbottò lei. Tseren la guardò pensieroso, gli occhi blu cercavano di scavarle dentro e Agata fu costretta a distogliere lo sguardo.
“A un certo punto dovrò per forza raccontarti tutto, lo so. Ma non riesco ancora a fidarmi, ho bisogno di più tempo. Dammi tempo fino alla prossima luna nuova” chiese serio.
Che razza di modo era di parlare? Forse a Levante si usava fare riferimento alle fasi della luna per scandire il tempo. Posò lo sguardo sul calendario che Kanzi aveva appeso alla scala che portava al suo letto soppalcato. Kanzi era al terzo anno di ‘Astronomia’. Quel giorno era esattamente il primo giorno di luna nuova, quindi con la prossima luna nuova Tseren intendeva tra un mese. Ancora un mese intero prima di sapere qual era il legame cui il misterioso levantino alludeva. Tra un mese non sarebbe neanche stata più lì, aveva in programma di partire per il villaggio di pescatori da cui proveniva nel giro di una settimana.
“Quindi rimarrai qui con me tutto il mese?” chiese perplessa.
Lui si lasciò sfuggire un ghigno. “Diciamo un po’ più a lungo di un mese…”.
Finito di mangiare i due si incamminarono verso l’università. Tseren non era un chiacchierone, alla maggior parte delle domande di Agata o rispondeva in modo sfuggente o in modo singolarmente schietto, non conosceva vie di mezzo. Aveva anche lui molte domande, ma riguardavano principalmente le cose che notava in giro, sembrava non aver mai visto un mezzo di trasporto meccanico o persino del cibo in scatola. Agata si chiese se avesse vissuto isolato dalla civiltà tutta la vita.
Appena raggiunsero il punto di raccolta per l’allestimento della festa, Saba li mise subito al lavoro. Chiese a Tseren di aiutare a costruire il palco principale nel continente fittizio di Ponente, proprio li davanti, e ad Agata di aiutare a decorare la riproduzione delle casette a punta, tipiche della zona stepposa di Levante, dall’altra parte del parco.
“Quanto ti allontani?” le chiese Tseren afferrandola per un braccio. Agata controllò di riflesso se aveva lasciato dei graffi, ma questa volta il ragazzo era stato più delicato.
“È solo dall’altra parte del parco, saranno un settecento metri…” intervenne Saba alzando gli occhi al cielo.
“Vengo con te” e lasciando ai piedi di Saba la cassetta degli attrezzi che aveva appena ricevuto, si avvicinò ad Agata. La ragazza alzò le spalle in direzione della compagnia di camerata, ne capiva quanto lei di quell’attaccamento un po’ morboso.
I due raggiunsero l’area che Saba aveva indicato loro e si misero al lavoro. Agata impugnò un pennello e comincio a decorare le casette a punta di rosso, conosceva bene le decorazioni tipiche perché il corso di ‘Arti decorative di Levante’ era uno di quelli del quarto anno che si era anticipata. Anche Tseren era d’aiuto, si dimostrò molto utile arrampicandosi sulle costruzioni per appendere le stravaganti maschere di giada tradizionali. Era sorprendentemente agile, Agata non se ne intendeva di sport, ma era certa che quell’agilità fosse fuori dal comune.
“Sono cresciuto scalando pareti di roccia…” spiegò a un ragazzo che si era avvicinato per fargli i complimenti in levantese. Molti erano incuriositi dal levantino e si avvicinavano a lui o ad Agata per chiedere spiegazioni, i programmi di scambio tra università di Ponente e di Levante erano stati interrotti da quindici anni, cosa ci faceva lì? Lui si limitava a rispondere che era venuto a trovare Agata e lei aggiungeva che era un amico di famiglia.
La ragazza si ritrovava spesso a osservare Tseren, più lo aveva intorno più le sembrava naturale, come se lo conoscesse da sempre. Scacciò i pensieri e prese in mano una delle maschere di giada, era chiaramente originale. Saba aveva chiesto ai genitori mercanti di mandare alcune merci tipiche, chissà qual era il valore dell’oggetto che teneva in mano, forse più di quello che guadagnava la sua famiglia in un anno. Quello era strano dell’università, ragazzi provenienti dai più disparati strati sociali ‘costretti’ a trascorrere un sacco di tempo con persone dagli stili di vita opposti. Con l’occasione di diventare amici o di coltivare un razzismo sociale che era antico come il mondo. Pensò a Gregor, alla sua casa piena di oggetti preziosi, a come il ragazzo avesse sempre dato per scontato che l’amicizia va oltre qualsiasi considerazione sul livello sociale. L’idea di uscire con Gregor le sembrava più strana del solito quel giorno, infondo erano amici da tre anni. Lo sguardo le cadde nuovamente su Tseren.
Una ragazza del Comitato Eventi venne a dir loro che era stato allestito un pranzo e tutti gli studenti lasciarono cadere all’unisono gli attrezzi che avevano in mano. Saba aveva pensato persino al pranzo, aveva molti tratti del carattere che non piacevano ad Agata, ma indubbiamente le sue doti organizzative erano da lodare. Agata si avvicinò al tavolo di carne cruda e prese una bistecca da portare alla griglia. Tseren la imitò, ma prima che lei potesse fermarlo aveva portato la carne alla bocca addentandone un angolo.
“Ma cosa?!” esclamò afferrandogli impulsivamente il polso.
Lui deglutì tranquillamente e ricambiò lo sguardo altrettanto confuso.
“Mangi la carne cruda?” chiese lei lasciandogli andare il polso. Lui sembrò realizzare qual era il problema e posò la bistecca sul piatto.
“Ero sovrappensiero” rispose poco convinto, un'altra bugia.
Agata guardò la carne che aveva addentato e masticato con facilità, lei non sarebbe di certo riuscita a staccarne una parte a morsi, per via della consistenza. Lui invece l’aveva fatto con naturalezza e non aveva battuto ciglio al sapore. Gli avrebbe dato un mese, solo un mese, e poi avrebbe chiesto spiegazioni per ogni dettaglio, ogni storia inverosimile, ogni bugia. 


*NdA*
Stiamo cominciando a entrare nel vivo della storia, pochi capitoli ci separano dal momento in cui Agata finalmente scoprirà il segreto di Tseren e qual è la natura del misterioso legame tra loro.
Dalle visualizzazioni vedo che un po' di persone stanno andando avanti a leggere 'L'ultimo dei Draghi'. Sono veramente contenta e mi farebbe piacere sapere qualcosa di voi e ovviamente cosa pensate del romanzo. Se non avete voglia di lasciare una recensione, mandatemi pure un messaggio in posta privata!
Comunicazione di servizio: finora ho pubblicato un po' a singhiozzo, ma cercherò di essere più regolare. L'idea è aggiungere un capitolo il martedì, uno il giovedì e uno la domenica.
A presto!
Elaine

   
 
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