Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Ale_xandra    20/03/2016    0 recensioni
Veronica è una ragazza dai sentimenti puri, piuttosto genuina come persona. Ha solo la cattiva abitudine di innamorarsi dei ragazzi per la sicurezza che riescono a suscitarle, anche solo grazie alla loro prestanza fisica. Imparerà che la sicurezza che cerca non necessariamente proviene da un corpo robusto e massiccio e la spensieratezza che cerca in una relazione non è garantita dal sorriso smagliante del ragazzo in questione. Qualcuno le insegnerà ad amare indipendentemente da tutto e da tutti, amare perché non se ne può fare a meno, perché quel qualcuno se lo merita più di chiunque altro tanto da essere insostituibile.
Dedico questa storia a tutte quelle persone che non credono più all'amore, o se ci credono lo confondono con l'amore per un corpo, quando invece è molto di più.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO 1

Come capire quando una persona ti mente? A meno che tu non abbia motivo per sospettare della falsità di qualcuno, solitamente non te ne accorgi.
Sarebbe da censire il numero di bugie che ci propinano quotidianamente amici, famigliari, fidanzati… Bugie innocenti, dette per proteggere lati di noi che non vogliamo condividere col mondo. Bugie che non danneggiano nessuno, se non noi stessi.

Dove vai?

Vado a fare una corsa con Paola.

La corsa c'era. Paola no. Come nemmeno la voglia di confessare a mia madre il mio bisogno improvviso di solitudine.

Mi piaceva correre al tramonto, I miei capelli assumevano riflessi rossicci e al contempo non c'era luce a sufficienza perché I passanti riuscissero a scrutarmi negli occhi. Sembravo avere la consistenza di un fantasma: mi lasciavo attraversare dal mondo senza che questo potesse bloccare il mio passaggio.

Respiravo aria fresca imbevuta di luce soffusa.

Quando ormai il tramonto aveva lasciato posto al crepuscolo e alla brezza serale, mi avvicinai al lungomare. Ero stanca di correre, ma non ero neppure pronta a ritornare a passeggiare tra la gente come se fossi parte di quella folla.

Ero una persona generalmente socievole, convinta che l'empatia e il rispetto per il prossimo fossero valori imprescindibili, ma a volte avevo anch'io bisogno di addentrarmi in me stessa e ripulirmi delle voci, dei sorrisi, delle idee altrui che si imprimevano sotto forma di ricordi nella mia mente.

Non che desiderassi dimenticare, l'esperienza era il bene immateriale che consideravo più prezioso, ma a volte avevo semplicemente voglia di ripulire gli eccessi, fare spazio in me stessa per accogliere nuove esperienze con più entusiasmo.

Un po' come liberare spazio in un dispositivo elettronico eliminando I file superflui.

Decisi di raggiungere quella zona del lungomare che solitamente era deserta per fare un po' di stretching e verticali.
Il mio ex mi ci portava spesso per allenarsi con la breakdance. Rimpiangevo il non aver imparato qualcosina in più da lui, perché per quanto mi piacesse quello stile e la danza in generale, a tecnica stavo a zero. Come anche a tempo per iscrivermi ad un corso. Senza considerare poi che forse ero già “vecchia” per darmi al ballo…

Mi rimanevano solo le discoteche, ma costituivano un ambiente le cui dinamiche sociali non sempre mi facevano impazzire.

Rimasi un po' delusa nello scoprire che quel giorno quella zona che speravo deserta non lo fosse affatto. Un ragazzo e una ragazza probabilmente cinesi erano appoggiati al muretto che contavo di usare come supporto per fare le verticali.

Purtroppo avevo ancora bisogno di un sostengo per quando salivo con le gambe, seppur riuscissi a mantenerle dritte per qualche secondo. Più che altro mi mancava la sicurezza psicologica per buttarmi.

Decisi di scendere in spiaggia, le verticali avrebbero aspettato tempi più propizi. L'acqua doveva essere gelida, eravamo a marzo dopotutto, ma sembrava così calda e accogliente per merito degli ultimi luccichii del sole, ormai quasi scomparso.

Le onde erano lente, più che infrangersi sui grandi massi vicino alla riva, li avvolgevano in un abbraccio spumoso.

Il vento pacato, misto allo scroscio dell'acqua, vibrava in maniera ancestrale contro il mio corpo, tra I miei capelli… raggiungeva I timpani e si insinuava nel mio cervello a fare piazza pulita. Quella musica mi lavava l'anima, la vista, l'udito.

Panta rei: tutto scorre. Fermarmi ogni tanto ad osservare questo incessante movimento mi dava la conferma che ero parte di quel movimento, parte di quel tutto.

Inutile essere egoisti, inutile essere felici se si è soli. Meglio accertarsi che anche gli altri lo siano e condividere quel sentimento. Perché la felicità condivisa è amplificata.

E la sofferenza, fosse anche quella di qualcuno altro e non la nostra, è sempre e comunque distruttiva.

Non mi ritenevo una moralista, in chiesa nemmeno ci andavo, ma certi principi del cristianesimo mi piacevono molto. Ama il prossimo tuo come te stesso era uno di questi. E per quanto mi era possibile, cercavo sempre di metterlo in pratica.

Mi era capitato di essere ferita, usata… sapevo cosa significava soffrire e non avrei mai voluto che qualcun altro provasse lo stesso a causa mia. Forse non potevo eliminare tutto il dolore dal pianeta, ma potevo fare la mia parte, per quanto piccola, e cos'è il tutto se non l'insieme di tante piccole parti?

Mi sedetti sulla sabbia, quella zona della spiaggia era poco frequentata e forse per questo più pulita. L'effetto che mi faceva il mare era irreplicabile, ma mi rendevo conto che stava già svanendo. Tornavo a pensare alle solite cose: il mio ex, gli esami, la doccia che avrei fatto a casa…

Le docce. Adoravo le docce. Fossero anche brevissime, ma quotidiane. E poi tanto borotalco, tanto deodante e una goccia di profumo, perché no? Mi piaceva sapere “di buono”. Mi piaceva avere vestiti ogni giorno puliti e impregnati di ammorbidente. Volevo essere una presenza piacevole per chi mi stava vicino, perché io per prima adoravo chi sapeva di pulito.

Fu quasi il pensiero di tornare a casa e insaponarmi per bene a farmi alzare e incamminare sulla via del ritorno. Risalii sul lungomare.

Della coppia che c'era prima era rimasto solo il ragazzo, ancora appoggiato al muretto, il collo piegato sul cellulare. Istintivamente sfiorai il mio di collo, ripensando con orrore alle tre rughe che lo segnavano, come probabilmente segnavano anche il suo e quello di tutta la mia generazione. Effetti collaterali della rivoluzione tecnologica.
Il fatto che studiassi informatica non mi aiutava a far fronte a tali effetti. Iniziavo anche a considerare l'idea di acquistare un paio di occhiali riposanti, di quelli grandi alla moda.

Mentre mi avvicinavo a lui iniziavo a sentire della musica, probabilmente aveva perso o rotto le cuffiette. Per cui faceva senza, almeno lì dove non passava quasi nessuno… nessuno tranne me.

Mi notò quando ormai fui a due metri da lui, sollevò lo sguardo e io incontrai I suoi occhi a mandorla, ma nonostante questo particolarmente grandi.

Aveva un'espressione serissima, ma guardandomi di colpo quasi scoppiò a ridere.

“Scusami” disse facendomi fermare per lo stupore, e nel frattempo anche la musica si interruppe.

“Come?”

“Pensavo di essere solo… Di solito non viene mai nessuno qui” Sorrise a labbra chiuse stavolta.
“Io ci vengo per fare le verticali ogni tanto”

Ormai ero di fronte a lui e mi stupii della sua altezza. Gli asiatici raramente sono così alti e slanciati, o perlomeno quelli che mi era capitato di conoscere non lo erano.

Sollevò le sopracciglia, folte e perfettamente dritte “Davvero? Sei una ginnasta?”
“Mi diletto” risposi con un mezzo sorriso di cortesia e imbarazzo.

“Mi fai vedere?”
“Mh no” stavolta scoppiai a ridere “Non sono così brava”

Rimase in silenzio a guardarmi con un'espressione serena, poi si staccò dal muretto.

“Sei timida?”
“No” E non pensavo di esserlo “Però non mi piace fare brutte figure...”
“Sei orgogliosa allora” In quel preciso istante mi resi conto di quanto il suo italiano fosse perfetto. Non aveva alcun accento ed era la prima volta che mi capitava di sentir parlare un asiatico tanto bene.

Mi strinsi nella spalle, con un brivido di freddo: “Forse”

Notai un pizzico di disagio sul suo volto, con la mia risposta non gli avevo fornito materiale sufficiente per continuare la conversazione.

“Cosa ascoltavi?” mi stupii io stessa a chiedere. Lui sembrò altrettanto stupito a dire il vero, ma subito sorrise.

“Dubito tu conosca… è una canzone coreana”
“Sei coreano?”

Il sorriso sparì e anche I suoi occhi abbandonarono il legame coi miei. Scosse la testa “Mia madre”
“Tuo padre invece è italiano? Perché parli perfettamente”
Sorrise stringendosi nelle spalle “Sai com'è, sono nato in italia...”

“Bè, conosco tanti cinesi che sono nati qui e parlano malissimo italiano”
“Io non sono cinese...”
“No, certo!” mi affrettai a correggermi, ma mi ignorò.

“… comunque è una lunga storia”.

“Capisco” Incrociai le braccia sul petto con un altro brivido “Bè, io ora vado che inizia a fare freddo. Grazie della chiacchierata”
Mi piaceva sorridere agli estranei, conoscere persone nuove… ce n'erano tante di meravigliose a questo mondo e io se solo avessi potuto le avrei conosciute tutte una per una.

Quindi ero sinceramente felice per quella conclusione inaspettata della giornata.

Ero uscita per isolarmi un po', eppure ancora una volta mi rendevo conto di quanto l'essere umano fosse un animale sociale. Nulla inebria di più il suo cervello che il contatto con un suo simile. Non c'è spettacolo, tramonto o mare che sia, a reggere il confronto.

“Grazie a te” disse lentamente “Vuoi la mia giacca?” chiese all'improvviso. Aveva un bellissimo completo blu, quasi celeste. Gli calzava alla perfezione. Mi domandai il perché di tanta eleganza per passeggiare sul lungomare, poi ripensai al fatto che fosse in compagnia di una ragazza fino a poco tempo prima… quindi magari si era trattato di un appuntamento.

“No, figurati! Poi come te la ridarei?”
Lui rise “Non penso sarebbe un problema mettersi in contatto. E poi io vengo spesso qui ultimamente… magari un giorno ti becco a fare le verticali” disse con il sorriso che si apriva sempre di più sul suo volto. Aveva un che di tagliente quella sua espressione. I denti erano perfettamente allineati e bianchi e gli conferivano un aspetto quasi… letale. Forse a questo contribuivano anche lo sguardo allungato e il volto ovale, dagli zigomi alti e dalla mascella stretta e definita. Era anche molto magro… spigoloso insomma, insolitamente bello per essere asiatico, considerando che a me gli asiatici non erano mai piaciuti.

“Mh. Allora mi sa che cambierò posto...” dissi senza pensarci più di tanto, ma dal cambiamento repentino della sua espressione mi resi subito conto della gaffe “Perché così non mi vedi fare le verticali, non per te!” squittii tendando di rimediare.
Per fortuna sorrise, mettendosi le mani in tasca “Tranquilla. Sicura che non la vuoi quindi?”
“Sicurissima”
“In Corea nessun ragazzo al mondo lascerebbe una donzella indifesa in preda al freddo”

“Davvero?”
Improvvisamente mi si avvicinò, guardandomi dall'alto degli suoi 180 centimetri forse. E per me che ero bassina era già tanto. La sua espressione aveva un che di seducente, non so se più per via del sorrisino sghembo o dello sguardo penetrante, sta di fatto che mi mise leggermente in soggezione. Era estramemente sicuro di sé, ma non arrogante. E… aveva un buonissimo profumo.
“Anche se sono cresciuto qui, penso di avercelo nel sangue. Non vuoi che ti accompagni a casa almeno? Sono in macchina”

Scossi il capo tornando seria “Scusami, ma non accetto passaggi dagli sconosciuti” dissi sfoderando il mio miglior sorriso come per farmi perdonare. E sperando di non sembrare infantile oltretutto.
Lui ricambiò il mio sorriso, ma senza prendermi in giro “Fai bene”.

“Ok, allora… forse ci si vede”

Continuò a sorridere e pensai che si sarebbe limitato a quello, ma poi mentre mi allontanavo finalmente rispose “Ci conto, sai. Mi devi una verticale”
 

 

Ero abbastanza soddisfatta dell'incontro, come se avessi compiuto un'opera di bene, anche se difatti non avevo fatto proprio nulla io.

La cosa che più mi era piaciuta di quel ragazzo coreano era la sua mancanza di timidezza, l'apertura verso gli estranei: avrei voluto averla anche io.

Non ero timida, ma a volte a frenarmi era l'idea di disturbare o infastidire qualcuno di cui non conoscevo le reazioni. Forse ero troppo prudente o intimorita.

Dovevo rischiare di più… soprattutto quando c'era così tanto da guadagnare. Ogni persona costituiva un mondo fatto di idee, punti di vista, espressioni, esperienze. Conoscere qualcuno di nuovo era come viaggiare.

Ero anche incuriosita dalle origini di quel ragazzo, se mai l'avessi incontrato di nuovo avrei fatto più domande in merito.

Dubitavo comunque sarebbe successo. Non sapevo nemmeno come si chiamava dopotutto

 

Quando uscii di casa, la mattina dopo, fui lieta di iniziare la giornata con un sole bello alto. Mi era tanto mancato durante quell'inverno di biciclettate sotto la pioggia e il vento. La pelle del mio viso in particolare ne aveva risentito molto.
Speravo che il tepore della primavera appena iniziata disinfiammasse le mie guance arrossate e screpolate.

Avrei voluto non essere in ritardo per godermi al meglio quel breve tragitto in bici sotto il sole, nell'aria profumata dai ciliegi, ma come sempre rischiavo di perdere il treno.

Arrivai alla stazione che quasi mi mancava il fiato. Il tempo di legare la bici ed era già arrivato.

Prendere il treno ogni giorno non aveva privato quest'esperienza della sua magia. Non avrei mai smesso di divertirmi nell'osservare I volti, I vestiti, le espressioni di quegli estranei che nel tempo erano divenuti familiari ormai. C'era chi trascorreva il tempo guardando fuori dal finestrino, io lo trascorrevo ammirando esseri umani. Sentirli conversare poi mi affascinava un sacco.

Quel giorno mi soffermai ad osservare un ragazzo orientale che conoscevo già di vista: probabilmente veniva all'università con me, ma non mi ero mai concentrata più di tanto su di lui. Avevo un viso rotondo e paffuto, secondo il cliché, ma era più alto e robusto della media. Forse faceva palestra. Mi chiesi come potessero I suoi capelli, seppur tinti di viola melanzana, brillare in maniera tanto sana. Io l'estate prima avevo semplicemente schiarito un po' le punte eppure I miei capelli non si erano ancora ripresi.

Valutai l'idea di tagliarli un po', mentre me ne arrotolavo una ciocca intorno all'indice osservandola con aria sconsolata.

Quel giorno all'università ogni volto orientale catturava la mia attenzione e mi stupii di scoprire quanti cinesi ci fossero, o almeno supponevo fossero cinesi.

Ma tutti più o meno si assomigliavano tra di loro, per me che ero abituata a distinguere volti occidentali. Solo il ragazzo conosciuto il giorno prima era diverso, vuoi perché era coreano, vuoi perché il padre era occidentale… sta di fatto che la sua bellezza rimaneva un'eccezione.

Per un attimo mi dispiaque l'idea di non vederlo più.
 

Quella sera uscii a correre un po' più tardi del giorno prima, forse per questo non lo ritrovai. Rimasi lì a fare qualche esercizio per più di un'ora, poi il freddo misto a stanchezza mi convinse a ritornare a casa.

 

Coi miei compagni d'università non si era ancora creato chissà che rapporto, forse per I pochi mesi che avevamo trascorso insieme, ma c'era un ragazzo tra di loro che mi incuriosiva in maniera particolare. Tra l'altro pensavo di essergli abbastanza indifferente da quel punto di vista e forse era anche questo ad alimentare il mio interesse.

Assomigliava un po' al mio ex, solo era un po' più basso. Aveva un bel fisico robusto, protettivo. Doveva essere bello abbracciarlo, anche se non ne avevo mai avuto l'occasione. E poi aveva una risata che mi faceva impazzire. Adoravo le sue labbra morbide e grandi, forse perché io, invece, avevo una bocca piccola. Adoravo come incorniciavano I suoi denti quando rideva.

Nei giorni a venire, a proposito di sorrisi, mi capitò di ripensare a quello del ragazzo coreano. Inziavo a dimenticare il suo volto e probabilmente a riempire le falle del ricordo con la fantasia, ma l'immagine della sua bocca ce l'avevo ben impressa in mente.
Non aveva labbra particolarmente evidenti e questo rendeva ancor più affilato quel sorriso ampio e furbo. La bocca di un vampiro, ecco cosa mi ricordava.

Comunque non ebbi più il tempo di recarmi sul lungomare. Le giornate mio malgrado erano tornate ad essere più fresche e io avevo iniziato a girare le pizzerie vicine in cerca di un lavoretto serale, ora che il pagamento della seconda tassa universitaria si avvicinava.
In compenso il mio desiderio di rivedere il ragazzo coreano si era trasformato in un leggero ed acerbo interesse per la cultura coreana. Mi ero stampata l'alfabeto e avevo imparato un po' di lettere aiutata dagli audio online. Si era rivelato più semplice di quanto avessi mai potuto immaginare. Nulla a che vedere col cinese.

Mi ero letta inoltre qualche curiosità culturale ed ero rimasta colpita nello scoprire come gli uomini coreani fossero servizievoli e gentili con le loro compagne. Mi era tornata in mente la proposta del ragazzo di prestarmi la sua giacca.

“Ce l'ho nel sangue” aveva detto, o comunque qualcosa di simile.

Erano passate quasi due settimane ormai e avevo perso la speranza di rivederlo. Ero troppo scostante quando si trattava di sport purtroppo.

Mi chiesi se lui fosse mai tornato in quel punto del lungomare pensando di rivedermi.

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Ale_xandra