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Autore: ilcielopiangequalchevolta    22/03/2016    2 recensioni
A volte, per ricominciare da capo e ammettere i propri sbagli, è necessario scappare per poi tornare indietro.
Sabrina Vacciello è una ragazza timida, abituata a contare esclusivamente sulle proprie forze e con un grande segreto sulle spalle. Ha una sublime conoscenza delle lingue e tanta voglia di viaggiare; comunque partire e abbandonare tutto è difficile, così si ritrova bloccata in Italia fino ai vent'anni. Un giorno una domanda la sprona ad allontanarsi dal suo paese per riscoprire sé stessa.
Proprio Sabrina si scontra con James Harrison, un ricco imprenditore dall'animo saccente. Quando l'amore si interpone prepotentemente sulla sua strada, egli deve solo farsi trasportare dalla magia di questo sentimento.
James vuole avvicinarsi a Sabrina, l’unica donna che riesce a fargli battere il cuore, però lei non è ancora pronta a lasciarsi il passato alle spalle e a gettarsi in quel turbine di emozioni quale è l’amore. O forse si?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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-CAPITOLO 3                           YOU CAN CALL ME JAMES, SWEETHEART.

SABRINA’S POV  
Si avvicinava in fretta il sabato, il mio giorno preferito. Il locale era sempre stracolmo di persone che sgomitavano per assicurarsi un posto in prima fila e godersi lo spettacolo, canticchiando e oscillando a ritmo della mia voce. Era magnifico sentirsi al centro dell’attenzione, anche se sapevo di essere conosciuta solo nella cerchia ristretta dei clienti abituali di Ryan. In questo modo capivo, in minima parte, come si sentissero le grandi celebrità nei loro concerti. Quando tutta la folla impazziva. Quando i fan scatenati si catapultavano sul palco braccati dalla sicurezza per ottenere un autografo, una foto o semplicemente per emergere dalla massa di gente con cui si confondevano.  Quando i loro occhi erano felici, allegri, spensierati. Io saggiavo solo una minuscola scheggia della fama, ma andava bene così. Non avrei sopportato essere l’idolo degli adolescenti se io per prima non mi vedevo portata per quel ruolo.

Ero talmente immersa nei miei vaneggiamenti che non mi accorsi di avere ancora le mani umide nell’istante in cui acciuffai di sfuggita un calice. Vidi la scena a rallentatore: le mie dita scivolarono lungo la superfice di quel vetro trasparente. Nonostante avessi tentato di stringere la presa e di sporgermi con il bacino verso il bancone per eludere la caduta dell’oggetto, non riuscii ad evitare che il bicchiere si scontrasse violentemente con il suolo, frantumandosi in mille pezzi.

Venni riportata bruscamente alla realtà ed imprecai tra me e me. Ripulii e spazzai via tutti i resti di cristallo, borbottando e sbuffando come una pentola a pressione. Stirai con le mani le pieghe del grembiule e mi guardai in torno con un sospiro.
Quel mercoledì il bar era in subbuglio e, di conseguenza, avevo molto lavoro da svolgere. Non stavo ferma un attimo: prendevo le ordinazioni, preparavo le portate, consegnavo le consumazioni, pulivo i tavoli ed facevo tutto in un ciclo infinito. Alexis, invece,  era giù di corda, perché il tipo misterioso, di cui non ricordavo nemmeno il nome, non l’aveva più contattata, malgrado avesse il suo numero di cellulare. Ryan aveva provato ad incoraggiarla dicendole che forse era indaffarato o che magari aveva perso il suo recapito telefonico, però Lexy ripeteva che era solo un altro imbecille da aggiungere alla lista e che quasi certamente era stato gentile con lei semplicemente perché voleva portarsela a letto quella notte. Le avevo detto che poteva benissimo chiamarlo lei stessa, eppure la sua mente ancora vagava tra le strade di una New York anni quaranta, quando le donne non avevano potere decisionale. Credeva fermamente  che fosse il maschio a dover compiere la prima mossa. Avevo tentato di spronarla in tutti i modi, facendole intendere che anche una ragazza poteva avere le palle, metaforicamente parlando, tuttavia non riuscii a smuoverla dalla sua idea.

 In un momento di tranquillità, cercai di consolare Alexis, che stava seduta ricurva su di uno sgabello del bancone, mentre sorseggiava una coca cola con sguardo assente.
-Ehi tesoro, se stai male va  a casa...lo avverto io il capo!- la tranquillizzai, toccandole una spalla e prendendo posto vicino a lei. Osservai il boccale nel quale stava ribollendo il liquido marrone. Alzai gli occhi incuriosita e stranita, fino a giungere alle sue labbra premute sulla cannuccia.  Sospirai schifata, appena capii che stava soffiando nella bevanda come una bambina. Le tolsi il drink dalle mani, dirigendomi al lavello per buttare la rimanenza.
-E’ meglio se resto, almeno ho qualcosa da fare. Se vado a casa mi deprimo e passerò il pomeriggio a guardare la tv e mangiare gelato…- esclamò con aria afflitta, dopo avermi regalato una linguaccia.
-Dai, non è da te fare così per un ragazzo!- dissi esasperata, giungendo alle sue spalle e massaggiandole le braccia per infonderle forza.
-Non capisci... Pensavo di poterci uscire almeno una volta…- ammise distrutta, gettando il volto tra i suoi palmi. Quell’uomo non sarebbe arrivato su un cavallo bianco con rose rosse e con calzamaglia a seguito, Alexis avrebbe dovuto essere più realista in certe occasioni.
-Beh, allora è proprio un idiota! Non sa cosa si prede quel Kyle.- conclusi, scuotendo  il capo e fissandola intensamente negli occhi. Scoppiò a ridere, sbilanciandosi lievemente e rischiando di cadere. La afferrai per una spalla, intanto che si sbellicava, tenendosi lo stomaco e lasciandomi interdetta. –Scusa, perché stai ridendo?- le chiesi un po’ stizzita, aggrottando la fronte. Era un pensiero profondo il mio!
-Come hai detto che si chiama?- mi destabilizzò, rispondendo con un'altra domanda.
-Kyle... mi spieghi cosa c’è di tanto divertente? –.
-Si chiama Kevin, non Kyle... - mi riprese, sorridendo ancora ilare. Le regali un occhiolino, almeno l’avevo distratta.  

Verso le tre del pomeriggio arrivò il signor Harrison, come era solito fare da tre giorni ormai. Le sue ordinazioni erano sempre prese da Ryan, che si arrabbiava per un nonnulla quando c’era quell’imprenditore nei paraggi. Aspettai che si trasformasse in una versione un po’ più comica dell’incredibile Hulk, ma mi agitai quando non lo vidi da nessuna parte. Improvvisamente mi ricordai che era uscito per delle commissioni importanti ed aveva lasciato a me la gestione del locale. Mi preparai per servire il nuovo arrivato, però Alexis mi precedette.

Adoravo Lexy ed avrei dato la mia vita per lei, eppure venni investita da un’irrefrenabile voglia di pestarla a sangue, quando sbagliò l’ordinazione di quel cliente tanto importante. Gli portai un latte macchiato con un sorriso cordiale stampato in faccia e tutta l’educazione che possedevo. 
-Penso che ci sia un errore. Io non ho ordinato nessun latte macchiato.- mi rispose tranquillo, alzando lo sguardo dal suo Ipad e puntandolo su di me. Mi irrigidii alle parole pronunciate da quella voce così profonda e sensuale e ancor di più per le sue gemme del colore dell’oceano che mi stavano osservando da cima a fondo. Le sue pietre celesti avevano delle sfumature verdi in certi punti, il naso era proporzionato perfettamente, la bocca era sottile e rosea, i capelli sembravano ancora più fini del solito e provai il terribile impulso di affondare la mano tra di essi,  la carnagione era bianca e per nulla abbronzata. Potei fantasticare sui muscoli presenti sotto la sua camicia,  che tuttavia risaltavano anche attraverso la stoffa bianca, e accipicchia se aveva un bel fisico! Portava gli occhiali da lettura che gli conferivano quell’aspetto da ragazzo acculturato e, al tempo stesso, libidinoso. Probabilmente rimasi a boccheggiare per un paio di secondi senza spostarmi di un solo passo.  
- Mi scusi per lo sbaglio. Le porto immediatamente la giusta ordinazione.- affermai confusa e mi maledissi, udendo la mia voce innaturalmente acuta.
-Certo, non si preoccupi!- asserì, delineando la sua bocca in una curva lasciva, che ebbe il potere di mandare il mio povero cervello in pappa e far assomigliare i miei zigomi a dei pomodori eccessivamente maturi.
 
Mi diressi dalla mia coinquilina con il fumo che mi usciva dalle orecchie, a causa della figuraccia appena compiuta che era nata esclusivamente per la sua disattenzione.
-Scusa tesoro, ho sbagliato tavolo...- mi rivelò, non lasciandomi neanche il tempo di aggredirla verbalmente. Scambiò velocemente i nostri vassoio e mi diede una leggera spintarella nel sorpassarmi.

Tutti i miei buoni propositi di rigirarla come un calzino e dirgliene quattro, scemarono e decisi che non era proprio il caso di far attendere l’uomo che stavo servendo.
-Eccomi! Mi scusi ancora per il disagio...questa è la giusta portata. Offre la casa, signor Harrison.- annunciai, materializzandomi al suo fianco e tentando di svignarmela il prima possibile.
-Grazie, ma puoi chiamarmi anche James, dolcezza!- ammise, sorprendendomi e mettendomi in soggezione.

Me ne andai con una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Mi fermai e mi volsi per guardare le sue spalle possenti. Scossi la nuca e tornai al mio lavoro. 

NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao, bella gente! Spero che il capitolo vi piaccia e mi auguro di aggiornare presto durante le vacanze. Ringrazio immensamente Shadow writer per avermi aiutata a risolvere il mio problemino con la grafica. Davvero, grazie mille tesoro!
Alla prossima spero!
Ciao SS.

   
 
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