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Autore: LadyRealgar    25/03/2016    4 recensioni
(Sequel de La sua Paura, crossover The Avengers, The Amazing Spiderman; possibili riferimenti ad altri personaggi fumettistici)
Sono passati quattro anni dagli eventi che hanno portato Chiara ad Asgard e, nuovamente sulla Terra, la ragazza cerca di riprendere una vita normale, ma nulla sfugge all'occhio attento dello S.H.I.E.L.D. e la giovane senese è costretta di nuovo ad affrontare la separazione dalla sua famiglia, ma questa volta ha uno scopo: proteggerla.
Dal capitolo 1:
-Lei è Arianna Watson?- chiese poi, simulando la voce di Nick Fury; con una mano si copriva l'occhio sinistro, imitando la benda, mentre con l'altra faceva scorrere sullo schermo il file con le domande che aveva l'obbligo di porre alla sua cavia ogni volta prima di procedere al trattamento.
-Affermativo- rispose Chiara in uno sbuffo -Seriamente, dobbiamo fare tutte le volte questa sceneggiata?
-Nata a Washington DC il 12 Aprile del 1992?- continuò l'uomo, ignorando la domanda.
-Affermativo.
-Dichiara libertà allo S.H.I.E.L.D. di eseguire le dovute analisi sul suo metabolismo e di sottoporle i farmaci necessari per perpetrare le suddette analisi?
-Affermativo.
Ps. Possibili riferimenti ad Avengers:Age of Ultron. Spoiler Alert
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton, Loki, Nick Fury, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cercò a tastoni nel buio l'interruttore della luce e, quando le sue dita ne sfiorarono la plastica fredda, attivò la lampadina che dal centro del soffitto penzolava diffondendo una fioca luce fastidiosamente bianca e facendo brillare della medesima sfumatura i due surgelatori che ronzavano a ridosso della parete.

Ma non era interessata ai surgelatori (Yoghi e Bubu, come li chiamava Talia, dato che uno era grosso e l'altro più piccolino), bensì alle scatole di cartone ammucchiate sugli scaffali di metallo fissati con spesse viti alla parete opposta; con i pugni ben piantati sui fianchi, iniziò a studiarli dal basso, cominciando a escludere quelli da cui uscivano ghirlande di pino e festoni dorati. Ne adocchiò uno ben sigillato dal nastro adesivo su cui si potevano scorgere, scritte a pennarello, le lettere Hallow; prese da un angolo una scaletta pieghevole, la dispose sotto alla mensola e vi salì, sporgendosi per tutta la sua lunghezza in direzione della scatola: “Questo sarebbe un pessimo momento per avere una visione” pensò tra sé e sé, concentrandosi sul non perdere l'equilibrio e rovinare sul pavimento.

-Avanti, vieni qui!- sussurrò, sentendo le dita sfiorare il cartone della scatola, così si allungò ancora un po' e, finalmente, riuscì ad afferrarla -Presa!- esultò, trascinandola fuori dalla mensola e stringendola al petto per avere una presa migliore -Pensavi di sfuggirmi, vero? E invece no!

-Parli da sola anche da sveglia?- sentì dire da sopra le scale -Hai trovato la scatola?

-Sì, ora la porto su- rispose ad alta voce Chiara, spegnendo la luce e imboccando le scale, oltre le quali si lasciò alle spalle il retrobottega e ritornò nel cuore del Daily Coffee -È questa?- chiese, poi, mostrando a Talia lo scatolone recuperato.

-Sì, quella è una- rispose la ragazza, finendo di versare il caffé a un cliente -Ma dovrebbe essercene un'altra in giro. Se non ricordo male l'anno scorso avevamo diviso i festoni dalle lanterne a forma di zucca.

-Allora dovrete procurarmi una scala più alta, perché già per prendere questa ho rischiato di strapparmi un tendine- ribatté, appoggiando la scatola sul bancone e frugando nei cassetti in cerca di un coltello per tagliare il nastro adesivo.

Talia le si affiancò dietro al bancone e studiò per un secondo la scatola: -Questa è quella dei festoni- disse ancor prima che Chiara togliesse lo scotch -Se fosse stata l'altra non saresti riuscita nemmeno a sollevarla: non hai idea di quanto pesino quelle maledette zucche!

-Ci penserà Bailey, allora. Nel frattempo possiamo cominciare a sistemare questi- passò il filo della lama al centro del nastro adesivo e svincolò le ali di cartone, che sollevò riportando alla luce un groviglio di pipistrelli, zucche ghignanti, ragni di plastica e fantasmi fosforescenti.

-Gran bel nodo gordiano...- considerò ad alta voce la ragazza, tirando per un'ala uno dei pipistrelli, che si trascinò dietro una rete di ragnatele e spago -Sarà difficile procurarsi una spada qui a Brooklyn!- rise Talia, tirando un ragno, rimasto impigliato per una zampa ad una zucca.

-Basterà aspettare la prossima convention di fumetti, sono certa che qualche Luke Skywalker sarà più che lieto di prestarci la sua per un secondo.

-Purtroppo non possiamo aspettare così tanto: mancano due settimane ad Halloween, perciò coraggio!- disse Talia, ponendole una mano sulla schiena per incoraggiarla, per poi sparire un attimo dopo dietro le porte della cucina.

-A noi due, allora- sospirò Chiara, rimboccandosi le mani e iniziando a sciogliere un po' per volta quell'informe ammasso di fili.

Si era trasferita (forzatamente) in America da quattro anni, ma non era ancora riuscita a comprendere la ragione di quel fermento e di quell'agitazione che serpeggiava tra la gente all'avvicinarsi della notte di Halloween: in Italia, essendo una festa importata, rappresentava più un pretesto per travestirsi e andare a fare baldoria fino a tarda notte e lei per prima non aveva mai sentito la necessità di farne parte. Nel nuovo continente, invece, vi era una cura e un'attenzione nell'organizzazione della Notte delle Streghe tali da risultare normale la ricerca del costume più di un mese prima della fatidica data. E questa cosa non coinvolgeva solo i bambini, ma anche, e soprattutto, gli adulti.

La stessa Talia, l'anno prima, si era occupata personalmente della realizzazione dei loro costumi, curando con attenzione ogni minimo dettaglio.

"Quest'anno, in effetti, non ha ancora tirato in ballo l'argomento... Sarà stata troppo impegnata a pensare all'audizione. Speriamo che non mi tiri scema come l'anno scorso o...."

-Ma che...?- esclamò Chiara, alzando distrattamente lo sguardo sopra il proprio lavoro e notando un foglio di carta familiare, appeso a fianco della macchina del caffé.

Si alzò di scatto e vi si avvicinò per studiarlo meglio, riconoscendovi uno dei suoi disegni a tema Spiderman: -Come c'è finito questo qui?- chiese a Talia, che stava uscendo dalla cucina con un vassioio di dolci appena sfornati.

-Hai detto che non ti piacevano- rispose la ragazza, disponendo i dolci nella vetrina -Così ne ho salvato uno dall'oblio al quale era destinato. Ritengo che sia un bel modo per celebrare l'operato del nostro eroe preferito e poi- proseguì sfoggiando un largo sorriso -Non sta benissimo lì appeso?

Chiara si voltò di nuovo ad osservare il disegno, le diverse sfumature create dalla polvere di carbone e dal rosso della sanguigna, le linee slanciate e sottili intrecciate a rappresentazione del corpo dell'eroe, tutti quei piccoli difetti che avrebbe voluto correggere: -Non lo so- mugugnò con una smorfia -Non amo che i miei lavori vengano esposti alla vista di tutti.

-Dovresti valorizzare di più il tuo talento: hai davvero una bella mano, è un peccato che la tenga nascosta.

-Bah- sospirò quella, tornando a sbrogliare la matassa -Se proprio ti piace, tienilo, ma decisamente non gli rende giustizia.

-Ora non cominciare a tirartela solo perché lo hai visto di persona- rise Talia, avvolgendole la vita con un braccio -Prima o poi anch'io riuscirò a parlarci.

-Ti auguro solo di farlo in circostanze migliori delle mie- sorrise Chiara, riuscendo a togliere dal nodo una ghirlanda di pipistrelli di cartone.

Rispondendo al sorriso, la cantante andò a prendere l'ordinazione di un cliente appena entrato nel locale, lasciando l'amica a terminare il lavoro.

Di lì a pochi minuti tutti i festoni furono sciolti dal nodo e la ragazza, estratti la scala e del nastro adesivo dal retrobottega, si mise ad appenderli lungo la vetrina, attraverso la quale poteva osservare il fermento della strada.

Salita sulla sommità della piccola scala, strappò un po' di nastro adesivo, con cui fermò un capo del festone con i ragni di gomma, e iniziò a decorare la vetrina.

Aveva appena finito di appendere tutta la ghirlanda, quando l'arrivo di un autobus attirò la sua attenzione e la figura ormai nota di un ragazzo alto ed allampanato le strappò un mezzo sorriso: -Hai visite, Talia!- disse ad alta voce appena prima che Peter, annunciato dal tintinnio del campanello, entrasse nel locale.

-Buongiorno!- salutò il ragazzo, facendo cenno a Chiara, che lo osservava dall'alto della scaletta come un falco appollaiato sulla roccia -Ciao, Peter- rispose -Sei tornato a trovarci.

-Ero curioso di scoprire se il caffé che fate pagare è buono quanto quello che offrite ai nuovi clienti.

-Attento a quel che dici- lo avvisò scherzosamente Chiara, scendendo dalla scaletta e spostandola di qualche metro per appendere la ghirlanda di pipistrelli -Il signor Bailey è molto geloso del suo caffé: sceglie personalmente le miscele. Non è vero, signore?- domandò poi, in direzione della cucina da cui il proprietario del Caffé, sentitosi chiamare, si era affacciato.

-Ci puoi scommettere, giovanotto!- esclamò l'uomo uscendo dalla cucina e pulendosi le mani nel grembiule -Piacere di conoscerti, ragazzo- proseguì, offrendogli la mano callosa -Benvenuto al Daily Coffee. Mi chiamo Charles Bailey, qual è il tuo nome?

-Parker, Peter Parker- rispose Peter, ricambiando la stretta (e ringraziando di essere dotato di super forza: pur con quella percepì una fastidiosa pressione attorno al metacarpo quando l'uomo gli strinse vigorosamente la mano).

-Hai una stretta di mano salda, Peter- disse con voce seria Charles -Questo dice molto di un uomo.

-Questo è il ragazzo di cui le parlavo- si intromise Chiara, ammiccando all'amica che, dietro al bancone, nascondeva malamente una risatina -Quello che ieri ha fotografato la sua Hall of Fame del jazz.

Vedendo il viso del signor Bailey rabbuiarsi improvvisamente, Peter si sentì un brivido freddo corrergli lungo la schiena e, quando percepì la pressione della grossa mano dell'uomo sulla propria spalla, si aspettò che lo accompagnasse fuori dal locale; già si preparava alla tirata d'orecchi quando il signor Bailey, dirigendolo davanti alla parete tempestata di ricordi, disse: -Strana cosa la fotografia- la sua voce, dapprima vivace e squillante, si era fatta bassa e profonda, colma di un'armonia inaspettata -Arte recente e meravigliosa, ma molto ambiziosa: essa cattura momenti pensati per svanire nell'oblio del tempo e nella fragilità della memoria umana. Li cattura e li ferma per sempre. Sono molto grato alla fotografia- aggiunse dopo un attimo di pausa, in cui si era perso ad osservare malinconico i volti appesi sulla parete -Senza di essa non potrei più ammirare il viso della mia Rebecca mentre cantava: abbiamo cominciato così, noi due. Io suonavo il sax agli angoli delle strade e lei cantava, illuminando con la sua sola voce tutta Brooklyn. Poi con gli anni il nostro duo è diventato un quartetto e dalle strade siamo passati ai locali dalle pareti impregnate di fumo di sigaretta, ma per noi non c'era palco più prestigioso. Ah, che tempi, ragazzo mio. Che tempi!

Peter ascoltava e non osava parlare: osservava rapito la fotografia rappresentante il quartetto di cui Charles parlava, riconoscendovi nel sassofonista lo stesso uomo che in quel momento lo teneva per la spalla e gli raccontava con affettuosa malinconia la bellezza di quei tempi passati.

-Adesso è compito dei giovani rendere omaggio alla dea della Musica- continuò Bailey, ritrovata la sua naturale giovialità -Non appena la nostra Talia avrà trovato un paio di orecchie buone, sarà lei ad incantare l'animo dei newyorkesi.

Sentendo chiamare il nome della ragazza, istintivamente Peter si voltò nella sua direzione, incrociandone lo sguardo per un istante: -Quindi era per l'audizione che eri venuta all'università- considerò ad alta voce -Per il party di Halloween. Come è andata?

-Non molto bene a dire il vero...- rispose vaga la cantante, incapace, però, di impedire al proprio viso di arrossire di imbarazzo, cosa che non sfuggì a Peter, che si affrettò ad aggiungere: -Non me la legherei al dito: il professore che gestisce questi eventi ha insegnato musica tutta la vita, ma, da quel che si dice, l'età lo sta privando dell'udito e non è più nemmeno in grado di distinguere il suono di un violino da quelo di una chitarra. Sarebbe dovuto andare in pensione l'anno scorso ma è un tizio piuttosto caparbio.

Gli occhi di Talia si spostarono verso l'amica, che ricambiò con un'espressione che diceva: "Te l'avevo detto!". Sorrise e, tornando verso Peter, disse: -Mi sento molto più sollevata, ora. All'inizio avevo temuto di dover appendere la chitarra al chiodo.

-Sciocchezze!- si intromise Charles -Ti conosco abbastanza da poter dire che non ti saresti lasciata abbattere dal primo venuto!

-E in ogni caso- riprese Peter -Non avresti avuto comunque molta audience: nessuno va mai al party di Halloween dell'Università. Dicono che sia un mortorio.

Un colpo sordo improvviso fece sobbalzare tutti dallo spavento e si voltarono verso dove il signor Bailey aveva battuto con enfasi la mano sul bancone: -Ho deciso!- affermò con soddisfazione -Organizzeremo un'esibizione dal vivo qui al Daily: Talia potrà finalmente dar prova di sé davanti a un pubblico vero e il Daily potrà farsi un po' di pubblicità. La pubblicità è l'anima del commercio!- citò solennemente, esibendo un largo sorriso.

Talia e Chiara si scambiarono un'occhiata emozionata, mentre il signor Bailey, con la mente completamente immersa nel suo progetto, pensava ad alta voce: -Sposteremo i tavoli verso la vetrina e libereremo tutto quell'angolo per piazzare casse e microfono. Talia ed io prepareremo una scaletta dei brani, mentre Arianne si occuperà di allestire le luci e fare qualche piccola decorazione qua e là. E tu- aggiunse poi puntando l'indice verso Peter -Ti occuperai delle fotografie da apporre sui volantini pubblicitari. Se vuoi- aggiunse più mestamente in un secondo momento, accorgendosi della propria imperiosità -Ovviamente ti darò un compenso per il disturbo.

Peter rimase per qualche istante interdetto da quella richiesta, boccheggiando senza sapere cosa rispondere: "È l'occasione giusta per indagare più da vicino" gli suggerì una vocina dai meandri della sua mente.

-Va bene- rispose infine -Quando cominciamo?

-Subito!- sorrise l'uomo, dandogli una sonora pacca sulla schiena.



*



-Non vorrei impicciarmi dei suoi affari, mr.Bailey- esordì Chiara, entrando nella cucina e assicurandosi di chiudere bene le porte alle proprie spalle.

-Ma?- domandò l'uomo, allacciando meglio le corde del grembiule che si erano allentate sulla schiena e mettendo un piatto sporco nella lavastoviglie.

-Ma non le sembra di essere stato un poco avventato, assumendo quel Peter Nonmiricordoilcognome?

-Dici Parker?- sorrise l'uomo -Capisco quello che vuoi dire: è la seconda volta che mette piede nel mio locale e la prima in cui lo vedo in faccia; non mi sorprende che tu sia confusa, anzi, mi preoccuperei del contrario.

-Allora perché?- insistette Chiara, affiancandosi al suo capo e aiutandolo a caricare la lavastoviglie.

-Ho avuto a che fare con persone di tutti i tipi nel corso della mia vita- spiegò Charles, passando una spugna insaponata nella cavità di un bicchiere sporco di succo di frutta -Belle persone, persone mediocri e persino persone orribili. Ne ho viste davvero di tutti gli stampi e, in qualche modo, ho imparato a riconoscerle. Non è stato sempre così: quando ero giovane ho spesso frainteso per buona volontà quello che non era altro che un pessimo scrupolo, ma ho imparato dai miei errori e oggi, alla luce di tutti quegli anni, posso dirmi certo che quel Peter Parker è un bravo ragazzo.

Chiara non ribatté, ma continuò a sciacquare piatti e a riporli nell'elettrodomestico in assoluto silenzio, finché Bailey non riprese: -C'é qualcosa che ti turba, mia cara?

-No... non esattamente- rispose incerta la ragazza -Mi è solo difficile accettare pienamente un simile giudizio basato sul... niente, in realtà.

Insomma, Clint per assicurarsi che solo nel condominio non ci fossero terroristi ha impiegato quasi un mese di ricerche”.

-Capisco il tuo punto di vista, mia cara- sorrise di nuovo Bailey -E, in effetti, persino per me è difficile spiegare il mio metodo, ma ti ho mai dato motivo di dubitare delle mie scelte?

I grandi occhi color ebano dell'uomo scrutarono la ragazza senza freddezza, ma con grande serietà, a cui Chiara sentì di rispondere con altrettanta sincerità: -No, mai.

-Allora abbi fede, Arianne, e concedi a quel ragazzo la possibilità di dimostrare che ho ragione. Sono certo che sia tu che Talia trarrete giovamento dalla sua compagnia.

-Se lo dice lei...- rispose dubbiosa la fanciulla, che dopo un attimo di silenzio riprese: -Cosa ha visto in me il giorno in cui ho risposto al suo annuncio sul giornale?

-Ritieni che saperlo possa migliorare l'opinione che hai di te stessa?

-No- rispose Chiara -Conosco il mio valore. Sono solo curiosa di sentire un punto di vista diverso.

-Ed è esattamente questo quello che ho visto in te quel giorno, nonché il motivo per cui ti ho assunta.

Scese di nuovo il silenzio, interrotto solo dal rumore dell'acqua che sgorgava dal rubinetto e dalla ceramica che batteva contro la plastica degli scaffali della lavastoviglie.

-Aspetta un momento- disse Chiara, alzando di scatto lo sguardo -“Sia tu che Talia trarrete giovamento dalla sua compagnia”? L'ha assunto per fare in modo che lui e Talia si frequentassero?

-Diciamo che ho dato a quei due una piccola spinta- ammiccò il signor Bailey, suscitando la risata di Chiara.



*



Sotto lo sguardo sospettoso del signor Frederick, Peter spostò dalla parete uno dei tavoli e, dopo averlo trascinato di qualche metro più lontano, prese uno sgabello da dietro il bancone e osservò quello che sarebbe stato il suo set per fotografare Talia.

-Arriva molta luce dalla vetrina- considerò ad alta voce, lanciando uno sguardo al vetro -Ci sarà un contrasto piuttosto forte, ci vorrebbero almeno un faretto e un diffusore.

-Devi solo premere un pulsante- gracchiò il signor Frederick, sventolando la sua tazza di caffé nell'aria -Quando usavo io la mia vecchia Polaroid non mi lamentavo certo della luce!

-Ehi, amico, sto solo cercando di fare un lavoro fatto bene- gli rispose irritato il ragazzo -Ti dispiacerebbe tenerti per te i tuoi commenti?

-Ragazzi, comportatevi bene- si intromise Talia, lanciando sguardi minacciosi ai due litiganti -Non costringetemi a mettervi in due angoli separati.

-È lui quello che non è capace a schiacciare un bottone!- ribatté il signor Frederick, che però di fronte a un'occhiataccia della cameriera, non poté far altro che riprendere a bere il proprio caffé e a osservare immusonito la scena.

-In quanto a te- riprese la ragazza, rivolgendo la propria attenzione sul fotografo -Mi dispiace che il signor Bailey ti abbia coinvolto in questo progetto così su due piedi, ma non credere che mi lascerò fotografare senza un'adeguata preparazione. Non ho nessuna intenzione di ritrovare la mia faccia da fine giornata di lavoro in giro per le strade di Brooklyn, chiaro?

Peter sgranò gli occhi e alzò le mani in segnò di resa: -Ok, Superstar- disse -Non avevo intenzione di farti un servizio fotografico nei panni di cameriera, ma approfitterei comunque dell'occasione per fare qualche scatto di prova per vedere come rende la composizione. Ovviamente se mi si lascia lavorare in pace- aggiunse poi, alzando la voce in direzione del signor Frederick, che borbottò qualcosa di incomprensibile in risposta.

-Ehi- lo rimbeccò Talia, piazzandosi esattamente davanti a lui -Non ti permettere di usare quel tono con i nostri clienti.

I due rimasero fissarsi per qualche istante, l'uno cercando un segno di cedimento negli occhi dell'altra, ma non trovandone alcuno, Peter non poté che emettere un leggero sospiro e, imbracciata la propria macchina fotografica, disse calmo: -Va bene. Cominciamo?

-Tra un momento- rispose Talia, con l'ombra di un sorriso soddisfatto proiettata sulle labbra -Prima devo servire un cliente.

Squadrò per l'ultima volta i due uomini e, giratasi sui tacchi, prese un vassoio dal bancone, per poi dirigersi verso un ragazzino che aspettava impazientemente la sua cioccolata calda.

Dopo qualche attimo, la ragazza tornò, nuovamente sorridente: -Ok- esclamò con un sospiro -Finché non arriva qualche altro cliente, possiamo fare tutte le fotografie che vuoi.

-Bene- esclamò Peter, togliendo il coperchio dall'obiettivo della macchina e indicando lo sgabello con l'indice -Siediti lì e vediamo come vieni in foto.

Talia si sfilò il grambiule di dosso e lo appoggiò con cura su una sedia, poi si sciolse i capelli, lasciando che cadessero disordinatamente sulle spalle e lungo la schiena e, infine, si sedette sullo sgabello, accavallando le gambe e osservando un punto lontano oltre il vetro.

-Proviamone una così- disse, continuando a guardare fuori.

Per un istante Peter si soffermò a studiare il profilo della ragazza, i suoi lineamenti delicati che si stagliavano contro le forti ombre create dalla luce del tramonto, i riflessi quasi blu dei suoi capelli alla luce fretta dei LED e il rosso carminio del suo rossetto; poi inforcò la macchina fotografica, regolò il tempo di esposizione e inizò a scattare, spostandosi ogni tanto di qualche metro per catturare diverse pose e inquadrature.

Talvolta si avvicinava per spostarle una ciocca di capelli fuori posto o per darle indicazioni riguardo alla postura e Talia, dal canto suo, si dimostrò essere una modella disciplinata e paziente, ascoltando attentamente i consigli del fotografo e mettendoli in pratica alla perfezione, finché una coppia di donne non entrò nel locale, interrompedo quell'attività e costringendo la cameriera ad allontanarsi dalla postazione per prendere le ordinazioni.

Mentre Peter osservava sullo schermo digitale della macchina le fotografie scattate, da dentro la cucina comparve Chiara con un vassoio di biscotti al cioccolato appena sfornati e, porgendolo al ragazzo, domandò: -Come procede?

-Stiamo facendo qualche scatto di prova- rispose Peter, scegliendo dal vassoio uno dei biscotti più grossi e dandogli un morso deciso -Giusto per valutare quali possono essere le pose e le luci migliori. Diamine, questi biscotti sono fenomenali! Ad ogni modo, la prossima volta dovrò portare un cavalletto e un faretto per ottenere delle foto ottimali.

-E la modella come se la cava?- sorrise cordiale Chiara.

Il ragazzo afferrò un secondo biscotto e, con la bocca ancora piena del primo rispose: -L'ha presa molto seriamente. Inoltre quando posa sembra una statua di gesso: non muove nemmeno un muscolo. Certe volte mi sembra che nemmeno respiri.

-È una tipa molto atletica. Piuttosto, Peter, visto che sei in pausa, ti andrebbe di darmi una mano a prendere una cosa?

-Di cosa si tratta?

-È uno scatolone di decorazioni di Halloween- rispose Chiara, conducendolo nel retrobottega -Quello là in alto- aggiunse, indicandolo col dito -Pesa un po' ed è in una posizione scomoda. Mi faresti la cortesia di prendermelo?

-Certo, non c'è problema.- rispose Peter, osservando lo scaffale e valutandone l'altezza -Hai una scala?

-Che testa!- esclamò Chiara, dandosi una pacca sulla fronte -L'ho lasciata di là in sala. Corro a prenderla.

Il ragazzo aspettò che la cameriera fosse uscita e, assicuratosi che la porta fosse chiusa e che nessuno potesse vederlo, con un salto raggiunse il soffitto e, appeso a testa in giù, afferrò saldamente lo scatolone; si staccò dal soffitto e con una capriola tornò in posizione eretta sul pavimento proprio un attimo prima che Chiara rientrasse nel piccolo magazzino con in mano la scaletta pieghevole.

-Alla fine non mi è servita- sorrise Peter in risposta allo sguardo sorpreso di Chiara, che, ripresasi, ribatté: -Lo sai che le persone alte soffrono maggiormente di problemi alla schiena in vecchiaia?

-Come scusa?- domandò incredulo il ragazzo.

-Nulla, solo invidia- ridacchiò Chiara, appoggiando la scaletta, ormai inutile, in un angolo della stanza -Grazie mille, posso chiederti di portarlo in sala? Poi prometto di lasciarti in pace nella miglior compagnia di Talia.

Peter seguì di nuovo la cameriera lungo le scale e, ritornati nell'ambiente principale del Daily Coffee dove Talia aveva finito di servire le due clienti e di ritirare le stoviglie sporche, lasciò lo scatolone su un tavolo.

-Soldato Parker- scherzò Chiara, impettendosi e raddrizzando la schiena -Missione compiuta. Riposo!

-Signorsì, signora!- esclamò l'altro, facendo il saluto militare.

-Se voi due avete finito- si intomise Talia, avvicinandosi e sfilandosi di nuovo il grembiule -Possiamo riprendere con le fotografie. E comunque il saluto si fa con la mano destra, Peter.

Peter e Chiara si scambiarono una risatina imbarazzata e tornarono ai rispettivi lavori, l'uno alla macchina fotografica e l'altra di nuovo in cucina.

-Gli scatti che abbiamo fatto finora sono piuttosto buoni- considerò il fotografo, mentre Talia riprendeva posto allo sgabello -Stasera li trasferisco su pc e lunedì li mostro al signor Bailey. Se volessi portarti la tenuta da battaglia, potremmo anche concludere in circa una mezzora.

-La tenuta da battaglia?- domandò confusa Talia.

-Beh, l'abbigliamento che vorresti avere sul volantino- rispose Peter -E magari anche la chitarra, così mi fai sentire anche qualche brano, visto che fino ad adesso non ti ho sentito cantare nemmeno una nota.

-Se farai un buon lavoro- rise Talia -Potrai ascoltare tutti i miei concerti pagando un biglietto scontato del 10%!

-Ah, grazie- rispose sarcastico l'altro -Che generosità!

Stava per riprendere a scattare nuove fotografie quando il suo sguardo cadde su un foglio di carta appeso a fianco della macchina del caffé; rimase per qualche istante a fissarlo, incredulo: -Che cos'é quello?- chiese.

-Cosa?- domandò a sua volta Talia, volgendo lo sguardo verso il punto che Peter stava fissando: -Oh, quello!- esclamò -L'ha fatto Arianne. Non ci crederai mai, ma è stata salvata da Spiderman!

Il ragazzo si avvicinò abbastanza da poter studiare con maggiore attenzione il disegno e, più dettagli i suoi occhi scorgeva, più rimaneva sorpreso dalla dinamicità e dalla somiglianza del ritratto: era quasi come osservare una fotografia in bianco e nero.

-Sei un fan di Spiderman?- sentì domandare da Talia alle proprie spalle; -In un certo senso sì...- rispose vago, quando all'improvviso il suo cellulare nella tasca sinistra dei pantaloni vibrò, lo prese e, sbloccato lo schermo, lesse quello che era un messaggio da parte della zia.

Zia May, h.18.27: Immagino che non ti sarai ricordato dell'impegno preso, così ho pensato che sarebbe stato meglio, per la cara Carmen, che ti rinfrescassi la memoria. Ha comprato per il figlio un televisore nuovo, ma non ha tempo di andare a prenderlo prima della chiusura del negozio e non è capace di avviarlo, quindi dovresti andare al negozio di elettronica all'incrocio tra la Bredford e la Lincoln e portargliela al numero 33 di Foster Avenue, appartemento 5B. Così impari la prossima volta a prestare attenzione.

Quando ebbe finito di leggere il messaggio, per poco a Peter non venne un colpo: totalmente preso dalla sua "missione", si era scordato del post-it trovato quella mattina.

-Tutto bene?- chiese Talia, alla quale non era sfuggita l'espressione smarrita del ragazzo, che rispose prontamente: -Sì, non ti preoccupare. Il generale May mi ha riportato all'ordine ricordandomi una promessa che le avevo fatto.

-Chi è? Tua madre?- domandò incuriosita e divertita la ragazza.

-Quasi, in realtà. May è mia zia, ma mi ha tirato su come un figlio, perciò per me è alla stregua di una mamma.

-Scommetto che è una tipa tosta, per riuscire a tenerti in riga!

-Oh, lo è eccome!- sorrise Peter, riponendo la macchina fotografica nella cusodia e infilando il tutto nello zaino -È la persona migliore che abbia mai incontrato, dopo mio zio, ma è meglio non farla arrabbiare o dalla dolce e affettuosa zia è capace di trasformarsi nel Sergente Istruttore Hartman.

-Non l'ho mai incontrata, questa May- esordì Talia, alzandosi dallo sgabello e indossando nuovamente il grembiule -Ma già mi piace! Spero ce la porterai un giorno: dille che se racconterà qualche storia buffa della tua infanzia, avrà una fetta di torta in omaggio. Ovviamente la dimensione della fetta sarà proporzionale alle risate che ci faremo!

L'immagine di zia May circondata dalle cameriere e dal proprietario del Daily, mentre raccontava le sue figuracce davanti a un pezzo di torta, gli provocò un brivido freddo lungo la schiena, che dissimulò con una risata imbarazzata e, salutando con la mano, scappò dal locale, promettendo di ritornare l'indomani.



*



Chiara, spogliatasi del grembiule, prese la propria borsa da sotto il bancone e, fatto segno ad Annibale, si avvicinò a Talia, che stava raccogliendo i bicchieri vuoti di un paio di clienti: -Per oggi ho finito il turno- esclamò stampandole un grosso bacio sulla guancia -Tutti i piatti sono già in lavastoviglie, a parte quei due bicchieri, ovvio.

-Che programmi hai per stasera?- domandò Talia con un gran sorriso -Esci con qualcuno?

-Certamente, Annibale adora passeggiare per la città di sera! Piuttosto, l'amico Fritz che fine ha fatto?

-Peter? Ha ricevuto un messaggio dalla zia ed è schizzato fuori come una lepre mentre tu stavi in cucina a lavare i piatti.

-Che tipo strano...- considerò Chiara, aggiustandosi la borsa sulle spalle -Ad ogni modo, domani mattina ci vediamo per il jogging?

-Certamente, stesso posto stessa ora.

-A domani, cara.

-A domani.

Affiancata dal fedele Annibale, la ragazza uscì nel freddo della serata e attese che il suo autobus arrivasse, poi, trovato un posto a sedere libero, si accomodò sulla plastica del sedile, aspettando di giungere a destinazione: aveva ancora un po' di tempo prima di dover andare da Tony, così ne avrebbe approfittato per farsi una doccia e cenare con calma.

Erano passati quasi sei mesi da quando era arrivata a D.C. e, sdraiata sul suo letto, Chiara stava cercando di concentrarsi sul testo di grammatica spagnola che teneva in mano, ma, per quanto ci provasse, la sua mente aveva iniziato a giocarle dei brutti scherzi: era da circa sei settimane che aveva riscontrato serie difficoltà a dormire, arrivando progressivamente a trascorrere intere notti a fissare il soffitto nell'oscurità senza riuscire ad addormentarsi.

Si sentiva stanca ad ogni ora del giorno e della notte, le sue capacità di apprendimento erano rallentate e aveva smesso di trarre piacere dai pasti.

"Come se il cibo della mensa fosse vagamente appetibile" pensò la ragazza, aprendo la zip della felpa che indossava: l'aria si era fatta improvvisamente calda e difficile da respirare.

Aveva la sensazione che le pareti attorno a lei si stringessero, come per schiacciarla su quel letto, togliendole il respiro, affievolendole la vista e costringendola in uno spazio angusto. Senza che se ne rendesse conto, le sue mani iniziarono a tremare incontrollabilmente, rendendola incapace di reggere ulterioremente il libro, che finì aperto al suolo; spaventata da quella reazione, incrociò le braccia, infilando le mani sotto le ascelle nel tentativo, inutile, di fermarle, e iniziò a inspirare ed espirare profondamente, concentrandosi sui battiti accelerati del proprio cuore, contandoli.

"Uno...due...tre...quattro..." ma quell'esercizio, invece di aiutarla a calmarsi, non fece che aumentare la sensazione di cluastrofobia; i respiri si fecero affannosi e le orecchie presero a fischiare fastidiosamente, come una teiera lasciata sul fuoco.

"Chiara, calmati" si disse la ragazza, cercando di prendere fiato "Ti prego, calmati".

Ribellandosi a quella condizione, la ragazza tentò di alzarsi, ma non appena le ginocchia sentirono il peso del suo corpo, cedettero, facendola rovinare sullo scendiletto.

Tentò di chiamare aiuto, ma quando aprì bocca la sua voce le morì in gola; cercò, dunque, di strisciare, cercando un appiglio con le braccia e puntellando i piedi in un grottesco passo del giaguaro, in direzione della porta.

Usando le proprie mani come arpioni, spinse il suo corpo verso l'uscita dalla stanza, ma a pochi metri dalla porta le sue forze la tradirono e fu di nuovo incapace di muoversi.

Rimase così, dunque, distesa al suolo, la schiena scoperta a contatto con il freddo pavimento, ad aspettare che qualcosa cambiasse; sperò per un momento che qualcuno, incuriosito da quella porta sempre chiusa, cercasse di scoprire cosa vi si nascondeva dietro e la trovasse, ma di nuovo le tornarono in mente le parole di Natasha: chiunque avesse saputo di lei sarebbe entrato nel mirino dei "cattivi". E questo non poteva permetterlo.

Si mise, così, ad osservare il soffitto e, chiudendo gli occhi, immaginò di vedervi il suo vecchio lampadario, poi, abbassando lo sguardo, l'ampia finestra che volgeva a oriente, verso i campi, il suo letto, con tutti i suoi bei cuscini soffici e colorati, la libreria con i suoi testi preferiti, la scrivania piena di fogli di appunti e penne sparse in giro, la sua vecchia porta e, oltre di essa, il corridoio, le scale, il salotto, la cucina, la veranda, il giardino, la strada, la sua città...

Senza quasi che se ne rendesse conto, il suo respiro tornò normale, così come i battiti del suo cuore, le mani smisero di tremare e le ginocchia, tornate in forze, riusciro di nuovo a sostenerla; esitante, tornò in posizione eretta.

-Toc toc- sentì dire da Natasha dietro la porta.

-Avanti- rispose, sforzandosi di avere un tono di voce normale; la porta si aprì, mostrando una Natasha avvolta in abiti civili, che, sorridendole, entrò nella camera: -Sono tornata da poco da un lavoro e volevo vedere come te la cavavi. Hai più disegnato dall'ultima volta che...

Ma non riuscì a finire la frase, perché Chiara, senza dire una parola, si era buttata tra le sue braccia, stringendola a sé con forza.

Finalmente a casa, si tolse scarpe e cappotto e, riempita la ciotola di Annibale con acqua fresca, andò nel bagno ad far scaldare l'acqua.

Ripensare al suo primo attacco di panico le aveva messo addosso un gran freddo e non vedeva l'ora di scaldarsi sotto il getto caldo della doccia; dopo tanto tempo, il ricordo di quei momenti aveva ancora effetto su di lei e, soprattutto, il responso dato dal consulente scientifico di livello 8, il dottor Donald Blake, che Natasha e, conseguentemente, Fury avevano interpellato dopo quell'episodio.

-Si è trattato di un attacco di panico- aveva sentito dire dall'uomo, origliando attraverso la porta dell'ufficio del direttore Fury -Quello, più l'insonnia e i valori di colesterolo e ferro così bassi emersi dalle analisi del sangue, sono sintomatici di un disturbo depressivo in uno stadio non iniziale, ma nemmeno eccessivamente avanzato. Se preso in tempo e curato adeguatamente, può essere affrontato con successo.

-È quello che abbiamo intenzione di fare- si intromise Natasha, che, a giudicare dal rumore provocato dai suoi tacchi, era avanzata di un passo in direzione del medico.

-Ne sono certo- proseguì l'uomo -Ma è un'altra la questione che mi rende perplesso.

-Di cosa si tratta?- chiese Fury.

Chiara drizzò le orecchie, tutta l'attenzione concentrata nell'ascolto: -La ragazza ha una strana forma di leucocitosi, ma né dalla visita né dalla sua storia medica sono emersi altri sintomi che spesso accompagnano questa anomala quantità di globuli bianchi. Insomma, bisognerà fare un'indagine più approfondita, ma non ci sono segni di infezioni, la ragazza non soffre di asma, non vi è traccia di alcuna malattia autoimmune diagnosticata... dovrei fare qualche ecografia per scartare anche l'ipotesi del linfoma di Hodgikn e di leucemia, ma sembra che non abbia alcuna correlazione con patologie note.

Il getto caldo l'accolse in un abbraccio rassicurante e rinvigorente, che la liberò dalla stanchezza della giornata di lavoro e la fece sentire, quando la doccia fu terminata, come una farfalla appena uscita dal bozzolo.

Percependo il freddo pungente, Chiara si affrettò ad avvolgersi in un asciugamano e a frizionarsi i capelli, poi, notando che lo specchio si era coperto da una spessa patina di vapore, iniziò a disegnarci sopra con il dito, come quando era bambina. Disegnò nell'angolo in basso a sinistra una casa tra le colline, con tanto di staccionata per il giardino, poi si spostò più un alto e inizò a rappresentare la sala del trono di Asgard, con le ampie finestre coperte da lunghi drappeggi leggeri come brezza di primavera, e, infine, nell'angolo in basso a destra, l'Albero degli Elfi Chiari, con le larghe piattaforme e i ponti sospesi.

Dopo il primo attacco di panico, ripensare ad ambienti noti si era rivelato un piccolo aiuto per affrontare la tachicardia e la calustrofobia, sicché, a furia di riportare alla memoria tutti quei dettagli che aveva avuto modo di apprezzare nel suo "viaggio", si era decisa a riportarli su carta e, successivamente, su tela. I primi tentativi erano risultati degli ammassi informi di colori e forme indefinibili, ma con il tempo e la pratica, la sua mano era diventata più obbediente e la sua mente più accurata, finché non era riuscita ad ottenere un risultato accettabile.

Il suo primo dipinto su tela, infatti, rappresentava la veduta di Asgard che aveva ammirato la prima volta dalla balaustra lungo la quale Thor e Volstagg l'avevano condotta per l'interrogatorio con Odino. Quando Natasha l'aveva visto, aveva espresso il desiderio di poterlo avere in dono e così, lusingata da quella richiesta inaspettata, Chiara aveva acconsentito, anche come forma di ringraziamento per le particolari attenzioni che la spia russa, nei mesi di permanenza presso il Triskelion, le aveva riservato.

Oramai il suo dito aveva calcato quasi tutta la superficie dello specchio, lasciando solo poche aree bianche, troppo piccole per poterci disegnare, così prese un asciugamano e pulì il tutto, ritrovando il proprio riflesso nella superficie riflettente. Era così diversa dalla ragazza che quattro anni fa viveva la sua vita normale nella stupenda città di Siena. Ora quei grandi occhi scuri che la guardavano non erano più i suoi, i capelli lunghi e scompigliati erano stati sostituiti da un caschetto corto, appiccicato al collo dall'acqua.

Quell'espressione infantile e irriverente che quattro anni prima l'avevano subito resa simpatica al dio del Tuono era svanita, come i petali di una rosa seccano alla bollente luce del mezzogiorno d'Agosto; da quelle ceneri erano nate spine e da domestica, la rosa era divenuta un rovo.

Sospirò: si vedeva invecchiata e sfinita, ma una sola cosa non era mutata in tutto quel tempo. L'immagine che lo specchio le restituiva le appariva ancora incompleta, una metà di un disegno più grande.

Chiuse gli occhi, fece un quarto di giro sul proprio asse e, stringendosi nell'asciugamano, uscì dal bagno, in direzione della camera da letto, dove terminò di asciugarsi e vestirsi, sotto lo sguardo affettuoso di Annibale.



*



Se spostarsi in metropolitana con uno zaino sulle spalle e una macchina fotografica appesa al collo è complicato, Peter Parker quella sera scoprì quanto più difficile potesse esserlo trasportando un televisore da 32 pollici con tanto di scatola.

Per il giovane vigilante dalla forza migliorata, il problema del trasporto non risiedeva certo nel peso dell'oggetto né, tantomeno, nel mantenere l'equilibrio, bensì nel caos creato dai newyorkesi, che, ammassati sui vagoni della metropolitana, che lo spintonavano ad ogni pié sospinto, rendendogli estremamente difficoltoso il viaggio.

Quando, finalmente, il treno raggiunse la fermata di Newkirk Avenue, il ragazzo poté riprendere a respirare normalmente e, appoggiato lo scatolone sui piedi, di sgranchirsi un po'. Nonostante il sole fosse ormai calato da tempo sulla città, l'illuminazione artificiale sopperiva perfettamente alla mancanza, illuminando a giorno la via trafficata, così Peter, non volendo indugiare ulteriormente per non fare tardi alla ronda notturna, si caricò nuovamente il televisore sulle spalle e si incamminò con sicurezza in direzione dell 33 di Foster Ave.: pattugliare la città nottetempo lo aveva reso una sorta di navigatore ambulante, sviluppandogli, inoltre, un certo sesto senso circa la geografia della sua città. In pratica, aveva visto tante di quelle strade e tanti di quei quartieri, da riuscire a individuare una serie standard che si ripetevano un po' ovunque. Infatti, di lì a un quarto d'ora si ritrovò di fronte al vecchio portone di metallo del condominio, cercò il nome dell'infermiera tra quelli del citofono e suonò.

-¿Sì?- chiese una voce femminile, resa metallica dall'altoparlante.

-Buenas tardes signora, sono Peter, il nipote di May Parker- rispose il ragazzo.

-Pedro!- esclamò allegra la donna -Entra, niño!

Con uno scatto la serratura del portone si aprì e Peter, nascosto dietro lo scatolone, scivolò nell'ingresso e iniziò a salire le scale; all'interno il palazzo era piuttosto anonimo: pavimento grigio, pareti intonacate di bianco, vecchie scale scricchiolanti di legno e numeri in ottone ossidato affissi su ogni porta. Insomma, un ambiente ben diverso dalla villetta a schiera in cui abitavano lui e la zia. Quello che, però, notò subito, fu il forte rumore della strada, che rimbombava sulle pareti in una fastidiosa eco.

"Non riuscirei mai a prendere sonno qui dentro" considerò mentre raggiungeva il quinto piano e, alla sua sinistra, la porta contrassegnata dal 5B di ottone si apriva: -¡Hola Pedro!- esclamò una donna, che Peter dedusse fosse Carmen -Che piacere conoscerti! May mi ha raccontato un sacco di cose su di te!

Il ragazzo sorrise imbarazzato, ben sapendo quanto zia May tendesse ad esaltare un po' troppo le sue qualità con amici e colleghi: -Dove lo porto?- chiese, riferendosi al televisore.

-Da questa parte, prego- rispose prontamente la donna, addentrandosi nell'appartamento e guidandolo attraverso l'ordine e la pulizia delle stanze, finché non arrivarono davanti a una porta recante un grosso poster dei New York Giants.

"Scommetto che questa è la stanza del figlio" sogghignò tra sé il ragazzo, ammirando i colori bianco, blu e rosso del logo della squadra di football, mentre Carmen gli faceva strada: -Carlos compie tra poco gli anni e verrà a trovarmi- stava raccontando entusiasta -È un ragazzo molto diligente e studioso e sarà felicissimo di trovare il telvisore nuovo al suo ritorno! Abbiamo guardato spesso il football assieme quando era piccolo, ma ancora oggi non riesco a ricordarmi tutte le regole.

Nel frattempo gli aveva indicato un basso mobile bianco, accuratamente predisposto ad accogliere il nuovo elettrodomestico, così Peter l'aveva appoggiato lì accanto ed aveva iniziato a studiare la parete per assicurarsi che vi fossero tutte le prese necessarie.

-Vuole che glielo installi?- domandò.

-Sì, por favor. Se non ti è di troppo disturbo.

-Nessun disturbo, non si preoccupi- si affrettò a rispondere Peter -Ci vorrà solo qualche minuto in più.

Non appena la donna l'ebbe lasciato da solo, aprì lo scatolone e ne estrasse il contenuto, collegando fili e prese di corrente ai loro posti.

Si accertò che il televisore si accendesse e che lo schermo non avesse difetti di sorta, poi iniziò a installare i vari canali, assicurandosi che non ci fossero interferenze e che tutto funzionasse adeguatamente.

Tale attività lo assorbi completamente, facendogli perdere la cognizione del tempo, al punto tale che, quando Carmen rientrò nella stanza circa un'ora dopo, gli parve che non fosse passato nemmeno un minuto.

-Come sta andando?- chiese la donna con un largo sorriso e porgendogli un vassoio recante un grosso sandwich, un bicchiere di succo di frutta e una grossa fetta di torta al cioccolato.

-Bene- rispose Peter -È praticamente finito. Non doveva disturbarsi a prepararmi da mangiare.

-Vuoi scherzare? È il minimo che possa fare per ringraziarti, niño.

Un leggero imbarazzo depose un velo di rossore sul volto di Peter, che rispondendo al sorriso smagliante della donna con uno impacciato e stiracchiato, iniziò a mangiare lentamente, mentre Carmen guardava entusiasta la televisione.

-Soy così contenta che funzioni bene!- esclamò la padrona di casa, battendo le mani dalla gioia -Carlos sarà muy felice. Potresti venire a trovarci qualche volta! Tu segui il football?

Peter terminò di bere il succo di frutta e, riposto il bicchiere sul vassoio, rispose: -Mio zio era un grande appassionato di sport; ha cercato di trasmettermi il suo interesse, ma ha rinunciato quando mi ha scoperto a leggere di nascosto un testo di chimica durante una partita del Super Ball.

-Mi ricordo di Benjamin- disse Carmen, suscitando lo stupore del ragazzo -L'ho incontrato solo poche volte, purtroppo, ma si è sempre dimostrato gentile. Una volta si è presentato in ospedale con un grosso mazzo di fiori per May! Mi è dispiaciuto molto quando ho saputo che...- fece una pausa imbarazzata, cercando di trovare le parole adatte -Il Signore lo aveva chiamato a sé- concluse.

-Grazie- sospirò Peter -Zio Ben era il migliore.

"Anche Gwen lo era".

In un battito di ciglia accadde un fatto che al ragazzo non parve subito chiaro, ma quando egli sentì la pressione attorno al petto e alla schiena intensificarsi realizzò che quella gentile sconosciuta lo aveva cinto in un abbraccio caldo e materno, nel quale Peter si concesse di sprofondare per qualche istante.

-Lo siento- disse Carmen, sciogliendo l'abbraccio con la stessa velocità con cui vi aveva dato inizio -Mi sono lasciata trasportare.

-Non c'è problema- ribatté educatamente Peter -Ora però dovrei proprio andare. Grazie della cena.

-Claro, grazie a te per l'aiuto.

Carmen attese che Peter avesse ripreso tutta la sua roba e lo condusse alla porta, dandogli commiato con un ultimo sorriso e una carezza sulla schiena, dopo i quali si ritirò nel suo appartamento, lasciando il ragazzo da solo sul pianerottolo.

Scendendo le scale Peter ripensò a quell'abbraccio inatteso, il cui calore, nella sua mente, si stava già raffreddando al sospetto che fosse stato mosso dalla pietà. Non era corretto nei confronti di Carmen interpretare a tal modo quel gesto tanto spontaneo, Peter lo riconosceva, ma, dall'altra parte, egli aveva sviluppato un inconscio rigetto nei confronti di chi tentasse di consolarlo: dopo la morte di Gwen sembrava che chiunque lo conoscesse si arrogasse la facoltà di comprendere i suoi sentimenti, esibendosi in frasi e in contatti fisici che, a parer loro, avrebbero avuto l'effetto di farlo stare meglio.

Inizialmente aveva accolto educatamente quelle carinerie, apprezzando perfino l'impegno e l'interesse, ma con il passare del tempo non era più riuscito a tollerare quella profusione di aiuti e sostegno, dietro alla quale aveva iniziato a leggerci null'altro che pietà.

E Peter Parker non aveva bisogno di essere compatito.

Carmen era stata gentile, ma alla fine non si era dimostrata diversa da tutti gli altri, vedendo in lui qualcuno per cui provare pietà. Lo scatto della maniglia di una porta lo distrasse dai suoi pensieri e intravedendo la figura che ne uscì, scattò come una molla verso il soffitto, aggrappandocisi e rimanendo in attesa: la persona che era uscita dall'appartamento e che stava scendendo le scale era proprio Chiara.





Angolo dell'autrice: salve a tutte e benvenute alla fine di questo capitolo! Come sempre, esordisco ringraziando di cuore AlessiaOUAT96, Glendolina e Ragdoll_Cat per il loro sostegno, espresso in forma di splendide recensioni di cui sono un'avida lettrice.

In secondo luogo, ci terrei a precisare subito che io non sono un medico, né uno psicologo, né studio queste materie e che le informazioni riguardo alla condizione di salute di Chiara provengono da ricerche su internet, di conseguenza non sono medicamente affidabili. Lo so, vi sembrerà una precisazione superflua ma credo sia importante metterla per iscritto (un po' come quando negli spot televisi sui coltelli da cucinano mostrano un tizio che affetta al volo un ananas con la scritta "Non fatelo a casa" in sovrimpressione. A nessuno verrebbe in mente di farlo, ma è giusto che venga detto).

Detto ciò, eccoci qui! L'università è una brutta bestia, ma, anche se sul filo di lana, sono riuscita a pubblicare questo capitolo (urrà!). Come avrete capito già dal titolo (molto originale) prima ancora di buttarvi sul capitolo, il nostro Peter è ufficialmente diventato parte dello staff del Daily, anche se con una mansione un po' diversa. Voi che ne dite? Il ragnetto urbano avrà gradito questo incarico? Questa nave salperà? ;)

Come in ogni capitolo, un nuovo episodio dei quattro anni trascorsi da Chiara sotto l'ala dell'aquila dello S.H.I.E.L.D. è stato svelato e un nuovo carico di ottimismo arriva dallo schermo direttamente nelle vostre case, non c'è bisogno che mi ringraziate. ^-^

Dulcis in fundo, la sorte è propizia al nostro sventurato Peter e l'oggetto delle sue indagini gli si manifesta sul cammino come un miraggio. Cosa succederà? Quanti muri dovrà scalare e quanti televisori dovrà trasportare il nostro amichevole Spiderman di quartiere prima di arrivare alla soluzione del mistero?

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che abbia stuzzicato il vostro interesse. Vi ringrazio per la lettura e, se ve la sentite, potete lasciare un piccolo commento nello spazio delle recensioni, oppure spedirlo al 33 di Foster Avenue, Brooklyn. Nella busta, mi raccomando, mettete qualche francobollo in più per la risposta ;)

Un abbraccio a tutte voi e buona Pasqua!

Lady Realgar

   
 
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