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Autore: pluie_de_lumieres    27/03/2016    2 recensioni
Che succede quando due persone completamente opposte si ritrovano a vivere insieme?
Genere: Angst, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest
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Andare da Gustav questa volta non era servito letteralmente a niente. Probabilmente se avesse creduto ad una sola parola che l’altro gli aveva detto, avrebbe funzionato, si sarebbe ripreso. Ma non era pronto a lasciar andare Bill, nonostante il piano del biondo sembrasse proprio quello: farsi lasciare. Odiare, forse?
Tornò a casa con gli occhi gonfi e rossi, il morale a pezzi e la gola secca. Aveva urlato contro l’amico, come se potesse servire a qualcosa. Non era di Gustav la colpa. È depresso, aveva detto l’altro, non puoi chiederti perché faccia o meno qualcosa. Ma perché allontanare l’unica persona che gli era stata accanto tutto il tempo?
Si chiuse il portone alle spalle e vi rimase poggiato contro, guardando la casa immersa nella luce del primo pomeriggio.
“Bill?”
Nessuna risposta.
La porta della camera era socchiusa.
“Bill?” chiamò ancora, mentre una strana paura dentro di sé cresceva. Aveva i piedi bloccati e il cuore gli arrivò in gola: gli sembrò di doverlo sputare. Ricacciò indietro un conato di vomito e si fece coraggio, avanzando per il corridoio.
“Bill!” alzò la voce, sperando di spaventare la propria paura. Quando aprì la porta del bagno, sentì il sangue pulsare alle tempie, così forte che gli parse di star per svenire.
Chissà cosa si era immaginato, magari una pozza di sangue. Il bagno era vuoto. Dov’erano finiti i cosmetici dell’altro?
Corse in camera del biondo: i peluche che avevano trovato nel letto di Bill il loro, erano ancora tutti al loro posto, ma le ante dell’armadio erano aperte. I vestiti dell’altro non c’erano più.
Il biondo non aveva scelto di farsi male, questa volta, aveva piuttosto optato per farne a lui.
Sentì  la gola stringersi e fece fatica a riprendere aria.
Corse in camera propria e trovò sul comodino l’anello e la collana che Gustav aveva regalato all’altro.
Bill se n’era andato.
Si rigirò l’anello tra le dita e lo ripose sulla superficie lignea, massaggiandosi un braccio mentre la vista gli si annebbiava.
Si guardò intorno, perso, e capì il significato delle parole di Gustav.
Aveva costruito tutto sopra quell’unica persona che poi, alla fine, non era altro che una persona.
Una sola persona era riuscita ad uccidergli i sentimenti, mentre centinaia prima di lui non avevano neanche un nome o un volto.
Si sedette sul letto, cercando di respirare propriamente. Aveva il battito accelerato e il respiro minacciava di mozzarglisi in gola; il petto era stretto in una morsa dolorosa.
Ebbe la forza di mandare un messaggio a Gustav, perché era l’unico sul quale potesse contare in quel momento.
“Bill se n’è andato. Puoi venire?”
Si alzò solo per lasciargli la chiave sotto al tappeto e se ne tornò a letto.

Quando Gustav si rese conto che i vari tentativi di bussare e richiamare l’attenzione dell’altro erano piuttosto inutili, ebbe l’accortezza di sollevare il tappeto e trovò la chiave. Entrò in casa e la ripose sul mobile all’ingresso.
“Tom? Sono io” mormorò, raggiungendo la porta della camera dell’altro.
Il moro si era sdraiato sulle coperte, steso sul fianco e fissava il vuoto.
“Ehi” gli si sedette accanto, vicino alle ginocchia ripiegate.
“Non dire te l’avevo detto” bisbigliò Tom, chiudendo gli occhi.
“Lo sai che mi piacerebbe” scherzò Gustav, passandogli una mano sul polpaccio.
L’altro rise mesto, mettendosi a sedere.
“Che pensi di fare?” domandò l’amico.
L’altro scosse la testa e lo guardò negli occhi, mordendosi il labbro inferiore.
“Ci credi che non so neanche come arrivare a domani? Guardami” e rise nervosamente, passandosi le mani sul viso.
“Sei sempre tu, Tom, ce la fai” mormorò Gustav.
“No, ti sbagli, non sono più io da quando mi è piombato in casa e non so come si torna indietro, Gustav” gli assicurò lui.
“Vuoi venire a stare da me per un po’?” propose l’amico.
“Io lo aspetto, Gustav. Non posso andarmene da qui, questo è… questa è la nostra casa, il posto in cui l’ho conosciuto” mormorò il moro.
“Dopo quello che ti ha fatto? Ma io lo ammazzo se prova a tornare!” fece l’altro, arrabbiato.
“Sta’ zitto! Cristo! Ci deve essere una spiegazione, io so che c’è, non può fare una cosa del genere senza una spiegazione, non può lasciarmi così senza un motivo…c’è qualcosa che non ho visto, qualcosa a cui non ho fatto attenzione, ci deve essere per forza, come.. come per il sesso” blaterò.
Gustav scosse la testa “Tu sei uscito fuori di testa! Ma ti senti? Lo stai giustificando! Ti ha lasciato così, senza una parola e tu lo stai giustificando!”
“Perché è quello che si fa quando ami una persona!” urlò Tom, rabbioso.
“Tu cosa cazzo ne vuoi sapere dell’amore?” chiese l’altro.
“IO LO AMO!” sbraitò.
“Guarda dove ti ha portato, amarlo! Non ti riconosco più.. ti preferivo prima, quando ragionavi col cazzo! Almeno evitavi di ridurti una merda per un malato mentale!”
Tom gli mollò un pugno in pieno viso. Come osava chiamarlo malato mentale?
Gustav si portò una mano sul naso sanguinante e si alzò dal letto. Quel pazzo gli aveva portato via il suo migliore amico.
Il moro si rese conto di quello che aveva appena fatto: stentava a riconoscersi e per la prima volta in vita propria si sentì diviso in due.
“Tom… non aspettarlo. Vale la pena stare così?” Gustav non lo sapeva neanche lui chi gli aveva dato quella pazienza. Ma quello era il suo migliore amico, con le buone o con le cattive doveva riportarlo sulla retta via.
“Prepara la valigia e vieni da me, non puoi stare qui, non sei in grado di decidere quindi deciderò io per te”
Tom annuì, confuso. Forse era la cosa migliore. Stava per voltare le spalle all’unica persona che gli fosse rimasta accanto durante tutti quegli anni. Quel pugno non se lo era affatto meritato, povero Gustav.

In poco tempo furono fuori, in macchina del collega per tornare a casa sua. Ed era già a quota due per quella giornata.
“Fai come se fossi a casa tua, come si dice? Mi casa es tu casa!” scherzò Gustav, cercando di tirare su il morale all’amico, ma quest’ultimo aveva la testa così piena di pensieri che le battute in quel momento erano l’ultima cosa che avesse voglia di ascoltare. Ma comunque gli era grato, come poteva non esserlo?

I giorni iniziavano a passare e di Bill non ce n’era traccia: alle telefonate non si degnava di rispondere e Georg gli disse che aveva lasciato il lavoro. In un primo momento non aveva voluto credergli e aveva finito per appostarsi davanti al ristorante per controllare. Neanche l’ombra di Bill. Era sparito, era come se si fosse volatilizzato nel nulla.
La sera, quando si rifugiava sotto alle coperte dopo un’intera giornata di lavoro, arrivava a pensare che quel ragazzo fosse stato solo un’allucinazione. Si può sparire così, senza risentimento? Dov’era finito? La verità era che non aveva la più pallida idea di dove iniziare a cercarlo: sapeva talmente poco di lui che avrebbe fatto solo un buco nell’acqua.


“Non te lo sei mai tolto dalla testa” tirò fuori il discorso Gustav.
“Sono passati dei giorni, non anni, Gustav. Come potrei averlo dimenticato?” ribatté Tom, lasciando cadere il cucchiaio nella tazza.
“Non ho usato quel termine, ma dovresti quantomeno staccare la spina. Prenditi una settimana di tempo, vattene in vacanza, cazzo!”
“IN VACANZA! IN VACANZA! Vuoi darmi per caso occasione di stare tutto il giorno senza fare niente, per poterci pensare ancora meglio? Sai quanto male potrebbe farmi una vacanza, ora? Mi ucciderebbe o meglio, finirebbe di farlo!”
“Era una proposta, non ti scaldare. Sei una merda, ti sei ridotto uno schifo” constatò Gustav, affogando altri cereali nella propria tazza di latte.
“Oh ma davvero? Grazie! Adesso me ne sono reso conto anche io! Come cazzo avrei fatto senza di te?”
Come cazzo avrebbe fatto senza di lui? Quello era sarcasmo, sì, ma come avrebbe fatto senza di lui?
“Non ti riconosco, non hai…voglia di sesso, di bere, di fumo, di niente! Vivi come un… non lo so, che ti prende? Vale davvero la pena?”
“Lui la vale tutta, la pena” fu la risposta del moro che si alzò e lasciò la tazza nel lavabo.
“Io non sono Bill! La tazza te la lavi da solo!” gli urlò dietro l’altro. Ma Tom era già uscito. La mattina aveva preso l’abitudine di andare a correre, probabilmente era l’unica cosa che gli desse una mano, non tanto a non pensare, ma a sfogare ciò che aveva dentro. Quando Gustav non era a casa, quelle rare volte che poteva rimanere da solo in salotto, si ritrovava a soffocare delle urla disumane contro il cuscino.
“CHE CAZZO TI HO FATTO?!” urlava, finendo per dare pugni sullo schienale del divano. Prima o poi Gustav si sarebbe accorto che la forma di quest’ultimo era cambiata e allora sarebbero stati cazzi amari per Tom.
Correva, sudava e correva, fino a non avere più fiato, fino ad avere male alle gambe: iniziava la giornata lavorativa già stanco e quando tornava a casa la sera non aveva neanche la forza di pensarlo, quel nome.
Arrivava a sfinirsi per non avere le energie di pensare a qualche cazzata, perché sì, avrebbe potuto commetterne qualcuna molto grossa in quelle condizioni.
-Non mi hai lasciato che la forza di distruggermi, la speranza di ritrovarti e un sentimento più grande di me che, cazzo Bill, non riesco proprio ad uccidere. Mi hai lasciato pieno di armi, bombe ad orologeria, senza strada, senza meta, senza bersagli. Finirò per uccidere me stesso.-
E i giorni passavano, l’inverno finiva e lasciava posto ad una timidissima primavera.
-Quanto ti piacerebbe la primavera.
No, mi correggo: quanto mi piacerebbe la primavera riflessa nei tuoi occhi d’ambra.
Ero così abituato a vedere il mondo attraverso i tuoi occhi, che ho dimenticato come vederlo coi miei.-
Tom era tornato a casa propria già da un po’: i peluche erano ormai chiusi in quello che un tempo era l’armadio di Bill, la camera era stata chiusa e lui non aveva neanche avuto il cuore di dormire sul proprio letto, la prima notte. Ma quando aveva realizzato che il divano era nella medesima misura fonte di ricordi dolorosi, si era adattato e aveva scelto il letto.

Quella mattina di fine Marzo squillò il telefono e Tom rispose con un po’ troppo entusiasmo, sarà che aveva finito per sognare il biondo, si era quasi convinto che potesse essere lui.
“Sono solo Gustav” rispose l’amico, sapendo bene cosa so era immaginato l’altro.
“Ehi, che succede?”
“Il capo mi ha chiamato, niente lavoro. Ci andiamo a fare un giro? Gli ho detto che ti avrei avvisato io”
“Dove ce ne andiamo di bello?” chiese Tom, versandosi il caffè.
“A correre?”
“Tu non corri, Gustav” gli fece notare lui.
“Non è mai troppo tardi per cominciare. Allora: andiamo o non andiamo?” chiese, scocciato.
“Ci vediamo al parco vicino casa mia, mh? E non venire coi jeans” e chiuse la chiamata.
Neanche mezz’ora dopo era già lì con una delle sue comode tute addosso. Per un attimo si chiese cosa spingesse le persone ad indossare vestiti scomodi per uscire. Il pensiero corse a Bill e al suo abbigliamento appariscente. Infilò le mani nelle tasche della felpa e si strinse nelle spalle, guardandosi intorno: i mesi erano volati e i suoi sentimenti erano rimasti immutati. Dopo tutto il male che gli aveva fatto, nella sua testa non aveva fatto altro che giustificarlo. Tom di depressione non se ne intendeva, i complessi di Bill erano rimasti per lui un grosso punto interrogativo ma se l’altro aveva agito in quel modo, ci doveva pur essere una spiegazione.
Gli era venuta voglia di fumare improvvisamente e le sigarette le aveva lasciate a casa. Ma chi esce a correre e si ritrova a fare la fila dal tabaccaio per comprare le sigarette?
Aveva il pacchetto in mano ed era quasi giunto il suo turno di pagare quando, al di là della vetrata scorse una chioma bionda e un corpo longilineo.
“BILL!” urlò come un pazzo, precipitandosi fuori dalla porta.
“EHI! NON HA PAGATO LE SIGARETTE!” gridò di rimando il povero tabaccaio.
“BILL!” continuava ad urlare Tom, correndo dietro a quella figura.
Le persone si erano girate a guardarlo mentre quest’ultimo afferrava per il braccio il povero malcapitato.
“COSA VUOLE? MI LASCI!” urlò il ragazzo.
Non era Bill.
“Mi scusi, io…devo averla confusa per qualcun altro” era mortificato ed imbarazzato.
“Credo proprio di sì!” fece quello, stizzito, andando via.
“Lei deve pagarmi le sigarette, signore!” il tabaccaio lo aveva raggiunto, si era fatto una bella corsa anche lui.
Gustav, che nel mentre era arrivato, si era gustato la scena con un’espressione rassegnata: si avvicinò e pagò lui le sigarette per Tom, togliendosi dalle palle il titolare della tabaccheria.
“Cos’era quello?” chiese, guardandolo con aria di rimprovero.
“Una specie di…inseguimento?” inarcò le sopracciglia Tom, cercando di buttarla sul ridere.
“Tom, mi avevi promesso che-“
“Non riesco a dimenticarlo, ci ho provato, non posso farci niente! È inutile!” esclamò l’altro, passandosi una mano sulla fronte.
“E lascia stare le sigarette” fece, togliendogliele di mano.
“Mi è passata la voglia di correre, voglio fumare” tentò di riprendersi il pacchetto.
“Tom! Smettila! Cosa vuoi fare, mh?”
L’altro gli tolse il pacchetto di mano e “Cazzo, non ho l’accendino. Fanculo!”
“Eri così preso a rincorrere ‘Bill’ che ti sei dimenticato di comprarne uno! Ti ho chiesto cosa vuoi fare. Vuoi continuare a vivere così la tua vita? È proprio ora che tu ti dia una svegliata. È ora di andare avanti. Non vuoi aprire gli occhi ma te li apro io adesso: lui non tornerà! Si è dimenticato di te e tu hai il diritto e la possibilità di voltare pagina, ti sto dando il via. Fallo! Ora!”
Tom gli diede uno spintone “BASTA! Piantala! Smettila! Non voglio più riprendere il discorso! So io cosa devo fare della mia vita! Da quando non sto più in casa tua sono libero di fare quello che voglio!”
“Sei un manesco del cazzo!” si lamentò Gustav.
Quelle parole furono come un pugno in pieno stomaco. Qualcuno prima di Gustav gliele aveva urlate con tutta la rabbia che aveva in corpo.
Ogni cosa gli ricordava Bill, persino le parole del suo migliore amico.
“Che ti prende?” chiese l’altro, vedendolo scosso.
“Me lo diceva anche Bill” rispose Tom, scoppiando a ridere.
“Tu sei malato” fece il collega, scuotendo la testa.
“Sì, hai ragione. Sono malato, non riesco ad andare avanti. Vuoi farmene una colpa? Bene! Perfetto! Sei libero di farlo! È colpa mia! Non riesco ad andare avanti e non voglio neanche farlo! Siamo a posto? Vorrei solo che mi lasciassi un po’ in pace!”
Gustav si lasciò andare ad un sospiro profondo: non c’era verso di togliergli Bill dalla testa.
“Sono preoccupato per te, Tom. È cosi difficile da capire per te?”
“Sono un adulto. Capisco quando si arriva al limite e non ci sono ancora. Nel momento in cui capirò che non posso continuare così, darò una svolta alla mia vita. Ora lui ha bisogno di tempo”
“Tom! Ne parli come se…gli avessi parlato! Se n’è andato! Non c’è più!”
“E’ lì da qualche parte e tornerà” rispose il moro.
“Come lo sai?” chiese Gustav.
“Perché ho imparato a conoscerlo e se è vero che lo conosco almeno un po’, allora lui tornerà.”


 
  
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