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Autore: zing1611    28/03/2016    1 recensioni
Sono ormai passati cinque anni dalla sconfitta di profondo Blu, ma chimeri e creature spaventose continuano ad infestare il nostro pianeta. Un nuovo nemico è alle porte, e l'intera squadra Mew Mew è costretta a riunirsi di nuovo sotto la guida del giovane Ryan. Strawberry è cambiata moltissimo dalla fine della prima guerra, e dopo anni passati tra le braccia di Mark, ora dovrà tornare a confrontarsi col suo passato che inevitabilmente si scontrerà col presente.
E' la mia prima fan fiction, ispirata ad uno dei cartoni preferiti della mia infanzia.
Spero vi piaccia e vi appassioni capitolo per capitolo. Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoyama Masaya/Mark Aoyama, Ichigo Momomiya/Strawberry, Nuovo Personaggio, Ryo Shirogane/Ryan, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Berry?-
Qualcuno mi stava chiamando, scuotendomi delicatamente la spalla.
Sentivo la voce ovattata, distante, ma un soffio leggero mi accarezzava le guance ogni qual volta sentivo pronunciare il mio nome. Svogliatamente aprii un occhio per vedere chi mi avesse svegliato, e mi trovai davanti Mark, che accucciato di fronte al divano mi sorrideva.
Ricambiai il sorriso e mi sedetti appoggiando la schiena al cuscino rosso che avevo alle spalle. Lui si alzò e mi raggiunse incrociando le gambe sul divano.
Quel ragazzo tirava fuori la parte migliore di me. Era sempre stato in grado di strapparmi un sorriso, anche nei momenti peggiori e io mi ero sempre sentita in dovere di sorridere per lui. Dopotutto non merita di vedermi triste.
-Tesoro, devo tornare a Londra-
Appena lo disse mi voltai verso di lui con un’espressione interrogativa sul volto.
Che significa?
Quasi leggendomi nel pensiero mi prese le mani e iniziò a spiegarmi che Ryan quella mattina l’aveva chiamato e gli aveva chiesto “gentilmente” (per quanto il biondo potesse essere gentile nei suoi confronti) di tornarsene in Inghilterra perché un gruppo non indifferenti di Chimeri stava creando non pochi problemi nel caro vecchio continente.
–Non puoi andare da solo, devo darti una mano!- non appena pronunciai quelle parole una parte del mio cervello si annebbiò completamente rendendosi conto che , in effetti, poteva aver bisogno di una mano; mentre l’altra parte, quella che con la vecchia Strawberry c’entrava un po’ di meno si morse la lingua. Ho bisogno del mio spazio, almeno per un po’, mi dissi.
Lui mi accarezzò il viso e stampandomi un bacio a fior di labbra fece per alzarsi, ma involontariamente lo trattenni per una manica, attendendo una sua risposta.
–Berry, tu servi qui, per il progetto e tutto- si sedette di nuovo – io posso cavarmela anche da solo. Lo sai che sono molto deboli, e sai che non mi caccerò nei guai tanto facilmente-.
Vedendomi più tranquilla rispetto a poco prima si avvicinò al mio viso e colmò la distanza che ci separava baciandomi di nuovo, approfondendo stavolta il contatto. Gli gettai le braccia al collo e continuai a baciarlo per un po’, cercando di assaporare quella dolcezza tipica di Mark, il mio Mark.
-Ti amo- .
Me lo disse così, con semplicità, tra un bacio e l’altro. Io chiusi gli occhi assaporando quel momento, ma senza rispondergli .Lo abbracciai stretto e seppellii il viso nell’incavo tra il collo e la spalla.
Perché non rispondi Straw?
Rimanemmo così per non so quanto tempo.
Quando Mark uscì di casa salutandomi con tanto di valigie alla mano sprofondai la faccia tra i cuscini del divano cercando di riaddormentarmi. L’unico modo per resistere dentro quella casa era per me a) non entrarci, il che era di per se una contraddizione o b) dormire, premettendo il fatto che ci fossi riuscita.
Entrai in uno stato di dormiveglia e con gli occhi socchiusi mi abbandonai al flusso dei miei pensieri.  Rimanere lì era di per se devastante. Ogni angolo di quella casa mi ricordava Lei. Qualsiasi cosa a cui mi avvicinassi aveva il suo odore e ovunque guardassi c’erano foto sue, mie e di Shintaro, ancora sorridenti e felici, inconsapevoli di quello che sarebbe stato il destino della nostra famiglia.



Tenevo gli occhi socchiusi e il rumore del televisore sovrastava quello del traffico fuori casa, quando all’improvviso i miei sensi di gatto si risvegliarono e una strana sensazione mi colpì, come un pugno alla bocca dello stomaco. Una voce, sepolta sotto i pensieri, stava gridando nel mio cervello, dicendomi di stare all’erta, di scappare. 
Mi alzai a sedere guardandomi in torno indispettita per quella voce interiore che mi aveva costretta a uscir fuori dallo stato di torpore in cui ero sprofondata. Con la coda dell’occhio notai qualcosa muoversi dietro le tende che coprivano la grande finestra a terra del salone. In un attimo fui in piedi, in posizione di difesa. Una scossa di elettricità mi pervase la spina dorsale e un sorriso compiaciuto mi si stampò sul viso. Quelle iniezioni facevano sempre dei piccoli miracoli e ne ero profondamente soddisfatta.
In silenzio acuendo i sensi di gatto e sgranchendo il collo, ruotando la testa a destra e sinistra mi mossi verso l’ingresso. Dovevo uscire in giardino e vedere chi, di soppiatto, provava a spiare dentro casa mia.
Quando fui in giardino mi richiusi la porta dietro assicurandomi di averla ben chiusa in modo che nessuno potesse così entrare eccetto me, per lo meno senza essere sentito. Il chiavistello dava un bel po’ di problemi e tutte le volte che la serratura veniva forzata faceva un rumore a dir poco assordante.
Vieni fuori, forza.
I combattimenti, da un pezzo a quella parte avevano smesso di incutermi paura e avevano finito per eccitarmi sempre di più, trasmettendomi quella sensazione adrenalinica di libertà, potere e forza che cinque anni prima non mi sarei nemmeno minimamente sognata. Non avevo più paura, per lo meno non temevo per la mia vita. D’un  tratto mi spuntarono fuori le orecchie e la coda, segno che il pericolo si stava avvicinando e i miei geni stavano rispondendo attivamente al segnale. In quelle condizioni sapevo che sarei riuscita a percepire rumori, odori e movimenti sospetti anche a occhi chiusi e a cento metri di distanza. Non hai più scampo, ti sento, pensai . Ed era vero.
Riuscivo a percepir una presenza a circa quindici metri da me, dietro il muro di casa che copriva la visuale su tutto il resto del giardino. Chiusi per un secondo solo gli occhi, ispirando profondamente e un odore metallico e dolciastro mi arrivò al naso, facendolo storcere. Sangue. Quell'odore poteva voler dire una sola cosa: lo spione in questione, era uno di loro.
Era arrivato il momento di affrontare il mio nemico. Cominciai a muovermi di soppiatto producendo il minimo rumore possibile, fino ad arrivare all’angolo che separava me dal probabile aggressore che si aggirava nella mia proprietà. Assunsi la posizione di difesa e velocemente, concentrandomi mi gettai  dalla parte opposta del muro ritrovandomi nella zona più ombreggiata del giardinetto che mia madre amava curare.
Piegai poco la testa verso destra e raggelai. Poco distante da me, come mi aspettavo, c’era uno di quei mostri. Perché è qui?
-Che vuoi?- cercai di reprimere la rabbia e parlare in modo pacato così da non attirare gli occhi dei vicini più curiosi, ma dentro avrei voluto gridare. La donna di fronte a me di tutta risposta esplose in una fragorosa risata e gettò la testa indietro. Sembrava divertirsi un sacco –Stai tranquilla, micetta-. Appena finito di parlare si portò una mano davanti alla bocca continuando a sogghignare sotto i baffi. Aveva i capelli corvini raccolti in una coda alta ed era vestita di tutto punto, con dei pantaloni aderenti neri e una blusa del medesimo colore. Sarebbe stata una bellissima donna se non fosse stato per gli occhi dalle iridi di un nero innaturale e iniettati di sangue. La pelle del collo era tirata e sulle mani aveva delle chiazze violacee. La pelle era così pallida da sembrare di porcellana ma di una sfumatura innaturale, cinerea.
Se davvero era una di quei chimeri non mi sarebbe bastato il mio allenamento e qualche gene felino. Mi serve un arma.
Allora, colta dalla consapevolezza che, senza un arma, mi avrebbe di sicuro fatto fuori dopo dieci minuti, cercai di prendere tempo, e guardandomi intorno provai a chiedere –Perché sei qui?- questa volta la voce uscì fuori quasi come un ringhio, gutturale e profondo. Lei inclinò la testa e con un finto sorriso angelico, particolarmente inquietante mi rispose –La micetta tira fuori le unghie?- .
Non mi diete il tempo di rispondere che riprese a ridere buttando la testa di nuovo all’indietro. Mi stavo innervosendo e se non avessi trovato a breve qualcosa con cui difendermi avrei dovuto combattere disarmata. E la cosa non mi piaceva affatto, visto il nemico he avevo di fronte. Lei vide, o forse addirittura percepì il mio disappunto e l’insicurezza che per un attimo mi era balenata in facia e tornò a rivolgere la propria attenzione su di me.
-Sai, pensavamo di uccidervi una per una…- mentre pronunciava quelle parole vidi nell’angolo destro del giardino, subito dietro alle spalle del chimero, gli attrezzi da giardino che mio padre aveva lasciato abbandonati lì. Tra quelli spiccava un lungo bastone di legno che probabilmente un tempo era stato il manico di una delle pale usate dalla mamma per curare le piante. Bingo! Sarebbe stata una buona arma, non ottima, ma sufficiente. Se solo riuscissi a distrarla.
-Non vedo l’ora di vedere quanto è forte la leader delle Mew Mew-. Un ghigno divertito apparve sul mio viso e per un attimo sembrò turbarla. Poi con un lampo di genio, capii che se volevo recuperare quella pseudo-arma abbandonata là in fondo avrei dovuto attaccarla, in modo da avvicinarmi a lei, e di conseguenza, al muro alle sue spalle.
La ragazza sembrò capirlo e in un batter d’occhio me la ritrovai di fronte intenta a colpirmi con una gomitata in piena faccia. I geni dell’Iriomote però giunsero subito in mio soccorso e con velocità innaturale schivai il suo attacco voltandomi sulla destra e afferrandola per il braccio. Sembrò colta di sorpresa per l’agilità con la quale avevo reagito e mi tirò verso di se facendo leva sul braccio che io stessa avevo afferrato. Le tirai un calcio nello stomaco e grazie alla spinta mi ritrovai a due o tre metri da lei, che a causa del colpo si era piegata su se stessa. Credevo di averla ferita quando tirò su la testa e fissandomi mi sorrise divertita. Stava solo giocando.
 Ero a pochi passi dall’attrezzo tanto agognato; cosi iniziai a indietreggiare sempre sotto il suo sguardo divertito. Aveva capito cosa stavo per fare ma non sembrava volesse fermarmi, anzi questo eccitava i suoi istinti di cacciatrice ancora di più. Decisi di accontentarla e afferrai il bastone con la mano destra. Lo feci ruotare due volte a passandolo dietro la schiena lo passai nella mano destra brandendolo come fosse una spada. Mancava poco che la mia avversaria iniziasse a battere le mani e saltellare a destra e manca felice di vedermi pronta al combattimento.
-Vieni qui, stronza-. La chiamai sempre ringhiando.
Non volevo che mi vedesse semplicemente come una gattina con cui fare i suoi giochi. Non ero più la Strawberry di una volta.
Accolse il mio invito di buon grado e mi si gettò addosso. Parai tre o quattro attacchi con il legno ma fui colta di sorpresa dalla ginocchiata che mi piantò il pieno petto. Senza mollare l’arma indietreggiai di qualche passo cercando di non perderla di vista e recuperando quel poco di respiro che mi era rimasto nei polmoni. La stronza parve compiaciuta e ammicco verso di me, muovendosi lentamente e sinuosamente, come a volersi gustare il momento, e godendo nel vedermi in difficoltà. Decisi di farle credere ancora per un po’ di stare al suo gioco per poterla cogliere di sorpresa. E quando fu abbastanza vicino mi accucciai, colpendola con un calcio alla gamba destra e lei vacillò cadendo a terra. Ora ero io ad avere la meglio così mi gettai su di lei puntandole la parte spezzata e più tagliente della mia arma al petto ma lei la evitò ruzzolando su un lato e rialzandosi con un colpo di reni.
Mi fu alle spalle un millesimo di secondo dopo ma aspettandomelo feci leva sulle gambe e, non appena mi afferrò le braccia cingendomi con una mano gelida il collo la colpii con una testata ben piazzata.
Barcollò e approfittai del suo momento di debolezza per colpirla alle spalle. L’impatto fu abbastanza forte da farla cadere a quattro zampe, così le balzai sopra tirandole i capelli per farla voltare e portai il bastone sotto la sua gola trattenendole le braccia con le ginocchia.
-E ora, ci facciamo una bella chiacchierata- sembrò non essere contenta della piega che stava prendendo la situazione e cercò di liberarsi ma la tenevo troppo saldamente e alla fine smise di agitarsi sotto il mio peso.
-Chi ti dice che io abbia voglia di parlare?- rispose poi. Era incazzata nera.
- Beh non mi aspetto certo una chiacchierata di piacere- lo dissi convinta, sottovoce, indurendo la presa sulla coda e tirandole di più i capelli, costringendola a storcere il collo ancora più verso di me. Piantò quei pozzi di petrolio che erano i suoi occhi nei miei e mi sentii per un attimo terribilmente indifesa di fronte a quella disumanità che ormai abitava il corpo di quella ragazza.
Con una forza innaturale si liberò le braccia dal mio peso e mi spinse via da lei. Rotolai indietro per una o due volte poi mi alzai, rimanendo accucciata, pronta ad attaccare da un momento all’altro, come un animale che nascosto attende che la sua preda faccia un passo falso per poterla attaccare. 
-Sai mi aspettavo che fossi rimasta più fuori allenamento di così- fece una pausa, poi riprese il filo del discorso – ti trovo bene Mew Berry- aveva il fiatone, ero riuscita a metterla in difficoltà più di quanto volesse dare a vedere.
-Dimmi cosa vuoi e facciamola finita, non voglio giocare con te-. Mi stavo stancando di stare dietro ai suoi giochetti e volevo sapere perché addirittura era venuta a casa mia. C’era sotto qualcosa più grande di quanto avevamo immaginato io e Ryan e volevo far luce.
-Per tua sfortuna sono venuta proprio per giocare con te, gattina- mi sorrise – quindi, credo proprio che per oggi dovrai accontentarti di sapere che vi faremo fuori una ad una-.
Mi stava dando sempre più sui nervi. Bene, se non voleva collaborare con le buone, l’avrei fatta parlare a modo mio. Con uno scatto felino le fui davanti e in un attimo la colpii alla tempia con la punta dell’arma improvvisata che avevo racimolato. Lei si scostò di corsa e si portò una mano alla testa sanguinante. Si osservò le dita e le portò alla bocca, assaporando il sapore metallico del sangue e socchiudendo gli occhi fingendosi quasi estasiata. Era divertita. Feci per muovermi ancora verso di lei per attaccarla, ma mi afferrò per il braccia buttandomi a terra.
Non appena mi rialzai la cercai con lo sguardo, ma era scomparsa.
Ti troverò, e ti farò parlare. Fosse l’ultima cosa che faccio.

***

Decisi che mi sarei dovuta dare una ripulita prima di andare al Caffè e raccontare tutto a Kyle e Ryan visto che avevo i capelli pieni di foglioline e la faccia sporca di terra e sangue. Salendo le sale, prima di gettarmi sotto la doccia mi ero accorta che quella stronza era riuscita a colpirmi così forte alla faccia che un rivolo di sangue mi colava dalla bocca. Ok, ora mi stavo stranendo.
Indossai un paio di Jeans attillati a vita alta e gli anfibi, chiusi la giacca di pelle sulla camicia bianca e nera e legai i capelli in una crocchia disordinata sopra la testa.  Afferrai senza pensarci la borsa in camera e mi diressi al Caffè.
Quando arrivai l’atmosfera era decisamente diversa da quella del giorno precedente. La porta principale era spalancata e Kyle, all’interno del locale stava dando una bella ripulita a terra sbuffando di tanto in tanto e facendo sollevare la frangetta, che poi gli ricadeva disordinatamente sulla fronte.
Salutai di fretta il ragazzo che mi ricambiò con un sorriso e mi diressi giù in laboratorio dove sapevo avrei trovato Ryan.
Gli scatoloni lungo le scale erano scomparsi, segno che Kyle, forse aiutato da un più pigro Ryan si erano dati da fare davvero quella mattina.
Quando giunsi di fronte alla porta del laboratorio tirai un sospiro di sollievo. Mi piaceva stare in quel posto. Era come se mi trovarsi a casa, ma non abbastanza a casa da farmi sentire costantemente la presenza (o meglio la mancanza) di mia madre. Per di più lì, ero al sicuro.
La mia speranza di passare la giornata persa tra le ricerche assieme a Ryan, cercando di indispettirlo e infastidirlo però andarono in frantumi non appena spalancai la blindata, dopo aver inserito il codice.
Le luci della stanza erano soffuse e le pareti bianche erano illuminate per lo più dagli schermi colorati dei computer e delle macchine che di tanto in tanto lanciavano suoni metallici.
Ryan era seduto sulla solita sedia, dandomi le spalle e aveva le mani dietro la nuca come era solito starsene spesso. Ma non era solo.
Fujiko, la sua bella fidanzatina giapponese, stava seduta sopra di lui, poggiata su una delle gambe del capo del progetto Mew. La gonna era leggermente sollevata e non lasciava molto spazio all’immaginazione lasciando intravedere buona parte delle cosce toniche. Era chinata appena e stava posando le sue labbra su quelle del biondo quando si accorse della mia presenza. Sembrò scocciata del fatto che fossi lì e si raddrizzò con la schiena salutandomi con la mano. Il biondo si decise a muoversi solo quando la vide allontanarsi da lui, ma ero sicura al 100% che mi avesse sentita già mentre stavo scendendo le scale. Dopotutto anche lui aveva i geni del gatto.
-Ciao Fujiko- sorrisi falsamente, sperando dentro di me di non darlo troppo a vedere visto che non volevo dare a quella gallina la soddisfazione di rendersi conto apertamente che proprio non riuscivo a sopportarla –è da tanto che non ci vediamo-. 
Lei annui –Già, ora ci vedremo molto più spesso però- mi fece l’occhiolino e poi si chinò a baciare il ragazzo che era rimasto seduto. Il mio stomaco fece una capriola, colto tra il nervoso che quella Fujiko mi provocava e il disgusto della situazione in cui ero incappata. Sapevo che tutte le volte che si trovava in mia presenza doveva accertarsi che tutte le attenzioni di Ryan fossero rivolte a lei e ben distanti dalla mia figura. Ma che pensa? Che io sia interessata a lui? Sorrisi al pensiero, poi un secondo dopo raggelai, chiedendomi perché non appena quell'idea mi era balenata in testa il mio cervello non l’avesse bollata con la scritta impossibile di un bel rosso acceso.
La mora mi passò a fianco e fui invasa da un ondata del suo profumo, che mi nauseò non poco. Dio, non la sopporto proprio!
Solo in quel momento Ryan si degnò di donarmi un po’ della sua attenzione e una volta che la fidanzata fu fuori dalla stanza mi scrutò in lungo e in largo come se non riuscisse ancora a capacitarsi del cambiamento che in quegli anni mi aveva sconvolto così tanto.
Il calore con cui mi osservò duro solo pochi secondi, poi il suo sguardo tornò glaciale come sempre.
– Che vuoi, Strawberry?- chiese gelido tornando a voltarsi verso lo schermo che illuminandolo gli conferiva un colorito pallido. Mi sedetti nella sedia di fianco a lui e mi persi anch’io a fissare il computer che al momento trasmetteva immagini varie di luoghi dove probabilmente si annidava l’acqua Cristallo che ancora non eravamo riusciti a scovare.
-Stamattina mi hanno attaccata- pronunciai la frase con tutta la tranquillità possibile, come se gli stessi raccontando cosa avevo mangiato per colazione o a cena la sera precedente. Lui di tutta risposta si voltò con gli occhi sgranati, fissandomi serio e cercando di capire se fossi o meno seria.
-Che significa che ti hanno attaccata?- chiese.
-A casa mia, era una ragazza. Si stava aggirando nel mio giardino e quando sono uscita fuori per vedere chi fosse mi ha attaccata, dicendomi che prima o poi ci avrebbero eliminato tutte- feci una pausa tornando a fissare lo schermo per poi proseguire – in pratica sa, o meglio, sanno, che gli metteremo presto e volentieri i bastoni tra le ruote-.
Ryan ribolliva letteralmente di rabbia –Sapevi che era uno di quei Chimeri, Strawberry?-. Stava cercando di mantenere la calma, infatti parlò molto lentamente, soffermandosi appena sul mio nome. Sapevo che sperasse dicessi che no, non sapevo chi mi sarei trovata davanti, perché altrimenti per lui sarei stata non molto coraggiosa, ma anzi, solo tremendamente stupida. Tuttavia la voglia di farlo incazzare era troppa e soprattutto se avessi detto il contrario avrei mentito spudoratamente solo per farlo contento, il che non era affatto da me.
-Sapevo che era una di loro- mi stavo preparando all’esplosione –è praticamente impossibile non riconoscere il loro odore.- scandii bene la parola “impossibile”, tornando a guardarlo dritto negli occhi. Anche lui nello stesso istante tornò a puntare quei pozzi azzurri che erano i suoi occhi si di me e mi fulminò con lo sguardo. Probabilmente se avesse potuto mi avrebbe strangolata lì sul momento.
Negli anni passati era sempre stato un po’ restio nel mandarmi in “missione” da sola ed era stato segretamente e infinitamente grato a Dio quando Mark aveva deciso di accompagnarmi. Ora evidentemente, pensava che sarebbe stato in grado di impedirmi di andare a cercare i guai, ma aimè erano loro che cercavano me, e su questo Ryan non avrebbe potuto intervenire in alcun modo.
-Strawberry sei una ragazzina! Una stupida ragzzina!-
Boom. La bomba era esplosa. Aveva quasi gridato quelle parole prendendomi da una parte un po’ alla sprovvista e facendomi salire dentro una rabbia a me ben nota. Quel tipo di incazzatura che solo Ryan era in grado di tirarmi fuori arrivando a farmi scoprire le parti peggiori di me. –Che avrei dovuto fare? Chiudermi in casa e chiamare soccorsi?-
Mi ero alzata dalla sedia buttandola praticamente a terra e mi ero chinata pericolosamente verso di lui cercando di sovrastarlo e impormi sulla sua figura, che altrimenti anche da seduto sarebbe stata molto più alta della mia.
-Ecco. È esattamente quello che avresti dovuto fare!- era deciso più che mai a farmi passare per una scoscenziata.
-Si certo, e magari nel frattempo, avrei potuto offrirle una bella tazza di tè?-. Ok stavo iniziando ad essere leggermente stranita dal suo comportamento da fratello maggiore. Non avevo bisogno di una balia, tanto più se questa balia era proprio Shirogane. Stava per controbattere ma fui più rapida di lui.
-So difendermi anche da sola, non ho bisogno di tutta la cavalleria Ryan!-.
Lui fece un lungo sospiro e tornò calmo e controllato come sempre –Non mi importa della tua incolumità, Strawberry. Però così rischi di mandare a puttane tutto prima ancora di aver iniziato.- Le sue parole mi colpirono con la forza e la velocità di uno schiaffo e per un attimo, dopo aver ricevuto il “colpo” sgranai gli occhi. Colpita e affondata, Strawberry.
Per un attimo la consapevolezza di non valer più nulla per lui, fu dolorosa come nient’altro. Sentii qualcosa spezzarsi e lo stomaco rivoltarsi in mille capriole fino a intrecciarsi del tutto. Poi fui invasa dalla consapevolezza che non avevo bisogno di lui e mi salì dentro tutta la rabbia che disperatamente avevo tenuto dentro negli ultimi otto mesi. Cercai di trattenere le lacrime che spingevano per poter uscire e non solo quelle. Dovetti portarmi le mani in grembo e tenerle ferme l’un l’altra per non sganciargli uno schiaffo che si sarebbe ricordato per tutta la vita.
Mi alzai senza nemmeno guardarlo e feci per uscire. Quando fui sulla soglia mi voltai quanto bastava per vederlo con la coda dell’occhio. –Non rovinerò il tuo progetto, puoi starne certo- quasi lo sussurrai, ma ero sicura che lui l’avesse sentito. Come ero sicura che si fosse reso conto che stavolta, aveva esagerato e non l’avrebbe passata liscia tanto facilmente.


Fine POV Strawberry


***

Pam e Mina si presentarono davanti alla porta di casa Momomya verso le 8, quando ormai il sole era calato all’orizzonte e la luna illuminava flebile la città di Tokyo.
Pam non era cambiata per nulla, era sempre della solita bellezza sconcertante anche se i capelli erano leggermente più corti di quando l’aveva incontrata l’ultima volta. Mina era rimasta minuta come cinque anni prima ma l’espressione matura che portava con decisione sul viso la faceva sembrare una giovane donna sicura di se.
La modella la salutò semplicemente con un bacio sulla guancia mentre Mina inaspettatamente le si gettò al collo, quasi commossa. Dopo tutto lei era stata fin dall’inizio la sua migliore amica e la lontananza dovuta a tutti quegli anni a Londra si era fatta sentire per entrambe. Anche per la più fredda e calcolatrice ballerina. Strawberry non potè fare a meno di invitare le due a cena tanta era stata la contentezza nel trovarsele sulla soglia di casa.
La cena trascorse tranquilla e per più di una volta la rossa rischiò di arrivare alle mani con la vecchia mew bird sotto lo sguardo divertito di Pam, proprio come ai vecchi tempi.
Arrivate le 11 le ragazze salutarono l’amica e si avviarono a casa consapevoli che il giorno seguente si sarebbero ritrovate tutte al Caffè Mew Mew, dovendo parlare in definitiva del nuovo progetto.

POV Strawberry

Le ragazze erano andate via da mezz’ora e da mezz’ora non facevo altro che starmene seduta con le gambe al petto sul divano, davanti alla tivù accesa, senza degnarla della minima attenzione. Le parole di Ryan mi avevano ferito così tanto che non riuscivo a smettere di pensare a quanto male aveva fatto sentire pronunciare quelle parole proprio da lui, con così tanta freddezza da farmi congelare dentro, fino alle ossa.
Stufa di piangermi addosso mi alzai e lasciai il soggiorno per dirigermi in cameretta. Entrai senza nemmeno accendere la luce, ringraziando la vista da gatto che lo stronzo sopracitato mi aveva donato cinque anni prima. Stavo per chiudermi in bagno quando qualcosa attirò la mia attenzione sul letto. Leggermente indispettita mi guardai in torno cercando di capire se ci fosse qualcuno nascosto in camera ma non trovai nessuno. Uh. La finestra.. pensai. Era stranamente aperta, anche se ricordavo benissimo di averla chiusa prima della cena con le ragazze.
Mi avvicinai al letto curiosa e mi chinai a raccogliere il foglio di cartoncino bianco, ripiegato appena, sopra il cuscino. La carta era fine e quando l’avvicinai al naso un odore famigliare mi pervase le narici. Aprii il pezzetto di carta e lessi le poche lettere che erano state incise sul foglio bianco con la penna nera.
“Mi preoccupo per te. Scusa.”
Il messaggio non recava nessuna firma ma sapevo benissimo a chi appartenesse quella grafia e, soprattutto, a chi appartenesse quell’odore.
Non potei fare a meno di sorridere.

 

   
 
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