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Autore: Panenutella    28/03/2016    3 recensioni
Sara Vitali è una che scappa: ha lasciato l'Italia, ha cambiato cognome e numero di telefono pur di sfuggire al suo stalker, e si è nascosta a Belfast nella speranza che lui non la trovi mai. Non si fida di nessuno e sente il disperato bisogno di sentirsi al sicuro, protetta e non più sola. E' in questo stato che una sera in un anonimo bar incontra Kit Harington, appena uscito dalla sua relazione con Rose Leslie e nel pieno delle riprese del Trono di Spade. Sara non pensa che da quell'incontro possa cambiare qualcosa, ma scoprirà presto di sbagliarsi.
Nota: il primo capitolo è identico alla prima parte della mia One-Shot "Two stories in the night". Se siete curiosi di leggere anche la seconda, fateci un salto! Grazie in anticipo a chi leggerà.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kit Harington, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Certe notti

Certe notti ti senti padrone di un posto che tanto di giorno non c’è
Certe notti se sei fortunato bussi alla porta di chi è come te
- Ligabue

Dei forti colpi alla porta mi fanno sobbalzare risvegliandomi da un sogno tormentato. La mia mano cerca istintivamente lo spray al peperoncino sul comodino.
 L’amministratore del condominio in cui vivo da tre mesi da urlando dal pianerottolo.
- Vitali! Il tuo cazzo di contratto è scaduto da una settimana! Fai le valigie e levati dalle palle!
Mi passo una mano sugli occhi, un sospiro esce spontaneo dal petto. – Ho capito, ho capito!
Ancora colpi. – Hai due ore, poi faccio sfondare la porta e butto via tutta la tua merda!
Con passi pesanti si allontana lungo il corridoio e io mi metto a sedere sul letto.
Questo non è un appartamento, non lo è mai stato: è soltanto una topaia piena di infiltrazioni d’acqua, carta da parati ammuffita e mobili rotti… ma è l’unica cosa a 20 sterline la settimana, l’unica cosa che possa permettermi.
Non c’è da stupirsi che l’amministratore sia abituato ad avere a che fare con spacciatori, scapestrati e via discorrendo.
Mi passo una mano tra i capelli. Puzzo come un maiale, e ho finito lo shampoo. E poi la doccia è solo un buco nel soffitto da cui esce l’acqua, qui.
In che schifo di vita mi sono cacciata…
Mi alzo, lo stomaco brontola dalla fame. E non posso mangiare: ho lasciato la borsa al bar ieri sera.
Digrigno i denti.
Kit Harington. La sua giacca sembra guardarmi dalla sedia accanto alla porta, il suo numero di telefono è mezzo sbiadito sul palmo della mia mano. Quello è un 5 o un 6?
Devo chiamarlo per forza, maledizione!

*Kit*

- Avresti dovuto vederla, Rick. Come si guardava le spalle.
Espiro una boccata di fumo tenendo la sigaretta fra due dita. Siamo al tavolo esterno di un bar, io e Richard: è venuto a trovarmi da Londra. Ho appena finito di raccontargli di ieri sera, e lui mi guarda con un sorriso da prendere a schiaffi.
-  Accidenti Kit, sei proprio cotto marcio! Credevo che Rose fosse la tua anima gemella.
Abbasso lo sguardo, colto sul vivo da quell’affermazione.
- Rose è ancora tabù? – Continua.
- Non so se mi chiamerà – Lo ignoro. – Ha la mia giacca e io la sua borsa.
- Ti chiamerà, amico.
- Ne dubito.
Il mio Iphone comincia a squillare, mostrandomi uno “Sconosciuto” come chiamante.
- Che ti avevo detto?
- Ti diverti a farti beffe di me, vero? – Lo fulmino con lo sguardo prima di rispondere.
- Pronto, sono… sono io. Sara.
- Ehi! – Un accenno di sorriso si dipinge sul mio volto. – Come hai fatto a chiamarmi, visto che il tuo cellulare è nella borsa?
- Non ho nessun cellulare. Io… sono a una cabina telefonica.
Colto sul fatto a dire balle. Iniziamo bene.
- Hai tu la mia borsa? – Chiede preoccupata. Richard mi si avvicina e tende l’orecchio verso il telefono. Che spregiudicato.
- Sì, ce l’ho io. E tu ha la mia giacca.
- Sì.
- Dovremmo incontrarci e optare per lo scambio di ostaggi.
- Sì.
- Dove?
Una pausa lunga dieci secondi. – Vediamoci al porto, stasera alle nove, accanto al molo delle barche a vela.
- Ci sarò.
Riappende senza salutare, come se fosse di fretta. Richard mi guarda mentre poso il cellulare.
- Caspita – commenta. – Non ho mai sentito voce più monosillabica. Vuoi che ti accompagni stasera?
- No, andrò da solo. Credo che smetta di fidarsi di me.
- Sempre che si fidi. – Mi fa notare, ottenendo in risposta un altro sguardo fulminante.

Il buio è fitto stasera, rotto soltanto dalle luci dell’imponente museo del Titanic, poco lontano dal molo. Mi avvicino stringendomi nel maglione. Per fortuna oggi non piove.
Percorro il molo senza vedere nessuno, finché non scorgo una figura appoggiata al muro. Mi avvicino piano, e non appena Sara si volta verso di me fa un balzo all’indietro. Anche lei è vestita leggera e rabbrividisce dal freddo, ma per qualche motivo non indossa la giacca che tiene stretta al corpo con un braccio.
- Mi hai spaventata – mi saluta, allontanandosi di un passo.
- Ti chiedo scusa.
- Pensavo che fossi… - scuote la testa e mi porge la giacca. – Tieni.
Prendo l’indumento e con la mano libera le porgo la borsa, dentro cui c’è soltanto un’agenda. Non ho resistito, e a casa ci ho guardato dentro.
Sara la prende e se la mette a tracolla.  – Grazie.
- A te.
Solo ora noto che tiene accanto a lei un trolley verde mela.
- Parti? – Chiedo, una minima ondata di paura sullo stomaco.
- No, io… il contratto del mio appartamento è scaduto e il padrone mi ha cacciata.
- Hai dove andare?
Mi guarda mestamente. – Con le ultime 30 sterline non credo di trovare un altro posto, stanotte. – Prende in mano il manico del trolley.
- E cosa vuoi fare, dormire sotto un ponte? – Muovo un passo verso di lei, e Sara recupera la distanza indietreggiando. Il bacio di ieri è stato un errore madornale. Un impulsivo e bellissimo errore.
Si stringe nelle spalle. I suoi capelli sono mossi dal vento e le finiscono in faccia. – Non sarebbe la prima volta.
Comincia a camminare. – Ciao, Kit.
Mi supera e si avvia verso l’uscita del molo. Devo fare qualcosa, non posso permettere una cosa simile.
- Sara? - Si volta a guardarmi, in attesa. – Puoi stare a casa mia, se vuoi.
Scuote energicamente la testa senza staccare gli occhi dai miei. – Non mi sembra il caso.
- Ti darei il piano di sopra. Avresti la chiave della porta che separa i piani solo per te, un letto caldo e un bagno pulito. L’unica cosa che saresti costretta a condividere con me sarebbe la cucina, e il salotto. – Insisto.
- Per quanto alla settimana?
- Non voglio niente.
Mi guarda storto. – Non credo che tu sia così generoso da propormi un piano della tua casa completamente gratis.
Incrocia le braccia, come a mettere una barriera tra di noi. Cosa pensa che voglia in cambio, il sesso? Pensa che mi infili di notte sotto le sue lenzuola e la molesti?
Muovo un passo verso di lei, la rabbia che comincia a farsi strada in me come in un buco fra gli scogli.
- Il fatto che il tuo ex ragazzo sia un figlio di puttana non implica che debba esserlo anch’io.
Si irrigidisce.
- Non posso permettere che tu dorma sotto un ponte, è fuori discussione. Ho un piano che praticamente non uso, e non mi costa nulla darti una mano. Sono dannatamente ricco.
- Modestamente, eh? – Commenta aspra.
- Ti chiedo solo di farmi questo favore: permettimi di aiutarti.
Non sei sola, aggiungo mentalmente.
Sara abbasso lo sguardo sulla valigia, come meditando sulla decisione da prendere. Io aspetto più pazientemente che posso, in attesa di un suo “Sì, Kit. Ti permetto di aiutarmi”.
- Allora? – Incalzo ansioso. Sara alza lo sguardo su di me.
- Va bene. Andiamo.

   
 
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