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Autore: Adeia Di Elferas    29/03/2016    2 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Quella notte Monsignor Savelli radunò gli Anziani più autorevoli e strappò l'autorizzazione a formare un nuovo consiglio, chiamato Consiglio degli Otto, che avrebbe sostituito ogni altro organo decisionale fino a nuovo ordine.
 Le motivazioni mosse dal messo papale erano molte, ma in testa spiccava quella della 'rapidità decisionale' che era, a suo dire, 'indispensabile' per sbloccare la situazione presente.
 Il religioso temeva che la Contessa Riario potesse, in che modo era difficile dirlo, preparare delle contromosse, dunque era di fondamentale importanza prendere decisioni in fretta e senza bisogno di lunghe votazioni.
 “Avete scritto al nostro amico?” chiese Ronchi, nel corso di quella lunga notte, prendendo un momento in disparte Checco Orsi.
 Questi, stravolto dal sonno e dalla tensione di quei giorni e ancora non del tutto ripresosi dal trauma di non veder crollare a terra morto il Conte al primo colpo di pugnale, fece spallucce e si limitò a dire: “Sì, ma finché la rocca di Ravaldino non cade, possiamo sognarci il suo aiuto.”
 
 “Vi preghiamo, per il piccolo!” implorò la donna, porgendo la culla alle guardie.
 “Per il piccolo!” ribadì il marito, Achille Bighi.
 I soldati si guardarono un momento, poi si decisero a prendere la culla e a scacciare i due forlivesi che, vivendo molto vicini alla rocca di San Pietro, avevano deciso di donare la culla ormai smessa del loro bambino, impietositi al pensiero del figlio più piccolo della Contessa.
 “Grazie!” ringraziò la signora Bighi: “Che Dio si ricordi di questa vostra gentilezza!”
 Le guardie dissero ancora ai due forlivesi di allontanarsi e questi fecero così, sicuri che la culla avrebbe reso meno penosa la prigionia a quel povero lattante.
 Una delle due guardie portò subito il dono nella cella, gettandolo con malagrazia verso la Contessa: “Regalo di due vostri concittadini.” spiegò e si richiuse subito la porta alle spalle.
 Mentre tornava all'ingresso principale, quella guardia si trovò a pensare che, per essere stata appena rovesciata, quella donna aveva ancora troppa gente che le dimostrava dell'affetto o quanto meno della pietà. Era una cosa molto pericolosa, secondo lui, ma non aveva l'ardire di riferire il proprio pensiero agli Orsi, tanto meno al Savelli.
 
 La notte nella cella di San Pietro passò lenta, ma leggermente addolcita dall'arrivo della culla per Sforzino.
 Il piccolo si era subito addormentato, in quel giaciglio, ma restava pallido e debole. Le sue piccole labbra erano screpolate, così come cominciavano a essere anche quelle degli altri prigionieri.
 I bambini più piccoli non avevano più nemmeno la forza di piangere, mentre i più grandi stavano attaccati alle gonne della madre, che, dopo l'arrivo della culla, non aveva più aperto bocca.
 Solo quando l'alba si stava avvicinando, Caterina capì che i tempi erano maturi. Era il momento di giocarsi il tutto per tutto.
 Così come aveva fatto a Castel Sant'Angelo, si prese un momento per trovare la forza e poi si preparò ad agire in modo inflessibile e senza esitazioni.
 Se Bernardi era riuscito nel suo compito, allora il piano sarebbe filato liscio, almeno all'inizio. Se invece il barbiere-storico aveva fallito, allora erano tutti spacciati, a prescindere da quello che Caterina avrebbe detto o fatto nelle ore a venire.
 Schiarendosi la voce, la Contessa fece segno a Ottaviano, Cesare e Bianca di farsi ancora più vicini a lei.
 I bambini, gli occhi incavati e gli animi scossi, si aggrapparono con forza alla madre e si misero in ascolto, mentre lei cominciava: “Dovete farmi una grande promessa.” cominciò a dire, lottando con la gola secca.
 Lucrezia, nel suo angolo accanto a Livio, la guardava di sottecchi, capendo che qualcosa stava per accadere. Tuttavia non volle intromettersi e lasciò che Caterina parlasse tranquilla con i suoi tre figli maggiori. Aveva giurato di fidarsi di lei e di fare solo ed esclusivamente quello che lei le avrebbe detto di fare, e così avrebbe fatto, fino alla fine.
 Caterina la prese alla larga. Parlò di Francesco Sforza e di Bianca Maria Visconti, parlò di Galeazzo Maria Sforza e di tutti gli altri antenati illustri dei suoi figli. Parlò loro anche di se stessa e di come aveva combattuto accanto agli Orsini nella guerra che aveva lambito Roma anni prima. Cercava di infondere in loro tutto il coraggio possibile con quegli esempi. Voleva dimostrare a quei tre bambini che le avversità si potevano vincere, se si restava saldi nello spirito e animati dal coraggio.
 “E voi avete il sangue degli Sforza, nelle vene – li aveva rassicurati – dunque il coraggio è insito nel vostro carattere.”
 Ebbe il sospetto che tutte quelle parole stessero in parte cadendo nel vuoto. Quelli erano bambini spaventati, affamati e assetati. Non potevano capire appieno quello che lei stava cercando di comunicare loro.
 Così sospirò e si fermò un momento, cercando le parole migliori per concludere quel lungo discorso.
 “Dovete promettermi – riprese Caterina, a voce bassa, ma decisa, guardando i tre bambini uno per uno – che qualunque cosa mi sentirete dire o mi vedrete fare, qualunque cosa mi succeda, qualunque cosa vi diranno su di me, voi non smetterete mai di credere che io vi amo sopra ogni cosa e che tutto quello che farò e dirò lo farò o lo dirò solo per salvarvi.”
 Bianca le si attaccò subito al collo, baciandola sulla guancia e dicendo, con la sua voce vellutata: “Io lo prometto.”
 Cesare fece altrettanto, con tutta la sua innata dolcezza.
 Ottaviano, invece, restò un momento immobile a guardare con sospetto sua madre. Caterina capì che spettava a lei fare la prima mossa. Inoltre, quella poteva essere l'ultima volta in cui le sarebbe stato concesso di abbracciare il suo primogenito, perciò aspettò che Bianca e Cesare la lasciassero, per allungare le braccia verso Ottaviano.
 Lo tenne stretto a sé, fingendo di non notare come il bambino invece rimanesse immobile e rigido nel suo abbraccio.
 “Vi amo tutti, in egual misura. Non ti abbandonerò mai.” gli sussurrò nell'orecchio, in modo che solo lui sentisse.
 Ottaviano parve convincersi e così, timidamente, ricambiò appena l'abbraccio, ma si staccò abbastanza in fretta dalla madre, reprimendo, visibilmente, le lacrime, mentre diceva: “Lo prometto anche io.”
 Caterina, allora, passò una mano sulla testa del piccolo Sforzino, accarezzò le guance di Livio e di Gian Galeazzo, poi prese le mani delle balie e le ringraziò. Abbracciò la sorella e infine si lasciò cullare un momento da Lucrezia, ribadendole in un bisbiglio: “Fidati di me.”
 Finiti i saluti, Caterina andò alla porta della cella e gridò: “Devo parlare con il vescovo Savelli!”

 Lodovico Ercolani aveva le mani sudate e il cuore impazzito nel petto.
 Doveva essere pazzo a stare lì in attesa del Monsignor Savelli. Temeva che la verità gli si leggesse in viso e ogni minuto d'attesa in più era un supplizio.
 Era un ragazzo pacato, gentile, per nulla avvezzo all'eroismo. Perchè si era prestato a un simile doppio gioco?
 “Il Monsignor Savelli è pronto a ricevervi.” disse una delle guardie, facendo strada a Ercolani.
 Il servo, ringraziato il soldato, avanzò con passo malfermo, tormentandosi le mani e mordendosi il labbro. Così non andava, era troppo teso, si sarebbe di certo tradito...
 Prima che potesse cambiare idea o trovare un modo per celare il proprio disagio, Lodovico si trovò di fronte Savelli che lo squadrava interrogativo.
 “Come mai avete chiesto di vedermi, buon uomo?” chiese il religioso, attorcigliandosi la punta della barba con due dita.
 Lodovico, non trovando modo migliore per celare il proprio volto arrossato al vescovo, si buttò in ginocchio, chinando il capo in modo che i capelli nascondessero il suo viso e disse, tutto d'un fiato: “Mio signore, vengo qui per conto del castellano Tommaso Feo. Egli teme per la sua signora e per i bambini di quest'ultima. È pronto a cedere la rocca, a patto, però, che prima permettiate alla Contessa di parlare con lui di soldi. Sembra che ella gli debba ancora molto danaro per conto del marito e Feo intende sistemare queste questioni, prima di andarsene. Però Feo dice anche che se preferite saldare voi il debito della Contessa, accetterà volentieri un vostro inviato che porti con sé tutto il dovuto e lascerà allora ugualmente la rocca, anche senza vedere la Contessa.”
 “Sciocchezze...” disse subito Savelli, scartando a priori l'idea di saldare un debito non suo: “Potranno parlare di soldi dopo. Prima ceda la rocca.”
 “Mi spiace, mio signore – insistette Ercolani, agitato – ma il castellano ha deciso così e se non lo lascerete fare, egli non cederà mai la rocca, credete a me.”
 Savelli ci pensò un secondo, poi fece chiamare di fretta il Consiglio degli Otto, e costrinse Ercolani a ripetere il tutto, parola per parola.
 “Per me va bene.” disse subito Ludovico Orsi: “Abbiamo i suoi figli.” aggiunse, con ovvietà.
 “Infatti. Non oserà certo gabbarci, mentre noi abbiamo in mano nostra i suoi figli e sua madre.” concordò Checco.
 “E sua sorella.” precisò Ronchi.
 Tutti gli otto nuovi consiglieri votarono a favore e così Savelli se ne lavò le mani e si apprestò ad andare nella cella in cui la Contessa detronizzata languiva assieme al resto della sua famiglia.

 “Oh, eccovi.” disse una guardia, andando incontro a Savelli: “La prigioniera ha chiesto di voi.”
 Savelli restò un momento spiazzato, ma, incuriosito, si affrettò a raggiungere la cella per scoprire cosa stava succedendo.
 “Ditemi pure.” fece, una volta che fu davanti a Caterina.
 La giovane guardò prima Savelli e poi gli Orsi, che facevano bella mostra alle spalle del prelato, e diede uno sguardo distratto anche a tutti gli altri.
 Erano stati molto veloci. Tanto veloci che per un momento la donna pensò che non fossero lì perchè lei li aveva fatti chiamare, ma per un altro motivo.
 Poco importava.
 “Voglio arrendermi.” disse Caterina, saltando i convenevoli.
 Monsignor Savelli aprì la bocca, stupito come un bambino, e anche gli altri non furono da meno nell'esternare la loro sorpresa.
 Caterina dovette fare del suo meglio per ignorare il fremito di sconcerto e paura che aveva smosso i suoi figli più grandi, sua sorella e le balie. L'unica che non aveva reagito in alcun modo era stata Lucrezia.
 “E come la mettiamo con rocca?” chiese Savelli, appena si fu ripreso.
 “Portatemi da Tommaso Feo. So come farlo cedere.” disse Caterina, sperando che Ercolani fosse riuscito a parlare con Savelli, avvalorando quello che lei stessa stava per dire: “Gli devo molti soldi. Se avrò modo di trattare con lui la cifra del rimborso, lascerà la rocca senza fare altre storie.”
 “Non è tutta una panzana? Non è che in realtà siete amanti e avete in mente un piano per fregarci?!” chiese aggressivo Ludovico Orsi, prevaricando Savelli, che lo zittì subito con un gesto perentorio della mano.
 “Gli uomini amano solo una cosa: il danaro. E voi, Ludovico, dovreste saperlo meglio di me.” ribatté Caterina, senza scomporsi.
 “E sia. Vi porteremo subito alla rocca.” fece Savelli, stufo di quello scambio di battute.
 “Prima date da bere e da mangiare ai miei figli. Altrimenti non mi muoverò da qui.” disse Caterina, inflessibile.
 “Non siete nella posizione di trattare.” le fece notare Savelli.
 “Voi dite?” chiese Caterina, con un mezzo ghigno.
 Alla fine, per il quieto vivere, Savelli ordinò che fossero portati acqua e del cibo.
 “Ma non molto.” precisò: “Il sufficiente per i bambini e per le balie, in modo che possano dare il latte al più piccolo.”
 Caterina non si mosse finché non vide i suoi bere da due secchi e mangiare un po' di pane nero dalla crosta bruciata. Non era molto, ma almeno non sarebbero morti di sete o di fame. Per il momento.
 “Andiamo.” dissero alla fine gli Orsi prendendola per le braccia e trascinandola fuori dalla cella.
 Caterina ebbe appena il tempo di lanciare un'ultima occhiata alla sua famiglia e di scambiare uno sguardo d'intesa con Lucrezia che, seppur con immenso sforzo, le dedicò un rapido sorriso.

 Tommaso Feo aveva passato la notte insonne. Il messaggio che gli era stato recapitato per mezzo di Andrea Bernardi e Lodovico Ercolani l'aveva gettato nell'agitazione più completa.
 Il piano della Contessa era più che azzardato. Era folle.
 Tuttavia l'avrebbe assecondata, perchè è quello che doveva fare. L'aveva giurato a se stesso, prima ancora che a lei.
 Così, mentre la luce del mattino si faceva più sicura e chiara, Tommaso aveva preso a camminare come un penitente vicino alla scala che portava alle merlature.
 Secondo i suoi calcoli, Caterina sarebbe arrivata di lì a poco e lui doveva essere pronto. Tuttavia sarebbe stata un'imprudenza far vedere a tutti che era sulle merlature, già bell'e pronto a quella visita 'inattesa'. Così si limitava a mettere un piede davanti all'altro e a patire per la tensione e la stanchezza.
 Quando sentì la voce della sua signora chiamarlo, Tommaso Feo contò fino a cento, per dare ancora più credibilità alla sua sorpresa e solo al 'cento e uno' si apprestò a salire la scaletta.
 Quando fu alle merlature, prima di guardare di sotto, lanciò una breve occhiata al cielo e pregò Dio affinché, almeno per quel giorno, si schierasse dalla parte giusta.

   
 
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