Fanfic su artisti musicali > Michael Jackson
Segui la storia  |       
Autore: FairLady    31/03/2016    1 recensioni
Due occhi scuri, lo specchio di un'anima profondamente ferita.
Un nome sussurrato dal vento che arrivi a lenire un dolore ormai senza tempo.
Due cuori affini che si fondono in un unico corpo immortale, quello dell'amore.
Prima storia in questo fandom. Please, be kind.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 
Michael era da poco rientrato in albergo dopo l’ennesimo concerto. Era sfiancato e più di una volta aveva dovuto ricorrere al fisioterapista; la schiena continuava a peggiorare ed era stato costretto a posticipare un paio di date, ma non gli passava nemmeno per l’anticamera del cervello di annullare il resto del tour. Lui doveva tenere duro per tutta quella gente che lo stava aspettando da mesi! Prese l’ennesimo antidolorifico e si buttò sotto la doccia, anche se sapeva bene che c’era una cosa sola capace di farlo sentire meglio: la voce di Aura.
«Dopo la chiamo…», pensò, sorridendo soltanto all’immaginare quella voce che tanto gli mancava.
Da quanto non la vedeva? Forse un paio di mesi, ma sembravano molti di più.
L’ultima volta era stato l’agosto passato.
Avevano potuto trascorrere una settimana intera insieme, da soli. John era tornato al nord dalla figlia e, mai come in quella settimana, aveva visto Auralee rilassata e felice. La presenza del suo manager la metteva sempre un po’ a disagio – ogni tanto se ne usciva anche con qualche teoria di cospirazione dell’uomo nei confronti della loro relazione, ma Michael non poteva credere a una cosa simile. Sì, talvolta poteva sembrare leggermente dispotico e petulante, ma il cantante era sicuro che non avesse nulla a che fare con la presenza della ragazza nella sua vita, aveva una semplice mania, tendeva a voler tenere sempre tutto sotto controllo.
Certo era che, senza John, lui e Aura si erano sentiti decisamente più liberi e sereni, e quella settimana insieme a lei a Neverland, sgombra di impegni e lavoro, era stata una delle più belle che avesse mai vissuto.
Fu durante quei pochi giorni che Michael trovò perfino il coraggio di aprirsi totalmente a lei, raccontandole quelle cose che a volte non riusciva nemmeno a raccontare a se stesso, tanto lo facevano vergognare. Michael sentiva che Auralee era in grado di capirlo davvero ed era ormai chiaro che gli volesse bene veramente, con tutto il cuore. Per questo motivo, un pomeriggio come ne avevano passati tanti, in giro per il ranch, riuscì ad abbattere anche l’ultimo muro.
«Da quando mio padre si accorse del nostro potenziale artistico, a me e ai miei fratelli fu proibito qualsiasi svago. Ci alzavamo presto la mattina per andare a scuola e, non appena mettevamo piede in casa, erano subito prove e lavoro.»
Aura lo ascoltava, totalmente abbandonata alle sue parole. Michael percepiva la sua commozione e lo sforzo che faceva nel tentativo di trattenere le lacrime. L’empatia di quella ragazza verso di lui era stata una delle prime cose che lo avevano colpito di lei. Ogni volta che condividevano qualcosa delle loro vite assaporava la chiara percezione delle loro anime fondersi sempre più l’una nell’altra.
«A volte mi capitava di osservare i bambini che dopo scuola si fermavano al parchetto vicino casa per giocare… – si regalò una pausa, perché quei momenti strappati alla sua infanzia gli facevano ancora così male da togliergli il respiro – e di sognare. Desideravo così tanto poter passare con loro anche solo pochi istanti, tirare un calcio al pallone o, semplicemente, dondolarmi due minuti sull’altalena…», Aura alzò la mano per accarezzargli il volto, gli asciugò una lacrima che non si era accorto di aver lasciato scivolare giù. «Tutto quello che ricordo della mia vita, da che ne ho memoria, eccetto che per qualche sporadico momento precedente ai Jackson 5, sono prove, prove e ancora prove, oltre che punizioni, anche corporali, se non lavoravamo come diceva nostro padre.»
Erano tempi lontani che avevano lasciato i loro strascichi, ma che in qualche modo era riuscito a elaborare; di acqua ne era passata sotto i ponti da allora, e Michael si era addirittura convinto che suo padre, in un modo che lui non riusciva bene a comprendere ma in cui credeva, li avesse amati davvero. Joe era sempre stato sicuro di stare facendo il meglio per i propri figli, e in un certo senso il tempo gli aveva dato ragione. Ma a quale prezzo?
«Percepisco il tuo dolore, Mike», lo faceva sorridere ogni volta che lo chiamava così; gli suonava sempre strano, ma gli faceva anche piacere. Solo lei lo chiamava Mike e quella piccola esclusiva li rendeva più intimi; infondeva nel suo cuore sempre troppo insicuro la tenera presunzione di far parte di qualcosa di solido e meraviglioso. «Allo stesso tempo, però, riesco a sentire anche la tua rassegnazione.»
Il cantante sospirò, prendendosi qualche secondo.
«Il rancore è un sentimento che non mi è mai appartenuto, e mai mi apparterrà. E comunque, in fondo, credo che io debba a mio padre un po’ di gratitudine. Se non ci avesse aperto la strada con tutta probabilità ora non sarei dove sono.»
«Già – continuò lei, guardandolo in quei occhi scuri che a ogni sguardo la facevano tremare – però, forse, avresti avuto un’infanzia normale. Avresti giocato ad acchiaparella con i tuoi compagni di scuola e, al pomeriggio, avresti fatto dei goal da capocannoniere a uno dei tuoi fratelli, in un porta arrangiata con bottiglie di plastica e bastoncini. O ti saresti legato un calzino nero in testa, a coprire l’occhio, e avresti corso come un pazzo per casa con una gruccia in mano a mo’ di uncino.»
Risero entrambi a quei sogni a occhi aperti – anche se in quelli di Michael una malinconia senza tempo tentava di fare capolino.
«Avrei sicuramente preferito essere Peter Pan.»
 
***
 
I lunghi periodi di distacco erano per Aura così difficili da sopportare che ogni volta temeva non avrebbe retto da sola, senza Michael. La prima lag del tour era terminata a fine gennaio e non avrebbe ripreso fino a settembre, ma nonostante questo era sempre complicato vedersi. Troppo impegnato, troppo preso. Interviste, video, lavoro. Lavoro, sempre lavoro. Si sentivano appena possibile – appena lui riusciva a trovare un momento libero –, ma la situazione andava facendosi via via sempre più insostenibile. Non solo erano lontani e le comunicazioni sembravano troppo difficili da gestire, ma ci si metteva sempre qualche altro “strano” intoppo o imprevisto a mettersi di mezzo. Non voleva assolutamente passare per la paranoica, ma ci avrebbe scommesso il negozio: c’era lo zampino – per non dire il forcone – di John. Quell’uomo, lo sentiva, sarebbe stata la loro spina nel fianco; la cosa peggiore era che Michael ancora non se ne rendeva conto.
Erano passate ormai settimane dall’ultima volta che avevano avuto la possibilità di stringersi; quelle braccia, quelle labbra, le emozioni che solo con Michael riusciva a provare le lasciavano un vuoto che né il negozio, né Tanisha con le sue tanto bizzarre quanto pericolose idee per passare del tempo insieme, riuscivano a distoglierla più di mezzo secondo dal pensiero del suo amore lontano.
Ovviamente, la sua migliore amica non era ancora riuscita a estorcerle di bocca la vera identità dell’uomo misterioso, ma Aura sapeva che il momento di sputare il rospo sarebbe arrivato presto. Aveva ormai usato tutte le tattiche a disposizione per sventare gli attacchi psicologici di quella pazza, il suo armamentario ormai prevedeva solo fughe a gambe levate e tentativi di persuasione su due gambe – con gli occhi azzurri e un sorriso da pubblicità di dentifricio.
«Tany, guarda quello!», stavano percorrendo la pista ciclabile sulla costa, in rollerblade – che, a dirla tutta, dopo i primi traumi cranici, le erano diventati simpatici e si erano trasformati nel suo passatempo preferito – e dopo l’ennesimo assalto verbale della sua logorroica amica, Aura stava cercando di depistarla cercando di farle conoscere un ragazzo. La scusa ufficiale era di trovarle un uomo per una possibile uscita a quattro con lei e “Mister X”, così lo avrebbe finalmente conosciuto e, forse – in realtà, molto improbabilmente –, avrebbe smesso di torturarla con miliardi di domande.
«Ma chi? Quella brutta copia di Jon Bon Jovi? Forse non lo hanno avvertito che si è tagliato i capelli! Non vorrei quel coso neanche se fosse l’ultima imitazione di uomo vero disponibile sulla faccia della terra!»
Insomma, per l’ennesima volta la sua cara amica si era ritrovata a minacciarla che, in un modo o nell’altro, avrebbe scoperto chi era il fortunato a cui tanto Aura teneva, senza aver necessariamente bisogno di trovare un fidanzato tra i pompati sul lungomare. Solo che lei non si aspettava certo che quel momento sarebbe arrivato così presto.
 
Avevano deciso di andare dal parrucchiere quel pomeriggio, ché i capelli di Aura non si potevano assolutamente guardare – a detta di Tany – e anche a lei una spuntatina non avrebbe affatto guastato. Nel salone che frequentavano di solito c’era inspiegabilmente una lunga attesa – ché l’avevano scelto proprio perché era sempre disponibile, a qualsiasi ora –, per cui lei e l’amica si afflosciarono sui divanetti in attesa del loro turno, sfogliando le riviste ormai consunte, lasciate su quei tavolini da tempo immemore; alcune vecchie anche di anni.
«Mel, non sarà il caso di fare un po’ di rifornimento? Per questo giornalista Reagan è ancora Presidente!», Tanisha stava già facendo l’inventario dei giornali da buttare mentre Melania sogghignava, divertita dalla proverbiale impenitenza della ragazza.
Aura non poté evitare di sorridere, rassegnata al fatto che certe cose non sarebbero mai cambiate – e, in effetti, non avrebbe mai voluto che la sua amica fosse diversa. Quando stavano insieme riusciva quasi a dimenticare la malinconia e la tristezza che provava a causa della lontananza di Michael.
Ed ecco che quel nome, non appena le vorticava nella mente, tornava a farla stare male. Non lui, no di certo, ma l’idea di non sapere quando avrebbe potuto vederlo – addirittura, sentirlo – di nuovo la faceva soffrire da morire.
«Eh, no, Aura… ero riuscita a toglierti quel muso lungo, mica avrò sudato per niente. Togliti quella faccia da funerale di dosso!», bastava un respiro fatto diversamente che Tany chiamava il pronto intervento. «Andiamo in edicola a prendere qualche rivista per Mel, sono curiosa di scoprire se Bill Clinton è ancora alla Casa Bianca!»
E fu pochi istanti dopo, in quella minuscola edicola di Melrose, che il mondo di Aura le crollò addosso.
File e file di riviste patinate e quotidiani riportavano tutti gli stessi titoli:
«Wacko Jacko e gli abusi sessuali ai danni di bambini innocenti.»
«Michael Jackson: Evan Chandler accusa la popstar di aver abusato di suo figlio.»
«Michael? Il mio Mike? Violenze sessuali sui bambini? Lui… no, impossibile… Mike…», i pensieri sconnessi della ragazza si susseguirono in un vortice infernale che la stavano facendo impazzire. Non poteva credere a quelle parole, non poteva assolutamente pensare che anche solo una virgola di quanto c’era scritto su quelle copertine fosse vero.
Tanisha la chiamava, ma chissà perché Aura sentiva solo un vociare insensato che le vibrava accanto all’orecchio. Sentiva le ginocchia molli, le mani tremanti. Il cuore pompare furioso nel petto. Le lacrime inondare le pupille fino a farle soccombere. Non aveva in corpo neanche la forza per piangere. Rimase lì di fronte a quel chiosco, pallida e immobile come una statua di sale, mentre quelle lacrime sorde toccavano terra senza nemmeno essere state piante.

 
 
Before you judge me, try hard to love me
The painful youth I’ve had
Have you seen my childhood?
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Michael Jackson / Vai alla pagina dell'autore: FairLady