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Autore: Duncneyforever    03/04/2016    1 recensioni
Estate, 1942.
Il mondo, da quasi tre anni, è precipitato nel terrore a causa dell'ennesima guerra, la più sanguinosa di cui l’uomo si sia mai reso partecipe.
Una ragazzina fuori dal comune, annoiata dalla vita di tutti i giorni e viziata dagli agi che l'era contemporanea le può offrire, si ritroverà catapultata in quel mondo, circondata da un male assoluto che metterà a dura prova le sue convinzioni.
Abbandonata la speranza, generatrice di nuovi dolori, combatterà per rimanere fedele a ciò in cui crede, sfidando la crudeltà dei suoi aguzzini per servire un ideale ormai estinto di giustizia. Fortunatamente o sfortunatamente non sarà sola e sarà proprio quella compagnia a metterla di fronte ad un nemico ben peggiore... Se stessa.
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
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Gli occhi smeraldini del mio osservatore sono pieni di vita, vivaci e brillanti come se il piccolo francese non fosse mai stato deportato. Il corpicino fragile è nascosto da un leggero maglione e da un paio di pantaloncini corti. La sua pelle, delicata e pallida come la luna, presenta alcuni innocui graffi e deliziose lentiggini scure... È un bimbo davvero grazioso, secondo il mio parere. 

- Veux jouer avec moi? / Vuoi giocare con me? - Osservo il suo viso rotondo e leggermente paffuto come fosse quello di un fantasma ma lui, incurante del paesaggio cupo che lo circonda, formula nuovamente la domanda: " vuoi giocare con me? " ​La sua voce è pura quanto la sua anima, eppure percepisco una fitta al petto ogni tal volta lo guardo: il pensiero che qualcuno possa fargli del male mi uccide. 
Friederick nota il mio momentaneo mancamento e decide di " aiutarmi ", offrendo al bambino un dolcetto estratto dalla tasca. Il bambino, ovviamente, ne è entusiasta e afferra la caramella saltellando e sbattendo le scarpette a terra.
​ - Vorrei scattare una foto. - Dico ad alta voce, cercando il telefono nelle tasche. 
Il pensiero che qualcuno dei presenti possa vederlo, tuttavia, mi dissuade dalla mia iniziale intenzione e mi costringe a riporre nuovamente l'oggetto all'interno della felpa. Che gran peccato! Se fossi riuscita a scattare una foto che ritrae un soldato tedesco ed un bambino ebreo in atteggiamenti amichevoli, l'immagine avrebbe fatto certamente il giro del mondo. 

Uno dei migliori scatti di sempre! 

- Comment tu t'appelles, petit? / Come ti chiami, piccolo? - Il francese imparato in tre anni di scuole medie mi torna inaspettatamente utile poiché, contrariamente a quanto mi aspettassi, alcune nozioni basilari mi sono rimaste. Finalmente una buona notizia! 

- Leonard Teubel. Et toi? - Leo è un nome bellissimo e mi ricorda tanto l'Italia. Ragione in più per stringere amicizia, no? - Sara. Et je veux jouer avec toi. - Gli pizzico leggermente una guanciotta, facendolo ridere. In fondo, vederlo felice per così poco mi rende felice a mia volta; 

- possiamo, vero? - Domando, voltandomi verso Fried. 

- Non faranno troppe polemiche per dei bambini. Almeno un briciolo di umanità l'hanno preservata. - Il biondo si toglie il " casco ", o meglio, l'elmetto che è costretto a portare anche sotto il sole cocente, prima di affiancarsi a noi.

Probabilmente non voleva spaventare gli altri bambini presentandosi a loro con l'uniforme integrale. - Vieni anche tu? - 

- Non si è mai troppo sicuri. - Mi risponde sinceramente, confermando la mia ipotesi. Quando percepisco una manina sulla mia, fremo ma, dopo aver visto l'espressione innocua sul viso di Leo, non posso che addolcirmi. 

Il francesino mi porta dai suoi amici e fra tutti i ragazzini cinque sembrano avere la sua particolare simpatia: un bambino di circa otto o nove anni di nome Sèbastien, scuro d'occhi e di capelli, una bambina più piccola di nome Ségolèn, dai lunghi capelli biondo cenere e dagli occhi nocciola, Zephrin, il più grande, dall’espressione seriosa, come quella di un adulto, Nymphe, una bimba dai capelli a caschetto rossicci ed impressionanti occhi turchesi ed il più piccolo Maël, fratellino di Leonard. Molto simile a lui, se non fosse per gli occhi un poco più scuri del minore e per i capelli leggermente più ondulati. 

- Vous êtes origine d'où? / Di dove siete? - Provo a chiedere, con il mio francese decisamente stentato. - Villandry. - Esclama il più grande dei cinque - Amboise. - Afferma Ségolèn, subito dopo. 
- Rouen. - Susseguono Sèbastien e Nymphe, tenendosi per mano - Lamballe. - Terminano i due fratelli. 

Ammetto di non possedere una spiccata conoscenza geografica, ma sono abbastanza certa del fatto che i cinque bambini provengano tutti da zone della Francia occupata. Nord, probabilmente. Ma non voglio pensare a nulla di brutto, per adesso. Potrebbero notare le mie preoccupazioni con una sola occhiata. 

- Come posso chiedere se vogliono giocare a palla? - Accanto ad una baracca giace un oggetto, sgualcito ed impolverato, che ricorda vagamente la forma sferica di una palla da tennis, quindi... Perché non sfruttare questa caratteristica? 

 - Voulez-vous jouer au ballon? - Il tedesco ha un'aria spensierata in questo momento. Si vede chiaramente il suo amore per i bambini e la felicità che prova nel vedere i loro sorrisi. E inimmaginabile sarà il dolore e la disperazione che proverà quando li porteranno via da lui. Guardiamo in faccia la realtà: potrei piangere tutte le mie lacrime e gridare con tutta la mia forza, ma niente e nessuno potrà mai sottrarli al crudele destino che, così precocemente, li attende. 

Il non poter far niente mi sta logorando.

" Non devo pensarci, non adesso " mi dico, più e più volte.

Ripeto la frase che mi ha suggerito il biondo, cercando di scacciare ogni pensiero negativo. Ci divertiamo in un modo un po' infantile ma, questo è tutto ciò che abbiamo e, per mia fortuna, accettano tutti di buon grado. 
Abbiamo riso molto... Soprattutto quando la palla è stata afferrata dal nordico e tutti gli sono piombati addosso per cercare di prenderla ( io compresa ); i pesi piuma di quelle adorabili pesti sono riusciti a far crollare a terra un ragazzone di settantacinque chili. 

Il tempo trascorre in un batter di ciglia, purtroppo. Prima di andarmene, però, il piccolo Maël sembra volermi mostrare una cosa. 
- Non ti preoccupare. Abbiamo ancora un po' di tempo. - Dopo le rassicurazioni del mio soldato, decido di seguirlo. 

Maël, con la complicità di Sèbastien, mi porta davanti ad una baracca, da cui provengono tante voci diverse. Voci di infanti, piene di speranza e sogni per il futuro. Non riesco a focalizzare un'immagine più bella di questa e non posso che reggermi una mano sulla bocca, con gli occhi umidi di lacrime represse e una sensazione di benessere nel cuore. Una donna sulla trentina, dai corti capelli ricci, intona le prime strofe della canzone: 

" Nit keyn rozinkes un keyn mandlen,

  der tate iz nit geforn handlen 

  Lulinke mayn zun. " 

La riconosco ma, per quanto mi sforzi, non riesco proprio a ricordare dove io l'abbia ascoltata. Il paragone che mi insorge spontaneo, quello di un coro di piccoli angeli, mi fa piangere. 

- Dobbiamo andare, ora. - Il germanico appoggia una mano sulla mia spalla, dispiaciuto tanto quanto me. 
- Sara, nous te reverrons un jour, non? / Sara, ti rivedremo un giorno, vero? - La domanda di Ségolèn mi ha spiazzata e le parole mi muoiono in gola. 

- Bien sûr. - Vengo preceduta, da un ragazzo che nonostante tutto non ha perso le speranze. 
La bambina sembra soddisfatta e, proprio per questo, agita la mano in segno di saluto, prima di correre dalla maestra. Zephrin, Nymphe e Sèbastien imitano il suo gesto, mentre i due fratelli non esitano a stringerci in un caloroso abbraccio, prima di sparire a loro volta. 

- Com'è possibile che ci siano dei bambini? - Chiedo, dopo esser rimasti soli. - La selezione... - 

- Ne sono arrivati così tanti dalla Francia... i gendarmi francesi ce li hanno consegnati, non sapevano cosa farsene. - Ripete, stringendo i pugni. - Non so per quanto tempo ancora resteranno qui, ad Auschwitz I... la mia unica illusione è che non vengano mai condotti a Birkenau. Sono così piccoli... quante probabilità ci sono che non vedano mai il domani? Il magazzino è pieno di scarpette, di vestitini, di bambole... Non ce la faccio Sara, non voglio vederli soffrire. - 

Si cala l’elmetto sulla fronte.

Anche il cielo piange. 

 

 

  
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