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Autore: DARKOS    05/04/2016    2 recensioni
Roxas era ormai al terzo anno della Twilight Town University, l’accademia di prestigio della regione. Ormai un “veterano”, era anche la celebrità del campus: la storia di come avesse trionfato sul Consiglio Studentesco e sull’utopia di Xemnas neanche due anni addietro era ormai leggenda e tramandata a tutte le matricole. E come ogni leggenda, anche paurosamente gonfiata: lo stesso Roxas aveva addirittura sentito una versione secondo la quale lui aveva affrontato da solo tutti i tirapiedi di Xemnas in dieci diverse prove di abilità, per poi battere il capo stesso con eleganti mosse di judo. Non poté trattenersi dal ridere, primo perché lui non conosceva nemmeno il judo, secondo perché di sicuro non aveva fatto tutto da solo: era solo grazie ai suoi amici che se l’erano cavata.
Genere: Comico, Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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Pioggia.
Tutto offuscato, la vista annebbiata. Sapeva c’erano voci attorno a lui, ma lui era diventato sordo a ogni richiamo. Non riusciva nemmeno a capire se fossero poche o tante, arrabbiate o sorprese, amiche o ostili.
Due robuste paia di braccia lo trascinarono via. Erano familiari o estranee? Due inservienti lo cacciavano via con disonore, o Lexaeus e Axel stavano per dargli il benservito? Non lo sapeva, non lo vedeva. Non gli importava.

Quando riprese coscienza di sé si ritrovò seduto in un piccolo salotto, con niente di più che una porta, una sedia e il divano che era il suo sedile. Curiosamente, era calmo. Non felice naturalmente: il suo mondo era crollato, e aveva perso su ogni fronte. Ma accettava il tutto con uno stoico senso di fatalità imminente, di quelle che arriveranno a prescindere da ciò che si poteva fare per evitarle. Già in passato si era demoralizzato, e non era servito a nulla, quindi avrebbe affrontato la minaccia incombente con rassegnazione.
‘Forse è questo che significa crescere e diventare adulto.’
Dei passi preannunciavano l’avvicinarsi di qualcuno. Tempo scaduto, dunque. Chiunque fosse, era pronto… almeno quanto avrebbe mai potuto esserlo. Si chiese se sarebbe entrato Axel, o magari Xion. Sarebbe stato lo scenario peggiore, ma anche sensato.
“Non sei arrivato al peggio se c’è ancora Larxene in giro” era una tipica frase che si usava dire al campus della Twilight Town quando il capo non era in giro, e si dimostrò veritiera anche stavolta. La bionda entrò, chiuse la porta e si mise a cavalcioni sulla sedia al contrario, proprio davanti al divanetto. Iniziò a fissare Roxas, che ricambiò. Nessuno dei due mostrava la benché minima emozione o traccia di sfida: due persone amiche che, perse nei tumulti della giovinezza, si studiavano riflettendo sul destino e su ciò che sarebbe venuto dopo.
O, come la Presidentessa del Consiglio riassunse in modo succinto: “Sembriamo due pesci lessi che tentano di decidere chi è più lesso.”
“Già.”
“È tutto ciò che hai da dire? Già?”
“Francamente, vedendoti non pensavo nemmeno avrei avuto occasione di parlare.”
Larxene inarcò la schiena e si massaggiò le tempie con la mano, nascondendosi alla vista.
“Roxy, Roxy, che mi hai combinato?”
“Io… volevo solo-“
“Lo so cosa volevi. Lo so. E essendo una vincente megalomane, ti capisco. Insomma, non è che io sia stata molto… fedele… in passato, lo sai. Ma c’è vittoria e vittoria, e un buon capo deve saper calcolare quanto perderà e quanto guadagnerà prima di compiere una qualsiasi decisione. Tu quanto ci hai guadagnato dalla tua furbata?”
“Larxene, ascolta. Mentre è vero che ho sbagliato, ciò che ha detto Ephemera…”
Lei lo azzittì di nuovo, con il solo sguardo stavolta.
“Roxas. Forse non siamo stati i compagni che desideravi, ma non siamo totalmente fessi. Non abbiamo creduto a tutto ciò che quel pidocchio ha millantato, e sappiamo che probabilmente c’era lui dietro a tutto. Ma ci sono cose, come i cavilli delle nostre eliminazioni, che lui da solo non poteva conoscere. E tu sapevi e hai rivelato a tutti noi che i Foretellers erano automi, quindi almeno parte della storia sull’accordo è vera. O no?”
“Sì.” Ammise il giovane a malincuore. “Credevo di battere Ephemera. Ho rischiato molto, ma sono caduto nel tranello come uno sciocco. E quindi ho perso, rovinando tutto.”
Ci fu una lunga pausa, ma nulla lasciava pensare che la conversazione fosse finita. Larxene sedeva ora accanto a lui sul divano meditabonda. Sembrava che volesse dire qualcosa e stesse cercando le parole giuste.

Quando infine parlò, la sua voce era tinta di una live sfumatura di tristezza che lui non aveva mai sentito.
“Oh, Roxas. Noi tutti ti vogliamo bene, sappiamo la verità -sia brutta che bella- e siamo consapevoli di quando due anni fa eri al centro dell’odio generale… ma vedo che ancora non capisci. Qui non si tratta di vincere o perdere. Si trattava di realizzare le proprie mancanze, su questo puntavamo.”
Il ragazzo la fissò con rinnovata curiosità. Si aspettava le scenate e i rimproveri, ma evidentemente il tempo delle spiegazioni non era ancora finito.
“E va bene, te la metterò in modo semplice. Partiamo da Sora. Immagino che Ephemera ti abbia raccontato la sua dose di falsità, ma ti sei mai chiesto davvero perché lui è stato scelto? Credi di essere stato l’unico a rendersi conto che a stento sapeva mettere due e due assieme?
“Sora ha qualcosa che tu non hai. ‘Che tu avevi’ sarebbe più corretto. Lui non è sveglio, ma rispetta gli altri e li sa unire, proprio come avevi fatto tu in passato. Ed è per questo che era con noi: speravamo che vedendolo ti saresti reso conto che eri cambiato.”
“Io sono cambiato?”
“Certo! Lo sei eccome. Ormai interagivi solo con noi. Varie volte all’università ho ricevuto segnalazioni del fatto che scansavi la gente che ti avvicinava, e quando ci riunivamo lanciavi alcune frecciatine velenose appena dicevamo qualcosa di positivo su un nuovo venuto, senza nemmeno rendertene conto. Xion ha provato a fartelo notare ma diceva che appena ci provava ti immusonivi, e nessuno voleva incrinare i rapporti con te per cose simili, né lei né tantomeno noi.”
Roxas non poté non sentire la voce di Ephemera riecheggiargli nella mente.
“Nemmeno mi notasti, mentre venivo picchiato. Tu eri un idolo per me, ero una di quelle matricole venute a vedere il grande Roxas, l’eroico protettore dei deboli che sfidava il sistema e i suoi bulli. Quanti sogni mi ero fatto… solo per scoprire che eri come tutti gli altri.[…] Mi rimproverasti perché la mia uniforme era in disordine. Tutto lì. Fine. Mi lasciasti così, troppo intento a chiacchierare con una ragazzina che si beveva ogni tua parola.”
Effettivamente, ricordava alcuni accenni di lite con Xion di cui nemmeno si era mai spiegato il motivo. Probabilmente li aveva rimossi subito, come tutto il resto.
Larxene ricambiava il suo sguardo con uno pieno di compassione, ma anche di disapprovazione nel ricordare quei momenti. Chissà quanto aveva sopportato, lei che era una maniaca del controllo ma che per buona creanza e amicizia non aveva potuto intervenire.
“Ammetto che il nostro intento si dimostrò un fallimento da subito. Ti isolasti, pieno di risentimento, senza provare ad aprirti con nessuno. Lì capimmo che la cosa era più grave del previsto. E poi ci fu un fatto che ci colse tutti alla sprovvista: Xion e Riku.”
Roxas fremette in modo quasi impercettibile, ma Larxene dovette essersene accorta e abbassò il tono della voce per riguardo.
“Non ne avevo idea. L’aveva tenuto nascosto a tutti, tranne a colui che l’ha rifiutata. Ma Riku… beh, sarà pure maturo e calmo ma non ha esperienze in questo campo e non sapeva cosa fare. Rimane pur sempre un ragazzo, in fin dei conti. Quando ce ne accorgemmo, oh, non puoi immaginare l’imbarazzo generale. Credimi quando ti dico che non volevamo farti una cattiveria… ma come potevamo dirtelo? E Xion stessa… io credo che nonostante i dissapori abbia cercato di rimediare perché ti vuole ancora… ma qui andiamo su un discorso che non mi riguarda. La decisione lì è solo tua. Almeno quella.
“In conclusione: i metodi subliminali hanno mandato tutto a quel paese, quindi lo dirò in modo chiaro: Roxas, pur rimanendo fondamentalmente buono, la popolarità ti ha dato alla testa. E qui hai dimostrato che ti abbasseresti a livelli ignobili pur di mantenere lo status quo, servendoti di tutti perché tutti sono sotto di te. Sai chi si comportava così? Xemnas.”
Scena muta. E cos’altro poteva dire? Solo ora realizzava la vera portata della sua stupidità. Non era uno dei cattivi in questa storia. Era IL cattivo, il peggiore di tutti. Larxene tacque, aspettandosi una risposta che non venne mai. Quando lo realizzò, si alzò e fece per andarsene.
Lui la bloccò sull’uscio. “Axel? E Xion? E gli altri?”
Ormai farfugliava solo parole sconnesse, ma lei capì ugualmente. “Che vuoi che ti dica? Dicono che noi donne siamo le più misteriose, ma loro hanno sfoderato delle espressioni indecifrabili mica male. Ma non hai bisogno di me per indovinare cosa pensano, vero? Xion invece non la vedo da dopo la gara. Ha lasciato lo stadio in tutta fretta.”
Roxas la lasciò andare. Ora si erano veramente detti tutto. Lei non lo guardò più e se ne andò nel corridoio.
Lui tornò sul divano, mentre la pioggia batteva incessantemente sul tetto e sui muri.

Piovve fino al giorno dopo. Temporali del genere erano frequenti in quella zona, a bilanciare la secchezza eccessiva della piena estate. I contadini apprezzavano quelle piogge e avevano trovato il modo di sfruttarle al massimo per i raccolti. L’agricoltura era una risorsa primaria del Paese, sebbene il settore terziario fosse ormai in espansione. Il senatore John Darkside, tradizionalista, si era battuto più volte nel corso della sua carriera per proteggere e valorizzare i prodotti agricoli.
Nonostante la situazione, Roxas trovò buffo che il suo cervello stava iniziando a correre da un argomento all’altro. Forse era un mezzo di difesa, un modo per scappare alla realtà e all’uomo che aveva di fronte, che in quel momento impersonava la dura realtà meglio di chiunque altro.
Il rettore Ansem, il padre della sua ex-ragazza, il preside di un’accademia prestigiosa che era stata coperta di infamia e disonore, lo scrutava con un cipiglio cupo.
“Roxas, perché?” Gli adulti avevano sovente bisogno di più spiegazioni delle azioni dei ragazzi.
“Per la vittoria, signore. Per il prestigio e per la sensazione di gaudio.”
“Quanto pensi mi importino i trofei e il prestigio?”
“Non quanto si penserebbe. …Non quanto i suoi concorrenti.”
“Esatto. Almeno, pare che tu abbia afferrato il concetto. In quanto educatore, posso ritenermi soddisfatto. Credo tu sappia ora cosa succederà, quindi.”
“Sì, signore.”
Ansem gli porse un biglietto. Nave S.S. Highwind, ultima classe.
“A prescindere da tutto eri mio ospite e sotto la mia supervisione, quindi ecco il tuo biglietto di ritorno. Io e i ragazzi siamo trattenuti qui per accertamenti su tutto questo scandalo dei Campionati, così come chiunque faccia parte delle università.”
Il ragazzo non aveva parole, stavolta per la commozione. Sapeva che gli agenti lo avrebbero cercato, lui era il primo indiziato. Quell’uomo, dietro le dure parole, lo stava aiutando a salvarsi nonostante tutto ciò che era successo!
Purtroppo le sue parole facevano intendere anche la conseguenza delle sue azioni. Non era solo un aiuto per lui, anche Ansem si stava salvaguardando con questa decisione.
“Ti è vietato trovarti entro centocinquanta metri dagli edifici scolastici e dal territorio del campus; Non ti è possibile usufruire di alcun diritto o privilegio associato all’università, né di avere contatti ufficiali con gli studenti o di rappresentarci in nessun modo. Sei espulso a vita, ragazzo.”

Maggio stava finendo, e iniziava l’ultima sessione d’esami prima delle vacanze estive. Per gli studenti del primo e secondo anno era solo un’ennesima sessione che precedeva quella autunnale di Settembre; per quelli del terzo che erano in regola col loro libretto invece rappresentava la dirittura d’arrivo, lo sprint finale in cui dare gli ultimi esami per poi laurearsi. La fine della corsa.
Per questo motivo nessuno dei passanti che percorrevano la piazza della fontana avrebbe mai immaginato che il ragazzo seduto su una panchina a nutrire svogliatamente qualche piccione era un ottimo studente che solo qualche settimana prima aveva un pedigree studentesco di prim’ordine. Che tra le sue conoscenze poteva annoverare lo stimato rettore dell’Università che era l’orgoglio della città e la sua dotatissima figlia; il figlio del magnate dell’elettronica locale, che col suo brillante cervello aveva annientato la concorrenza; il musicista nonché leader dei Rhythm Mixer, la band che suonava al pub; e quei due senior dell’Università, il gigante buono e l’affascinante ragazza che ora era Presidentessa del campus.
Persone e ricordi di un’altra vita, un capitolo chiuso. Il ragazzo sparse le ultime molliche del suo panino ai pasciuti volatili e volse pigramente lo sguardo in giro. Era una classica tarda mattinata di un giorno lavorativo a Twilight Town: madri che avevano accompagnato i figli ora facevano compere o chiacchieravano con le neo-mamme e guardavano i loro neonati; uomini d’affari che avevano deciso di concludere le trattative in armonia si gustavano un caffè seduti accanto ai tavolini all’aperto dei bar; ragazzini delle medie e del liceo che saltavano la scuola e passeggiavano ridendo o seduti sul bordo della fontana soddisfacevano le loro curiosità sull’altro sesso.
Sia la fontana che la piazza erano meno grosse e affollate di quelle a Radiant Garden: ma la vita che le pervadeva aveva un valore e un’identità tutto suo, più unico e al tempo stesso genuino di quella nella grande metropoli. Lì vite, mestieri e passioni erano tutto ciò che contava. Non si cercava di primeggiare sul prossimo o di danneggiarlo; tutti erano troppo impegnati a spendere il loro tempo con le persone care e nel modo più felice possibile. Il ragazzo che sfamava i piccioni vedeva questo e lo comprendeva; ma la realizzazione era arrivata troppo tardi.
Una cosa di Roxas a cui tutti prestavano attenzione e che gli aveva perdonato forse anche qualche vizio di troppo era che era solo: era cresciuto da subito con gli zii e si era traferito in quella città dopo anni di risparmi e aiuti da tutti. Questo significava che se Roxas veniva lasciato solo, era DAVVERO solo, senza nessuno a sostenerlo nella vicinanze.
Il ragazzo aveva approfittato della bella stagione per dormire sotto le stelle, non potendo più usufruire della sua stanza al campus. Ora però aveva solo due scelte: poteva tornare a casa e venire a patti col suo fallimento, ripartendo da zero; oppure poteva usare i soldi che stava mettendo da parte per tre anni per trovarsi un appartamento, cercarsi un lavoro e continuare a vivere lì. Ma a che scopo? Chi avrebbe voluto vivere accanto ai suoi ex-amici, accontentandosi di un lavoro qualsiasi mentre loro proseguivano con la loro vita?

La stazione non era lontana, magari la corriera che tre anni prima lo aveva portato lì c’era ancora… Roxas si alzò dalla panchina e fece per andare a controllare, ma urtò un passante finendo a terra.
“Ah, le mie scuse! Non mi ero accorto c’era qualcuno, colpa mia. Vieni, ti dò una mano.”
Lo sconosciuto non aveva subito il minimo contraccolpo dalla collisione, e lo tirò su senza fatica. Chiunque fosse, doveva essere dotato di una forza non indifferente.
“Ecco, io… Aspetta. Sei Roxas!”
Sentendo il suo nome da una voce non familiare, il ragazzo alzò lo sguardo. E vide Terra, che lo guardava sorridente e un po’ imbarazzato. Pur privo di emozione com’era, non si aspettava di incontrare lo studente del Departure College. Che a quanto pare non era solo.
“È vero! Sapevo che eri qui, ma non mi aspettavo di vederti!”
“Mf. Bene, l’abbiamo visto. Ora possiamo andare?”
Aqua, e dietro Vanitas. Tutti e tre vestivano abiti ordinari (Aqua era assai disinibita, in netto contrasto con la sua immagine di studiosa diligente) e avevano occhiali da sole e cartina; sembravano proprio dei classici turisti. Li accompagnavano una ragazza minuta con gli occhiali che celavano degli occhi blu quasi privi di pupille e delle trecce castane e un altro ragazzo non troppo dissimile da Roxas fisicamente, ma coi capelli più corti e di un biondo più chiaro del suo. Quest’ultimo si fece avanti e lo squadrò per bene.
“Ma pensa, e quindi tu saresti Roxas. È vero, ci assomigliamo un po’. Terra e Aqua me l’avevano detto, che ai Campionati avevano visto questa specie di mio sosia.”
“Uhm, tu chi...?”
“Oh, giusto. Scusa. Io sono Ventus. Sono quello che è stato estromesso per far posto al grande piano di Ephemera. Ho sentito è successo anche a te, eh?”
E così quello era Ventus. La schiettezza con cui introduceva gli argomenti era disarmante, ma non sembrava una brutta persona. E quindi l’altra ragazza…
“E lei è Chirithy. Vi siete visti, anche se per poco e con un grosso soprabito di mezzo, quindi non credo si offenderò se non l’hai riconosciuta.”
“Ro-Roxas… ciao.”
Chirithy! Roxas non aveva più pensato a lei, o al massimo l’aveva accomunata ai Foretellers. E invece era una ragazza in carne e ossa. Anche solo il fatto che fosse una ragazza era sorprendente di suo. Ephemera l’aveva introdotta come un maschio, se ben ricordava. Aqua si prese carico delle spiegazioni.
“Ephemera l’aveva costretta tramite una scommessa a vestire quel soprabito e a non parlare, per credo nient’altro che il suo sadico divertimento. Dato che è anche lei del primo anno, nessuno di noi la conosceva e ci siamo cascati tutti.”
“Io la conoscevo” intervenne Ventus “Ma come avrai capito, un giorno mi hanno misteriosamente comunicato che la mia presenza ai Campionati non era più richiesta.”
“Come mai siete qui?”
Prima che qualcuno potesse rispondergli, intervenne Vanitas. “Bella domanda, ma io ne ho una migliore: a te che importa? Non mi pare ti dobbiamo spiegazioni.”
“Vanitas, andiamo. Non ti pare strano che a mezzogiorno Roxas si trovi qui e non al campus? È ovviamente una vittima come noi.”
“Col cavolo che è come noi! Io non vado a vendere i miei compagni solo per un contentino per poi fare la figura del fesso madornale.”
“Van!”
Roxas cercò di ignorarlo. “E quindi siete stati espulsi dal Departure?”
“Bella domanda. Forse? Non lo sappiamo, appena arrivati abbiamo disertato prima che potessero comunicarci nulla. Non avevamo alcuna intenzione di restare in un simile covo di corruzione, il parco giochi di Ephemera.
“Per rispondere alla tua prima domanda, siamo qui per incontrare qualcuno. Ci ha detto che poteva aiutarci.”
“Aiutarvi? Con cosa?”
“Terra, no. Non gli dobbiamo alcuna spiegazione, e non sappiamo a chi lo andrà a dire!”
“Vanitas! Ora basta!” Il tono di Aqua si fece duro, e il ragazzo dai capelli corvini tacque, pur mantenendo un atteggiamento ostile verso Roxas.
“Grazie, Aqua. Cosa vogliamo, chiedi? Ma è ovvio. Vendetta.”
“Vendetta?”
Terra si animò e lo afferrò per le spalle. “Certo! Cos’altro? Non staremo impassibili mentre uno stupido ragazzino fa il bello e il cattivo tempo. Credevo che tu più di tutti ci avresti capito!”
Roxas conosceva quegli occhi, e sapeva cosa Terra stava per dire, per questo lo anticipò.
“Risparmiati la prossima frase, Terra. Non credo di potervi aiutare.” Non era un eroe. Forse non lo era nemmeno mai stato.
La delusione del ragazzo era evidente, così come l’espressione da ‘Ci mancherebbe altro’ di Vanitas.
“Beh, va bene. Ma almeno vuoi venire con noi? Credo che lui vorrà vedere anche te.”
Già, Roxas non aveva elaborato. Da chi stavano andando quei ragazzi? Chi c’era a Twilight Town che li poteva aiutare? La curiosità si dimostrò più forte di ogni reticenza.
“Dove dovete andare?”
“Ah, grazie che l’hai chiesto. Ecco, guarda, l’ho segnato sulla mappa. Magari sai come ci si arriva.”
Il biondino osservò il nome sulla mappa, e pensò che il destino aveva oltre a un senso dell’umorismo parecchio distorto anche una riserva infinita di tiri mancini.
   
 
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