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Autore: MySkyBlue182    06/04/2016    4 recensioni
Le persone che amava, Gerard le amava sul serio.
Seguito di Trust me
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bob Bryar, Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Ray Toro | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ed eccomi di nuovo! C:
Questa volta un po’ in ritardo, ma posso spiegare!! Ho passato delle settimane molto frenetiche per via di mia madre che ha traslocato e ovviamente ha avuto bisogno di me.
Che poi, io sono qui a giustificarmi al vento dato che nello scorso capitolo non ho sentito nessuno, a parte la mia dolcissima e fedelissima Sunset.
Comunque, ovviamente mi sono chiesta se per caso ci fossimo ritrovate tutte impegnate nello stesso momento, oppure se il capitolo scorso non faccia proprio schifo. Non ho saputo rispondermi, STRANAMENTE!
Le recensioni, in ogni caso, servono anche per dirmi cose negative, io sono a disposizione, preferisco le critiche al silenzio.
Per quanto riguarda il titolo del capitolo… CATASTROFE!!! Praticamente, la mia honey beta, mentre leggeva QUESTO capitolo, mi aveva consigliato di chiamarlo “questione di sguardi” per diversi motivi che non starò qui a spoilerare, io d’accordissimo con lei, dato che, tra l’altro, mi impicco sempre per trovare titoli adeguati. L’errore fatale è stato non segnarmelo, avevo a mente questa cosa e basta, così quando ho pubblicato il primo capitolo con tutta la sicurezza di questo mondo l’ho chiamato così: “questione di sguardi” convintissima che questo titolo lo avessimo attribuito proprio a quel capitolo.
Il nocciolo della questione è che proprio ora mi sono accorta dello sbaglio -_-
Questo per dirvi quanto sono sveglia ed organizzata :°°°°°°°°°D
Vabbè, ormai è successo, quindi è inutile stare a pensarci. L’ho detto per onestà e perché mi piace un sacco sputtanarmi! Ahahaha
Bene, il capitolo tre sarà “questione di sguardi 2” con la speranza di trovare presto il titolo adeguato al primo e togliere questo due che fa schifo come in generale fanno schifo tutti i numeri!
Buona lettura e attenderò i vostri commenti con ansia!
-SkyBlue-
 
 
 
 
 
PRTGMOIcap3
 
 
Questione di sguardi 2
 
 
 
 
 
A Gerard piaceva immaginare il posto in cui il cervello trattiene i ricordi come un insieme di scaffali.
Non scaffali di legno come quelli di una vecchia e sontuosa biblioteca, come quei posti che sembrano rimasti sospesi nel tempo, no, li immaginava di ferro, di acciaio, come quelli degli archivi di alcuni uffici.
Per i ricordi più datati pensava anche ad una sorta di lunga cassettiera, di quelle con i cardini scorrevoli, lunghe e piene di fogli impilati verticalmente. In ordine.
Ecco, immaginava degli archivi asettici, da visitare a piacimento e in cui trovare gli avvenimenti passati catalogati in fila. Non immaginava così solo la sua mente, ma quella di tutti: una grossa stanza solitaria e silenziosa dove il passato era accumulato e i ricordi erano scritti su fogli A4 e riposti con cura nei cassetti e negli scaffali.
Gerard non entrava spesso nella sua stanza dalle pareti bianche e dall'arredamento color acciaio. La visitava sporadicamente e, quando lo faceva, entrava in fretta e lanciava i fogli per poi richiudersi la porta alle spalle. Sgusciava silenziosamente, come una spia, senza guardarsi troppo intorno e per cercare qualcosa metteva tutto a soqquadro.
Quella stanza lo angosciava.
Non che dentro ci fossero solo fogli che contenevano frasi e pensieri tristi, ma era già abbastanza fare capolino e vedere quei grossi faldoni da sistemare e catalogare da indurlo a scappare, tornare sui suoi passi, sbarrando l'uscio, posandoci poi la schiena e rimanendo a boccheggiare per l'ansia che aveva provato.
La sua stanza era il caos.
Era come se avesse subito una scossa violenta di terremoto ed ora l'ordine che in un’altra vita aveva regnato lì dentro era stato rimpiazzato da una devastazione di proporzioni immense.
Avrebbe dovuto mettere a posto, quello era certo, ma aveva cercato di rimandare il più possibile, come un adolescente alle prese con l' ordine della sua camera o come una segretaria con troppo lavoro arretrato.
Sistemare avrebbe significato leggere fogli per decidere dove riporli, avrebbe significato portare gli occhi su certe frasi e la mente gli avrebbe fornito immagini fin troppo nitide di scene e situazioni vissute che avrebbe desiderato non ricordare affatto.
Ultimamente era stato nella sua stanza... Lo psicologo lo aveva aiutato a trovare il coraggio di posare la mano sulla maniglia e scostare il battente.
Aveva anche finto, Gerard.
Aveva detto che la porta era chiusa a chiave e che lui l'aveva persa, ma lo psicologo non si era lasciato ingannare, gli aveva ricordato che ce l'aveva in tasca e che doveva aprirla e non temere, ché quei fogli non l'avrebbero di certo mangiato.
Questo ovviamente lo credeva il suo terapista, Gerard aveva una paura fottuta di tutte quelle carte... Erano troppe, erano ammucchiate in pile senza senso, erano come dei mostri.
Lui gli aveva detto che si offriva di aiutarlo, che non avrebbe dovuto fare tutto da solo, ma che però era un compito che spettava soltanto a Gerard, nessuno poteva prendersi quell'onere. Lui era il padrone di quella stanza e protagonista di ogni aneddoto che quei fogli contenevano.
Così aveva preso il coraggio a due mani, un giorno, e, ad intervalli regolari che corrispondevano alle due sedute settimanali con il terapista, era entrato. All'inizio aveva solo studiato la stanza, aveva cercato di capire la sua forma, ma sembrava un labirinto, così era tornato accanto alla porta, pronto a scappare in ogni momento.
Lo psicologo aveva iniziato a raccogliere alcuni fogli e li aveva letti ad alta voce, gli aveva chiesto se fossero ricordi vecchi o nuovi, se erano stati felici o tristi. Certe cose, Gerard, non le ricordava neanche.
Avevano così iniziato a dare un senso a quei cumuli di carte svolazzanti.
Aveva riso ripensando a certe cose, aveva pianto ricordandone altre. Poi, il terapista gli aveva comunicato una cosa insolita: c'era un punto, in quella stanza, in cui sembrava che non fosse accaduto nulla, una parte in cui tutto era in ordine e che non aveva nemmeno le pareti dipinte di bianco.
Gerard rimase sorpreso perché lì dentro la situazione sembrava uno sfacelo da qualunque angolazione la si guardasse, ma si fidava di quell'uomo e così gli credette. Lui lo spinse ad addentrarsi in quella stanza con troppi corridoi e cieche rientranze e, quando arrivarono a destinazione, lui restò in silenzio, gli diede il tempo di accorgersene da sé e Gerard guardò con stupore quella grossa rientranza che sembrava staccata dal resto.
Aveva le pareti blu e la luce non era affatto innaturale, era gialla, viva e alzò lo sguardo, notando che sopra non c'era un soffitto. C'era una vetrata e si vedeva il cielo.
Iniziò a capire, vide gli scaffali fatti di un materiale più pregiato che non un ferro qualunque, vide il calore del legno abbracciare quel mucchio di fogli e faldoni e aprendoli non si stupì nemmeno un po' di trovarci scritto sempre il nome di Frank.
Quella era la sua nicchia, lo spazio che occupavano i ricordi che aveva di lui e con lui e, si rese conto, erano davvero più ordinati. Erano sistemati con cura, tenuti insieme da elastici e fascette, come se avesse avuto paura che andassero persi. Alcuni erano stropicciati e altri completamente integri, scritti a mano, a differenza degli altri fogli sparsi per la stanza, alcuni erano addirittura disegnati e, ogni volta che leggeva qualche frase casuale, Gerard sorrideva perché leggere il nome di Frank accanto al suo lo rendeva pazzamente emozionato, anche se a volte gli aneddoti erano confusi e tristi.
Capì l'importanza di quella stanza, capì che era fondamentale averne cura, si rese conto che era povero senza quella stanza, che non aveva nessuna esperienza da poter paragonare a qualcun'altra già vissuta.
Capì che quel luogo non avrebbe dovuto spaventarlo, che il lavoro arretrato avrebbe potuto metterlo a posto, pian piano, e che ogni nicchia avrebbe potuto dipingerla con colori diversi, avrebbe potuto cambiarne l’arredamento e ospitare quei fogli su materiali diversi, in scaffali e cassetti adeguati al significato che avevano per lui certe cose raccontate lì sopra.
Comprese che, quella stanza, non gliel'avrebbe mai potuta portar via nessuno, che era sua, sua soltanto, e che avrebbe potuto rifugiarcisi ogni volta che ne avrebbe sentito la necessità.
Perché la vita scorre e ti dà e toglie molte cose, persone, realtà, ma i ricordi non li può rubare nessuno, quelli sono ciò che resta di ciò che siamo stati, ciò che ci ha fatto sorridere e ciò che ci ha fatto crescere. Ciò che ci ha reso più forti, più sensibili.
Ciò che ci ha reso chi siamo.
 
 
 
 
In quel momento ricordò l'invito al locale ricevuto il giorno prima da Ray e Bob.
Non che non avesse voglia di andare, anzi, solo che ci sarebbe stato anche Frank e sembrava che fosse in grado solo di urtare i suoi nervi e farlo arrabbiare, quindi avrebbe rinunciato volentieri per la tranquillità di Frank.
Ma Mikey aveva già chiarito il fatto che avrebbe dovuto precederlo, ché altrimenti non si sarebbe mosso di casa neanche lui. Sapeva che certi ricatti colpivano Gerard e lo inducevano a scegliere di assecondarlo, così decise che sarebbe andato.
Il fatto che Frank lo odiasse lo metteva in una condizione di agitazione generale, lo faceva sentire misero, ma per lo meno non insignificante, dato che Frank non faceva altro che guardarlo ed odiarlo da lontano. Almeno l'odio era un sentimento, sempre meglio della totale indifferenza.
Iniziò a vestirsi con calma, Mikey era uscito anche nel pomeriggio e Gerard non avrebbe escluso che fosse andato proprio da Frank. Erano troppo amici per restare separati a lungo e Mikey sarebbe morto se non avesse saputo per filo e per segno cosa stava passando Frank. Erano come fratelli e Gerard non aveva mai provato gelosia per quel loro rapporto così stretto, anzi, era felice che Frank avesse Mikey e viceversa, ma soprattutto che Frank potesse contare su suo fratello dal momento che lui era figlio unico e non poteva avere un confidente, una spalla e un porto sicuro come lo aveva Gerard.
In realtà era molto possessivo con Mikey. Quando da adolescenteaveva iniziato a crearsi il suo gruppo di amici e ad uscire con loro, in Gerard si era scatenata una gelosia assurda. Non poteva pensarci senza rodersi dentro per il fatto che suo fratello avesse più piacere di passere il tempo con altre persone piuttosto che con lui.
Erano ragionamenti stupidi ed infondati, okay, ed era pure vero che non mancava una volta di invitarlo ad andare con lui, solo che Gerard era troppo chiuso e solitario, era perennemente in imbarazzo con se stesso, figurarsi se avrebbe potuto reggere una conversazione con degli sconosciuti o fare amicizia come se nulla fosse.
No, decisamente non era da lui.
Così Mikey si era attaccato molto a Frank. Era con lui che aveva condiviso le prime uscite e le prime serate in discoteca. Con lui era andato a guardare concerti e alle feste e, il fatto di frequentare la stessa scuola, gli aveva reso solo quel rapporto ancora più naturale e stretto di quanto già non lo sarebbe stato.
Aveva ascoltato per mesi la voce di Mikey tessere le lodi di quel Frank sconosciuto. Parlava di lui in continuazione e di quanto fosse bravo a suonare la chitarra. Poi una sera lo aveva convinto ad andare a vedere il concerto della sua band e quella era stata la svolta più grande della sua vita: Gerard era rimasto stravolto da Frank.
Lui era ancora meglio di come Mikey glielo aveva descritto, era ancora più vitale, più spiritoso, più divertente... ed era bravissimo a suonare la chitarra.
Gerard ne era rimasto incantato e non ci aveva pensato poi tanto, quando si era accorto che agli appena nati My Chemical Romance mancava qualcosa, a dire a Mikey che voleva Frank.
E quando aveva detto "Voglio Frank", dentro quel desiderio c'era molto più di quello che chiunque avrebbe mai immaginato, nemmeno lui stesso ne era stato consapevole.
 
Col senno di poi, forse, quella richiesta perentoria era stata come una condanna a morte per Frank, ma, nonostante tutto, senza tener conto della sofferenza che gli aveva inferto, Gerard sarebbe stato disposto a rifare totalmente tutto quanto con Frank. Dalla prima all'ultima cosa.
Amava la nicchia blu. Amava passare le giornate perso lì dentro.
- Vabbé, Gee, non ci credo che sei ancora in mutande!- lo riprese Mikey facendo irruzione in camera sua.
Gerard era in piedi e davanti allo specchio e, ancora una volta, la nicchia blu lo aveva risucchiato. E aveva smesso di fare qualunque cosa.
- Stavo decidendo che mettermi.- provò ad inventarsi per trovare una scusa.
-Certo! Non ti perdi a scegliere i vestiti nemmeno quando devi tenere un concerto, ora vuoi farmi credere che hai questa preoccupazione per andare in uno sperduto pub del New Jersey?!- lo prese in giro bonariamente.
Gerard gli sorrise sghembo, colto in fallo e consapevole della verità che aveva detto suo fratello.
- Già, okay, lo ammetto, sono in ritardo!- sia arrese cercando i pantaloni tra i vestiti sparsi per la stanza.
Era molto dimagrito in quel periodo e, da ragazzo sempre un po' in sovrappeso quale era stato, non riusciva a non compiacersene.
I pantaloni neri gli stavano aderenti e mettevano in risalto le gambe muscolose e snelle, sulla vita si chiudevano senza nessuno rotolino di ciccia sporgente e la stoffa gli fasciava il sedere sodo e che notava essere un bel vedere.
Non aveva ancora tagliato i capelli e quei ciuffi neri e sempre più lunghi non facevano che fargli venire in mente quelli di Bert, lunghi e disordinati. Non gli piaceva quel pensiero e si appuntò mentalmente di andare a tagliarseli il prima possibile.
Pensò rapidamente a lui e al modo brusco con cui si erano salutati, si ripromise di sentirlo almeno per telefono, perché, in fondo, era stato un amico. Nel bene e nel male.
- Dai, che Frank e Bob staranno già per arrivare al pub!- lo sollecitò, con una voce fintamente disperata, suo fratello, - E noi siamo ancora qui a guardare le tue ossa!- aggiunse indicandogli la pancia.
- Ho ancora un po' di pancia, comunque.- rispose Gerard sovrappensiero.
- Piantala, sembri una modella!- lo redarguì Mikey e gli lanciò la maglia dei Misfits.
- Metti questa, farai invidia a Frank!- gli consigliò facendogli l'occhiolino.
Gerard lo guardò un po' spaurito, il nome di Frank gli faceva venire ansia, ultimamente.
Mikey se ne accorse e gli sorrise con fare consapevole. Forse era andato davvero da Frank, nel pomeriggio.
- Non voglio intromettermi in situazioni che non mi riguardano- iniziò Mikey camminando per la stanza e parlando con un tono più serio, - Però vorrei rassicurarti... – sospirò, - Gee, passerà tutto. Frank è solo momentaneamente arrabbiato. Ha passato un brutto periodo.- gli raccontò senza entrare nel dettaglio.
Ma a Gerard erano proprio i dettagli ad interessare.
- Cosa gli è successo? Che brutto periodo ha passato?- chiese estremamente preoccupato. Quando si trattava di lui il suo umore subiva variazioni clamorose, si ribaltava, cambiava con una rapidità assurda. Frank gli interessava un po' troppo, ecco tutto.
Mikey studiò la sua espressione, lo guardò attentamente, con i suoi occhi piccoli e lo sguardo penetrante lo scrutò fin nell'interno. Soppesò la smorfia ansiosa con cui era dipinto il volto di Gerard e Gerard si accorse della decisione che aveva appena preso suo fratello. Si accorse della sua apprensione, della fin troppo evidente ostinazione che l'avrebbe tenuto in silenzio. Non gli avrebbe detto niente. Da come Mikey lo guardava, riusciva a percepire il desiderio di tornare indietro nel tempo e non aver accennato neppure a quella faccenda.
Mikey lo considerava troppo debole per affrontare anche altri pensieri.
Stette ancora in silenzio.
- Mik, raccontami.- lo sollecitò.
- No.- rispose deciso, - Non è il momento giusto, ma te lo dirò. Promesso.- lo rassicurò.
Gerard avrebbe voluto cavargli le parole di bocca, avrebbe voluto chiuderlo a chiave nella sua stanza e tenerlo prigioniero finché non avesse sputato fino all'ultima parola, ma poi rinunciò.
Tenne a mente la cieca sicurezza che Mikey lo amava, che lui si sarebbe sempre comportato nel modo migliore con lui e teneva a Gerard, forse più di quanto Gerard avesse mai tenuto a se stesso. Volle fidarsi di quella indiscutibile certezza e continuò a vestirsi senza aggiungere una parola.
 
 
 
 
Arrivati a destinazione Gerard non avrebbe saputo dire nemmeno come aveva fatto ad arrivarci.
Questo problema della paura di uscire di casa lo stava travolgendo senza essersi accorto di soffrirne. Aveva iniziato a notarlo casualmente: ogni qual volta aveva in programma di uscire, oppure di andare da qualche parte, il suo cuore iniziava a scatenarsi senza contegno. Iniziava il tremore alle mani e alle gambe, iniziava il mal di stomaco. Anche quando doveva occuparsi di piccole commissioni, succedeva questo. Cominciava a provare un'insensata e inspiegabile paura. E quando, come in quel momento, tentava di ignorarla e mettere piede fuori di casa, avvertiva quell'opprimente senso di soffocamento, come se qualcuno gli stesse stringendo la gola con una mano. Una mano attaccata ad un bel braccio possente.
Non riusciva a decifrarne cause e motivi, ma stava diventando un vero fastidio. Non riusciva a stare tranquillo, non riusciva a vivere con serenità nemmeno le uscite con i suoi amici, percepiva soltanto l'estraneità ad ogni situazione e luogo, il sentirsi fuori posto ovunque, anche sul vialetto di casa sua.
Forse il problema erano le persone, forse era quello che gli metteva ansia, che lo faceva sentire goffo ed ingombrante. Sentiva di essere continuamente sotto esame, giudicato anche se nessuno gli stava prestando attenzione. Immaginava sguardi percorrere la sua figura, giudizi e commenti inudibili arrivargli alle orecchie.
In realtà non c'era nulla di tutto ciò, ma Gerard lo percepiva dentro. Non si sentiva al sicuro, ecco tutto.
Le quattro mura di camera sua erano tornate ad essere la barriera invisibile che lo proteggeva e lo traeva in salvo. Pensò che agendo in quel modo stesse tornando indietro, invece di migliorare e divenire una persona coraggiosa stava regredendo, era tornato un bambino impaurito.
Cercava di tenere a mente tutti i consigli utili che gli aveva dato lo psicologo in quei tre mesi, ma metterli in pratica era durissima, soprattutto quando il nemico contro cui doveva battersi era se stesso.
 
 
 
Circa a metà del periodo trascorso al centro, il terapista aveva voluto fare un test un po' particolare, qualcosa che, come al solito, Gerard aveva definito ridicolo, inizialmente. L'idea consisteva nel coinvolgere i suoi parenti ed amici più stretti a scrivere una lettera, una specie di lista che aveva come titolo "Amo Gerard perché". C'erano due punti alla fine della frase e, dopo un paio di settimane di riflessione, Gerard aveva deciso di consegnare quei fogli ai suoi genitori e a Mikey quando erano andati a trovarlo. Aveva raccontato loro dell'intento del terapista e aveva spiegato che sarebbe servito a Gerard per capire cose che non immaginava nemmeno.
La sua famiglia aveva accettato di buon grado, avrebbero fatto qualunque cosa per aiutarlo in quel percorso che appariva così personale e solitario. Gerard non sapeva a cosa sarebbe servito, ma aveva deciso di impegnarsi andando lì e si sforzava di tenere fede alla sua promessa iniziale.
Erano tornati la settimana dopo con i fogli compilati. Gerard non aveva osato leggerli. Erano piegati in un'unica busta che aveva depositato senza pensarci nel cassetto della scrivania della sua misera stanza. Alla seduta con lo psicologo del giorno seguente e aveva portato con sé quella busta, come se fosse qualcosa che non gli apparteneva neppure.
 
Quell'uomo sulla cinquantina, i capelli brizzolati e gli occhi chiari che infondevano fiducia, gli aveva detto di aprirle e di leggergliele e Gerard, che ormai aveva preso confidenza con lui, non si era sentito minacciato o preso in giro e aveva fatto come gli era stato detto.
Quei fogli li aveva riletti altre centomila volte.
In ogni occasione in cui si era sentito disperato, ogni volta che il suo cervello aveva provato a proporgli la sua immagine come quella di un mostro. Era corso al cassetto della scrivania e aveva tirato fuori quei fogli con la stessa frenesia con cui un malato terminale si sarebbe attaccato ad una mascherina di ossigeno.
Teneva tra le mani tremanti quei fogli e si perdeva nella calligrafia un po' disordinata di suo padre, quella più studiata di sua madre, quella frenetica di Mikey. E scorreva parole e frasi, i punti segnati di suo padre all'inizio di ogni frase, come si fosse trattato della lista della spesa, la frase iniziale di quella di sua madre "sei mio figlio e sarebbe già dire tutto, ma proverò ad essere precisa e dirti perché ti amo", quella di Mikey, con la grafia quasi incomprensibile per la velocità con la quale probabilmente aveva scritto. Gli elencava motivazioni apparentemente sconnesse, senza un nesso tra azioni e luoghi, solo un mucchio di situazioni e abitudini, di cose fatte insieme e di riti a cui avevano dato vita loro due, insieme, da sempre e per sempre.
Quelle lettere erano diventate una specie di àncora di salvezza, una prova tangibile dei comportamenti giusti che aveva avuto in un'altra vita, in quei ricordi che aveva dimenticato.
Mikey  gli aveva detto che quei fogli non avrebbero dovuto essere solo tre, come minimo avrebbe dovuto aggiungere tre o quattro zeri, dopo quel tre, ma Gerard aveva detto di no, aveva spiegato a Mikey che quei fogli erano per chi lo amava come persona, chi lo conosceva, chi sapeva chi era e cosa sognava, chi lo aveva vissuto. Mikey non aveva detto nulla, aveva annuito e fatto morire lì il discorso.  Gerard aveva pensato che si fosse reso conto di quanto erano vere le sue parole.
Poi, il terapista aveva voluto spingersi oltre, o forse spingere Gerard oltre il limite e gli aveva proposto di scriversi una lettera da solo, una lettera che avesse lo stesso titolo.
Lo aveva trovato così fuori luogo, quel compito, che lì per lì non aveva voluto svolgerlo,come era successo con molti altri consigli che gli aveva dato quello psicologo. Poi aveva ceduto, come al solito, ed aveva trascorso pomeriggi interi di riflessione, studiandosi e cercando di capire cosa poteva piacergli di se stesso. Era stato un compito arduo, perché non gli veniva in mente nulla che proprio gli piacesse di lui, più che altro riusciva ad avere chiari dettagli oggettivi che facevano parte di se stesso, quindi partì da lì e la prima cosa che gli venne in mente, quella indiscutibile e certa, era che pensava molto. Talmente tanto che riusciva a ribaltare completamente ogni teoria, soprattutto quelle elaborate da sé e quindi partì dalla fine, scrivendo che si amava (giusto per usare il termine con cui era concepito quel compito)  perché come aveva elencato quella lista di pregi sarebbe stato in grado di stravolgerne uno per uno e trasformarli in difetti.
Non aveva ancora elencato nulla, in quel momento, ma era sicurissimo che ne sarebbe stato capace. Che avrebbe potuto eventualmente stravolgere il senso di quei pregi che avrebbe trovato in sé.
Quella era la grande stima che aveva di se stesso. O forse, semplicemente, sapeva essere un ragazzo obiettivo.
Comunque aveva ancora una "brutta copia" di quella “lettera a Gerard” e ne era parecchio soddisfatto, merito dell'ultima frase. Perché un conto era stilare la lista dei suoi pregi e fine, un altro era chiarire che, okay, potevano sembrare aspetti positivi, ma guardati da altri punti di vista potevano diventare l'esatto contrario.
Era come ammettere e subito dopo smentire, come se quei complimenti alla sua persona non li avesse realmente fatti.
 
Ci pensava bene, Gerard, a certe cose.
 
Tra quei falsi complimenti o pregi, o come li si volesse chiamare, c'era una frase come "amo Gerard perché vive in un mondo tutto suo".
E quella era una vera dannazione, quella era una di quelle armi a doppio taglio che prima o poi lo avrebbe ferito mortalmente.
Gerard viveva troppo fuori dal mondo, nutriva grandi aspettative che poi, ogni dannata volta, lo deludevano, non dimostrandosi all'altezza della sua immaginazione.
Era un sognatore, adorava ipotizzare, immaginare, amava tentare di prevedere situazioni e reazioni, amava inventarsele addirittura, certe cose. Ed era un po' come rassicurarsi, era come infondersi sicurezza, come darsi forza e dirsi che sì, sarebbe andato tutto bene, anche quando non avrebbe potuto farsene completamente un'idea.
Poi, la situazione arrivava, il momento di vivere arrivava e, fatalità, non era mai come lo aveva predetto. Questa era la parte brutta e negativa del suo presunto dono.
E, purtroppo, si ritrovava a struggersi spesso e volentieri a causa delle situazioni andate storte, a causa dei comportamenti altrui che non corrispondevano mai a come li aveva immaginati. Infine, poteva dire con certezza di prendersi troppo sul serio, di credere troppo a quel mondo parallelo in cui ogni persona faceva la cosa giusta e dove le situazioni erano perfette.
E non era perché Gerard producesse solo pensieri felici, ma principalmente perche non sapeva vivere adeguatamente nel suo mondo reale. Non era in grado, era lui a non esserne all'altezza, non gli altri.
Era difficile rapportarsi con le persone, così come comportarsi naturalmente in determinate circostanze, perché puoi passare tutta la vita ad immaginarela luna, a guardarla da lontano, ma solo entrandoin uno shuttle e raggiungendola potrai capire davvero di cosa si tratta.
E quel discorso non riguardava solo circostanze grandiose come la luna, poteva essere anche un incontro con dei fan qualunque. Gerard non ce la faceva a sostenerli, non era nelle sue facoltà essere disinvolto e sentirsi e comportarsi come il frontman dei loro sogni, con le risposte pronte e lo sguardo diretto verso i loro occhi. Preferiva abbassarlo, lo sguardo, preferiva disegnare e fare finta di non essere lì, ed essere considerato un maleducato o qualcosa del genere.
E così fuggiva.
Sfuggiva agli sguardi e alle domande, scappava da situazioni che lo mettevano troppo sotto pressione e si rifugiava nelle sue zone di conforto, tra le chiacchiere dei suoi amici o tra le braccia di Frank. E l'unica volta che aveva provato a vedersela da solo, a cercare di essere indipendente era finito nel turbinio incontrollato della droga e dell'alcool, dei calmanti assunti anche quando non ce n'era bisogno, tra le braccia di altre persone, persone che non ricordava nemmeno chi fossero state e tra le quali avrebbe preferito non finire.
Gerard non sapeva badare a se stesso, forse era questa la realtà. Era questo il problema, uno tra i tanti.
Gerard contro Gerard.
 
 
 
Arrivati al locale Ray, che era passato a prenderli a casa, parcheggiò accanto al marciapiede e continuò a ridere per qualche battuta che doveva aver fatto Mikey. In realtà avevano parlato per tutto il viaggio, ridendo o alzando la voce di tanto in tanto, le loro voci erano state il sottofondo  dei pensieri di Gerard. Non avrebbe voluto sembrare asociale, ma in quel periodo sembrava che non avesse bisogno d'altro che pensare e darsi spiegazioni.
Inconsapevolmente stava trascorrendo molto tempo con se stesso.
Si sforzò di concentrarsi a vivere e guardò verso l'entrata, riconoscendo le figure di Bob e di Frank. Sospirò, carico di emozioni, e mentre camminava per raggiungerli studiò la situazione, notando che Frank sembrava perso nei pensieri e preso a fumare, mentre Bob parlava con una ragazza che era in piedi di fronte a lui, di spalle a Gerard.
 Gerard immaginò che forse aveva finalmente deciso di presentargli la sua fantomatica fidanzata e sorrise, immaginando il suo volto.
Da dov'era poteva vedere solo i capelli scuri e la statura minuta, Bob sorrideva e chiacchierava insieme a lei. Non riuscì a convincere il proprio cervello a lasciar stare Frank e, come al solito, si ritrovò la sua figura scaraventata nella retina, non poté fare a meno di osservarlo, di accorgersi che aveva accorciato i capelli, che la maglia a righe gli stava benissimo, come gli sarebbe stata qualunque altra cosa, in fondo.
Osservò rapito le labbra socchiuse che soffiavano fuori il fumo, desiderò così tanto baciarle che lo stomaco fremette per un istante.
Poi, mentre cercava di forzarsi a distogliere lo sguardo, Frank alzò gli occhi distrattamente, cadendo nei suoi. Seguì un attimo di impaccio e di indecisione in cui Gerard non seppe che fare, se abbassare gli occhi e fingere che non lo stesse guardando o baciarlo con lo sguardo, l'unico modo che gli era rimasto con cui illudersi di poterlo fare.
Alla fine, i saluti posero fine alla situazione e a quell'attimo di perfezione e vicinanza.
Abbracciò velocemente tutti, anche Frank, perché essere amici prevedeva anche quello, e impiegò tutte le sue forze per non restargli attaccato più a lungo del dovuto. Frank non lo strinse moltissimo, quel gesto non gli faceva piacere e Gerard se ne accorse, ma si concentrò sul suo profumo e quando i loro petti si scontrarono inspirò a pieni polmoni, chiudendo gli occhi e assaporandone l'inconfondibile odore.
Pensò che avrebbe potuto vivere di quell'odore, che tutto il mondo ed ogni cosa avrebbero potuto sapere di quel profumo e lo avrebbero fatto sentire felice. E a casa.
-  Ciao Gee! - sentì pronunciare da una voce femminile e voltandosi a guardarla si accorse che non era nessuna fidanzata di Bob, nessun'amica e niente di vagamente piacevole. Era Jamia e, dopo averla educatamente salutata, senza metterci il minimo entusiasmo, dovette assistere alla sconvolgente scena di Frank che si avvicinava a lei, posandole un braccio sulle spalle e lei che posava dolcemente la testa su quella di Frank.
Quasi singhiozzò, ma riuscì a dissimulare quella reazione e il fastidio che provava.
In fondo lo aveva pensato proprio lui che Frank meritasse il meglio ed evidentemente, anche se a Gerard Jamia non andava proprio a genio, lei poteva essere  quel meglio.
Vide il sorriso compiaciuto e sincero di Frank in risposta a quel gesto e confermò a se stesso che sì, doveva essere proprio quel meglio.
L'intento e lo scopo ultimo erano di renderlo felice e quel sorriso poteva esserne la dimostrazione.
-Va be', io direi di entrare e sceglierci un bel tavolo appartato. - suggerì  Mikey invitando gli altri a seguirlo.
-Sì, giusto! -  convenne anche Bob.
-Allora, Gee, hai pensato a qualche diavoleria impervia per la partita di stasera? - gli chiese Ray evidentemente su di giri.
-Oh, sì! Altroché. Non ho bisogno neanche di pensare per inventarmi qualche regola di quelle toste di D&D! -  gli rispose ghignando.
-Wow! Bene! -  quasi gridò suo fratello eccitatissimo.
E pensare che erano rock star quasi completamente affermate e si rinchiudevano in pub dispersi, cercando tavoli appartati per fare i nerd per tutta la sera, giocando a D&D!
Frank gli passò accanto precedendolo, a sua volta preceduto da Jamia, e gli sfiorò il braccio col suo, casualmente. E Gerard lo percepí quasi bruciare, quel punto.
Sospirò ancora e lo seguì dentro al locale.
 
 
 
 
La serata procedeva davvero bene.
Gerard rideva tantissimo di fronte alle reazioni dei suoi amici, quando spiegava una regola o una sfida nuova.
A dare il via alle scenette esilaranti era sempre Mikey, che prendeva sempre i giochi troppo sul serio, e allora restava sbigottito di fronte ad ogni nuova proposta, sostenendo che era troppo difficile o che il regolamento non lo avrebbe previsto. Dopodiché c'era Ray che lo sfotteva, seguito a ruota da Bob che iniziava a ridere talmente tanto, a volte, da non riuscire nemmeno a spiegare cosa avrebbe voluto dire.
Gerard si sentiva parte di loro, quella sera.
Si sentiva dentro ai discorsi, dentro ad ogni risata e scherzo, dentro alle carte, dentro al regolamento, dentro a Mikey, a Ray, a Bob.
Avrebbe potuto quasi dirsi completo, se non fosse stato per Frank e Jamia, che stonavano del tutto in quell'atmosfera. Gerard avrebbe voluto sentire anche loro, Frank perlomeno, ma lui era troppo occupato. Era lì, ma era assolutamente assente, chiacchierava con Jamia, ma soprattutto era impegnato con bicchieri e cocktail, con drink di qualsiasi genere.
Jamia aveva chiarito che era lì solo di passaggio, che più tardi sarebbe arrivata una sua amica a prenderla e sarebbe andata via.
Gerard attendeva quel momento con ansia dall'inizio della serata.
Il momento sembrava tardare e soprattutto Gerard temeva che, se avesse continuato così, non sarebbe rimasto molto del vero Frank, intorno a quel tavolo.
Stava bevendo troppo e con troppa enfasi, di quelle sbronze programmate e cercate con tutto il proprio essere. Gerard non capiva e non riusciva a farsi un'idea del perché Frank volesse ubriacarsi. Era con Jamia, chiacchieravano e sorridevano, lei era dolce e sembrava filare tutto liscio. Gerard non riusciva a cogliere eventuali problemi tra loro, era tutto okay, ma Frank beveva come se l'alcool non potesse scalfirlo o come se potesse e non vedesse l'ora di sentirne i primi effetti.
Alzò lo sguardo sui propri amici, seduti intorno a quel tavolo insieme a lui, osservò le facce assorte di Ray, Mikey e Bob, poi continuò controllando Jamia, vedendola occupata a guardare il cellulare che aveva in mano. Posò gli occhi su Frank e trovò la sua attenzione rivolta ai ragazzi che giocavano, ma se ne disinteressò in fretta e, per la seconda volta della serata, i loro sguardi si incontrarono.
Gerard non si mosse e aspettò che Frank spostasse di nuovo quegli occhi dal colore indefinito dalla propria figura, ma lui non lo fece. Restò immobile, riuscì a trafiggergli i suoi, di occhi, e forse gli stava leggendo nel pensiero, stava afferrando le parole che il suo cervello gli ripeteva in eco, stava perfettamente udendo l'ordine perentorio della propria ragione che gli consigliava di non guardarlo, di fuggire da quel contatto sbagliato.
Gerard vide lampeggiare le iridi di Frank di pura rabbia, la stessa che manifestò anche stringendo i pugni sul tavolo, con il sospiro frustrato e poi il gesto inaspettato: smise di colpo di prestargli attenzione e puntò quell'attenzione furibonda sulla ragazza che gli sedeva accanto. Le afferrò la testa con poca delicatezza, e la spaventò pure, probabilmente, attaccò le labbra alle sue con talmente tanta rapidità e veemenza che Gerard non riuscì a voltarsi dall'altra parte e a costringersi a non assistere a quel gesto così ambiguo e che gli stava facendo percepire il proprio respiro più corto e spezzato.
Finalmente riuscì ad abbassare la testa, shockato, e prese a mordersi l'interno della bocca mentre le sue mani si agitavano sudate tra loro.
Sentì il proprio corpo cedere, una vampata violenta di gelosia e dolore percorrerlo dall'interno, partire dal basso e spostarsi come un treno in corsa verso la gola. Forse avrebbe vomitato presto.
Provò a respirare profondamente, a prendere aria dal naso e a rilasciarla con calma dalla bocca, il senso di nausea si bloccò presto e velocemente come era arrivato, ma aveva bisogno di scappare. Giusto un momento.
Una sigaretta, ecco, sarebbe stata una buona scusa.
-Ragazzi voi continuate pure, torno subito. - disse fingendo un sorriso.
- Dove vai? -  chiese al volo Mikey, l'aria preoccupata.
Forse Gerard non si accorgeva mai di nulla, gli capitava di assistere a situazioni e nemmeno se ne rendeva conto, ma suo fratello era il suo esatto contrario. Forse aveva visto tutto.
-Vado a fumare, tranquillo! -  cercò di rassicurarlo parlando con fermezza e battendogli una pacca sulla spalla mentre muoveva già i primi passi verso l'uscita sul retro. Lì sarebbe stato più solo e magari anche in pace. Aveva bisogno di sbollire quel mix di sensazioni spiacevoli che lo stavano pervadendo.
Non seppe se Mikey avesse risposto o se qualcun altro avesse detto qualcosa, Gerard non badava mai a certe piccolezze, e si avviò verso il posto che stava immaginando come ideale per riprendersi dal mal d'amore.
 
 
 
Fumò la prima sigaretta come se fosse ossigeno e fosse stato in apnea per interminabili minuti, avrebbe tanto voluto piangere, ma si accorse che non era affatto una di quelle cose che poteva permettersi di fare senza destare curiosità in presenza di altre persone. Okay, c'erano soltanto altri due ragazzi, presi dalla loro conversazione, ma si disse che non era il caso. Sapeva controllarsi, sapeva trattenersi e respirò ancora, concentrandosi soltanto sulla meccanicità dell'azione e provando a pensare a qualcosa di preciso che avrebbe potuto assorbire il suo interesse.
Pensò intensamente alla parata nera, a quell'idea astrusa e profonda di cui aveva scritto e disegnato per mesi interi.
Immaginò che per un periodo aveva desiderato farne parte attivamente, aveva desiderato viverla piuttosto che raccontarla e morire per doverla vivere era un gran bel gioco di parole. Ripensò ad un testo che aveva scritto, pensò che fosse stato un qualcosa di premonitore: un amore che finisce e che, a causa di troppi problemi superati male o non superati affatto, uno dei due arriva a dire all'altro che non lo ama più come ieri.
Aveva scritto quel testo alternando il punto di vista da una strofa all’altra. Nella prima parlava in modo rancoroso della reazione all’abbandono subìto da uno, nella seconda delle motivazioni che avevano spinto il primo ad andarsene e così via, cercando di spiegare che quando una relazione finisce non è mai a colpa di una persona soltanto, ma di entrambe, a causa delle debolezze e dei difetti che non si riescono a sopportare o, semplicemente, perché dopo aver fatto un viaggio fino all’inferno insieme a qualcuno non si può uscirne indenni. I sentimenti possono cambiare, il bello che riuscivi a vedere viene completamente offuscato da esperienze dolorose e comportamenti che ti hanno lasciato basito e sconvolto. Allora è normale non riuscire più ad amare come lo si è fatto in passato. Allora è anche giusto che sia così, quando ti accorgi che l’altra persona, quella che ti ha causato tutto quel dolore, è in difficoltà e sta male pensi solo che se lo stia meritando, che quello è il posto più giusto in cui dovrebbe stare. Forse con cattiveria o forse perché l’amore si è trasformato in qualcosa di ancora più forte, di diverso, di potente a tal punto da non farti più ragionare come lo avresti fatto tempo prima, prima che quella persona ti sconvolgesse l’esistenza.
Gerard avrebbe tanto voluto sentirselo dire da Frank, che non riusciva ad amarlo più come prima.
 
 
Quando lo vide uscire fuori dalla porta sul retro, che ora si trovava di fronte allo sguardo perso di Gerard, intento a fumare, sperò proprio che fosse venuto a dirglielo.
Frank lo raggiunse affannosamente, non gli diede il tempo di formulare altri desideri o di domandarsi effettivamente che cosa ci facesse lì, perché lo avesse seguito.
Forse stava male, doveva vomitare, avrebbe voluto andare in bagno, ma aveva sbagliato porta.
Ma Frank lo raggiunse a grandi passi, allungò le braccia quando ancora non avrebbe potuto toccarlo e gliele buttò sulle spalle, con i palmi aperti gliele percorse avidamente arrivando al collo e accarezzandoglielo in modo disperato.
Gli si piazzò davanti, addosso, portò le mani ai lati del suo viso e lo guardò rapidamente negli occhi, facendoli incontrare con i suoi.
-Scusami.- sussurrò prima di avventarsi sulle sue labbra.
Ecco come si trasformava un sentimento puro come lo era stato il loro, inizialmente. Si stava trasformando in follia e possessione, in gelosie fuori luogo e in sentimenti che sfuggivano al controllo della ragione e si manifestavano violentemente, come a voler porre rimedio a tutto ciò che era successo, come a voler dimostrare che non era cambiato nulla, che poteva tornare tutto come prima, che si poteva dimenticare, ma invece, purtroppo, niente era più come un tempo, certe cose non si possono aggiustare e perseverare porta soltanto altro dolore. E l’odio, pur essendo un sentimento, non poteva assolutamente tenere unite due persone.
Gerard non voleva essere legato a Frank tramite l’odio.
Indietreggiò cercando di toglierselo di dosso, prese le sue mani e, con forza, le costrinse ad allontanarle dal suo volto. Frank non mollò e continuò a lottare per restargli attaccato.
Gerard infilò le mani tra i loro petti accostati, le fece scivolare in mezzo e le puntò con fermezza, spingendolo e portandoselo lontano.
Aveva il fiatone, lo stesso di Frank. Era sbigottito, basito, confuso. Era arrabbiato.
Si piegò con la schiena e posò le mani tremanti sulle ginocchia che avrebbero potuto cedere da un momento all’altro. Cercò di regolarizzare il respiro.
Non guardava Frank, piuttosto l’asfalto, ma percepì i suoi movimenti. Ascoltò i suoi passi avvicinarsi di nuovo, decisi, fermi. Si tirò su di nuovo.
-Devi baciarmi, cazzo, tu…- sbraitò senza nemmeno provare ad accostarsi. Lasciò le parole in sospeso e sospirò carico di frustrazione.
- Io non devo fare niente!- si ritrovò a rispondergli in preda a qualche sconosciuta emozione a cui non avrebbe saputo dare un nome.
Frank si bloccò a guardarlo. Lo fissò per qualche secondo e poi decise che forse erano troppo lontani, gli si parò davanti senza essere brusco, accostò il viso al suo e gli parlò senza guardarlo negli occhi.
-Devi baciarmi, io ti amo, io ne ho bisogno.- glielo disse direttamente nell’orecchio, posando la guancia alla sua. Glielo disse in modo tranquillo, glielo disse come se fosse la cosa di cui era più certo in vita sua. Come se fosse giusto. Come se avesse senso, soprattutto.
Gerard socchiuse gli occhi, incapace di respingerlo di nuovo, combattendo tra il calore della pelle di Frank a contatto con la sua, che avrebbe potuto bruciarlo, e tra la voglia di sentirla e di respirare ancora il suo profumo.
-Hai una ragazza dentro, Frank.- sussurrò come se non avesse assolutamente forze.
Frank gli si accostò di più, posò la testa sotto il suo collo, lasciandoci un leggero bacio mentre gli posava delicatamente le mani sui fianchi. Gerard si sentiva insolitamente bene e male nello stesso momento, non sapeva come fosse possibile, ma intanto era ciò che provava.
-Lei non è nessuno.- mise in chiaro parlando sottovoce.
Tornò con il viso di fronte al suo, lo guardò senza l’ombra di tutta quella rabbia con cui aveva visto animarsi il suo sguardo, poco prima. Fece fondere il colore dei loro occhi come avevano sempre fatto, come quando, forse, erano stati più felici.
E quando percepì il magnetismo verso le sue labbra, come fossero una calamita e le sue fatte di ferro, si lasciò andare e le fece incontrare ed unire. Era qualcosa di troppo chimico per poterlo contrastare.
Lo baciò con dolcezza, con trasporto e con tutti i sentimenti che aveva sempre provato per lui. E forse non era mai stato bravo a dirglielo, certo, ma non aveva mai provato un sentimento in maniera così forte come quello che sentiva per lui.
Frank era quella cosa bella e blu che non sarebbe mai dovuta capitare nella sua vita, mai, perché invece lui era rosso, scuro e volgare, e mischiato al colore del cielo diventava viola, forse addirittura una tinta più scura, e non avrebbe mai voluto renderlo un colore tanto brutto. Si diceva anche che portasse sfortuna, quel colore.
Si accorse ancora una volta di quanto erano sbagliati insieme, di quanto lo erano sempre stati e se ne era anche reso conto e aveva fatto finta di nulla, comportandosi da egoista e pensando solo all’attimo fuggente, al benessere che gli infondeva Frank, quando lui era stato in grado soltanto di distruggerlo.
Si scostò. Più delicatamente di poco prima, ma sfuggì al contatto, scappò dall’abbraccio, lasciando Frank pietrificato di fronte a sé.
Abbassò lo sguardo e si passò nervosamente le mani sul volto, percependo il cuore battere come una grossa campana che faceva riverberare quel suono per tutto il suo corpo, facendolo tremare.
Avrebbe voluto dire qualcosa, dirgli perlomeno che era sbagliato.
-Scusa.- invece, gli scappò di bocca e fece per tornare sui suoi passi, rientrando all’interno del pub.
Ma Frank non mollò nemmeno stavolta, lo rincorse quasi.
-No, aspetta!- gridò percorrendo i suoi stessi passi.
Lo afferrò per il polso e lo costrinse a voltarsi.
-Aspetta, scusa. Ti prego scusami, ma…- gli parlò più docilmente, il viso dipinto di una smorfia sofferente, - Tu non capisci, tu…- gli prese anche l’altro polso e puntò quei due occhi brillanti nei suoi, -Gerard, sto malissimo. Ho bisogno di stare con te.- pronunciò sull’orlo delle lacrime.
E quella frase gli fece più male di quella che avrebbe voluto ascoltare poco prima. Il fatto che invece di odiarlo era ancora lì a sperare in un futuro per loro due fu il colpo di grazia.
Quell’amore che si era trasformato in altro, l’odio che li teneva legati e lontani, il dolore che aveva causato a Frank lo aveva fatto diventare cieco ai veri sentimenti, non riusciva più a distinguere giusto e  sbagliato, non riusciva più a rendersi conto che quello non era amore, ma ossessione, potente bramosia di avere finalmente ciò che aveva sempre desiderato.
Gerard avrebbe voluto spiegarglielo che non c’era futuro, che il filo che li teneva uniti era soltanto una vecchia ragnatela di ricordi ed esperienze che sarebbe stato bello se potessero essere dimenticate. Avrebbe voluto dirglielo che non era un amore sano, che poteva essere felice, ma non sarebbe mai stato lui la fonte di quella raggiante felicità.
Avrebbe voluto dirgli molte cose, in realtà. Avrebbe voluto baciarlo di nuovo e allontanarlo di nuovo.
Avrebbe voluto piangere e sfogarsi, non percepire il tremore delle proprie gambe e delle braccia, avrebbe voluto non vedere lo spazio che aveva intorno ripiegarsi su se stesso e schiacciarlo.
Avrebbe voluto sentire le parole che Frank stavano pronunciando. E avrebbe tanto desiderato non vedere la preoccupazione sul suo viso e nei suoi occhi, vedere le sue mani tra le sue e non percepirle.
Avrebbe voluto scappare e chiudersi in camera sua, avrebbe voluto gridare e stare in silenzio, avrebbe voluto non esserci.
I suoni erano completamente ovattati, il fuoco sentiva bruciarlo ovunque, il cuore in gola e il tremore incontrollato. Provò a respirare, ma la gola era stretta in una morsa.
L’agitazione iniziò a farsi spazio dentro di sé e forse provò a dire qualcosa, forse chiese aiuto a Frank con lo sguardo.
Forse non fece proprio niente di tutto quello che stava immaginando, prima di perdere conoscenza.
 
 
 
 
 
 
-Che cazzo vuol dire “svenuto e basta”?- sentì chiedere dalla voce di suo fratello.
- Non lo so Mik, ha iniziato a guardarmi con uno sguardo vuoto, tremava, respirava affannosamente e ho fatto giusto in tempo a prenderlo prima che cadesse.- spiegò Frank sull’orlo di una crisi di nervi. Gerard sapeva riconoscere quel tono preoccupato.
Avrebbe voluto aprire gli occhi e rassicurarli, dirgli che ora stava bene, ma provò e lasciò subito stare, si sentiva troppo debole.
-Tu gli hai detto qualcosa, io lo so!- sbraitò Mikey in preda alla rabbia, accusando Frank.
-Io non gli ho detto nulla, invece.- controbatté Frank.
-Sei un bastardo, ti avevo detto di lasciarlo stare, di farlo stare tranquillo per un po’. Non hai una cazzo di ragione per avercela con lui, te l’ho assicurato al cento per cento che quel fantomatico “altro” non esiste e Gee passa le giornate a casa da solo e senza sentire nessuno nemmeno per telefono. Che cazzo ti prende?- Mikey continuava a sbraitare e Gerard avrebbe riso se avesse avuto le forze perché, come aveva immaginato, Mikey e Frank si erano visti e avevano parlato di lui, suo fratello gli aveva raccontato della sua bugia e Frank, però, era ugualmente arrabbiato con lui.
 
 
La situazione, ora, alla luce di quelle scoperte, era ancora più chiara: Frank ce l’aveva con Gerard e basta, non per motivi in particolare, nemmeno perché credeva che avesse conosciuto un'altra persona. Provava rabbia, punto.
E Gerard era fin troppo consapevole della legittimità di quella rabbia, sapeva che quando ti ritrovi all’inferno, anche se poi riesci a tornare, non sei più lo stesso. E Gerard ce l’aveva portato.
Vivere determinate esperienze insieme, dolorose, tristi, dilanianti, non può fare altro che far nascere nuovi sentimenti, far mutare quelli che già c’erano e cambiarli irrimediabilmente.
Gerard aveva capito benissimo che, durante i suoi periodi di sballo, quelli in cui non era in sé e di cui non aveva ricordi se non qualche stralcio sporadico, Frank aveva conosciuto il vero Gerard. E lo odiava, gli faceva schifo.
I tentativi che stava facendo per “tornare” insieme erano soltanto dei disperati sforzi con cui si illudeva di poter sistemare tutto. Forse anche per Frank, Gerard era stato un porto sicuro.
-Frank, cazzo, in questo momento ti prenderei a botte.- Mikey digrignò i denti parlando e Gerard percepì una mano accarezzargli i capelli.
- Mik, io…- provò ad iniziare Frank, ma suo fratello lo bloccò subito.
- Tu un cazzo, Frank. Ero venuto a spiegarti tutto apposta, oggi, e te ne sei sbattuto.- spiegò.
-Grazie mille!- gridò, poi.
-Mik, te lo giuro, non avrei voluto combinare questo casino, io… io…- sospirò e Gerard percepì la sua voce più vicina e poi un’altra carezza, ma stavolta sul viso.
-Mik, voglio stare con lui, lo capisci?- sussurrò con fare colpevole.
- Ho capito, lo capisco. Lo so.- disse Mikey frustrato.
-Ma se lui è arrivato ad inventarsi addirittura di avere un altro, forse –e dico forse- non vuole la stessa cosa?- gli chiese senza tenere conto che ciò che stava dicendo avrebbe potuto ferirlo.
Il fatto era che le cose non stavano così, in quel modo, eppure stavano proprio così.
- Hai bevuto come un alcolizzato, stasera. Ed ho visto cosa hai fatto con Jamia sotto gli occhi di Gee. Lui è uscito e tu lo hai inseguito. Ti stai comportando di merda. Di merda con tutti.- gli spiegò Mikey addolcendo un po’ il tono, consapevole, probabilmente, che Frank era in una posizione difficile, ma stava sbagliando e lui, in quanto suo amico, aveva il dovere di farglielo notare.
Frank sospirò e Gerard sentì i suoi passi allontanarsi. Li sentì, poi, di nuovo vicini. Stava camminando per scaricare la tensione, immaginò.
-Frank, devi avere pazienza.- disse infine Mikey e Gerard percepì i passi bloccarsi e poi la voce ruvida di Frank iniziare a gridare.
- Pazienza?! Pazienza, Mik?! Spero che tu stia scherzando. Sono anni che aspetto, che cerco di restare calmo, che sopporto e che –fanculo- spero.- disse l’ultimo verbo come se fosse la parola più brutta del mondo.
-Spero che prima o poi cambi qualcosa, spero che andrà meglio e poi non cambia mai un cazzo. Sono stufo di aspettare. Mikey io non ce la faccio più!- urlò per tutto il tempo e urlò ancora più forte l’ultima frase.
Forse Gerard sarebbe potuto svenire di nuovo. Frank aveva perfettamente ragione, Frank aveva elencato, ad una ad una, tutte le sue colpe, tutte le motivazioni per le quali Gerard non avrebbe mai più voluto far parte della sua vita.
Era stanco e Gerard lo comprendeva, forse al posto suo, lo avrebbe lasciato stare già da tempo. Invece Frank aveva combattuto con tutte le sue forze come un vero guerriero e meritava di essere ripagato. Meritava di essere felice.
E Gerard avrebbe sacrificato tutto per donargliela.
 
 
Sentì i passi furiosi di Frank allontanarsi e la porta sbattere. Una folata di vento gli accarezzò il viso come aveva fatto anche Frank poco prima. Provò ad aprire gli occhi e li trovò umidi delle sue lacrime. Forse agivano per conto proprio perché lui non aveva mai dato il permesso a quelle gocce salate di abbandonare i suoi occhi.
-Gee, come ti senti?- gli chiese subito con apprensione suo fratello.
-Dio, mi hai fatto prendere uno spavento!- aggiunse.
-Sto bene.- gli rispose col fiato corto e la voce roca.
E in quel momento avrebbe tanto avuto bisogno di una cosa precisa, ma non poteva averla così buttò le braccia sulle spalle di Mikey e diede finalmente il via libera, a quelle gocce salate, di sgorgare e percorrergli il viso fin sotto al collo.
  
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