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Autore: Abigail_Cherry    06/04/2016    1 recensioni
"Il tuo nome non ti definisce come persona. Ognuno è quello che è, indipendentemente dal proprio nome. Ed io dico che tu sei intelligente, sgargiante ed adorabile. Questo è ciò che sei."
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Capitolo 22:
I Genitori - Parte 2
 
«Non mi hai mai parlato dei tuoi genitori» dico ad Andrew mentre gli accarezzo una mano.
«Neanche tu» risponde.
«Sì ma tu i miei li hai conosciuti.»
«Come mai tutta questa curiosità improvvisa?»
«Ieri ho riflettuto molto su come i genitori determinino il perché una persona è quella che è. Quindi ho pensato a te. Per essere diventato così, tuo padre o tua madre devono averti fatto crescere in un ambiente tecnologico e tranquillo, giusto?»
«G-già, a proposito di questo... I miei genitori sono, diciamo, diversi dagli altri.»
«In che senso?»
«Beh, circa un'ora fa dovrebbero essere tornati a casa. Se vuoi in venti minuti siamo lì, così li puoi conoscere.»
«D'accordo. Grazie.» Bacio velocemente le labbra di Andrew, poi cominciamo a incamminarci verso casa sua. Prendiamo un paio di autobus, percorriamo un pezzo di strada a piedi mano nella mano fino ad arrivare alla sua piccola villetta.
Andrew prende le chiavi ed apre la porta.
Appena entro in casa, vengo avvolta da un tenero odore di biscotti. Il suo cane ci viene festosamente incontro ed Andrew lo accarezza per salutarlo. Il salotto è moderno con colori come il rosso, il nero e il bianco, un'enorme TV al plasma è fissata sul muro di fronte ai due divani.
«Eccoci a casa» dice Andrew. «Ti piace?»
«Eccome! È fantastica» rispondo, esplorando con gli occhi la casa.
«Andrew? Sei tu, tesoro?» si sente una voce femminile dal piano di sopra.
«Sì mamma, ho portato... un'amica» risponde lui, io gli lancio un'occhiataccia ma non dico nulla.
Si sente un rumore di tacchi scendere le scale, finché una donna bionda con gli occhi castani, vestita con un abito verde che le arriva a metà coscia, non si presenta davanti a noi.
«E così... tu devi essere la sua "amica". Molto piacere. Mi chiamo Ellen, sono la madre di Andrew.»
Sorrido e le stringo la mano. «L'avevo intuito. Suo marito è in casa? Mi piacerebbe conoscere anche lui.»
«Marito?» Ellen rivolge uno sguardo confuso a Andrew. «Tesoro... tu non gliel'hai detto?»
«Dirmi cosa?» chiedo, voltandomi verso Andrew.
«Ecco, volevo dirtelo ma...»
«Diciamo che non conosco il padre di Andrew. Anzi, possiamo dire che non ha un padre» continua Ellen, per non far cadere in maggior imbarazzo Andrew.
«Come? Com'è possibile?» faccio, sempre più confusa.
«Ellen?» sento dire un'altra voce femminile. «Sai dove ho lasciato i documenti dell'ultimo caso? Non li trovo più.»
«Prova a guardare in cucina, hai mangiato lì mentre li leggevi» risponde Ellen.
«Hai ragione! Arrivo subito.»
Si sentono di nuovo dei tacchi scendere le scale ed un'altra donna appare affianco a noi. È una donna con i capelli neri, gli occhi scuri e profondi e dei pantaloni larghi e marroni.
«Oh, ciao Andrew» saluta distrattamente lei prima di correre in cucina, non sembra neanche aver notato la mia presenza. «Sì, avevi ragione, erano proprio in cucina.» La donna torna da noi. «Grazie.» Stampa un bacio sulla guancia di Ellen e finalmente sembra accorgersi di me.
«Oh, abbiamo ospiti! Scusatemi, non me ne ero proprio accorta.» Mi tende una mano. «Sono Amber.»
«Molto piacere.» Le sorrido. «Lei è la zia di Andrew o qualcosa del genere?»
Amber ridacchia «Tesoro, no di certo!»
Andrew arrossisce un po'. «È mia madre.»
Ci metto qualche secondo ad elaborare. «Quindi voi...» e indico Ellen e Amber «...state insieme.»
Amber annuisce. «Sì, insieme da venticinque anni, sposate legalmente da otto.» Le due si scambiano uno sguardo d'intesa.
«Oh... Andrew non mi aveva accennato nulla» dico.
«Andrew è un po'...» Ellen fa un gesto eloquente con la mano «...com'era la parola, tesoro?»
«Diciamo che per lui è sempre difficile dirlo agli amici. Ha avuto brutte esperienze da piccolo» risponde Amber.
«Mamma!» esclama Andrew a un tratto «Hai detto abbastanza.»
«Okay, okay, starò zitta. Restate a casa o uscite di nuovo?»
«Direi che usciamo.» Poi Andrew si rivolge a me. «Ti riaccompagno a casa.»
«O-okay.» balbetto mentre vengo trascinata via per un polso da Andrew.
Una volta fuori di casa, mi lamento per un attimo con Andrew del fatto che non mi abbia fatto salutare le sue mamme e non me le abbia fatte conoscere davvero, ma presto l'argomento viene sostituito.
«A cosa si riferiva Amber prima?» chiedo.
«Riguardo a cosa?» dice Andrew prendendomi dolcemente la mano.
«Riguardo alla tua brutta esperienza da bambino.» Sento il corpo di Andrew irriggidirsi.
«Se non ti dispiace, non ne vorrei parlare» dice lui.
«Mai? Neanche tra un milione di anni?»
«Per me è un argomento difficile. Quando mi sentirò pronto te lo racconterò, okay?»
Resto un attimo in silenzio, poi mi sollevo sulle punte e gli dò un bacio sulla guancia, sentendo tutto il suo corpo rilassarsi. «Okay.»
 
****************
 
Non so come sia arrivata qui, in camera mia, a stringere il cellulare in mano in attesa di avere il coraggio di chiamarlo. Di dirgli che mi dispiace.
In questi ultimi giorni, mi sono resa conto di quanto la famiglia possa contare nella vita e come ci possa definire col tempo. E noi due... noi due siamo stati fin troppo testardi. Non so come abbia solo potuto pensare che Daniel potesse non avere influenza su di me. Perché lui ce l'ha, c'è l'ha eccome.
Senza di lui, io non ho una famiglia al completo e non posso avere la definizione completa di me stessa.
Il numero è già digitato sul display. Mi basta solo premere la cornetta e, quando lo faccio, sento mancarmi il respiro e lo stomaco si riduce a un gomitolo di lana.
Aspetto, mentre sento il cellulare chiamare una, due, tre, sette volte, finché non scatta la segreteria.
«...lasciare un messaggio dopo il segnale acustico.»
Sì sente un "bip" dal cellulare, poi il silenzio.
Tocca a me parlare ora.
«Daniel? Sono io... ehm... tua sorella. Volevo solo... solo parlarti, ecco.» Gioco nervosamente con i miei capelli, sentendomi completamente bloccata, senza essere nemmeno in grado di comporre una frase. «Se non hai risposto perché sei ancora arrabbiato con me allora ti capisco, va bene. In caso contrario, ho davvero bisogno di parlarti. Mi stanno succedendo così tante cose e... tu sei sempre stato bravo a darmi consigli. Ti prego, richiamami.»
Detto questo riattacco, appoggio il telefono sulla scrivania e mi sdraio sul letto tirando un grosso sospiro di sollievo.
Ma dopo qualche secondo, sento già le amare lacrime di un pianto che durerà minuti interi scorrere sulle guance ed andare a bagnarmi le orecchie.
   
 
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