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Autore: zing1611    09/04/2016    1 recensioni
Sono ormai passati cinque anni dalla sconfitta di profondo Blu, ma chimeri e creature spaventose continuano ad infestare il nostro pianeta. Un nuovo nemico è alle porte, e l'intera squadra Mew Mew è costretta a riunirsi di nuovo sotto la guida del giovane Ryan. Strawberry è cambiata moltissimo dalla fine della prima guerra, e dopo anni passati tra le braccia di Mark, ora dovrà tornare a confrontarsi col suo passato che inevitabilmente si scontrerà col presente.
E' la mia prima fan fiction, ispirata ad uno dei cartoni preferiti della mia infanzia.
Spero vi piaccia e vi appassioni capitolo per capitolo. Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoyama Masaya/Mark Aoyama, Ichigo Momomiya/Strawberry, Nuovo Personaggio, Ryo Shirogane/Ryan, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pian piano la storia sta prendendo forma e posso assicurarvi che avrete ben presto capitoli più lunghi e molto più ricchi di avvenimenti! Spero che la lettura di questo nuovo capitolo non vi deluda!
Buona lettura e... Recensite!!
A presto! :)




La notte dopo aver trovato il piccolo pensiero di Ryan ripiegato sul letto, passò leggermente più tranquilla della precedente.
Almeno adesso sapevo che per lui qualcosa ancora valevo.

Dopo aver scoperto quello che provava per me, l’avevo inevitabilmente allontanato, non capendo più come dovermi comportare nei suoi confronti. Quando poi lo rividi tre anni dopo assieme a Fujiko, mi convinsi che i suoi sentimenti per me erano totalmente scomparsi.

La baciava sempre con una tale passione da far sembrare me e Mark due scolaretti alle prime armi. Il che mi mandava letteralmente fuori di testa.
Come se non bastasse ogni qual volta era capitato che li vedessi baciarsi, era come se Ryan percepisse il mio disappunto e, terminate le effusioni con la fidanzata, mi rivolgeva quello sguardo soddisfatto e allo stesso tempo di superiorità, che sembrava dire “quando mai il tuo Mark ti bacia in questo modo, micetta?”.
Ed io puntualmente davo in incandescenze, e lui sempre puntualmente sembrava accorgersene, e ridere sotto i baffi.

Mi alzai relativamente ad un orario decente, quindi mi concessi un lungo bagno rilassante e una volta asciugata e vestita, mi diressi a piedi verso il Caffè.
L’aria, pur essendo dicembre inoltrato era abbastanza calda e mi accarezzava la pelle della pancia lasciata scoperta dal bustino bianco che portavo sotto la giacca.
Mi sentivo particolarmente allegra, pur vista l’intera situazione di merda in cui mi stavo per cacciare a causa del nuovo progetto e quei chimeri che avrebbero reso Ryan intrattabile per tutti i giorni a seguire. Camminai in silenzio, diretta all’edificio rosa, beandomi del fatto che in giro non ci fosse un cane, poi a metà strada presa da quella strana euforia mi trasformai in gatto e corsi fino al locale beandomi della sensazione della corsa e dell’aria che mi accarezzava il pelo nero sulla testa e tra le orecchie.
Una volta raggiunta la destinazione, mi ritrasformai, controllando bene intorno se qualche curioso stesse sbirciando nella mia direzione, e mi avviai verso la porta d’ingresso, aperta proprio come il giorno precedente.

Da quando avevo iniziato le iniezioni, avevo maggiore controllo sui geni del gatto, il che mi rendeva pienamente soddisfatta. Avevo cominciato a cercare un modo, una “cura” che mi permettesse di convivere non solo tranquillamente con i geni che Ryan ci aveva impiantato all’inizio del progetto, ma anche riuscendo a giovarne.
All’inizio era stato complicato, visto che non ero mai stata particolarmente portata nello studio (e sinceramente non m’interessava neanche esserlo), poi pian piano mi ero messa sotto e mi ero resa conto, in realtà, di possedere molte più capacità di quanto credessi.
 I primi tempi fu difficilissimo capire da dove iniziare. Poi dopo aver lavorato su alcuni reperti ritrovati in Egitto un mese prima dall’università di Londra in uno scavo finito non propriamente bene, avevo rintracciato residui di acqua cristallo sul materiale, fusa con altre particolari sostanze, che mi avevano permesso di sviluppare il siero.
Non ci volle molto per capire quale dovesse essere la giusta concentrazione degli ingredienti all’interno della “pozione”, ma i primi due tentativi furono un buco nell’acqua. Accentuarono così tanto la presenza dei geni nel mio DNA da costringermi a mantenere la forma felina per ben due giorni di seguito, la prima volta, e andare in giro costantemente con un cappello, la seconda, a causa delle orecchie che non volevano più scomparire.

Stavolta non trovai Kyle nel salone principale e le ragazze non erano ancora arrivate.
Mi sedetti su una delle sedie che si trovavano vicino alla porta d’ingresso fin dal giorno che ero arrivata lì con Mark, attendendo in pace che qualcuno scendesse, o salisse, in caso si fossero trovati nel laboratorio a lavorare su qualcosa in particolare.
Sentii una porta richiudersi proprio in cima alle scale.
Deve essere Ryan, ora mi sente.
Feci per alzarmi e andargliene a dire quattro sul comportamento che aveva avuto il giorno prima, pur sapendo che tanto sarebbe tutto finito con lui che mi sfotteva, visto che sapeva benissimo che, dopo avermi lasciato il bigliettino sul letto, non potevo più essere così tanto arrabbiata.
Stavo per chiamarlo, quando comparve davanti a me una Fujiko non propriamente vestita, con indosso solo una maglietta dell’americano, i capelli sparsi sulle spalle e gli occhi ancora impastati per il sonno. Evidentemente si è svegliata ora.
Non appena la consapevolezza del fatto che aveva passato la notte al caffè iniziava a insinuarsi sempre più forte nel mio cervello fino a stamparsi a fuoco, la gallina iniziò a parlarmi –Cerchi qualcuno, Strawberry?-.
Oh quanto volentieri la prenderei a schiaffi. Le feci un bel sorriso di circostanza e mi apprestai a rispondere; non volevo leggesse alcuna incertezza nei miei occhi, o nelle mie parole –Si, stavo cercando Ryan-.
-Oh... beh, mi dispiace cara, ma sta ancora dormendo…- fece una pausa per permettersi un piccolo sorriso malizioso –Sai non ha dormito molto stanotte-.
Ok, se fossi stata la Strawberry di cinque anni prima, probabilmente, sarei diventata nel giro di pochi secondi di tutte le tonalità di rosso esistente sulla faccia della terra. Ma ora no.
Ringraziai mentalmente il mio autocontrollo nuovo di zecca per non rovinarle quel bel faccino piantandole tutte le unghie della mano sulle labbra perfette (ma cosa mi salta in testa?) e risposi cercando di sembrare il più... tranquilla possibile –Non c’è problema, lo aspetterò qui, o giù in laboratorio.-
Al sentire quelle parole, s’irrigidì non poco, stringendo per un attimo i pugni.
Probabilmente pensava che me ne sarei andata lasciandole la sua piena intimità col ragazzo, o semplicemente la mia presenza la infastidiva tanto da non voleva avermi tra i piedi. Sorrisi sorniona dentro, felice di poterla infastidire in qualche modo e dopo averle fatto un cenno di saluto con la mano mi diressi verso il laboratorio.
Cosa pensa di fare? Farmi ingelosire?
Provai a reprimere quei buffi pensieri che mi balzavano in testa, ma il telefono squillò non appena misi piede nel laboratorio. Tirai fuori il cellulare scocciata ma quando lessi il nome sullo schermo, fui felice di non aver dimenticato il telefono a casa e di averlo portato nella tasca del Jeans. Era Mark e avevo davvero bisogno di sentirlo dopo aver passato la notte da sola in quella che ormai per me era diventata la casa degli incubi.
-Hey- risposi cercando di mantenere un tono allegro, pur avendomi fatto passare, Fujiko, almeno la metà della voglia di vivere che avevo ritrovato quella mattina, appena uscita di casa.
-Buongiorno tesoro, ti ho svegliata?-
-No, tranquillo Mark-.
Dopo un anno passato a vivere con me sotto lo stesso tetto ormai era consapevole dei miei “comodi” orari e sapeva benissimo che a quell’ora, le 9:20 all’incirca, salvo impegni irrevocabili, sarei stata ancora (e per un bel pezzo ) tra le braccia di Morfeo. –Sono in laboratorio… ma tu? Tutto apposto? Hai trovato i chimeri?- sputai una domanda dietro l’altra senza dargli neanche il tempo di rispondermi. La sera prima mi ero completamente dimenticata di dove si trovasse Mark e perché, e ora mi sentivo terribilmente in colpa per averlo fatto.
-No Berry, sono arrivato in pratica ora tra uno scalo e un altro. Appena so qualcosa t’informo, okay? Non preoccuparti.- Perfetto, tra una cosa e un'altra mi ero anche dimenticata che aveva dovuto affrontare un volo complessivo di dodici ore per tornare a casa.
Che stupida.
-Oh, giusto hai ragione... è andato bene il viaggio?- chiesi.
-Si, tutto apposto, ora però devo andare…- fece una pausa aspettando che dicessi qualcosa ma non sapevo davvero cosa aggiungere -…ci sentiamo, Straw. Ti amo-.
-A presto, Mark. Anch’io.-
L’ultima parola mi si fermò in gola quasi non volesse essere pronunciata e uscì fuori come un suono soffocato quasi mormorato. Speravo solo che lui non se ne fosse accorto.
Ma che mi prende?
Attaccai di corsa. Riponendo il cellulare in tasca e accendendo le luci della sala mi diressi verso la poltrona dove di solito Ryan, o Kyle passavano le loro giornate a cercare informazioni, o smanettare tra i computer.
Negli ultimi tempi, ero diventata piuttosto brava anch’io con quegli aggeggi anche se, profondamente, continuavo ad odiarli, e volendo, potevo benissimo farne a meno. Preferivo fare le mie ricerche direttamente sul campo, ma dovevo ammettere che, talvolta, un piccolo aiutino era estremamente utile.

Adattare una nuova concentrazione di acqua cristallo al mio DNA non mi era sembrato difficilissimo, e non sarebbe stato complicato farlo anche con le altre ragazze, ma ora la questione era un'altra.
Saremmo dovute tornare a essere in grado di trasformarci, o per lo meno dovevamo trovare il modo di diventare più forti possibile per sconfiggere il nuovo nemico. Non si trattava più di semplici chimeri. Dovevamo confrontarci con avversari molto più potenti dello stesso Profondo Blu.
Di due cose ero assolutamente certa. La prima era che il cervello di lì a poco avrebbe iniziato a fumarmi e probabilmente sarebbe esploso riducendo in pezzi tutto nel raggio di 20 km. L’altra cosa di cui ero sicura e sulla quale ero irremovibile era che avrei fatto di tutto, pur di non indossare di nuovo il completino rosa della vecchia Mew Berry.
Mi spiace Ryan, ma stavolta delle divise me ne occupo io.

***

Ormai ero scesa in laboratorio da una buona mezz’ora, e di Ryan nemmeno l’ombra.
Stavo iniziando a innervosirmi visto che, con tuto quello che c’era da fare, invece di concentrarsi sul progetto, al momento probabilmente stava lavorando a ben altro.
Cazzo.
Mi alzai dalla sedia poggiando una mano sulla scrivania per sostenermi, mentre con l’altra mi stropicciai gli occhi.
Non ero abituata a stare con la luce dello schermo puntata in faccia e anche solo dopo cinque minuti gli occhi cominciavano a bruciarmi.
Fissai lo schermo sul quale si alternavano immagini di dati inerenti al progetto e sconsolata per non aver trovato nulla di nuovo decisi di fare una pausa e andare a “disturbare” Ryan. Qualsiasi fosse stata l’attività che tanto lo stava tenendo impegnato, al momento.
Più pensavo alla sua decisamente immotivata assenza più mi imbestialivo. Strinsi i pugni iniziando a salire le scale. Se avessi continuato a sbattere in quel modo i piedi, probabilmente, avrei fatto sprofondare l’intero edificio.
Sbuffando mi voltai a controllare di aver chiuso la blindata. Quando tornai a dirigere la mia attenzione sugli scalini però, mi accorsi che qualcuno stava scendendo le scale, ma troppo tardi, e così finii direttamente contro l’altra persona, prendendo una botta tanto forte sul naso da farmi venire in mente ogni tipo di imprecazione possibile e condendola con una buona dose di fantasia. Dalla gola fuoriuscì un suono gutturale, quasi un ringhio.
Non mi era mai capitato fin ora, e anche la persona che mi trovavo davanti in quel momento sembrava esserne stupida.
Kyle stava di fronte a me, agitando le mani all’altezza delle spalle senza sapere che dire, con il viso rosso per la vergogna di avermi involontariamente colpito.
Cercai di ricacciare indietro qualsiasi tipo di pensiero omicida e mantenere l’espressione più rilassata e pacifica possibile per quando il dolore lancinante me lo permettesse.
-Tranquillo, Kyle- dissi per rassicurarlo –mi hai colta di sorpresa!-
-Oddio, mi dispiace tantissimo Strawberry!- sembrava sentirsi veramente in colpa.
-Non ti preoccupare! Davvero!- tolsi la mano dalla faccia sentendomi sollevata nel vedere che non avevo alcuna traccia di sangue sul palmo e sorrisi al ragazzo che sembrò un poco rassicurarsi.
-Per farmi perdonare ti farò assaggiare una mia nuovissima torta okay?-
-Ti avrei perdonato comunque, Kyle- dissi già pregustando il sapore delizioso che avrebbe avuto la sua nuova creazione. Adoravo i dolci di Kyle, che era decisamente un pasticcere eccezionale.
Se c’era una cosa che in tutti quegli anni non era cambiata era sicuramente il mio amore per i dolci. Ne avrei mangiati a tonnellate.
-Perché eri là giù?- chiese scrutando alle mie spalle, per vedere se ci fosse qualcun altro con me.
-Stavo lavorando al progetto- disi timidamente –mi piacerebbe darvi una mano per quanto mi è possibile-.
Pe quanto potessi cavarmela bene quando si parlava di acqua Mew e metamorfosi, Kyle e Ryan erano pur sempre i fondatori del Progetto, e rispetto a loro avevo sicuramente meno esperienza. Mi sentivo come una bambina inesperta.
Lui mi afferrò le mani con gentilezza, come faceva spesso cinque anni prima, quando mi trovava in difficoltà e voleva darmi il suo sostegno.
-Certo Straw… Ci farebbe piacere!-
“Ci”, non “mi”. Dubito vivamente che Ryan mi volesse tra i piedi.
-Oh no, fidati cara, Ryan non avrà nulla in contrario- pronunciò il tutto con un tale tono malizioso da farmi arrossire, per poi lasciarmi un occhiolino prima di voltarsi.
L’ho sul serio detto ad alta voce? No,no,no.
Mi morsi la lingua sperando di autopunirmi per la mia immensa, incommensurabile stupidità e… alt! Cosa voleva dire Kyle? C’era forse qualcosa tra le righe che non ero riuscita a cogliere?
Cercai di smettere di pensare per evitare di dire qualsiasi altra cosa mi fosse passata per la testa senza volerlo.
–Allora questa torta?- dissi cercando di cambiare discorso e spostare la discussione su qualsiasi altra cosa fosse stata diversa da Ryan Shirogane.
Lo seguii in cucina.
Ultimamente rimanevo sempre piacevolmente sorpresa dai progressi che faceva il locale, tornando sempre più velocemente a essere adorabile e accogliente come un tempo.
Non c’era un briciolo di polvere in tutta l’intera stanza. Al centro vi era un piano di lavoro così lucido da potercisi quasi riflettere, come fosse uno specchio. La maggior parte dell’arredamento era nuovo di zecca.
Era tutto particolarmente piacevole, ma perché tutta questa cura nei dettagli? Insomma, i due americani vivevano ormai stabilmente nella villa di Ryan, poco fuori città che era comunque facilmente raggiungibile. Che senso aveva re-arredare completamente l’edificio?  Perché avrebbero voluto tornare a vivere lì?
Kyle sembrò quasi leggermi nel pensiero, tanto che temetti di aver nuovamente dato fiato senza rendermene conto.
-Sai, pensavamo di riaprire il caffè!-
-Come?-
Che bisogno c’era di riaprire il locale? Non erano più delle ragazzine e non avrebbero più avuto bisogno di giustificare le loro assenze a genitori preoccupati con la copertura del lavoro part-time.
-Perché volete riaprire?- insistetti, cercando di ricevere una risposta.
Kyle sembrava perso nel suo mondo, poi si voltò a guardarmi e rispose sorridendo -Oh no, non preoccuparti Strawberry, non siete costrette a lavorare qui! Era da un po’ che ci pensavo, e ora che siamo di nuovo tutti qui, non so perché, Ryan si è finalmente deciso a darmi il via libera!-
Negli anni passati avevo lavorato un po’ ovunque per continuare li studi e sostenere le spese dei miei che, a fatica, portavano avanti per potermi garantire una carriera scolastica all’estero. Ora avendo dovuto abbandonare Londra a tempo indeterminato, mi ritrovavo ovviamente disoccupata e non avevo la benché minima intenzione di recarmi a Kyoto, per chiedere a mio padre di mantenermi.
Aveva ben altro a cui pensare e non ero sicura di essere pronta a incontrarlo.
-In realtà mi farebbe comodo un lavoretto part-time-.
Il viso di Kyle s’illuminò in un sorriso a trentadue denti – Perfetto! Lory e Paddy saranno felicissime di averti qui!-
-Anche loro hanno intenzione di tornare a lavorare al caffè?-
-Sono state proprio loro a propormi una riapertura, all’inizio!-
A Paddy era sempre piaciuto stare lì. Quindi non me ne stupii.
Lory non era esattamente “portata” per quel lavoro, era una gran pasticciona; ma ero convinta che fosse ancora cotta di Ryan e che pensasse, in questo modo, di poter avere qualche possibilità con lui, passando più tempo possibile in sua compagnia.
Kyle posò sul tavolo un piatto azzurro con sopra una torta a tre strati, cioccolato, panna e fragole. Inforcai il cucchiaino come un’arma e iniziai a mangiarla lentamente, gustandola il più a lungo possibile.
La porta alle mie spalle si aprì e ne entrò un Ryan trafelato e molto, molto sudato. La maglia aderente metteva in risalto il busto scolpito e i capelli bagnati e attaccati alla fronte disordinatamente lo rendevano se possibile ancora più eccitante. Ma che vado a pensare?
Si tolse le cuffiette appoggiandole sulle spalle e mi guardò gelidamente. Ricambiai lo sguardo freddo ma sorrisi, tranquilla. Non volevo dargli la possibilità di stuzzicarmi più di quanto già involontariamente non avesse fatto quella mattina.
-Allora gliel’hai detto?- disse rivolgendosi a Kyle.
-Si, e sarà dei nostri!- rispose il moro, contento.
Stavolta Ryan si rivolse a me, stranamente stupito.
–Ci degnerai della tua presenza?-
Lo guardai divertita e risposi per le rime –Dovresti essere felice che ci sia qualcuno disposto a lavorare in tua compagnia-. Accompagnai il tutto con un sorriso angelico. Sapevo quanto l’avrebbe fatto incazzare e mi potevo già ritenere soddisfatta.
Come immaginavo, lui si voltò e uscì dalla stanza senza dire una parola con Kyle in sottofondo che sghignazzava.
-Dovresti essere contenta sai? Sei l’unica che riesce a mandarlo così fuori di testa!-
C’è Fujiko per quello, pensai nervosamente.
Si, senza dubbio solo io riuscivo a farlo incazzare in quella maniera. Ma c’era già qualcun altro, o meglio qualcun’altra a farlo agitare in ben altri modi.
L’idea che lei avesse così tanto potere su di lui mi faceva diventare pazza.
Ryan era sempre stato “il ragazzo indipendente” per antonomasia e questa nuova situazione (che poi tanto nuova non era, visto che durava da ben due anni) non mi andava giù. Tutto ciò mi faceva sentire perennemente inadeguata. Per quanto Pam potesse dirmi che lui era (o meglio, era stato) innamorato di me, mi aveva sempre e solo trattato come una ragazzina stupida e pasticciona. 

***

Ho bisogno di riposare.

La giornata era trascorsa abbastanza velocemente. Praticamente passai il pomeriggio da sola in laboratorio, cercando di studiare vecchie ricerche di Ryan.
Dovevo ammettere che quel ragazzo aveva davvero un gran cervello.

Di tanto in tanto Kyle scendeva per vedere se mi serviva qualcosa e per tenermi un po’ compagnia, ma scompariva praticamente subito per tornare a sbrigare chissà cosa di sopra in cucina.

Paddy, Lory e Mina arrivarono al caffè verso le cinque e scesero in laboratorio a salutarmi.
Appena comunicammo a Mina la quasi imminente riapertura del locale per poco non si mise ad urlare. Temevo quasi che ci prendesse a schiaffi. Non voleva sentirne ragioni; non sarebbe tornata a “lavorale” lì per tutto l’oro del mondo. Per quanto poi avesse mai veramente lavorato… dovetti farmi forza e desistere dal ridere, altrimenti mi avrebbe ucciso sul serio.

Indipendentemente dalle sue numerose (e rumorose) proteste, sapevamo bene, tutte e tre, che non ci avrebbe mai abbandonato lì, e che indossando o meno una divisa, ben presto avrebbe ripreso il suo posto al solito tavolo in fondo a sinistra, tornando a “sorvegliare” il lavoro altrui. Soprattutto il mio.

Quando furono le 7:30 me ne tornai a casa. Kyle mi aveva invitato a rimanere a cena, ma la stanchezza iniziava a farsi sentire e per di più, sarei stata disposta a sconfiggere tutti i chimeri del mondo pur di non cenare in presenza di Ryan e Fujiko che pomiciavano come due adolescenti in preda agli ormoni.

Quando mi misi a tavola, da sola, nella cucina bianca e rossa, guardai dispiaciuta il mio piatto di riso, scotto e scondito, avanzato dalla cena della sera prima.
Okay, forse l’idea di fermarmi a cena al caffè doveva essere varata con più attenzione.
Ero quasi tentata di ordinare una pizza al volo ma tenni duro e finito il misero pasto mi sedetti sul divano a guardare un film di cui non avevo capito neanche il nome, tanto ero presa dai miei pensieri.
Con la luce spenta e solo il bagliore altalenante del televisore a illuminare l’ambiente, sembrava che la stanza respirasse, restringendosi e allargandosi di continuo attorno a me. Mi sentivo sempre più piccola, ogni minuto che passava.
Respirando a fatica, portai la testa tra le gambe, cercando di trattenere le lacrime che spingevano per uscire, ma ormai gli occhi iniziavano a bruciarmi e mi abbandonai al pianto. Prima calde scie bagnate si formarono sul mio viso, percorrendo strade immaginarie, poi pian piano iniziai a singhiozzare, sentendomi stringere lo stomaco.
La stanza si illuminò di una luce intensa, bianchissima, accecante. Durò solo pochi secondi, il tempo di lasciarmi stordita, poi tutta la luce fu risucchiata dall’oscurità. Il televisore si spense e un rombo assordante mi attraversò le orecchie.
Sobbalzai sul divano spaventata e senza che me ne accorgessi, spuntarono orecchie e coda da gatto.
Ci mancava soltanto il temporale.
Il rumore della pioggia che tintinnava sui vetri stava divenendo assordante e ormai, era un tutt’uno con il battito del mio cuore, sempre più rapido. Tu-tum. Tu-tum.
Dovevo uscire da quel posto, e alla svelta. Mi sentivo morire, scomparire, sprofondare.
Mi sentivo così estranea a tutto quello che mi circondava che per un attimo mi chiesi se per davvero quella era stata, una volta, la mia vita.
Mi alzai di corsa dal divano facendo cadere il telecomando a terra, ma non ci feci molto caso.
Mi diressi verso la porta e l’unica cosa di cui mi preoccupai fu di prendere le chiavi e di chiudermi la porta alle spalle. Poi, iniziai a correre.
Non avevo pensato a dove sarei potuta andare, ma il mio corpo sembrava conoscere la risposta senza che io mi pronunciassi.
Continuavo a correre, e le gambe si muovevano quasi da sole. Non sentivo nulla se non l’acqua che pian piano m’inzuppava i vestiti e i capelli.
Non mi trasformai in un gatto e probabilmente fu molto meglio così, visto che se mi fossi ritrovata completamente bagnata in versione felina, oltre che una crisi di nervi, avrei avuto anche un crollo nervoso.

Quando entrai nel parco Inohara, la pioggia aumentò così tanto che mi rimaneva difficile capire dove mettessi i piedi. Le lacrime si fondevano inesorabili con la pioggia ma non potevo fare  ameno di continuare a fale uscire.
Sono vicina, pensai.
Stavo andando nell’unico posto in cui sarei voluta essere. Nell’unico altro posto che avrei mai potuto chiamare casa.

Quando mi ritrovai davanti al caffè Mew Mew, mi diressi verso l’entrata posteriore e, una volta al sicuro dall’acqua sotto la tettoia, iniziai a bussare incessantemente.
L’acqua non m’inzuppava più, ma avevo cominciato a tremare come una foglia, scossa dal freddo e da tremiti che non riuscivo più a controllare. I singhiozzi scomparvero e con loro le forme feline che avevo assunto a causa dello spavento per il temporale, ma mi sentivo così stanca. Stanca e sola.
Erano le 23:30, e speravo vivamente che almeno uno degli abitanti dell’edificio fosse ancora sveglio. In fondo Ryan era abituato a fare le ore piccole no?
Continuai a bussare finché le mani non cominciarono a dolermi. Mi strinsi a me stessa sperando che qualcuno, chiunque venisse ad aprirmi. E il mio desiderio fu esaudito.
Quando la porta si spalancò, mi trovai davanti Ryan solo coperto dai pantaloni della tuta che usava per dormire la notte. Mi fissò con aria interrogativa e riuscii a leggere nei suoi occhi una certa preoccupazione.
Penserà che sia stata attaccata di nuovo.
Aprì la bocca per parlare ma non fece in tempo a proferire una singola parola che mi fiondai tra le sue braccia.
Inizialmente si lasciò cingere la vita, immobile, poi mi strinse anche lui a se, così forte che fui pervasa da un calore inimmaginabile. Un calore che sapeva di casa, sicurezza, protezione e Ryan.
Poggiai la testa sul petto del biondo lasciandomi cullare dal ritmo cadenzato del suo cuore. Lo sentivo così bene che sembrava stesse per sbalzargli fuori dal petto da un momento all’altro.
Iniziò ad accarezzarmi leggermente i capelli e la schiena provocando brividi lungo tutta la spina dorsale. Mi scostai dall’incavo del suo collo, così profumato, per poterlo guardare dritto negli occhi. Lui vedendo che non la smettevo più di piangere mise le mani a coppa intorno al viso e con i pollici cominciò a lasciare strade bollenti sulla pelle del viso, per raccogliere le lacrime.
-Perché sei qui?- chiese con una dolcezza tale che mi sentii sciogliere all’altezza del petto. Speravo che quel momento non finisse più.
-Non posso stare lì- dissi riprendendo per un attimo a singhiozzare –s-scusami, non volevo disturbarti…- abbassai il viso –non sapevo dove andare-.
Lessi nei suoi occhi un misto di sollievo, tenerezza ma anche una grande tristezza. Capiva quello che intendevo, e sapeva benissimo quello che stavo passando, così raccogliendomi il viso in una mano mi domandò: -Vuoi rimanere qui?-.
Si! SI! Avrei voluto urlarlo, sul serio.
-Posso? Sai, non vorrei… creare problemi con… con Fujiko…- Non avevo pensato a lei fino a quel momento. Non avevo pensato a lei quando correvo verso il caffè. Non avevo pensato a lei mentre mi rompevo quasi una mano, per farmi sentire da qualcuno, bussando alla porta. E non avevo pensato a lei quando mi ero gettata tra le braccia di Ryan. In realtà non avevo intenzione di pensare a lei neanche ora. Lo facevo solo per Ryan.
Lui mi sorrise. Un sorriso splendido, dolce. Così raro che cercai di imprimerlo a fondo nella memoria per non dimenticarmene. Mi sentivo al sicuro.
-Fujiko non c’è! Poi non dobbiamo mica dormire insieme-.
Duro colpo. Significava che alla fine avremmo dovuto sciogliere il nostro abbraccio ed io sarei nuovamente sprofondata in quello stato di malinconica solitudine che mi assaliva ogni sera.
Abbassai la testa cercando di celare il desiderio di rimanere incastrata nel suo corpo per il resto della notte. Mai con Mark, nell’ultimo anno mi ero sentita così al sicuro.
Mark.
Mi sentii terribilmente in colpa.
In colpa perché lui non era lì e perché io ero tra le braccia di un altro. In colpa perché, pur non volendo, quel calore mi aveva catturato. In colpa per sentirmi a casa. E in colpa, perché, in fondo, non mi sentivo affatto in colpa per il fatto di essere lì. Ero esattamente dove avrei dovuto essere.
Mentre questi pensieri mi affollavano la mente la bocca iniziò a snocciolare giù discorsi che non avrei voluto far trapelare, quasi come se fossi stata un incontrollabile ubriaca.
-Mi sei mancato. Da morire-
-Anche tu gattina mia-.
Mia? Rabbrividii così forte che lui dovette pensare che sentissi freddo e mi strinse ancora più forte.
-Vieni a cambiarti Strawberry, o ti ammalerai-.
Sciolse il nostro abbraccio, ma prima di darmi le spalle e dirigersi al piano superiore, nella sua stanza, intrecciò le dita con le mie, e io mi sentii ancora una volta meno sola.
Ero stata migliaia di volte in quella stanza, ma, ogni volta che entravo lì dentro non ero mai meno imbarazzata della volta prima.
Era inevitabile che trovarmi da sola con Ryan, in un qualsiasi posto che avesse una superficie grande abbastanza da farci sdraiare sopra entrambi, mi mandasse in pappa il cervello.
Strawberry, basta!
Avrei voluto sbattere la testa al muro. Abbastanza forte da farmi restare svenuta a tempo indeterminato. Avrei fatto meno pensieri “dannosi”.

Ryan mi diede la maglia ed io andai in bagno cambiarmi. Una volta sotto la doccia ogni pensiero scomparve nel nulla.
Ora, l’unica cosa che volevo addosso era l’acqua che, in qualche modo, avrebbe cancellato tuti i drammi di quella sera.


POV Ryan

Me ne stavo seduto sul letto da ormai quindici minuti buoni, quando la rossa uscì dal bagno con i capelli raccolti in una cosa disordinata e le gambe lasciate quasi totalmente scoperte dalla maglia che, seppur lunga, non riusciva a coprire in tutto e per tutto quelle misure vertiginose. E’ diventata una donna, Dio.
Ogni singola parte di lei mi tentava a tal punto da costringermi a distogliere lo sguardo e fissare il pavimento. Avrei baciato, accarezzato e assaggiato ogni singolo lembo della sua pelle profumata.
-Grazie Ryan, mi sento molto meglio-.
Il mio nome pronunciato da quelle labbra rosse e carnose, sembrava quasi un sussurro. Ed erano molto, troppo, invitanti.
Si avvicinò sedendosi accanto a me. Ora potevo davvero sentire il suo odore. Ma Alt! Non era il suo odore. Era il mio. Non quello di Mark, non il suo solito profumo alle fragole. Era il MIO odore sulla sua pelle. E questo anche se solo in minima parte e per poco tempo la rendeva unicamente mia. Mia e basta.
Avrei voluto durasse per sempre.
Ma cosa sto pensando?
Lei era pur sempre la ragazza di Mark, ed io non avrei mai potuto saggiare quelle labbra così morbide, non avrei mai potuto farla mia per davvero.
Lei sembrò accorgersi della consapevolezza che trapassò i miei occhi in quell’istante. La consapevolezza della dura realtà. 
Si accostò lentamente, venendomi ancora più vicino e sfiorandomi il ginocchio con il suo, nudo. Alzò la mano fino a sfiorarmi il viso provocandomi brividi che cercai di non far trapelare, poi passò ad accarezzarmi i capelli sulla nuca e sulla fronte, con una delicatezza immensa. Riuscivo a percepire il suo respiro a fior di labbra tanto eravamo vicini. Mi sarebbe bastato inclinare la testa per colmare quella distanza di pochi centimetri che, seppur breve, in quel momento sembrava essere kilometrica.
Fu lei ad avvicinarsi, ma le sue labbra non s’incontrarono con lei mie. Si spinse fino all’incavo del mio collo tanto che la sentii sospirare, poi sfiorandomi con la bocca il lobo dell’orecchio, prese a sussurrare –Buonanotte, Ryan-.
Dio fai che duri per sempre.
Persi un battito. Sarei morto d’infarto ne ero certo.

Quando lei scomparve dietro la porta recandosi nella stanza degli ospiti, non so per quanto tempo rimasi a fissare l’uscio, ma, forse dopo ore, o secoli, mi addormentai desiderando, ancora, lei.

 

   
 
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