Spazio dell’autrice:
Salve a tutti!
Questa è la prima fanfiction che scrivo sul ciclo
dell’eredità. Spero vi piaccia quanto a me è piaciuto
scriverla.
E’ introspettiva e tremendamente sdolcinata, perché
io sono un’inguaribile romantica… Non me ne vogliate a male. :)
Ci sono spoiler,
spoiler e spoiler di Brisingr, quindi se non l’avete
letto non proseguite…vi rovinerete una delle parti
più dolci del libro.
In teoria, è nata come one-shot, ma mentre la scrivevo mi
sono resa conto che potrei allegare un secondo capitolo visto dal pov di Arya. Sarebbe carino, no?
Lascio a voi la scelta.
Naturalmente, potrebbe essere anche
la prefazione per una long-fic, ma ancora non ho sufficienti idee, e in quel caso vedrete pubblicato il
seguito sotto altro nome.
Odio prolungarmi più del dovuto,
quindi…
Buona lettura!
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Arya barcollò come se avesse ricevuto uno
schiaffo.
Strinse lo schienale
della poltrona con tanta forza che le si sbiancarono
le nocche. Le lacrime le riempirono gli occhi obliqui, poi si riversarono sugli
zigomi alti e le inondarono il volto.
“Eragon.”
L’elfa allungò una mano e gli afferrò la spalla, e
quasi per caso lui si ritrovò a stringerla fra le braccia. Sentì gli occhi
invadersi di lacrime. Serrò la mascella nello sforzo di mantenere un contegno.
Sapeva che se avesse cominciato a piangere non si sarebbe più fermato.
Lui e Arya rimasero abbracciati per un
lungo momento, consolandosi a vicenda, poi Arya
indietreggiò.
Le sensazioni che Eragon stava provando in quel momento erano un angustio miscuglio.
Spezzato in due, ecco cos’era. E si sentiva tremendamente in colpa.
Era accecato dal dolore per la morte di Glaedr e Oromis, era furioso, arrabbiato e triste. Le gambe gli tremavano dal dolore, e solo la sete di vendetta gli dava la determinazione necessaria a resistere e non cadere.
E desiderava piangere. A lungo, urlando, sfogandosi. Ma doveva trattenersi, dove resistere. Doveva avere la forza anche per Arya.
Arya.
L’elfa che occupava i suoi pensieri giorno e notte, che più volte l’aveva rifiutato, che poco prima gli aveva sorriso tanto dolcemente da fargli sciogliere il cuore.
E che adesso era abbracciata a lui, in cerca di un appiglio, di una speranza, di una sicurezza.
In cerca di conforto.
Eragon sentiva il profumo intenso dell’elfa entrargli nei polmoni e in tutto il suo essere, e non potè fare altro che restarne totalmente inebriato. Pensò che di sicuro quello era l’odore più buono che avesse mai sentito.
Eragon smettila di pensare a queste sciocchezze… dovresti compiangere la morte dei tuoi maestri, non pensare a quanto la ami… Eragon si rimproverò, e pensando di trovare un commento negativo di Saphira, si accorse che lei gli aveva chiuso la mente.
Meglio così… concluse il Cavaliere.
Eragon chiuse gli occhi, assaporando quell’istante di pace che Arya, inconsapevolmente o forse consapevole, gli stava donando.
Se avesse potuto, sarebbe rimasto così per sempre.
Dentro di sé, sapeva che avrebbe dovuto rinunciare a lei.
Lo sapeva.
E ci aveva provato anche. Mentre era a Tronheim, per le elezioni del nuovo re dei nani, e mentre era a Ellesmera, per trovare la sua spada, ci aveva provato con tutto se stesso. Ma il pensiero di lei tornava sempre a riempirgli il cuore, a dargli speranze, a infondergli coraggio in battaglia.
A un certo punto credeva di esserci anche riuscito, ma rivederla lì, ricoperta di sangue e ansimante, aveva fatto crollare tutte le sue certezze, come un castello di sabbia crolla sotto un’ onda.
La amava. La amava con tutto se stesso, e anche di più probabilmente.
Ma non poteva dichiararsi, non di nuovo.
Così l’amarezza prese il sopravvento fra tutte le emozioni.
Con che diritto la abbracciava e la consolava? Con che diritto si compiaceva della loro vicinanza?
Con quale dannatissimo diritto fremeva a ogni respiro, che lo inondava del suo dolce aroma?
Arya si staccò da lui, facendo qualche passo indietro.
Ed Eragon sentì subito il vuoto della sua mancanza.