Anime & Manga > Full Metal Alchemist
Segui la storia  |       
Autore: Rika88    04/04/2009    5 recensioni
Gennaio 1945: in una Germania devastata, Alphonse Elric, arruolato per una guerra ormai persa, lascia i figli a casa del fratello Edward. Tuttavia, come Thomas e Charlotte Elric scopriranno presto, i problemi non si limitano alla difficile convivenza tra due caratteri troppo simili, come quelli del bambino e di Ed: l'abitazione e la libreria sotto di essa sono il fulcro di un movimento incessante e, forse, anche pericoloso.
Genere: Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nuova pagina 1

            10. Il nuovo Portale

 

Mentre mio fratello tentava di rabbonire la sua adorabile figlioletta, io rischiavo la morte per assideramento o prostrazione. Fortuna che Klaus Holze, Andreas Neubauer ed Ernst Feuerbach (che per qualche motivo era chiamato “Il Filosofo”) aggiungevano spesso alle mie scarsissime razioni dei generi di conforto rubacchiati dalla cucina, o anche l’inedia sarebbe stata una causa di decesso molto probabile.

La mia tattica per perdere tempo per le due settimane successive al nostro arrivo pareva aver funzionato, visto che eravamo ancora tutti vivi, ma la pazienza di Hedwig si stava esaurendo: agli inizi di aprile, smise di mandare il colonnello Holze a pungolarmi e prese a scendere di persona. Fino a quel momento ero riuscito a tenerla a bada, ma ormai ero a corto di scuse plausibili.

Il tempo passa, Edward Elric.

Stavo facendo di tutto per farlo passare. Dov’erano quei dannati Alleati? Quanto ci mettevano a raggiungere la Baviera? Lavoravo giorno e notte senza interruzioni significative, in una cantina gelida, e il mio fisico non avrebbe retto a lungo, lo sapevo bene, anche se rifiutavo di ammetterlo; negavo l’evidenza, e più mi sentivo stanco, più intensificavo gli sforzi.

Il mio obiettivo primario restava quello di non aprire ai miei nemici la via d’accesso ad Amestris, ma, se disgraziatamente questo fosse avvenuto, non volevo mettere in pericolo delle vite: Hedwig avrebbe potuto decidere di mandare nel Portale uno qualsiasi dei commilitoni di Al, o tutti e tre, e nessuno di loro meritava di morire per eseguire degli ordini privi di senso.

Il tempo passa, Edward Elric.

Il capo della Società di Thule mi fissava dalla parte opposta della cantina, algida e sprezzante. Cercai di voltarmi, per non doverla guardare in faccia, ma il mio corpo era diventato improvvisamente pesante e non riuscivo a muovermi: era come essere pigiato a forza in una scatola.

Sto sognando!, realizzai. Forse avevo anche la febbre, oppure ero semplicemente crollato per la stanchezza. Quando mi ero addormentato?

Il tempo passa, Edward Elric.

Davanti ai miei occhi, Hedwig si trasformò in Winry, anche se lo sguardo sdegnoso non cambiò.

Lo so, amore mio., avrei voluto rispondere. Ma vedi che non posso riaprire il Portale, o il tuo mondo sarebbe di nuovo attaccato da quei pazzi di Thule.

Il muro della cantina, alle spalle di Winry, crollò con un rombo che fece tremare il pavimento, e la luce abbagliante che si sprigionò mi fece temere irrazionalmente che qualcun altro avesse aperto il varco.

Al? Alphonse, sei stato tu? pensai.

Il tempo passa, Edward Elric.

La voce di Winry rimbombò nella stanza, ma non riuscii più a vederla. Non vedevo più neppure la stanza. Ero accecato.

Non andare! È pericoloso!, provai a gridare, ma dalla mia gola non uscì nessun suono, e questo mi terrorizzò. Al, fermala! So che ci sei, che hai aperto tu il Portale!

Ed?

Questa volta fui certo di aver sentito la voce di mio fratello.

 - Al? Al, dove sei? -

 - Sono qui, fratellone. Di fianco a te. -

Sentii la sua mano sulla fronte, e a fatica aprii gli occhi. Alphonse era inginocchiato al mio fianco, e i grandi occhi scuri mi fissavano, preoccupati. Ero sdraiato sul pavimento, coperto da una giacca o un soprabito che non avevo quando mi ero addormentato, e il fastidio che sentivo sotto la schiena mi informò che ero coricato sulla matita che usavo per scrivere; la spostai con malagrazia, e dalla mia camicia si alzò un odore disgustoso di muffa e vestito non lavato.

 - Quanto ho dormito? - chiesi, sentendo la mia voce roca e faticando a riconoscerla.

 - Molto meno di quanto ti sarebbe servito. Ieri sera Ernst non ha più sentito rumori, e quando è entrato a controllare ti ha trovato accasciato a terra, febbricitante. Ha chiamato subito me e il colonnello Holze, e devo dire che è stato difficile credere al mio comandante quando diceva che era solo un’infreddatura. -

Potevo quasi vedere il corpulento colonnello che sudava e si torturava i baffi da tricheco, chiedendosi come avvertire il capo di quel che era successo, e se non fosse meglio tacere e fingere sorpresa nel caso non fosse stata solo un’infreddatura. Ridacchiai alla mia immagine mentale.

La porta della cantina era aperta: dalla mia posizione riuscivo a vedere un paio di scarponi militari. Al mi stava davanti, quindi non potei vedere altro finché lui non si voltò verso di loro, lasciandomi intravedere la sottile figura in ombra di Klaus, di turno a farmi la guardia.

 - Si è svegliato. - sussurrò mio fratello, rivolto al commilitone - Però forse delira, perché sta ridendo da solo. -

 - Sono lucidissimo. - ribattei, stizzito, mettendomi a sedere. Solo in quel momento mi accorsi che quello che avevo addosso era un mio soprabito, anche se ricordavo perfettamente di averlo lasciato a casa Meyer.

 - Sono passato un paio di volte a casa vostra, per dare una controllata. - mi informò Al, intuendo a cosa stessi pensando - Tra l’altro, avete una nuova serratura, dono del signor Lindemann. -

 - Perché il vecchio... oh, credo di aver capito. - sbuffai - Quel lurido sciacallo frugherebbe anche i nostri cadaveri, se ne avesse l’opportunità! -

 - Non ci pensare, al momento è talmente terrorizzato dal capitano Elric che ogni tanto compare per tenerlo d’occhio, da limitarsi a diffondere pettegolezzi nel vicinato. Sapevi che i tuoi vicini sono i peggiori impiccioni che abbia mai visto? - aggiunse, porgendomi un bicchiere che aveva appena riempito con quello che sembrava...

 - Cognac? - sibilai, alzando gli occhi per controllare che il suo subordinato avesse chiuso la porta della cella - Sei pazzo?? Sai cosa succede se uno di quei fanatici ti vede con un liquore francese in mano? -

 - Non è per questo che lo avevate travasato in innocue bottiglie di vino? -

Da quando Alphonse si lasciava andare al sarcasmo?, mi chiesi mentre lui si sedeva più comodamente e alzava il suo bicchiere in un brindisi.

 - Agli Elric, e ai loro piani che non riescono mai. - dichiarai, tetro.

Bevemmo in silenzio, ognuno perso nei suoi pensieri. Personalmente, stavo ripercorrendo mentalmente tutti i tentativi che avevo fatto per rendere più stabile il Portale, negli anni passati e in quelle ultime settimane, e non ci misi molto ad arrivare alla conclusione che i miei passi avanti erano, al momento, puramente teorici. Non potevo provare il nuovo cerchio alchemico su cui stavo lavorando, naturalmente, perché sarebbe stato come regalare a Hedwig il passaggio verso Amestris che tanto desiderava, perciò non sapevo se avevo davvero combinato qualcosa.

 - Hai scoperto qualcosa di nuovo? -

Le considerazioni di Al erano andate nella stessa direzione delle mie, a quanto pareva.

 - Ho proseguito sulla stessa strada di sei anni fa. - risposi - Ma non oso ridurre ulteriormente la quantità di sangue: già così, ho paura che solo noi di Amestris possiamo attraversare indenni il Portale. -

 - Lo avevi già detto l’altra volta. Cosa te lo fa credere? Non credo che, sei anni fa, tu abbia portato il libraio o sua figlia con te. -

 - No, è solo una mia teoria. - rabbrividii al solo pensiero di Margarethe o del signor Meyer che si avvicinavano al Portale - Riguarda quel che è successo nel ‘23, quando io sono arrivato ad Amestris senza grossi problemi, mentre il Presidente... - mi interruppi, ripensando con disgusto a quel che era successo. Non avevo una gran simpatia per nessuno di quelli di Thule, men che meno per il loro capo, ma non avrei augurato una fine simile neppure al mio peggior nemico. Che, nella fattispecie, erano loro.

 - A proposito... - Al si frugò frettolosamente nelle tasche, per poi estrarre il mio vecchio orologio da Alchimista di Stato. - mi spieghi questo come l’hai recuperato? L’avevo perso a Reole, lo ricordo benissimo: credevo fosse andato distrutto insieme alla città. -

 - Non so bene neppure io come si sia salvato... - ammisi, prendendolo in mano e facendo scattare il coperchio - Me lo ha dato Winry, sei anni fa. Pare che, durante degli scavi per costruire una fognatura, dalle parti di Reole, sia saltato fuori il mio orologio: è stato consegnato all’Esercito, ma non ho idea di come siano risaliti a me. Nessuno sapeva dell’iscrizione. - aggiunsi.

 - Non lo avevi detto neanche a me. Come non mi hai detto molte altre cose, sembra. -

 - Mi dispiace. -

Alphonse scosse la testa: non so se era per il tempo passato dalla sfuriata, o per la paura che gli avevo fatto prendere, ma sembrava più conciliante.

 - Non importa: se anche tu non avessi aperto il Portale, la Società di Thule sarebbe ugualmente arrivata a te. Non avrei dovuto aggredirti così. - ammise, ruotando il bicchere e guardando le ultime gocce di liquido, sul fondo, che seguivano il movimento - Dopo tutto quel che hai fatto per i bambini... non ti ho neppure ringraziato. -

 - Perché non devi farlo. -

 - Invece voglio farlo. Anche se li hai cacciati in questo guaio, so che non è esattamente colpa tua. Così come non è colpa tua se Thomas si è fatto odiare da tutti i tuoi vicini per prendere le tue difese, è quasi morto di fame passando il contenuto del suo piatto a Lotte, si è fatto una cultura su quasi tutti i libri proibiti dal regime... -

 - Va bene, va bene! - lo interruppi - Ho capito! -

Tutto sommato, Al scoppiò a ridere sonoramente.

 - Sei tu il padre, non io. - borbottai, offeso - Non so nulla di bambini. -

 - Ed, sei stato magnifico. Dico davvero: hai protetto e curato Tom e Lotte come se fossero figli tuoi... hai persino venduto il tuo auto-mail! - mi appoggiò una mano sulla spalla - Non ho parole per dirti quanto ti sono grato. -

Non potei trattenere un sorriso riluttante.

 - Almeno sono coperto per i prossimi favori che ti chiederò. -

Al appoggiò il bicchiere a terra, e si portò le mani dietro la nuca, fissando il soffitto; non riuscii a seguire il corso dei suoi pensieri, ma vidi ben presto il suo sorriso svanire, gli occhi incupirsi.

 - Hai saputo di Hanno, l’amico di Thomas? - mi chiese dopo un po’.

Annuii, sospirando.

 - Povero ragazzo. - mormorò Al - Anzi, povero bambino. -

Per qualche minuto, nessuno parlò: il silenzio era così completo che sentivo il respiro rumoroso di Klaus Holze, fuori dalla spessa porta della cantina. Doveva essersi preso un raffreddore.

 - Ed... -

 - Mh? -

 - Cosa hai visto quando sei morto? -

Alzai lo sguardo su di lui, spaventato.

 - Che ti prende, Al? -

 - Niente, io... - scosse la testa - Non ricordo bene quel che è successo, a dire il vero. Forse è perché sono finito direttamente nel Portale. Però credo di averti visto, per un momento. -

 - Sì, per un attimo. - mormorai.

Che succedeva a mio fratello? Non avevamo mai parlato di quell’argomento: era troppo penoso, per entrambi. Non è mai bello ricordare la volta in cui ti sei trovato una lama che ti entrava dal petto e ti usciva dalla schiena, e tuo fratello aveva gettato senza rimpianti la sua vita per salvare te, immenso idiota.

 - Lascia perdere. - si arrese Alphonse - Era una domanda stupida. Anzi, ora è meglio che vada, Klaus oggi doveva lavare la Mercedes del padre, e devo controllare... -

 - Hai paura? - gli chiesi.

Non mi rispose, ma la sua faccia parlò per lui. In effetti, non avevo la minima idea di cosa il mio fratellino avesse visto e vissuto, nei mesi in cui era stato al fronte: le mie supposizioni erano parecchie, ma, esattamente come aveva detto Thomas quel primo giorno, non ero mai andato in guerra. Avevo visto come devastava le persone, a livello fisico e psicologico, ma per fortuna non avevo mai combattuto da soldato. Non ce l’avrei mai fatta, ormai ne ero certo.

 - Non ho mai avuto così tanta paura di morire. - ammise lui, semplicemente - Non solo di lasciare orfani i miei bambini, voglio dire. Proprio di morire. -

 - Al, è assolutamente ovvio! Sarebbe da pazzi non aver paura! -

Lui fissò la parete di fronte per parecchio tempo: ad un certo punto, notai una scintilla nei suoi occhi, poco prima che le sue labbra si stiracchiassero in un sorriso reticente.

 - E pensare che una volta mi lamentai perché non potevo provare quella sensazione. - sussurrò, con voce appena udibile.

 - Ammetterai che era una situazione piuttosto particolare. - gli feci notare.

 - Ti riferisci al fatto che io ero un’anima legata ad un’armatura, o che tu eri appena sfuggito ad un serial killer che aveva tenuto prigioniero te e Winry in un mattatoio e aveva tentato di ucciderti a colpi di mannaia? -

Ci guardammo in faccia. In condizioni normali, non avremmo mai parlato di quel che era successo così alla leggera, e in ogni caso non a pochi metri da un soldato che non sapeva nulla di Amestris: quel giorno dovevamo avere i nervi così a pezzi che non solo ne parlammo, ma, dopo esserci fissati per qualche secondo... scoppiammo a ridere.

La nostra sanità mentale era decisamente a rischio.

* * *

 

Quando Hedwig Steinglocke non si trovava nella villa, la sorveglianza era molto meno stretta: dopo la memorabile scenetta di Lotte, era stato chiaro sia a me che ai bambini che quei soldati erano decisamente dalla nostra parte. Due di loro erano padri di famiglia, e la sola idea di far del male a quelli che potevano essere figli loro li ripugnava.

Tuttavia, non avevo intenzione di far dipendere la mia sopravvivenza solo da altri: non potevo aiutare Edward in nessun modo, visto che non avevo la minima idea di cosa stesse facendo, ma c’era una cosa che sapevo fare benissimo, e di cui quella casa aveva un bisogno disperato.

 - Non è necessario che tu lavori come una schiava... - aveva balbettato Clara Leitner, quando avevo preso uno degli strofinacci e l’avevo aiutata a spolverare la stanza in cui eravamo “alloggiati”.

La ignorai. Avevo una gran fiducia in quella ragazza, sia chiaro, perché ci vuole del coraggio a seguire le indicazioni di Lotte senza protestare, e solo per un regalo di compleanno. Però non avevo alcuna intenzione di fare come diceva lei.

Le altre stanze?, chiesi quando finimmo.

 - C’è la camera da letto della signora Schneider... - si arrese la cameriera, con un sospiro. Non poteva negare che ero più veloce di lei. Nessuno desidera davvero allungare un lavoro che può essere fatto in metà tempo con l’aiuto di qualcuno più esperto: perché, ormai ne ero certa, Clara non era una donna delle pulizie.

Capii il suo ruolo quando entrai nella stanza della padrona di casa: sul comodino, la fila di medicinali testimoniava quel che già avevo intuito annusando l’odore di ospedale delle altre stanze. Ilse Schneider doveva essere malata, e la signorina Leitner era la sua infermiera che, forse per supplire alla carenza di personale o alla scarsa possibilità di pagare altre cameriere, si adattava a svolgere più ruoli.

 - Mi scusi, signora. - si stava discolpando davanti alla sua datrice di lavoro - Le ho detto che potevo fare da sola, ma insiste a volermi aiutare! -

La signora Schneider, seduta in una poltroncina vicino al letto, alzò gli occhi dal libro che stava leggendo per squadrarci entrambe. Non pareva affatto una donna malata: sì, certo, era ossuta, ma nessuno era molto in carne dopo sei anni di guerra. Non era neppure pallida, e aveva una voce forte e secca quando esclamò:

 - E qual è il problema? Lasciala fare, se lo desidera! -

Chiuse il volume e piegò la testa, per squadrarmi da capo a piedi.

 - Ti aspetti di essere pagata o tenti solo di lisciarmi? - mi chiese a bruciapelo.

Principalmente la seconda. Non discuto mai di retribuzioni prima di aver mostrato come lavoro.

 - Allora dovresti andare dal Presidente, non da me. -

Esattamente come Clara, pronunciava la parola Presidente con un tono che la faceva diventare un insulto.

Mi piace scegliere per chi lavorare., replicai sorridendo.

 - Allora inizia dai vetri. - stabilì lei, tornando alla lettura.

Quella donna mi piaceva. Aveva un modo di fare simile al mio.

 

Le finestre delle ville, così alte, sono una vera tortura per chi deve lavarle. Quando potei scendere dalla scala, tirai un sospiro di sollievo, e Clara sembrava del mio stesso parere.

 - Fortuna che non soffriamo di vertigini. - sussurrò, mentre eravamo fianco a fianco a pulire i vetri più bassi.

Annuii, e lanciai un’occhiata all’esterno che prima, su quell’aggeggio infernale, mi ero sforzata di non guardare per non farmi girare la testa: il giardino vero e proprio era dall’altro lato della residenza, mentre sotto di noi c’era solo un cortiletto ghiaioso, in cui era parcheggiata la macchina nera che il soldato Holze stava lavando, sotto lo sguardo attento del capitano Alphonse Elric.

 - Che magnifico panorama! - ridacchiò la signora Schneider, alzatasi per affacciarsi a sua volta.

Dal sarcasmo, dedussi che non si riferiva al cortile, né alla Mercedes. Fui sorpresa da una simile allusione da una donna così anziana e distinta, ma la mia reazione non fu neppure lontanamente paragonabile a quella di Clara, che arrossì fino alle orecchie.

 - Non mi abituerò mai al suo modo di fare, signora. - mormorò, strofinando il vetro già pulito.

 - Ah, alla mia età dovrebbe essere concesso poter dire quello che si pensa. -

 - Alla nostra no? -

 - Tu non lo fai mai, Clara. - sottolineò lei.

Fräulein Leitner si strinse nelle spalle.

 - Mi domando se lei si rivolgesse così anche a suo marito. -

Effettivamente, me lo chiedevo anch’io.

 - Certamente. Quando c’incontrammo per la prima volta, rifiutai il secondo valzer che mi chiese dicendogli chiaramente che lui era l’uomo più bello che avessi mai incontrato, ma mi aveva pestato i piedi così tante volte che non me li sentivo più. - Ilse Schneider sorrise placidamente al ricordo - Mi sposò lo stesso. Conosceva già i miei peggiori difetti, quindi non comprava a scatola chiusa, come è successo fin troppo spesso. -

Peccato che mia madre non somigliasse ad Ilse Schneider: se fosse stato subito chiaro che per lei l’arte veniva prima di ogni cosa, famiglia compresa, mio padre non avrebbe fatto l’errore di sposarla.

 - Allora, se e quando un uomo chiederà la mia mano, - replicò la signorina Leitner, stizzita - prima lo informerò che le mie dita dei piedi sono bruttissime, ma la dentatura è buona. Lui ne sarà contento? -

Dipende se cerca una moglie o un cavallo., risposi.

 - A proposito, Clara, mi spieghi cosa stai guardando là fuori? -

Il colorito della cameriera era appena tornato normale: dopo quella domanda, arrossì nuovamente.

 - La campagna, signora. Questa è davvero una magnifica giornata! - rispose stizzita,  con la voce più alta di un paio di ottave.

 - Certo, certo... Non posso darti torto, comunque: è davvero un bell’uomo. -

Era impossibile fingere di non aver sentito, come forse la buona educazione avrebbe richiesto. Le occhiate della cameriera all’esterno non erano neppure state così insistenti, o almeno, io non le avevo quasi notate.

Sbirciai fuori: a capo scoperto, Klaus Holze aveva finito di lavare l’auto del superiore e stava parlando con il signor Elric di qualcosa di molto serio, a giudicare dalle facce; nella situazione in cui ci trovavamo tutti, mi venivano in mente parecchi argomenti seri di cui parlare. Neppure io potei dare torto a Clara: Klaus era decisamente il più bello tra i quattro militari che avevo avuto occasione di vedere. In quel momento, i suoi capelli biondi sembravano quasi cinerei alla luce del primo sole primaverile: teneva il viso alzato, per guardare in faccia il capitano, più alto di lui di parecchi centimetri.

Clara gemette, affondando il viso tra le mani.

 - Si vede così tanto? - chiese, afflitta.

 - Solo per una donna. - concesse la signora, dandole una lieve pacca sulla spalla.

 - Eviti almeno di prendermi in giro. -

 - Perché dovrei? Immagino tu ti stia già facendo del male da sola. -

 - Grazie, so bene che è decisamente fuori dalla mia portata. -

Abbassai lo sguardo sulle mie dita, imbarazzata. Non avevo idea della situazione economica di Klaus Holze e non m’interessava saperlo, ma sospettavo fosse molto più ricco di una donna che lavora come infermiera e cameriera.

Ilse Schneider però non sembrava così contenta dell’autocommiserazione della sua cameriera.

 - Ragazza mia, - dichiarò, infastidita - come madre sarò stata un fallimento, ma permettimi di darti un consiglio: se ti consideri già sconfitta, allora non arriverai da nessuna parte. - e visto che lei non pareva convinta, rincarò - Quelli che a te, giovane ragazzina innamorata, sembrano ostacoli insormontabili, a me paiono solo piccole difficoltà. Hai ventisei anni: e allora? La differenza di età non conta poi molto. -

Alzai la testa, sorpresa da quella affermazione. Non ero sicura dell’età di Klaus Holze... se ricordavo bene, aveva fatto un accenno alla leva del ‘43. Dunque, doveva avere ventidue anni. Non mi ero mai soffermata troppo su fantasie romantiche, e mi consideravo una persona piuttosto razionale, ma quanto doveva essere obnubilata Clara per considerare quattro anni un divario così eccezionale? Vedevo difficoltà ben più ardue da risolvere.

 - Non è quello il problema più grosso, e lei dovrebbe capirlo bene. - replicò la ragazza, tornando al suo lavoro come se nulla fosse successo e confermando involontariamente il mio pensiero.

Tornai a guardare nel cortile: il soldato stava ancora parlando al suo capitano, la fronte aggrottata, gli occhi bassi finché non li alzò verso il superiore, come a chiedere conferma di quel che aveva appena detto. In quel momento, il volto del signor Alphonse Elric si aprì in un sorriso raggiante che non gli avevo mai visto.

 - E comunque, - concluse la padrona di casa - dimostra molti anni di meno. -

Avevo sbagliato, compresi finalmente. Non avevo capito nulla di quel che la signora Schneider e Clara si stavano dicendo. Di chi stavano parlando.

Era straordinariamente ovvio, ora: tra la signorina Leitner e Alphonse Elric c’erano non solo tredici anni di differenza, ma anche e soprattutto lo spettro della defunta signora Elric, la madre di Thomas e Charlotte.

La rivelazione era sorprendente: forse, se avessi osservato con maggiore attenzione Clara quando veniva a portarci da mangiare e trovava il capitano con i suoi figli, avrei potuto intuire qualcosa. Improbabile, visto che lei era estremamente discreta. Provai a ripensarci, ma purtroppo non ne ebbi il tempo: venni distratta da un rumore di passi fuori dalla stanza.

Il suono degli scarponi militari non mi impensierì, ma fu il secondo paio di scarpe ad attirare la mia attenzione: non pretendo di saper riconoscere la foggia di una calzatura solo dal rumore, è ovvio, ma credo di saper distinguere uno stivale da dei tacchi femminili, quando li sento.

L’unica altra donna, oltre a noi, era Hedwig Steinglocke. E le uniche altre persone presenti nel corridoio erano i bambini.

Perché il Presidente della Società di Thule e un militare stavano andando da Thomas e Lotte?

* * *

 

La mano della signorina Steinglocke sulla spalla era estremamente fastidiosa. Pareva di avere un avvoltoio che mi artigliava la camicia.

 - Non c’era alcun bisogno di portarli qui. -

La voce di Edward suonava strana, tesa. Anche lui era molto cambiato dall’ultima volta in cui l’avevo visto: più pallido, sporco, forse persino più magro, non avrei saputo dire. Doveva essere stato portato nel salone al pianoterra ben prima di noi, perché quando entrammo se ne stava accucciato a terra, disegnando sul pavimento con dei gessetti bianchi, sotto la sorveglianza di Ernst Feuerbach e del colonnello Holze.

 - Solo un promemoria, caro Edward. -

Andreas, che era arrivato con lei a prenderci nella nostra stanza, scambiò un’occhiata preoccupata con il commilitone. Allarmato, mi liberai della mano della donna e tirai Charlotte di lato, verso lo zio. La signorina Steinglocke stava proprio di fronte alla porta, e non vedevo modo di aggirarla.

Edward ricominciò a disegnare, lanciandoci ogni tanto un’occhiata di sottecchi: sul pavimento, notai sbalordito, era stato tracciato un enorme cerchio, al cui interno si intersecavano altre linee, bande, scritte incomprensibili e strane figure. Gli altri quattro adulti fissavano l’uomo inginocchiato a terra come se si stessero aspettando qualcosa: Hedwig aveva gli occhi che brillavano fissi su quei tratti di gesso.

Visto che nessuno badava troppo a noi, presi per mano mia sorella e mi avvicinai alla circonferenza più esterna. Edward se ne accorse, e mi sferrò un pugno contro il polpaccio con l’auto-mail, così forte da farmi venire le lacrime agli occhi: saltai indietro, la gamba dolorante.

 - Ho finito. - dichiarò tetramente lo zio, alzandosi a fatica, le ginocchia doloranti. Spazzolò frettolosamente il soprabito con le mani dalla polvere di gesso.

 - Come si attiva? - chiese impaziente Hedwig, avvicinandoglisi.

Edward esitò, scoccandoci un’occhiata. Aveva delle profonde occhiaie, che insieme alla barba incolta lo facevano sembrare molto più vecchio di quanto davvero fosse.

 - Mi serve qualcosa di tagliente. -

La donna lo squadrò, sospettosa.

 - Il Portale si attiva solo col sangue di qualcuno nato ad... dall’altra parte. - le spiegò lui, sempre più riluttante.

Hedwig annuì, e fece un cenno al colonnello, prima di uscire.

 - Dov’è vostro padre? - sibilò Edward, controllando di non essere udito da Holze.

 - Non lo so. - risposi.

 - Nessuno lo ha avvertito di quel che sta succedendo? -

Quella domanda sembrava rivolta più che altro a se stesso, e in ogni caso non avrei saputo né potuto rispondere: non avevo idea di dove fosse papà, e comunque in quel momento rientrò il Presidente, tendendo allo zio un tagliacarte.

 - Sbrigati. - gli intimò, secca, vedendolo esitare - O controlleremo se il sangue di uno dei due bambini funziona. -

Edward abbassò la testa, mordendosi il labbro: poi, con un gesto così veloce che quasi non lo vidi, si fece scorrere il coltello sul palmo della mano, procurandosi un taglio vicino al pollice di qualche centimetro. Impallidii alla vista del sangue che cominciò a colargli lungo il polso, mentre Lotte si nascondeva dietro di me. Lui, cupo, non parve quasi sentire il dolore: appoggiò il palmo ferito a terra, su quel tratto di gesso che formava il cerchio.

Avevo lo sguardo fisso sulla mano sanguinante di Edward, quindi non capii subito perché tutti gli adulti presenti sussultarono o trattennero il fiato. Fu il sussurro di mia sorella a distrarmi:

 - Tom, cos’è quello? -

Al centro della sala e del cerchio tracciato sul pavimento, c’era effettivamente qualcosa: ma cosa, non avrei saputo dirlo neppure io. Doveva essere quel che tutti stavano aspettando, perché Hedwig sembrava sul punto di piangere per la gioia, e il colonnello Holze si lisciava i baffoni, ma a me non sembrava così pericoloso, o particolarmente aggressivo.

 - Perché lo chiamate Portale? Non sembra affatto un portale. - considerò Holze.

 - Il nuovo cerchio alchemico gli dà quella forma. - rispose laconicamente Ed.

Il colonnello baffuto aveva ragione: quella cosa luminosa non aveva neppure lontanamente l’aspetto di una porta. Ricordava più che altro un taglio, come quello che Ed aveva sulla mano. Era come se l’aria della sala si fosse solidificata, per poi strapparsi dal soffitto al pavimento.

Il rumore secco di una pistola caricata riportò l’attenzione di tutti sulla signorina Steinglocke:  - Colonnello Holze, prego. - dichiarò - A lei l’onore. -

L’omone le lanciò un’occhiata vacua, mentre la fronte gli si imperlava di sudore.

 - I-io, signora? - balbettò.

 - Lei. Vada a vedere cosa c’è dall’altra parte. -

 - Aspetta! - gridò Edward - Il varco è instabile, te l’ho detto centinaia di volte. Potrebbe essere pericoloso per chi è di questo mondo. -

Hedwig stirò le labbra in una smorfia, socchiudendo gli occhi. Dopo alcuni istanti, mi accorsi con terrore che stava guardando oltre alla spalla di Ed, dritto verso di noi.

Anche lui se ne accorse e, probabilmente, capì quel che stava pensando quella donna esattamente nel momento in cui lo capii io.

 - NO! - urlò, di nuovo, lanciandosi verso di lei.

Quando la vidi alzare la pistola, pensai davvero che il Presidente stesse per sparare a mio zio: invece, la mano di Hedwig si piegò all’indietro, per poi lasciare abbattere il calcio dell’arma contro il viso di Edward. Dalla mia posizione, alle sue spalle, vidi il suo corpo deviare dalla traiettoria iniziale, scartare violentemente di lato, mentre si abbatteva pesantemente al suolo.

* * *

 

 - Capitano! Capitano! -

Sia io che Klaus ci voltammo, interrompendo la conversazione avvenuta fin lì. Il ragazzo aveva sentito buona parte di quel che io e mio fratello ci eravamo detti, ma aveva dichiarato che non avrebbe fatto parola con nessuno delle cose incomprensibili che ci eravamo detti. Era ben deciso a ripagare Ed per averlo aiutato quando era bambino, e la sua lealtà mi aveva commosso.

 - Quella dietro non è la ragazza che stava con i bambini? -

Klaus aveva ragione, sulla porta c’era Margarethe: ma quella che ci veniva incontro di corsa era la signorina Leitner.

Le andammo incontro, preoccupati da tanta foga, e finimmo per incontrarci a metà del cortile, quando lei dovette fermarsi per riprendere fiato.

 - I... i bambini. - ansimò - Il Presidente ha... ha preso i bambini. -

Sentii il sudore freddo scorrermi lungo la schiena: afferrai la povera ragazza per le spalle, così forte da rischiare di stritolarla.

 - Cosa è successo? - sillabai, furioso.

 - Il Presidente ha preso i bambini e li ha portati nel salone al pianoterra. - riuscì a compitare lei, sull’orlo delle lacrime.

 

Per una volta, emulai una delle entrate ad effetto di mio fratello: visto che era chiusa a chiave, aprii la porta con un calcio ben piazzato, e irruppi all’interno, seguito da uno sconvolto Klaus.

Edward era sulle ginocchia, con il viso tumefatto e sporco di sangue uscito dal naso: situazione in cui lo avevo già trovato parecchie volte, devo ammettere, ma mai mi aveva lanciato una simile occhiata. Aveva gli occhi sbarrati di un folle, o di qualcuno che ha assistito ad un evento orripilante.

Non capii subito quel che si trovava davanti a me, tanto che dovetti sbattere le palpebre, per essere certo che quella cosa ci fosse davvero. Ci misi circa un secondo per capire che quello doveva essere il Portale prodotto dal cerchio alchemico modificato da Edward: ora capivo perché era così titubante sui suoi risultati.

 - Posso sapere il perché di tanta irruenza, capitano? -

Hedwig Steinglocke girava armata, a quanto pareva. Questo spiegava il misero aspetto di mio fratello, perché era improbabile che fosse stato uno dei miei commilitoni a colpirlo.

 - Dove sono i bambini, signorina Steinglocke? - chiesi, bloccandomi sulla porta.

Non erano lì, anche se Clara Leitner e Margarethe dovevano pensarlo davvero per correre da me in quel modo: mancava anche il colonnello Holze.

Nessuno mi rispose. Ernst e Andreas fissavano la lama di luce che era il Portale come inebetiti, mentre Ed restava inginocchiato a terra, fissandosi le mani.

Fui scosso da un conato di vomito, quando capii cosa era appena successo in quella stanza.

 - Avete mandato i bambini... - non riuscii a continuare. Feci per avvicinarmi a mio fratello, ma Hedwig sollevò la pistola verso di me.

 - Non un passo, capitano! - ordinò.

Obbedii, stringendo i denti per non urlare tutto il mio dolore. I due soldati parvero riscuotersi all’apparire dell’arma, spostando gli occhi sbarrati dal Portale alla schiena della signorina Steinglocke.

 - Non ha idea di cosa ha appena fatto. - sussurrai, guardando quella donna.

 - Lei e il signor Elric non sapete dire altro. - sentenziò lei, annoiata - Non ha idea di cosa ha fatto, ha usato due bimbi innocenti per i suoi scopi... -

Deglutii a vuoto, sentendola parlare dei miei figli con così tanta leggerezza. Sentivo lo stomaco contratto, i polmoni schiacciati da un peso che mi toglieva il respiro.

 - Non pretendo che possiate capire: - stava continuando la donna, con calma glaciale - voi guardate solo il presente, mentre io sto già pianificando il futuro, quando anche azioni che oggi paiono discutibili diventeranno... -

 - Delle crudeltà immani. - ruggì Edward.

Lei sospirò.

 - Quando il colonnello Holze tornerà - Klaus, alle mie spalle, trattenne rumorosamente il fiato - sapremo come funziona il varco. In ogni caso... -

Con un movimento del polso, spostò la canna della pistola da me a Edward.

 - Temo che tu sia diventato superfluo. -

Lui non batté ciglio, limitandosi a fissarla con astio. Non tentava neppure di fermare il flusso di sangue che gli usciva dal naso, colando fin sul colletto della camicia.

Mentalmente, ispezionai la mia divisa. La pistola era nella fondina... ma come raggiungerla?

 - Mi mancherà la tua ironia, caro Edward. - dichiarò la donna, togliendo la sicura.

Battei le palpebre.

Gli spari rimbombarono per tutto l’edificio, e sembrarono squassarlo. Furono due, esplosi quasi in sincrono da due pistole alla mia sinistra.

Edward rimase immobile, esattamente come me e Klaus: non parve comprendere cosa era appena successo, non più di quanto lo compresi io. Continuava a fissare un punto davanti a sé, senza accorgersi di essere ancora vivo, e illeso.

Ernst riabbassò la sua pistola d’ordinanza, tremando, nello stesso momento in cui Andreas effettuava lo stesso movimento.

Era passato il tempo di un battito di ciglia. Prima Hedwig Steinglocke era in piedi, l’arma tesa verso la testa di mio fratello. Dopo, era accasciata al suolo, in una pozza di sangue, la stessa espressione di pietra.

Non aveva avuto neppure il tempo di rendersi conto che stava morendo.

 

 

 

Pensierino della buonanotte: che tristezza, perdere un così bel personaggio...

No, fermi, abbassate quei forconi. Scherzavo! Scherzavo!!

            Talpina Pensierosa: quando ho iniziato a scrivere, mi era spiaciuto moltissimo non poter usare anche i pensieri di Lotte, perché la bambina ne avrebbe parecchie, di cose da dire. Solo che non era molto credibile: nessuno di noi ricorda molto bene quel che è successo quando aveva sette-otto anni, perciò il suo racconto, sebbene virtualmente scritto da una donna ormai adulta, sarebbe risultato poco plausibile.

            KuRoNeKoChAn: mi ero stufata di scenette lacrimevoli, così ho deciso che Lotte, per salutare suo padre, avrebbe fatto a modo suo. Ed, in realtà, non è che si sia fatto scoprire... semplicemente, non sapeva che lo stessero spiando! E sì, Steinglocke significa “Campana di Roccia”, esattamente come Rockbell.

            Meby138: Decisamente, è la fine dell’inizio. Per restare in ambito di Seconda Guerra Mondiale, una sorta di D-Day.

Thomas, in realtà, qualcosa sa di Amestris: solo che non può credere che la favola dei due fratelli alchimisti fosse reale, e riguardasse suo padre! Tra l’altro, non so neppure cosa Al abbia raccontato ai figli, visto che la vicenda sua e di Ed non è esattamente una fiaba... solo che avevo in testa da parecchio l’incipit C’era un bambino piccolo piccolo, che viveva in un armatura grande grande: faceva parte di un’altra fanfic su FMA, cronologicamente posteriore a questa, ma non ho resistito!

            Liris: ah, qualcuna a cui piace Al, finalmente! Poverino, io ho sofferto a tenerlo fuori dalla storia per così tanti capitoli, chiedendomi cosa sarebbe riuscito a combinare Ed senza il fratellino che lo controlla!

            Siyah: sì, mia collega nella fede EdWin: Edward rischia il linciaggio. Solo che Winry non avrebbe la forza di andare oltre la solita chiave inglese in testa, quindi posso evitarmi la scena di sangue. Ti consiglio, però, il prossimo capitolo. Il nostro Alchimista d’Acciaio non verrà legato al letto solo perché il suo meccanico ha un’altra idea di vendetta...

            DarkMartyx_93: Al mi è molto simpatico: insieme a Ed, è il mio personaggio preferito. Solo che nella fanfic non è più il ragazzino quattordicenne che seguiva come un’ombra il fratellone, senza altro pensiero che l’incolumità di entrambi: ha dei figli a cui badare e da proteggere, tra l’altro da solo. Figli che aveva affidato a Edward, e che ritrova in grave pericolo grazie al solito fratello. A nessun genitore farebbe piacere.

            Yuna93: se non sei sicura della tua fanfic, non hai nessuno che possa leggerla e darti dei pareri? Va bene, la mia beta reader si è fatta sfuggire degli strafalcioni che io stessa ho trovato rileggendo con più attenzione, quindi non sono molto attendibile, ma un secondo paio di occhi, meno coinvolto, che rilegga e ti dica anche solo se la trama regge può essere utile.

 

 

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Full Metal Alchemist / Vai alla pagina dell'autore: Rika88