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Autore: ElyJez    10/04/2016    5 recensioni
Era un posto strano quello, dotato di una perfezione anormale, di un ciclicità tranquilla che non poteva essere interrotta, eppure nonostante ciò, qualcosa era successo. Era morta una donna e nessuno ne parlava. Sembrava che il mio fantasma fosse stato ingoiato dall’asfalto pulito o dalla luce fioca dei lampioni ed anch’io, mentre abbandonavo quelle stradicciole debolmente illuminate, sentivo di sparire poco a poco.
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Quarto Capitolo
L’ultimo respiro
21 Ottobre 2015, Martedì
La scalinata di pietra davanti alla cattedrale sembrava essere infinita. Salivo, salivo, eppure ero sempre allo stesso punto: troppo lontana dalla chiesa e a metà strada da una donna vestita completamente di nero seduta su una panchina.
Mi avvicinai per vederla meglio, ma il suo viso era completamente oscurato da un velo funebre; tra le braccia cullava un bambolotto di cera. Quando fui a pochi passi da lei, alzò la testa fissandomi con occhi che non potevo vedere.
<< Prendi>>
Mormorò con voce così fioca da mischiarsi con il fruscio del vento tra gli alberi.
Con delicatezza presi la bambola di cera avvolta nella copertina di merletti bianca con il timore di farle cadere la testa; ma questa non cadde, no.
Si girò verso di me. I suoi occhi dipinti si mossero verso l’alto, la bocca si dischiuse in un urlo rapace, le braccia, le gambe, si dimenarono con movimenti convulsi.
Chiusi gli occhi per allontanare da me quello scenario, ma quando li riaprii il bambino di cera e la donna vestita di nero non c’erano più. La chiesa che tanto cercavo di raggiungere era sparita.
Davanti a me si apriva una stanza con le mura completamente nere, che ospitava un letto a baldacchino dai drappeggi rossi rischiarati dalla luce debole delle candele.
Oltre al luogo, anche i miei abiti erano cambiati: avvolta in una camicia da notte bianca ottocentesca, mi ritrovai gravida, con il sangue che lentamente percorreva le mie gambe fino a giungere a terra e bagnarmi i piedi nudi.

Mi svegliai di soprassalto dentro il mio nuovo letto.
La stanza era illuminata dalla grigia luce mattutina e, dalla finestra spalancata, l’aria autunnale mi gelava il corpo bagnato di sudore freddo.
<< Che sogno di merda>>
Bofonchiai passandomi il dorso della mano sopra la fronte spostando la frangetta umida.
<< Oh, che spettacolo delizioso>>
Commentò una voce fastidiosamente famigliare dall’angolo più remoto della stanza. Mi alzai di scatto mettendomi seduta sperando che fosse il frutto di un’illusione deviata e che lui non fosse realmente lì. Speranza vana, naturalmente.
<< Che cosa stai facendo lì! >>
Domandai con un urlo mozzato in gola. Jillian Jenkins se ne stava beatamente seduto sulla poltrona rosa scuro, con le gambe accavallate, un libro tra le mani, i primi due bottoni della camicia sbottonati, le maniche tirate su fino a scoprirgli completamente gli avambracci … e che avambracci ragazzi! Ok, scusate, mi ero persa un attimo.
La verità è che per un momento sembravo essermi trasformata in uno di quei gentiluomini ottocenteschi che vedendo una donna passare esclamava allupato: le caviglie!
<< Non potevo stare sul bordo del letto: vuoi mettere il mal di schiena che viene dopo aver passato otto ore senza appoggiarsi da qualche parte? >>
Commentò lui con aria innocente cosa che istigò la parte più brutale di me.
<< Scusa, fammi capire bene, tu hai passato tutta la notte qui? >>
<< Certo >>
Rispose tranquillamente richiudendo il libro, alzandosi poi dalla poltrona, riponendolo quindi dentro la libreria.
<< Ti dispiace se ho letto uno di questi? Non mi ero portato niente con cui passare il tempo>>
Non so di preciso quanti secondi ci misi per visualizzare le sue parole, evitare di imprecare, e dare una risposta adeguata che non comprendesse la definitiva dipartita delle mie corde vocali.
<< Cosa diamine vuoi che me ne importi! Che ci fai qui, in camera mia? >>
Sbottai infine gesticolando energicamente- più passava il tempo e più somigliavo ai miei coinquilini di psichiatria.
<< Mi annoiavo >>
Spiegò stringendosi nelle spalle come se ciò che aveva fatto fosse la cosa più normale del mondo
<< E fare il guardone rientra nei tuoi divertimenti? >>
Ringhiai esasperata. Lui non doveva essere lì. Non doveva assolutamente essere lì. Quello era il mio luogo di sepoltura in un mondo coordinato dalla voglia di vivere.
<< Beh, sì >>
<< Vai fuori! >>
Gridai con tutte le mie forze, buttando giù le coperte ed indicando così la porta. Con mia grande amarezza, invece di rimanere risentito, di provare un po’ di stizza, o reagire aggressivamente, iniziò a ridacchiare divertito.
<< Se proprio lo desideri Bekah >>
Si avvicinò al letto e con poche falcate mi fu vicino. Cercai di indietreggiare finendo però contro la spalliera in ferro battuto. Bel lavoro, ora ero in trappola. Mi passò la mano bianca tra i capelli, afferrandoli da dietro la nuca, abbastanza forte da farmi inclinare la testa verso l’alto.
I suoi occhi, occhi neri cerchiati da ombre violacee, avevano lo sguardo di un demone affamato e mi catturavano spingendomi in ginocchio nella vana speranza di essere perdonata per i miei peccati.
Cercai di respingerlo ma in quel momento tra lui e una montagna non c’era differenza.
Pensai alle opzioni disponibili: lì vicino c’era un vaso di fiori, magari se fossi riuscita a raggiungerlo …
<< Ti ho lasciato un regalo sulla scrivania, mio piccolo giglio sporco>>
Soffiò lui, per poi allontanarsi ed aprire la porta. Stava per andarsene quando si girò nuovamente a guardarmi. In faccia aveva l’espressione di chi stava per svelare un segreto d’importanza nazionale.
<< Sai, io le mutandine le preferisco rosse>>
A quel punto afferrai il vaso scagliandolo con tutta la forza che avevo contro di lui, ma come al solito fu più veloce e l’unica cosa che riuscii a colpire fu una porta chiusa. Saltai immediatamente giù dal letto per poi infilarmi le pantofole ed inseguire l’intruso che ovviamente era svanito senza lasciare traccia.
<< Non m'importa dei tuoi gusti, porco!>>
Gridai a vuoto, sbattendo ferocemente la porta della mia camera.
Dannazione, c’erano una quantità indescrivibile di nervi nel corpo umano e in quel preciso istante era come se fossero sul punto di esplodere tutti insieme.
Guidata dall’irritazione e dall’impotenza per il sopruso subito andai a vedere il regalo che mi aveva lasciato. Sulla scrivania, vicino alle candele rosate e al pc portatile, era poggiato un vaso di cristallo contenente delle violette delicate e dei gigli completamente bianchi, simbolo di purezza e di castità.
“Mio piccolo giglio sporco” … chissà che cosa intendeva dire con quella frase. Soffiai, cercando di lasciar perdere il significato di quello che non era altro che un capriccio di un uomo annoiato e viziato, concentrandomi invece sulla piccola busta nera che era stata posata accanto al vaso.
La domanda da porsi in quel momento era: quel tipo era da ritenersi pericoloso? Con le fossette sulle guance, i capelli biondi lisciati all'indietro, le ciocche ribelli sul viso dolce e beffardo somigliava ad un angelo trionfante dipinto da Raffaello, eppure quegli occhi, quello sguardo, sembravano aver visto l’inferno e desiderare di trasformare il mondo in marciume e dolore.
Scossi la testa e con decisione sfilai il biglietto da dentro la busta.
Era di forma quadrangolare, dai lati lunghi all’incirca quindici centimetri, di colore nero, con la cornice e i caratteri impressi con inchiostro dorato. Scritto in caratteri eleganti, il cartoncino diceva:
“Siete invitati al ballo in maschera che si terrà mercoledì 22 Ottobre presso il maniero Jenkins. La festa inizierà alle 21:00”.
Il modo in cui era stata brutalmente troncata la frase lasciava trapelare l’identità dello scrittore. Cari fanciulli, mi gioco l’uniforme della ditta di pulizie che quel biglietto lo aveva scritto il maggiordomo con i tratti omosessuali.
Senza curarmene più del necessario, lasciai cadere l’invito sopra la scrivania: quella mattina avevo cose molto più importanti a cui pensare, altro che ballo in maschera. Per prima cosa dovevo parlare con Victor e vedere se avesse dei programmi per quel giorno, e poi mangiare qualcosa … però, innanzitutto, mi ci voleva una doccia per sciogliermi i muscoli, ancora più indolenziti del solito.
Mi diressi verso il bagno adiacente alla stanza con la determinazione di chi sta partendo per la guerra, ma la sola vista di ciò che vi era oltre la porta bianca mi mise di buon umore.
Con un sospiro di sollievo mi liberai della mia vecchia camicia da notte antistupro di flanella rosa con un orsacchiotto stampato sul petto e della biancheria intima, lanciandole dentro la cesta dei panni sporchi, per poi aprire il rubinetto ed infilarmi sotto i getti caldi della doccia.
Stare dentro al maniero la sera precedente non aveva per niente attutito lo stato d’ansia provato nel giardino, anzi se era possibile, l’angoscia era salita ad un livello esorbitante che mi spingeva a voltarmi ad ogni rumore e soffio di vento, facendomi sembrare una specie di esaltata che aveva bevuto litri e litri di caffè.
Oltre a questo scenario interessante, Victor, da bravo ricercatore farmaceutico in pensione, aveva iniziato un comizio infinito su alcune pomate antinfiammatorie per uso intimo che Nora Jenkins- risultata poi la madre del nostro caro guardone- era riuscita a seguire con un’inspiegabile tenacia.
Il biondino dal canto suo era stato impegnato essenzialmente in quattro attività: fissarmi con un sorrisetto maniacale, chattare su facebook con il telefono, mangiare, ed infine annuire con dei gesti di consenso così palesemente finti da sembrare veri. A volte riusciva a mischiare tutte e quattro le azioni insieme in una sorprendente combo.
A quel punto stavo quasi pregando di vedere un fantasma tanto per sfogarmi, ma poiché il fato mi è sempre stato avverso, l’unica cosa che feci fu affogare le mie frustrazioni sulla bistecca che ci avevano servito per secondo. Non appena uscii dalla doccia, m’infilai l’accappatoio di spugna, per poi ritornare in camera e iniziare a spulciare tra le valigie. Dopo una lunga ricerca accurata, scelsi una camicia a scacchi rossa e nera, un paio di jeans, calzini e converse nere, ed evitando i cocci sul pavimento, scesi al piano sottostante .

Angolo autrice:
Salve a tutti! Siamo arrivati al quarto capitolo + il prologo ... allora, cosa ne pensate? Vi piacciono i personaggi? E la storia? Se avete voglia di esprimere le vostre opinioni lasciate un messaggio o una recensione
Ciao, ciao
  
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