Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: _Blanca_    12/04/2016    2 recensioni
«Mi segue» disse Anna.
«Di che cosa parlate, miss Hawkins? Chi vi sta seguendo?»
«La morte.»

Ottobre 1875. Dalle coste della Nova Scotia, Anna Hawkins si imbarca per l’Inghilterra, dove vivrà con gli zii Woodhams, ricchi borghesi del Kent. Anna sa che vivere nel cuore dell'Impero, tra i bianchi sudditi della regina Vittoria, non sarà semplice. Lei è una Metis. È figlia di un inglese, che ha fatto fortuna come cacciatore di taglie, e di una donna della Prima Nazione. Ma Anna sa anche di non poter tornare indietro. Il suo viaggio è una fuga. Una fuga dalla solitudine, dalle responsabilità, da un destino che la terrorizza. La nuova esistenza nel Kent, tuttavia, si rivelerà diversa da qualsiasi speranza o timore. Anna dovrà affrontare i segreti di una vecchia casa e di una stanza che non deve mai essere aperta; dovrà tenere testa a una zia decisa a odiarla e a uno scrittore di racconti del terrore, capace di dare un’impronta fin troppo realistica agli incubi di carta e inchiostro. E, sullo sfondo del tutto, toccherà a lei risolvere l’enigma di un misterioso suicidio.
Genere: Horror, Mistero, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
4




IV. Mrs. Blackwell





«Anna, perché sei in piedi a quest'ora della notte?»
«Zia!»
«Rispondi» comandò la signora Woodhams. Era sulla soglia. Tra le sue mani ossute, una candela diffondeva un tremulo chiarore.
«Fame...»
Il gatto spingeva la testolina contro il braccio di Anna, mentre le fusa gli grattavano in gola.
«Avresti dovuto chiamare Lillian. Non hai visto il cordone accanto al tuo letto?»
«Mmh, pensavo fosse lì per decorazione» provò a scherzare Anna.  
Sul viso della signora Woodhams si formò un'espressione di compito fastidio. Venne avanti. Il fruscio della vestaglia, una nera e sontuosa cascata di frange, copriva il suono dei passi, leggeri come quelli di una creatura spettrale. La signora scacciò il gatto e controllò il tavolo.
«Hai rovesciato il sale.»
«È stato il gatto.»
«Rovesciare il sale attira la mala sorte.»
«Fortunato il gatto ad avere nove vite, allora.»
La signora Woodhams, sollevando la candela, indicò una dispensa dall’altra parte della cucina.
«Prendi quello che desideri e torna subito in camera. Non conosci la casa. Rischi di farti male, al buio.»
Raccomandazione o minaccia: Anna non lo capì. Provò, però, una mezza voglia di chiedere alla padrona di casa perché anche lei fosse a zonzo a quell'ora della notte. Ma, per farlo, avrebbe dovuto inseguirla: la signora Woodhams si era voltata immediatamente ed era già svanita in corridoio. Le parve di udirla risalire le scale. In una mirabile esibizione di noncuranza, Anna si tolse il cruccio dalla fronte e fece spallucce: non le importava un fico secco, in quel momento, delle passeggiate notturne della vecchia. Le sue priorità erano tappare il buco allo stomaco e tornarsene a letto, al caldo.

*

Il mattino seguente, pioveva. Una pioggia leggera, fitta, incessante. Anna, dopo essersi lavata il viso, sedette al vanity; il mento sopra al pugno e lo sguardo fisso sul proprio riflesso assonnato. Non aveva ancora messo piede fuori dalla camera e già era di malumore. Dapprima, incolpò la pioggia. Poi, ammise che la fonte del broncio sul suo viso era la pura e semplice idea della convivenza con la zia Woodhams.
Anna inspirò a pieni polmoni. Si fece coraggio: ‘A conti fatti, è solo una vecchia donnetta antipatica. Ho affrontato di peggio.’ E, come le aveva detto Lily, poteva sempre far affidamento sullo zio. A lui, e a lui soltanto, avrebbe chiesto scusa per l’esito della cena. In quanto alla zia, ricordò ciò che ripeteva sempre sua madre: nessuno ha il potere di cambiare il modo di pensare altrui, ma niente può toglierci il controllo delle nostre azioni. ‘Io mi comporterò al mio meglio’ decise Anna. ‘Se la zia ci tiene proprio tanto a disprezzarmi, è affar suo!’
Il pensiero della madre condusse lo sguardo di Anna verso il cofanetto.
Esitante, allungò una mano. L’aprì. Guardò l’anello, ma non osò toccarlo.
In quel momento, bussarono alla porta.  
Anna richiuse di scatto il cofanetto, come fosse stata sorpresa a rubare.
«Avanti!»  
Entrò Lily: sorridente, fresca e graziosa, quanto il fiore di cui portava il nome.  
«Buongiorno! Temevo di averti svegliata.»
«Buongiorno» Anna spostò il pugno dal mento alla tempia. «Che ore sono?»
«Quasi le dieci.»
«Così tardi...»
Lily disse che lo zio non aveva voluto che la svegliassero. Pensava fosse molto stanca per il viaggio. I signori, dal canto loro, avevano fatto colazione alla solita ora. Il signor Woodhams era andato al birrificio, come ogni giorno.
«E madam sta dando disposizioni alla signora Blackwell.»  
«A chi?» sbadigliò Anna.
«La cuoca. La moglie del signor Blackwell. Lui preferisce che lo si chiami semplicemente Bert... Si occupa del giardino, dei cavalli, delle vetture. E di tutti i lavori pesanti. Oggi, è andato a Maidstone col padrone. Quando piove, il signor Woodhams non conduce mai da sé il calesse. ― Comunque, vuoi che ti aiuti a vestirti?»
Anna declinò l’offerta, che le suonava vagamente ridicola.  
«Preferisci mangiare qui o nel salottino della colazione?» chiese Lily.  
Per mera curiosità, Anna optò per la seconda proposta e poco più tardi, scoprì che il salottino della colazione era una stanza adiacente al salone da pranzo. C’erano tre ampie finestre, che davano verso est, e se fosse stata una bella giornata di sole, a quell'ora del mattino, la stanza sarebbe stata la più calda e la più luminosa della casa. Ma la pioggia continuava a cadere; e Anna bevve il tè, mangiò del prosciutto alla griglia e sbucciò un uovo sodo con in compagnia di una volpe impagliata e del dandy soprappeso, in braghe attillate, nel ritratto sopra al caminetto.
Conclusa la solitaria colazione, e stufa di passeggiare avanti e indietro davanti alle finestre martoriate dalla pioggia, Anna decise che era il momento di esplorare.
Attraversò il salone da pranzo e tornò nel parlour. Era deserto. In effetti, non le fosse stato detto che in casa vi erano altre persone, avrebbe iniziato a credere di essere completamente sola. Lei, la pioggia e i funerei battiti della pendola, che parevano riecheggiare in ogni buio angolo di ogni stanza abbandonata.
Poiché nessuno la sorvegliava, Anna mise le mani su qualsiasi cosa. Avrebbe potuto trascorrere l'intera giornata a studiare quadri e chincaglierie, ma fu sufficiente un quarto d'ora per giungere alla conclusione: di metà degli oggetti non ne capiva la funzione, tanto da dubitare che ne possedessero una, e nell'altra metà non vedeva nulla di abbastanza bello da giustificarne la messa in mostra.
Nel parlour c’era anche una porta, in parte coperta da tendaggi, a cui, il pomeriggio del suo arrivo, Anna non aveva minimamente badato. Provò ad aprirla e, per la sua soddisfazione, i battenti scivolarono di lato rivelando una biblioteca. Le pareti erano  interamente rivestite di scaffali, alti fino al soffitto a cassettoni, e vi aleggiava un odore di polvere, misto a cenere e cera. Vicino al camino, spento, erano sistemate due poltrone e una greppina e, nell’angolo accanto, stava silenzioso un pianoforte di mogano. Un intarsio color bronzo, una ghirlanda di edera e boccioli di rosa, decorava un lato della cassa.  
Ma ad Anna non interessavano i libri, né gli strumenti musicali. Attratta dalla portafinestra, sul lato opposto all’entrata, non ci pensò due volte ad affrontare la fresca e pungente umidità della veranda con il suo abito di cotonina bianca.
La veranda somigliava a un largo corridoio; le pareti esterne, e il soffitto, erano formati da pannelli di vetro, incastrati in uno scheletro di ferro battuto. Da quanto capì Anna, percorrendola da su a giù, la veranda correva lungo tre quarti del lato sud della casa. Attorno a lei, statue di gesso bianco ― Veneri al bagno, eroici Apolli e Diane cacciatrici ― si alternavano ai vasi pieni di terra. Rododendri, calle, orchidee, begonie dalle foglie violacee venate di nero, come rigoli di inchiostro; e gerani, tra le cui brune foglie stellate, orlate di verde, Anna sorprese qualche spaurito fiorellino scarlatto, che non si era ancora rassegnato all’autunno.
Anna strappò via un fiore e giocherellò con lo stelo, mentre si accostava alla parete di vetro.
Il giardino sul retro si stendeva fino a un pittoresco muretto di pietra, con una piccola breccia da un lato, e lungo il quale cresceva quel che in primavera sarebbe stato un florido roseto. Quel pomeriggio, era solo un triste groviglio di rami e ramoscelli coperti di spine.
Al centro esatto, il muro si apriva su una scalinata. Questa scendeva lungo una dolce pendenza, fino a una grossa fontana ottagonale, incassata al livello del prato. Anna non poteva esserne sicura, da quella distanza e attraverso il vetro sporco e rigato, ma ebbe l’impressione che nella vasca non vi fosse acqua.
Quando iniziò a sentir freddo, tornò in biblioteca, dedicandosi alle due porte che non aveva ancora aperto. Una capì essere la porta che collegava la biblioteca all’ambiente centrale della villa; l’altra scoprì affacciarsi su uno studiolo.
Anna immaginò appartenesse a suo zio. Le pareti erano come quelle del parlour, color Borgogna, e c’era una massiccia scrivania rivolta verso la finestra. Anche qui, gli scaffali erano colmi di libri, registri e almanacchi, ma c’era una vetrina che valeva l’attenzione di Anna: strani aggeggi di metallo. forse strumenti scientifici. Eppure, Anna non ne era sicura perché i pochi oggetti che riconobbe erano armi: una piccola balestra, un revolver LeMat e, agganciato alla parete sul fondo, un arco.
In ogni caso, li abbandonò per andar a scoprire se la poltrona del signor Woodhams fosse comoda o meno. Lo era. Ma una volta accomodatasi in poltrona, che aveva lo stesso odore di tabacco e liquori del proprietario, Anna vide la fotografia che lo zio teneva sulla scrivania: era il faccino ovale, sereno e sorridente, di una bimbetta. Poteva avere nove o dieci anni, al massimo. Portava un fiocchetto, tra i lunghi boccoli scuri e teneva le manine in grembo, sulle pieghe di una gonfia gonnella.
Anna prese tra le mani la fotografia, che era incassata in una grossa cornice di velluto rosso. ‘Cugina’ pensò. ‘Chissà come sarebbe stato, se ci fossimo incontrate?’ L’avrebbe presa in antipatia, come sua madre? O sarebbero state amiche?
Anna provò una punta di tristezza per la possibilità mancata e, con un sospiro, rimise a posto la fotografia.
Uscì dallo studiolo.
C’era ancora una stanza da esplorare al pian terreno: la porta successiva a quella del salone da pranzo.
Anna socchiuse i battenti e spiò tra la fessura.
Avrebbe scoperto più tardi, chiedendo a Lily, che la stanza era un boudoir, ma a lei parve un altro cupo salottino, stipato di soprammobili, tende e scaffali. Il grosso gatto marrone dormiva acciambellato sul tappeto, davanti al fuoco. La signora Woodhams, con le spalle rivolte alla porta, era seduta a uno scrittoio. Da come se ne stava curva, Anna immaginò che stesse scrivendo qualcosa.
Il cigolio della porta doveva essere stato coperto dalla pioggia perché la signora Woodhams non aveva nemmeno alzato lo sguardo. E, poiché Anna non aveva nessun desiderio di anticipare il primo faccia a faccia della giornata con la zia, ringraziò la propria cautela, richiuse la porta e batté il ritirata.

*

Era quasi mezzogiorno, quando Anna si avventurò nel seminterrato, dove lo scrosciare della pioggia giungeva attutito. La cucina, vista di giorno, si rivelò più ampia di quanto Anna avesse creduto, la notte precedente. Un gran fuoco ruggiva nel camino, una casseruola borbogliava sulla stufa e una donna di mezz’età, armata di coltello, riduceva a tocchi una carcassa. La donna, con le labbra cementate in una linea diritta, occhieggiò verso Anna. «‘Giorno, signorina.» La voce era roca, la cadenza uguale a quella della gente di Maidstone. «Finalmente la si vede anche io.»
Anna andò verso il tavolo.
«Buongiorno. La signora Blackwell, giusto?»
«In persona.»
La signora Blackwell aveva una faccia larga, coperta da un prato di lentiggini, tutta contratta in un cipiglio. Era ben piazzata, con le spalle spioventi e il seno florido. «Spero che il mio coniglio in umido vi piaccia più della zuppa di gamberi. Mi avete rimandato tutto in cucina, ieri sera.» E calò il coltello sul trancio di carne.
«La zuppa era buonissima» provò a scusarsi Anna. «Ma la compagnia mi ha chiuso lo stomaco.»
La cuoca ribatté con un mugugno disinteressato.
«Dov'è Lily?»
«L’ho mandata al villaggio.»
«Con questo brutto tempo?»
«Le commissioni non aspettano mica il sole. Quando vanno fatte, si fanno. ― Perché cercate Lily? Vi serve qualcosa?»
Anna scosse la testa. «Volevo solo farle una domanda.»
«E dovrete aspettare, allora. Qui siamo in pochi a rimboccarci le maniche.»
«In effetti, pensavo che in una casa così grande lavorassero più domestici.»
«Le case grandi sono altre. E comunque, prima si era di più.»
«Prima quando?»
«Prima di adesso» tagliò corto la signora Blackwell.
Anna inarcò un sopracciglio. Mise le mani sui fianchi, rilassando le spalle. «Magari...» Si finse interessata alla crepa sulla cappa del camino, volgendo la schiena alla cuoca. «Potete dirmi voi quello che volevo chiedere a Lily.»
«Che vi serve di sapere?»
Anna si girò.
«Come si chiamava la bambina?»
La signora Blackwell, in procinto di rovesciare i tocchi di carne dal tagliere al tegame, indugiò con gli occhietti verdi e sospettosi sul volto di Anna.
«Che bambina?»
«La figlia dei miei zii.»
«Oh. Lei.» La cuoca sospirò. «Violet.»
«Come è morta?»
«Era debole di salute, povero angelo. Un inverno, la febbre se l'è portata via che non aveva ancora undici anni.»
«E non ci sono stati altri bambini?»
«Madam non era più molto giovane, quando Violet è venuta al mondo. E non fu un parto facile. Quello, e l'età... Insomma, capite da sola, no?»
«Sì, capisco. Ma, all’epoca, voi e vostro marito lavoravate già qui, a Bon Fleur?»
«Già...»
«E... e da quand’è che mia zia ha deciso di mettere sotto chiave la nursery?»
Per un attimo, la cuoca parve sorpresa. Poi, rindossò il suo cipiglio scostante. «Bah, non me lo ricordo esattamente... qualche mese dopo la morte della bambina.»
«E in che anno è successo?»
«Era il Sessantasette.»
«Ma c’è un motivo... insomma, perché mia zia tiene la stanza chiusa?»
«Santa pace, signorina! Quante domande!»
Anna fece spallucce.
«Mi hanno cresciuta così.»
«Brutta abitudine quella di farsi gli affari degli altri» l’avvisò la signora Blackwell, agitando verso di Anna la punta del coltello.
Ma Anna non batté ciglio.
«Se devo vivere qui, voglio sapere come funzionano le cose.»
«Funzionano che adesso io non ho tempo per le chiacchiere. E voi non avete proprio altro da fare?»
«In effetti, no. Non so se avete notato, ma non è proprio una fiera qua attorno.»
«Allora, fatemi il favore di andare a far nulla da un'altra parte.»
Con un sorrisetto forzato, e un principio di antipatia nascente, Anna esaudì il desiderio della cuoca. Per un po', si tenne occupata gironzolando tra gli altri ambienti del seminterrato: il tinello dei domestici, la stanza del bucato, con le vasche e le presse, e le cantine in cui erano stipati vino e patate, legna e carbone; riparò in camera da letto, fin quando, poco prima di pranzo, una Lily superstite dalla pioggia bussò per informarla dei nuovi decreti della signora Woodhams.
«Non vuole che mangiate con lei, nel salone» disse. L’imbarazzo le si leggeva in viso. «Vi chiede di pranzare in camera.»
Anna nascose la dolorosa sorpresa dietro un indifferente: «Va bene». Non era la prima volta che si vedeva proibire di condividere lo spazio con un bianco, ma la vera umiliazione stava nell’essere allontanarla da qualcuno con cui aveva un legame di sangue. Scosse il capo. ‘Deve disprezzarmi davvero fino in fondo’.
Lily starnutì. Aveva i capelli umidicci e l'aria infreddolita.
«Tu dovresti stare vicino al fuoco» disse Anna, trascinandola di peso davanti al caminetto.
«Oh, non c'è da preoccuparsi.» Lily sorrise, sventolando una mano. «Non mi ammalo facilmente – io.»
«In ogni caso, è stata una gran cattiveria mandarti fuori sotto la pioggia. Che diavolo c'era di tanto importante da fare?»
«Madam aveva una lettera da far arrivare a Maidstone.»
«E non poteva affidarla allo zio?»
Lily si strinse nelle spalle. «So soltanto che era per gli Hall. Ho letto l'indirizzo. ‘Mr. W. Hall di Ellsworth House.’»
Anna aggrottò la fronte.
«‘W. Hall?’ William Hall?»
«Immagino di sì.»

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: _Blanca_