Anime & Manga > Il grande sogno di Maya
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Autore: FiammaBlu    12/04/2016    7 recensioni
Maya ha vinto la sfida con Ayumi Himekawa, aggiudicandosi la Dea Scarlatta e i diritti dell'opera. Ma proprio come accade nel dramma originale, un fuoco arde sotto le ceneri...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Masumi Hayami, Maya Kitajima
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Stage #2. La corda spezzata



Maya uscì dall’ascensore, tirò fuori le chiavi dalla piccola borsetta e aprì stancamente la porta di casa. L’appartamento che la Daito, anzi no, che Masumi Hayami l’aveva costretta ad occupare si trovava al trentacinquesimo piano di un nuovissimo palazzo a vetri di Ginza. Quando aveva dovuto abbandonare quello che condivideva con Rei a Yokohama, le era pianto il cuore. Non tanto per il pregio, era piccolo e vecchio, quanto per la libertà perduta.

Spaziò con lo sguardo nell’ampio salone in cui non trascorreva mai del tempo. C’erano due divani bianchi, uno di fronte all’altro, con un basso tavolino di vetro in mezzo. Le pareti, le tende, i cuscini, i soprammobili, tutto era bianco, tranne un enorme tappeto blu copriva il pavimento in ceramica bianca. Una grande porta finestra dai bordi in acciaio conduceva ad un terrazzo rettangolare. Quell’arredamento non faceva per lei, non era il suo stile e non aveva mai sentito sua quella casa dalla prima volta che ci aveva messo piede.

Scivolò lentamente in camera percorrendo il corridoio sulla destra. C’erano altre tre stanze, tutte vuote, che non usava mai. Aveva scelto l’ultima in fondo, forse perché si sentiva più protetta e sicura. C’era una grande cabina armadio, vuota per due terzi, una scarpiera, un letto di dimensioni astronomiche che era stata costretta a tenersi, una consolle per truccarsi con un grande specchio, che non aveva mai usato, e un cassettone. Appoggiò borsa e cappotto sulla poltroncina bianca vicina al cassettone e si buttò sul letto.

Il cuore le batteva ancora senza sosta, picchiava in modo prepotente contro la sua cassa toracica e non le dava tregua. Teneva la bocca aperta, per incamerare più ossigeno, ma la situazione non migliorava. Si sentiva soffocare e scoppiare allo stesso tempo. Tirò le ginocchia al petto e le cinse strette con le braccia cercando di calmarsi. Aveva imparato così bene a indossare la sua maschera quando c’era lui da avere difficoltà a toglierla. Quando ci riuscì finalmente scoppiò a piangere.

Le lacrime scivolarono sulle lenzuola candide e profumate, ma non se ne preoccupò. Avrebbe voluto svuotarsi completamente, lasciarsi andare e cadere in un oblio senza fondo. Sapeva che sarebbe stata la sua fine: lei aveva bisogno del teatro, senza di esso le sarebbe mancato l’ossigeno per vivere. Indossare le maschere di altri personaggi le permetteva di vivere vite piene e colorate, dimenticandosi della sua.

Quando aveva calcato il palcoscenico dello Shuttle X e aveva mostrato alla signora Tsukikage e al suo ammiratore la sua Dea, qualcosa era cambiato dentro di lei. Tutte le prove nella valle dei susini, la sfida con Ayumi, la severità della sensei, le difficoltà incontrate, ogni cosa era svanita. Un’energia dirompente e calda le aveva invaso l’animo, aveva cessato di essere Maya Kitajima ed era diventata in tutto e per tutto Akoya. Ricordava distintamente l’attimo in cui quella separazione avveniva ed era l’istante prima di mettere piede sul palco. Quella trasformazione era accaduta altre innumerevoli volte ed era andata intensificandosi. Nessun altro dei ruoli che aveva ricoperto l’aveva assorbita a tal punto e, senza rendersene conto, quell’energia l’aveva consumata.

Quando la signora aveva pronunciato il suo nome, il mondo si era fermato. Ricordava un’ovazione, lo sguardo vuoto di Ayumi, il sorriso di Genzo. Poi qualcuno le aveva stretto una mano, poi l’altra, abbracci, baci, ed era stata fagocitata da amici e giornalisti. Le era occorso molto tempo per realizzare ciò che era avvenuto e la consapevolezza vera e propria era giunta quando era rientrata nel suo camerino e aveva trovato le rose.

Il biglietto che le accompagnava confermava che una nuova fase della sua vita era iniziata e che niente sarebbe stato più come prima.

Due giorni dopo, come sbandierato da tutti i giornali di spettacolo, il signor Hayami si era unito in matrimonio con Shiori Takamiya. Aveva appreso la notizia dal telegiornale che aveva mostrato foto e interviste a profusione della coppia più bella e interessante del momento. Mi aveva fatto una promessa… perché ha confuso di nuovo ogni cosa? Perché mi ha detto quelle cose orrende? Perché si è sposato?

Maya strinse il pugno e lo picchiò sul letto serrando gli occhi con forza. Ingoiò il nodo doloroso che le ostruiva la gola e riprese fiato senza riuscire a trovare una risposta a quelle domande che le rimbalzavano in mente da oltre un anno.

Una settimana prima dello spettacolo dimostrativo, il signor Hijiri l’aveva accompagnata a Izu, dove avrebbe dovuto incontrare il suo ammiratore, ma lui non c’era. Se ne era tornata a casa piena di dubbi e con l’anima lacerata dall’impossibilità di agire. Quel senso di inutilità e indecisione, sommato alla conferma del suo matrimonio, avevano dato vita alla sua Akoya più intensa. Se quella dello spettacolo dimostrativo aveva convinto la signora Tsukikage, la prima sotto l’egida dell’Associazione Nazionale aveva conquistato il Giappone intero.

Ogni volta che saliva su quel palco, metteva in Akoya tutti i sentimenti nascosti e non corrisposti che provava per Masumi Hayami. Senza rendersene conto, quell’uomo distaccato e cinico, di cui aveva visto il vero volto sull’Astoria, aveva fatto breccia nel suo cuore fino a conquistarlo completamente. Più volte si era detta che confondeva la generosità che aveva avuto nei suoi confronti come ammiratore delle rose scarlatte con quell’affetto che credeva amore profondo, ma con l’andare dei mesi, la sua anima lacerata e divisa aveva bramato di ricongiungersi alla sua metà senza mai riuscirci e questo aveva creato la perfetta Dea Scarlatta.

Non l’aveva più rivisto dallo spettacolo dimostrativo. Il tempo passava, gli impegni l’avevano travolta e i suoi sentimenti erano ingigantiti ogni giorno di più. L’angoscia era così dilagante che per sfogarla aveva costretto Sakurakoji, che aveva ottenuto la parte di Isshin, a ore e ore di estenuanti prove, spesso anche da soli, senza Kuronuma a guidarli, solo per guarire egoisticamente il suo dolore. Aveva compreso che l’ammiratore non c’entrava niente. Si era innamorata di Masumi Hayami, non del suo alter ego, ed era avvenuto ben prima che lei scoprisse la verità sulle rose. Era stata così stupida da non riconoscere i suoi sentimenti e quella mancanza, unita al suo senso di inadeguatezza, l’avevano quasi fatta impazzire.

Poi, alla fine dei tre mesi di rappresentazione dell’Associazione Nazionale, la signora Tsukikage aveva predisposto ogni cosa perché lei diventasse a tutti gli effetti la sua erede. Uno studio di avvocati si era occupato di tutto e nel giro di un giorno si era trovata fra le mani i diritti della “Dea Scarlatta”. Ricordava perfettamente di aver fissato come un’ebete il plico che le era stato consegnato e di essere tornata nel mondo reale solo quando la signora le aveva rivolto la parola.

- Maya, tu conosci la storia della “Dea Scarlatta” e di Ichiren Ozaki - aveva esordito con voce commossa - Abbi cura della sua opera - si era raccomandata. Da quell’istante, un piccolo tarlo si era insediato nel suo cervello, prendendo sempre più piede, perforando e sussurrando, finché si era resa conto di quanto la storia della signora Tsukikage fosse simile alla sua. Anche lei aveva amato un uomo che non la ricambiava, sposato e con figli. Anche lei aveva riversato in Akoya il dolore del suo amore non corrisposto dando vita ad una Dea Scarlatta che veniva ricordata come un evento ineguagliabile. Non avrebbe mai coinvolto il signor Hayami in uno scandalo né avrebbe mai fatto niente per dimostrargli nuovamente i suoi sconvenienti sentimenti, ma aveva in mano l’arma più potente che le avrebbe permesso di legarsi almeno al produttore, se non all’uomo.

Così aveva agito. Sconvolgendo il mondo dello spettacolo e andando contro chi l’aveva messa sull’avviso, aveva firmato un contratto di esclusiva con la Daito Art Production che prevedeva una clausola vessatoria a scadenza: dopo cinque anni i diritti sarebbero divenuti di proprietà di Masumi Hayami. Lei desiderava solo una scusante per poterlo incontrare, era certa che il suo ammiratore non avrebbe fatto niente ai danni della “Dea Scarlatta” e dentro di sé sapeva che lui più di ogni altro si sarebbe preso cura del dramma di Ichiren Ozaki. Inoltre, anche se i diritti sarebbero diventati suoi, era riuscita a far inserire nella clausola un piccolo bilanciamento che la rendeva meno sfavorevole: lei avrebbe deciso i futuri Akoya e Isshin, proprio come aveva fatto la signora Tsukikage.

Quella sera, sfinita, si era addormentata fra le braccia della sua sensei alla quale aveva raccontato ogni cosa, svuotando la sua anima. La signora non aveva detto una parola, le aveva lisciato i capelli senza sosta e l’aveva ascoltata mentre raccontava dell’ammiratore delle rose scarlatte e di ciò che aveva fatto per lei, ma non solo, anche delle azioni di Masumi Hayami viste con un’altra ottica.

La mattina seguente si era svegliata rinnovata e ancora più sicura di aver fatto la scelta giusta sebbene un globo nero e buio oscurasse parte del suo cuore.

- La nebbia si è diradata, Maya? - le aveva chiesto Chigusa con un sorriso dolce e comprensivo.

- Sì, signora Tsukikage! Il signor Hayami proteggerà la “Dea Scarlatta” anche da suo padre, ne sono convinta! - le aveva risposto entusiasta.

- Lo credo anche io, Maya - aveva annuito l’anziana sensei, stupendola.

Con quella sconcertante benedizione, era tornata a casa e alle nuove prove sotto la guida della Daito Art Production.

Nonostante tutti i suoi buoni propositi, il tempo non l’aveva aiutata a capire la dualità di quell’uomo apparentemente gelido e insensibile. I loro incontri li vedevano contrapposti, lui ironico e sfacciato, lei che ribatteva a qualsiasi cosa. Ciò che prima accadeva sporadicamente nei foyer era diventato una routine giornaliera, soprattutto nel primo periodo in cui vennero prese delle decisioni per la messa in scena del nuovo spettacolo.

Maya non riusciva ad abbassare i toni, ogni volta che lo vedeva sentiva il cuore battere follemente e ciò la faceva imbestialire. Non riusciva a comprendere quel suo sentimento, cosa l’attirasse a lui come una calamita e si odiava per questo. Di contro, Masumi Hayami la trattava come un’attrice viziata, quella “gallina dalle uova d’oro” di cui le aveva parlato nel tempio nella valle, facendola innervosire ancora di più. Era una spirale senza fine che la faceva soffrire immensamente ed era senza soluzione.

Quando la prima della “Dea Scarlatta” nel teatro Daito decretò quel successo che lui tanto agognava, iniziarono ad arrivare i nuovi ingaggi. Il signor Hayami aveva iniziato a proporle nuove rappresentazioni da alternare al dramma, che veniva messo in scena due volte la settimana. Pur di passare il tempo nei panni di un’altra persona, aveva accettato qualsiasi cosa la tenesse impegnata senza accorgersi di quanto invece quel processo la logorasse.

Si asciugò le lacrime e si mise a pancia in su, fissando il soffitto. Il matrimonio del signor Hayami sembrava procedere senza intoppi, almeno secondo i giornali di gossip, e la fusione con il gruppo Takatsu aveva rafforzato le due società e arricchito entrambe le famiglie, proprio come avevano previsto le testate economiche. Shiori Takamiya appariva raramente in pubblico, ma quando lo faceva era sempre al suo fianco, la pelle d’alabastro perfetta e lucente, le lunghe ciglia appoggiate alle guance, le labbra tese in un sorriso dolce. Era una donna bellissima e non avrebbe potuto scegliere moglie migliore.

Frenò un altro scoppio di pianto e si girò verso il comodino reprimendo quella rabbia che le bruciava lo stomaco. Afferrò il copione di “Madama Butterfly” e si tuffò nella lettura, scacciando dalla mente tutti quei pensieri inutili e concentrandosi sulla sua nuova maschera. Più s’immergeva nel personaggio, più il suo cuore rallentava, tornando ad un battito regolare. Niente la tranquillizzava come la recitazione. Quando entrava nel mondo del personaggio, quello reale svaniva, i suoi sentimenti diventavano quelli della parte che avrebbe dovuto interpretare, gli ambienti cambiavano, le sue abitudini si modificavano, perfino fisicamente si sentiva diversa.

Il dramma di Chōchō-san l’aveva affascinata dal momento in cui il signor Hayami le aveva dato la bozza di copione. Non conosceva quel dramma e aver scoperto la sua storia l’aveva rattristata e incuriosita. Aveva cercato immediatamente un modo per entrare in sintonia con Chōchō-san senza riuscirci, ma era convinta che avrebbe trovato la strada. Dopo la Dea Scarlatta aveva iniziato ad affrontare in modo diverso l’analisi dei personaggi. Ognuno di essi aveva una chiave di volta che lei avrebbe individuato e usato per poterlo recitare.

C’erano scene molto intense, soprattutto l’ultima, in cui Chōchō-san si suicidava, lasciando il figlio all’ex marito che era venuto a reclamarlo. Non aveva ancora trovato la sua Madama Butterfly, ma si nascondeva da qualche parte dentro di lei!

Rilesse di nuovo tutto da capo, lasciando che piano piano un sonno senza sogni prendesse il sopravvento e le evitasse di ricadere nella solita girandola di ricordi.



Non c’è niente di più bello durante i mesi freddi di una cioccolata calda. In una traversa del quartiere di Ginza, il più famoso e alla moda di Tokyo, c’era una pasticceria francese che creava dolci squisiti e in cui Maya e Rei trascorrevano alcuni pomeriggi quando non erano impegnate con le rispettive prove o lo studio.

- E pensare che avevo creduto la scuola un capitolo chiuso - si lamentò Maya appoggiando la fronte sul libro d’inglese.

- Non ti va mai bene niente! - sbottò Rei infilandosi in bocca il cucchiaino pieno di cioccolata bollente.

- La Daito mi costringe a decine di corsi e non credo riuscirò a superare l’esame di inglese! - singhiozzò disperata afferrando il libro ostico con espressione terrorizzata.

Rei la fissò alzando un sopracciglio. Erano trascorsi tre giorni dalla sua chiacchierata con il signor Hayami e Maya restava oberata d’impegni. Forse si era proprio sbagliata su quell’uomo.

Maya si appoggiò sconsolata allo schienale, facendo scorrere le pagine del testo scolastico. Sembrava assorta in qualche pensiero e, spostando lo sguardo, Rei vide sbucare dalla borsa a terra il copione sgualcito di “Madama Butterfly”, pieno di segni e appunti. Sorrise e continuò ad occuparsi della sua cioccolata, che Maya aveva già divorato.

- Non è curioso che in inglese la parola “stage” abbia un duplice significato? - mormorò Maya ancora assorta catturando la sua attenzione.

- Cosa intendi dire? - si informò l’amica corrucciando la fronte e abbassando la tazza fumante.

- Lo usano sia per indicare il “palcoscenico” o “scena” che come “fase” o “stadio della vita”… - spiegò Maya sollevando gli occhi d’un tratto brillanti e vivi.

Rei rimase stupita da quel cambio improvviso. Sebbene la Daito l’avesse incasellata nei suoi programmi serrati, lei non aveva perduto quella capacità di stupire con la sua innocenza e ingenuità. Rifletté qualche istante su quella particolare parola, poi annuì.

- Ogni volta che salgo sul palcoscenico, ogni interpretazione, rappresenta una fase della mia vita - aggiunse Maya insistendo su quel punto - È naturale che gli inglesi, dove il teatro ha avuto grande rilevanza, lo usino per entrambi i significati - concluse convinta e sorridente, come se avesse raggiunto una grande verità.

Come se quel ragionamento le avesse ricordato qualcosa di importante, scattò rigida con gli occhi spalancati, si chinò come un robot e prese un’agendina. Rei soppresse una risatina nel vederla alla prese con quel quadernetto. La Daito aveva provato a darle un telefono, anzi due, ma li aveva perduti entrambi, così la signorina Mizuki le faceva segnare ogni appuntamento, ma Maya riusciva comunque a dimenticarseli.

- Dove avresti dovuto essere? - le domandò Rei con espressione rassegnata.

- Alla Daito! - sussurrò Maya terrorizzata, guardandola.

C’erano solo due motivi per cui avrebbe potuto recarsi lì: una conferenza stampa o un incontro con il signor Hayami e, vista la cera pallida del suo volto, Rei optò per la seconda. Nonostante il trascorrere del tempo, quell’uomo le faceva ancora lo stesso effetto di qualche anno prima: appariva spaventata, ma quando erano uno di fronte all’altra, Maya diventava una furia. Anche se bisticciavano come cane e gatto, Rei non riusciva a togliersi dalla testa che quegli atteggiamenti, in entrambi, celassero ben altro.

- Vieni, ti accompagno - sospirò alzandosi e fissando sconsolata la cioccolata rimasta. Maya stava ficcando tutto nella borsa alla velocità della luce, s’infilò il cappotto con poca grazia, saldò il conto offrendo anche per Rei e schizzò in strada seguita dall’amica che manteneva un’andatura più placida.

- Maya, non correre! - gridò - Cadrai! - non fece in tempo a finire la frase che l’altra rovinò sul marciapiede. Maya si rialzò lamentandosi e sfregandosi le ginocchia, fortunatamente coperte dai jeans sportivi.

- Che ti avevo detto? Non riuscirai a recuperare il tempo così. Dai, prendiamo quel taxi - la spronò prendendola per un braccio e sollevò una mano per chiamare il taxi libero che si stava avvicinando.

In breve raggiunsero l’ingresso principale della Daito, Maya schizzò fuori dal taxi e si fermò a riprendere fiato, mentre Rei pagava la corsa. Sollevò lo sguardo al cielo, poi si voltò ansiosa verso Rei, che intuì il suo stato d’animo.

L’amica guardò l’orologio, poi le annuì con un sorriso.

- Vengo anche io, ti aspetterò nel salottino - la rassicurò. Maya rifiorì e s’illuminò strappandole un sorriso imbarazzato. Nonostante il mondo del teatro sia pieno di insidie e cattiverie, lei non ha perso la sua spontaneità...

Maya corse sulle scale e varcò le doppie porte a vetri, che si aprirono automaticamente davanti a lei. Attraversò l’atrio, sollevò una mano per salutare le receptionist, che sorrisero divertite e, seguita da Rei, s’infilò nell’ascensore le cui porte stavano per chiudersi. Era strapieno di gente e quando il suo nome venne sussurrato e si trasformò in un richiamo, Rei chiuse gli occhi con un sospiro, immaginando già cosa sarebbe accaduto.

- Signorina Kitajima, un autografo per favore! - chiese un uomo e bastò solo quell’incitamento a far comparire penne e foglietti di vario genere.

Maya arrossì, ancora intimidita dagli assalti dei fan che ormai la riconoscevano dovunque, scoccò un’occhiata birichina a Rei e iniziò a firmare.

- Siete gentili - mormorò arrossendo e restituendo il primo autografo.

- La sua Dea è incredibile! L’ho vista tre volte, sa? - una voce accorata giunse da dietro il gruppo.

- Oh! Grazie signore! - gridò Maya facendo ridere tutti. Le domande si accalcavano una sull’altra impedendole di rispondere.

- Quando ricomincerà? -

- Continuerà a lavorare per la Daito? -

- Sta preparando un nuovo spettacolo? -

- Dove potrò vederla ancora? -

- Scriverebbe una dedica alla mia bambina? Adora la sua Alice! -

Rei fissava con astio il gruppo di curiosi, senza ottenere la benché minima attenzione. Maya era divenuta famosa indubbiamente per l’interpretazione di Akoya e della Dea, ma anche altri suoi personaggi avevano riscosso grande successo come la sua Alice di “Alice nel paese delle meraviglie”.

- Grazie signore! Ecco qui la dedica! - rispose entusiasta Maya restituendo l’autografo con un sorriso.

Tutto questo accadeva mentre l’ascensore si fermava ai piani ed entravano e uscivano le persone, per cui i complimenti si rinnovavano ad ogni arrivo e gli autografi aumentavano. Rei si portò due dita al ponte del naso immaginando la scena quando quell’ascensore si sarebbe fermato al piano della presidenza…

Rimasero solo cinque uomini che arrivarono con loro all’ultimo piano. Maya terminò di firmare tutti gli autografi e quando le porte si aprirono il chiacchiericcio dei ringraziamenti si sparse sul piano.

La signorina Mizuki sollevò la testa e individuò immediatamente Rei. Si scambiarono un’occhiata breve, ma la segretaria comprese subito la situazione. Si alzò, ma il suo tempismo non bastò. La porta dell’ufficio del suo Presidente si aprì e ne uscirono il signor Hayami e il regista Kuronuma.

Entrambi si bloccarono nel vedere una piccola folla intorno all’ascensore poco distante. Maya sorrideva e chiacchierava dando corda a tutti i manager in abito scuro che la elogiavano e riempivano di complimenti.

- Kitajima! - la chiamò Kuronuma scoppiando a ridere.

Il silenzio cadde sulla scena, Maya si girò di scatto come un soldato che riconosce la voce del generale e per poco non fece anche il saluto militare. Rei trattenne una risata e rimase in disparte a godersi i prossimi minuti.

- Si-Signor Kuronuma! - esclamò stupita, arrossendo. Il regista era appena fuori dalla porta, le braccia incrociate al petto, il volto corrucciato anche se sorridente. Accanto a lui c’era Masumi Hayami che la fissava con il consueto sguardo di ghiaccio pieno di rimprovero.

Deglutì, salutò formalmente i cinque uomini che erano con lei in ascensore e che si erano zittiti tenendo lo sguardo basso, e raggiunse il regista. Invano cercò di mettere un freno al cuore che aveva preso a battere come un tamburo.

- Buonasera - li salutò entrambi con un lieve inchino.

- Kitajima, stai battendo la fiacca? - la interrogò severo il regista.

- No! No! - replicò subito lei dimenticandosi completamente di chi aveva intorno - Sto preparando un nuovo spettacolo! - lo disse con orgoglio e voce carica di aspettativa.

Masumi s’irrigidì quando sentì quelle parole uscire dalle sue labbra. Maya dimostrava sempre il massimo entusiasmo per ogni lavoro che le proponevano. Tutti i registi con cui aveva lavorato l’avevano definita un talento naturale e molti degli attori con cui aveva condiviso il palco non volevano più saperne di lei. Emanava quel potente magnetismo sulla scena, rubandola anche ai personaggi principali, tanto erano intense le sue interpretazioni. Gli era bastata un’occhiata per rendersi conto che aveva firmato di nuovo degli autografi: li aveva visti in mano a quegli ossequiosi ammiratori.

- Brava! Non ti rammollire, altrimenti non sarai in grado di interpretare di nuovo Akoya! - la redarguì Kuronuma scoppiando di nuovo a ridere.

Maya lo fissò con occhi spalancati, atterrita: sembrava realmente terrorizzata all’idea di non essere più in grado di recitare la Dea e Masumi si sentì invadere da un’immensa tenerezza.

- No! Continuerò a recitare, signor Kuronuma! La mia Dea migliorerà, glielo prometto! - esclamò facendo un passo avanti e imponendo la sua piccola figura.

Il regista alzò un sopracciglio e le sorrise.

- Ne sono convinto, Kitajima - mormorò lui diventando subito serio.

Maya ricambiò lo sguardo franco e sincero e si rasserenò: probabilmente voleva solo spronarla come era solito fare e lei ci era caduta in pieno.

- Arrivederci, signor Hayami - si congedò il burbero regista.

- Tenga a mente quanto le ho detto - annuì Masumi stringendogli la mano.

- Ne farò tesoro - convenne Kuronuma allontanandosi - Arrivederci, Kitajima! -

- A presto, signor Kuronuma! - esclamò lei con esuberanza facendo sollevare un sopracciglio all’uomo dietro di lei.

Quando Maya si voltò, sapeva che l’avrebbe trovato lì, rigido come una colonna, a fissarla severamente. Il signor Hayami le spalancò la porta e la fece entrare senza una parola.

Rei espirò il fiato, in fondo non era accaduto niente di grave e il signor Hayami non aveva reagito come a teatro, sebbene avesse indubbiamente visto gli autografi nelle mani di quei dipendenti di cui, era sicura, conoscesse nome e cognome. Rabbrividì e si avvicinò lentamente alla scrivania della signorina Mizuki, che aveva seguito tutta la scena con la sua stessa apprensione e curiosità.

- Pensa che accadrà qualcosa? - domandò alla segretaria a bassa voce.

- No - rispose lei serenamente, scuotendo la testa.

- Sa perché le ha dato appuntamento qui? - chiese ancora Rei con una certa confidenza nata col tempo.

- No - negò di nuovo Mizuki aggiustandosi gli occhiali.

Rei sospirò, indicò i divanetti del salottino di attesa dei clienti e la segretaria annuì capendo al volo.



Appena fu all’interno dell’ufficio, Maya evitò di pensare alla presenza di lui alle sue spalle e si sedette su una delle due poltroncine di fronte alla scrivania. In quei mesi da dipendente della Daito era stata molte volte in quella stanza e quasi mai erano state visite di piacere. Quell’ufficio era la sua nemesi. In quel luogo, Masumi Hayami la rimproverava ogni volta che faceva qualcosa che non approvava - ed erano tante le sue mancanze - al riparo da occhi indiscreti e da lingue malevole.

- Non pensare che non abbia capito cosa stavi facendo in ascensore - esordì Masumi sedendosi di fronte a lei, sulla sua poltrona.

Maya strinse i pugni in grembo, invisibili al suo sguardo grazie all’ampia scrivania.

- Non lo penso, signor Hayami - replicò accondiscendente.

Masumi corrugò la fronte e appoggiò i gomiti sul tavolo di legno.

- Hai con te il copione di Madama Butterfly? - le domandò all’improvviso, fissandola. Nonostante il tempo passasse inesorabile, ogni volta che affrontava Maya si sentiva estremamente a disagio. Tutte le sue riflessioni, il suo autocontrollo, le decisioni che prendeva riguardo lei, crollavano come castelli di carte appena la vedeva. Ormai quel dualismo faceva parte della sua vita, divisa a metà fra una pubblica, conosciuta da tutti, e una privata, nota solo a lui.

Maya annuì, stupita da quella domanda. Tirò fuori i fogli sgualciti e arrotolati e glieli passò, arrossendo lievemente.

Masumi li girò rapidamente, notando commenti ed evidenze e serrando le labbra per non farsi sfuggire un sorriso alla vista dei fogli malridotti. Li arrotolò a cilindro, chiuse parte del suo cuore ai sentimenti, e li gettò nel cestino.

Maya seguì il movimento con occhi sgranati e il cuore che batteva follemente. Si alzò di scatto con un sussulto e poggiò le mani sul bordo della scrivania, aggrappandosi ad essa.

- La parte di Madama Butterfly è stata data ad un’altra attrice - le riferì gelidamente Masumi, come se fosse cosa da niente, ignorando la sua espressione sbigottita.

- Perché? Il regista era soddisfatto di me! Perché ad un’altra attrice? Ho quasi trovato la mia Chōchō-san! - replicò rapidamente, sbattendo le mani sulla scrivania mentre un’angoscia oscura si impadroniva di lei. Non riusciva a comprendere cosa avesse sbagliato. Era impossibile che quella decisione derivasse dall’aver firmato qualche autografo! Il signor Hayami non si era mai vendicato contro di lei...

- Devi girare le riprese di alcune pubblicità negli studi di Minami-ku - proseguì come se lei non avesse parlato.

Maya lo fissò con gli occhi spalancati, chiuse la bocca di scatto e si rassegnò. Perché, signor Hayami? Ha già deciso tutto… qualunque cosa io dica non servirà a niente...

- Resterai là un mese e sarai accompagnata da un manager della Daito che si occuperà di tutte le necessità burocratiche - continuò Masumi alzandosi e raggiungendo la vetrata che dava sull’esterno. Non riusciva più a guardarla, vulnerabile e sconfitta, ma non avrebbe mai potuto dirle cosa nascondeva davvero quella decisione. Rinunciando a Maya Kitajima in “Madama Butterfly” aveva rotto un contratto e perduto migliaia di yen, ma Rei Aoki aveva ragione, Maya aveva bisogno di una pausa, lo poteva vedere chiaramente in quel momento dalla sua espressione distrutta.

- I corsi che sto seguendo? - mormorò lei immobile, lo sguardo fisso davanti a sé sulla sedia vuota.

- Sospesi - confermò lui senza voltarsi.

Un silenzio doloroso e carico di tensione riempì la stanza, costringendolo a girarsi per vedere se lei fosse ancora lì. Maya era proprio dietro di lui, non l’aveva sentita muoversi. Le lacrime scendevano lungo le guance, in un pianto muto.

- La prego, signor Hayami, non mi tolga la parte di Chōchō-san, non mi mandi via! - lo supplicò - Farò tutto ciò che vorrà, rispetterò il mio contratto, non firmerò più autografi senza permesso, non andrò in altri teatri! La prego, mi faccia recitare! -

Masumi dilatò le iridi sorpreso. Aveva creduto che si sarebbe ribellata, che lo avrebbe accusato di essere un cinico vendicatore, invece era lì, in piedi, davanti a lui e lo stava pregando, immaginando probabilmente che i capricci passati si stessero ritorcendo contro di lei e che lui fosse il suo boia.

- Vai a Minami-ku, è questo ciò che voglio - le ripeté con enorme sforzo, infilandosi le mani in tasca e costringendosi all’immobilità più assoluta. La tristezza che emanava dal suo volto lo aveva colpito in profondità, il suo tono di supplica lo aveva quasi fatto capitolare.

Maya fissò quegli occhi azzurri che replicavano la stessa intensità con cui aveva ribadito il suo ordine. Il dolore che la lacerava era acuto e bruciante. Era stata lei a portarlo a quella decisione. Lei aveva perduto la possibilità di interpretare Chōchō-san, lei aveva tirato la corda finché si era spezzata. Si asciugò le lacrime con un gesto secco del braccio e lo guardò di nuovo.

Masumi serrò i denti celando i sentimenti che lo dilaniavano mentre il pollice della mano sinistra, nascosta nella sua tasca, sfiorava la vera che gli cingeva il dito, ricordandogli penosamente la sua condizione e ciò che Shiori avrebbe potuto fare alla ragazza davanti a lui se avesse iniziato di nuovo a sospettare qualcosa.

- Sì, signor Hayami - acconsentì Maya con voce spezzata e dimessa. Si inchinò, ruotò su se stessa, raccolse cappotto e borsa e raggiunse la porta.

Masumi fece un passo avanti, combattuto fra il senso di colpa e ciò che provava per lei, tra i suoi doveri e le sue responsabilità, tra la paura di perderla e i rischi che avrebbe corso la sua carriera di attrice. Quello sguardo stupito e addolorato per aver perduto la parte, indicava il suo reale stato d’animo: il teatro era tutto per lei e non poter recitare l’avrebbe piegata in modo irreversibile, ma non era più quella sofferenza genuina che aveva scorto altre volte in passato quando anche la signora Tsukikage l’aveva punita. Una vacanza era la cosa migliore. Lontana da Tokyo. Lontana dallo stress. Lontana da lui.

- Ci saranno altri spettacoli - aggiunse cercando di rassicurarla, impedendosi di raggiungerla e trattenerla a sé. Maya si fermò con la mano sulla maniglia, si girò lentamente verso di lui e gli sorrise.

- Sì, signor Hayami - ripeté con la stessa voce spenta di qualche attimo prima.

Uscì, la porta si chiuse con un tonfo lieve e Masumi inspirò aria nei polmoni che agognavano ossigeno. I loro incontri avevano sempre lo stesso finale: lei se ne andava, arrabbiata o triste, e lui restava a guardare la porta chiusa.

Il cellulare trillò, riscuotendolo dai suoi pensieri. Si avvicinò alla scrivania, fissò il display su cui lampeggiava il nome di sua moglie e rispose.



Mizuki si alzò lentamente quando vide uscire Maya. Era terrea e sembrava aver perduto tutta la sua esuberanza. Avanzò di qualche passo, le spalle accasciate, il mento basso, le guance umide di lacrime. Signor Hayami…! Cos’ha combinato stavolta?

Rei scattò in piedi e le raggiunse appena la vide uscire. Dall’espressione di Maya era accaduto qualcosa che l’aveva profondamente sconvolta. Scambiò un’occhiata rapida con la segretaria e si affiancò a loro.

- Maya… - sussurrò gentilmente Mizuki avvicinandosi a lei. La giovane si girò e la fissò con sguardo vacuo.

- Mi ha tolto Madama Butterfly… mi ha punita… - mormorò con voce appena udibile.

La segretaria spalancò gli occhi. Non era mai accaduto che il signor Masumi le togliesse uno spettacolo, di solito le procurava ingaggi uno dietro l’altro! Inoltre quella rappresentazione aveva dei partner, non era solo Daito. Il contratto che legava gli investitori era molto rigido e prevedeva clausole severe in caso di inconvenienti o rescissioni.

- Oh, Maya, mi dispiace tanto! - la consolò affranta, prendendola per le spalle.

- Ha dato la parte ad un’altra attrice… - continuò Maya come un automa - Devo andare a Minami-ku per un mese per registrare delle pubblicità… - concluse con la voce che si perse in un singhiozzo strozzato.

Rei e Saeko si guardarono negli occhi con espressione sconcertata. Poi Rei realizzò all’improvviso cosa stesse accadendo quando si rese conto che Masumi Hayami stava spedendo Maya a Yokohama, nei luoghi dove aveva vissuto la sua giovinezza: Minami-ku era uno dei quartieri del porto.

Sorrise alla segretaria e le strizzò un occhio. Mizuki inarcò un sopracciglio, certa che Rei Aoki l’avrebbe messa a parte dei suoi pensieri in un momento migliore.

- Maya, non disperare! - la rincuorò battendole una mano sulla spalla - Sai com’è fatto il signor Hayami! Se dice che devi fare delle pubblicità anziché Madama Butterfly, ci sarà sicuramente un motivo! - aggiunse abbassandosi su un ginocchio e fissandola negli occhi.

Maya la guardò dubbiosa. Se fosse stato ancora il suo ammiratore probabilmente avrebbe dato ragione a Rei, ma adesso non sapeva davvero cosa pensare di quell’uomo. Tirò su col naso, annuì e si fregò via le lacrime.

Mizuki le accompagnò verso l’ascensore e, una volta dentro, Rei fissò lo sguardo sulla porta dell’ufficio del signor Hayami domandandosi se ciò che lui aveva fatto derivasse in parte dalle parole che si erano scambiati in auto.


   
 
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