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Autore: Cathy Earnshaw    13/04/2016    1 recensioni
La Terra dei Tuoni è un luogo popolato da creature magiche ed immortali, e una convivenza pacifica non è facile. L'equilibrio è fragile, la pace è labile e soggetta alle brame di potere. E quando i Draghi attaccano la capitale del Regno dei nani, questi reagiscono con violenza, ponendo i presupposti di una nuova guerra.
Nota: Tecnicamente "La guerra dei Draghi" è il prequel di "La Cascata del Potere", anche se la scrivo ora, a "Cascata" conclusa. Le trame non hanno grossi punti in comune, perciò l'ordine di lettura non deve essere necessariamente quello temporale.
Buona lettura!
Cat
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Di guerre e cascate - La Terra dei Tuoni'
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Capitolo 7
Omissioni
 
 
Era notte fonda quando Horlon, Nastomer e Storr raggiunsero il Palazzo del Governatore. Gli incendi erano stati domati, ma era evidente che per risollevare la città non sarebbe stato sufficiente un po’ d’acqua.
L’elfo era sfinito. Il fumo gli aveva arrossato gli occhi, la schiena gli faceva male e puzzava di bruciato in modo terribile. Ma una nota positiva in tutto quel disastro c’era: Tom si era messo a lavorare sul serio, e i risultati erano promettenti. Forse, se lui fosse riuscito ad affinare ancora un pochino i suoi incantesimi, la situazione sarebbe davvero cambiata. Se solo ci fosse stato Kirik a vederlo all’opera!
Nel salone principale del Palazzo, i camini erano accesi. L’elfo, lo stregone e il mago fecero il loro ingresso in silenzio, ma in pochi secondi tutti i presenti furono loro intorno. Rowena si lanciò tra le braccia del Re e lo strinse.
«Nana, sono coperto di schifo» la rimproverò con dolcezza.
In realtà amava la sua irruenza e la sua mancanza di decoro, e il suo calore avrebbe guarito qualunque ferita, cancellato qualunque pensiero, Horlon lo sapeva.
«Sai che importa! Se non ci fosse stato quel rompiscatole di Frunn a farmi sentire in colpa sarei venuta a darvi una mano là fuori!»
«Questo è uno dei motivi per cui quel rompiscatole di Frunn si trovava qui» rispose il Re lanciando un’occhiata riconoscente al suo segretario, che ricambiò con un cenno formale del capo e rovinò istantaneamente la sua aura professionale arrossendo fino alla punta delle orecchie.
«Dov’è tua madre?» aggiunse.
«È andata a letto. Ha detto che era stanca, ma io credo che volesse evitare te.»
Horlon trattenne un sospiro e si sforzò di sorridere.
«Probabilmente hai ragione» disse.
Erano passati solo pochi giorni dal loro ultimo diverbio, e Ailyn era capace di covare rancore per anni, ciononostante aveva ardentemente sperato di vederla, soprattutto dopo essere stato in ansia anche per lei tutto il pomeriggio e buona parte della notte.
«Horlon.»
Horlon si volse verso Glenndois e si rabbuiò. Suo fratello aveva l’aria allarmata e il Re si sentì chiudere lo stomaco.
«Glenn…?»
«Vieni con me un momento.»
Riluttante, abbandonò Rowena e seguì suo fratello nella stanza attigua.
Glenndois chiuse la porta e ravvivò il fuoco nel camino con gesti lenti e misurati che non fecero che aumentare l’inquietudine del Re. Horlon gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla. Nonostante il Governatore non amasse molto il contatto fisico non si sottrasse al suo tocco. Altro brutto segnale.
«Che succede?» domandò Horlon.
«Lantor è scomparso. C’era un messaggio ad aspettarmi al mio rientro a Palazzo.»
Horlon sentì le gambe cedere. Non era stata una giornata abbastanza pesante?
«Come? Quando?» domandò passandosi una mano sul viso.
«Ha coordinato le operazioni di sgombero della macerie a Shiren, questa mattina. Poi ha dichiarato che sarebbe rientrato a Lenada e si è rimesso in viaggio in compagnia di due compagni nel primo pomeriggio. Nessuno di loro è rientrato.»
«Maledizione» mormorò Horlon. «Non avrei dovuto lasciarlo tornare a Lenada!»
«Dai per scontato che abbia defezionato?» domandò Glenndois.
«Vedi alternative?»
«Potrebbe essere caduto in un’imboscata, potrebbe aver incontrato contrattempi sulla strada, o potrebbe essere stato costretto a deviare il percorso…»
«Non ci credi nemmeno tu» disse con un sospiro.
«Non avresti potuto arrestarlo! Che motivazione avresti addotto?»
«Sono il Re, non devo addurre alcuna motivazione.»
Glenndois fece un sorrisino.
«Non sei quel tipo di Re.»
Horlon sospirò.
«Che cosa facciamo, Glenn?»
Il Governatore si chinò e aggiunse un ceppo nel camino.
«Ti sembrerà infantile, ma vorrei trovarlo. Sano e salvo, possibilmente» mormorò.
«È naturale, non infantile. Lantor è nostro cugino» rifletté un momento. «Chi è a conoscenza della sua scomparsa?»
Glenndois contò sulle dita.
«Noi due, Oliandro che ci ha scritto da Cyanor appena giunto il messaggio, il Tenente Eskin che ha preso il comando della divisione cavalleria al posto di Lantor, e gli uomini del plotone di Lenada. Questo, per lo meno, è quanto so, ma non escludo che la notizia si stia diffondendo…»
«Il Tenente Eskin mi sta antipatico. Senti, io farei così: io, Storr, Tom e Frunn torneremo immediatamente a Cyanor; tu resta a coordinare le attività di recupero della città, almeno domani. Se sei d’accordo, invierei Oliandro a Lenada per indagare sull’accaduto, magari insieme ad una delegazione di maghi.»
«Non puoi chiedere a Storr una delegazione di maghi senza offendere i nani» osservò Glenndois.
Horlon sbuffò.
«Alleati così è meglio perderli che trovarli.»
«Anche se fosse vero, non saremmo in grado di combattere anche loro, insieme ai draghi. E francamente non credo che tu sia serio.»
Horlon inspirò ed espirò lentamente. Non poteva permettere al panico di prendere il sopravvento.
«Io ipotizzerei una delegazione elfi-maghi-nani. Uno per popolo, massimo due» aggiunse Glenndois.
«Sta bene.»
«Potresti mandare Frunn insieme a Dodo.»
Horlon sentì lo stomaco farsi ancora più pesante.
«No.»
«Perché no? Sarebbe di grande utilità! È attento, preciso, ha un’ottima memoria, senza contare che lui e mio figlio sono amici.»
Horlon scosse il capo.
«Frunn mi serve a Cyanor» disse.
Glenndois sbuffò.
«Smettila di dipendere da lui… Frunn è il segretario e tu il Re, non il contrario.»
«Dipendo da lui proprio perché è il mio segretario» sbottò senza riuscire a mitigare l’irritazione.
«Con il tuo vecchio segretario non vivevi in simbiosi.»
Horlon si irrigidì ancora di più.
«Di cosa lo sta accusando, precisamente?!»
«Sto accusando te, non lui!» esclamò Glenndois, allargando le braccia. «Dei misericordiosi, sei insopportabile! Ti pare che ti direi di mandarlo con mio figlio se lo sospettassi di qualcosa?! Fatti una dormita, Lon, ne hai veramente bisogno!»
Glenndois lo lasciò davanti al camino acceso e si diresse alla porta.
«Scusa» mormorò Horlon chinando il capo. «Detesto risponderti male.»
Il Governatore esitò, con la mano sulla maniglia.
«Lo so. Ascolterai il mio consiglio?»
Horlon ci rifletté un momento, infine disse:
«Gliene parlerò.»
Glenndois scosse il capo.
«Presto si troverà la corona in testa senza sapere perché» mormorò prima di chiudersi la porta alle spalle.
 
Nastomer assecondò la volontà di Horlon e rientrò a Cyanor, anche se avrebbe desiderato fermarsi ad aiutare il Governatore Glenndois a Spleen ancora un po’. E non solo per beneficiare della presenza di Rowena, che riusciva ad essere meravigliosa anche quando si crucciava e mostrava tutta la sua delusione per la repentina partenza di suo zio. La città era in ginocchio e i maghi stremati, mentre Nastomer recuperava le forze velocemente e avrebbe potuto essere utile.
Indubbiamente era accaduto qualcosa che aveva turbato il Re e suo fratello, qualcosa di cui al momento nemmeno Storr e l’onnipresente Frunn sembravano a conoscenza.
Horlon aveva preso freddamente congedo da Glenndois ed era rientrato a Cyanor con loro, per poi ritirarsi nelle sue stanze private, ammettendo alla sua presenza soltanto la persona del suo segretario.
Nastomer invece si era fatto un bagno ed era uscito a farsi una passeggiata. Era l’alba, ormai, e l’aria pungente gli ricordava quella di casa sua.
«Buongiorno!»
Lo stregone si volse e si trovò davanti Selene, la ragazza con i capelli d’argento.
«Ciao! Cosa fai fuori a quest’ora? Ti prenderai un raffreddore» le disse, colto alla sprovvista.
La ragazza si strinse nelle spalle.
«Mio zio è tornato, così ho pensato che foste tornato anche voi…»
«Volevi vedere me?» domandò sospettoso.
«Volevo vedere se siete ancora tutto intero e se state bene.»
«Per essere intero, sono intero, ma starei meglio se non mi trattassi in modo tanto formale… mi fai sentire vecchio» disse imbarazzato.
Selene rise e annuì.
«Va bene, va bene! Tu invece? Perché cerchi di prendere il raffreddore?»
«Mi annoiavo. E negli ultimi mesi ho camminato così tanto che l’idea di restare nello stesso posto per più di tre giorni mi suona strana» esitò. «Tu sei una maga, per caso?»
«Perché me lo chiedi?» domandò la ragazza fissando lo sguardo su di lui.
Aveva due occhi obliqui di un azzurro chiaro che metteva i brividi.
«Perché a volte ho l’impressione che l’aria ti vibri intorno… non so bene come spiegarmi, non sono ancora molto credibile come stregone, mi sa!»
Selene scoppiò a ridere.
«Sono una maga legata all’Aria! È per questo forse?»
Nastomer sorrise, a metà tra l’imbarazzato e il compiaciuto. Poi si ricordò del loro precedente incontro e l’allegria si spense.
«Senti, so che non sono affari miei, ma… Erina si è arrabbiata con Storr per colpa mia, vero? Ieri?»
La ragazza si rabbuiò.
«Diciamo che non è stato molto contenta. Ultimamente è un po’ in ansia per tutto, credo sia dovuto alla gravidanza.»
Nastomer sgranò gli occhi.
«Erina è incinta?!» esclamò.
Selene si coprì la bocca con le mani.
«Giurami che non lo dirai a nessuno! Mi ucciderà!»
«È incinta?!» ripeté in un sussurro.
Selene annuì.
«Credo volesse dirvelo al pranzo di ieri, ma è successo quello che è successo.»
Nastomer rimase imbambolato a fissare il nulla, combattuto tra lo stupore e la gioia.
«Mi prometti che non ne parlerai con nessuno?» domandò la ragazza.
«Sì, certo» disse.
gli inquietanti occhi azzurri si illuminarono e Selene sorrise.
«Quindi… tu diventerai? Ho qualche problema con le parentele.»
«Cugina» rispose lei. «Erina è la sorella di mio padre.»
«Ah. E vive qui anche lui?»
«No, lui è ad Effort. La mia famiglia viene da lì. Quando Erina ha sposato Storr mi ha presa con sé come dama di compagnia, così posso imparare le usanze di corte.»
Nastomer avrebbe voluto dirle che forse approcciare dei quasi perfetti sconosciuti, in un giardino defilato, all’alba, non rientrava proprio nell’etichetta, ma si trattenne.
Parlare con una ragazza non gli era mai sembrato tanto facile, e non aveva intenzione di mortificarla. Dopotutto, Selene era stata così carina con lui che si meritava un po’ di compagnia.
 
Horlon consumava il pavimento camminando avanti e indietro già da un po’, e Frunn lo fissava in silenzio.
Lantor scomparso. Quale follia aveva sconvolto la sua mente? Bisognava trovarlo prima che gli accadesse qualcosa. Dodo avrebbe svolto bene l’incarico e di certo Storr gli avrebbe messo a disposizione un mago affidabile. Kirik naturalmente avrebbe fatto altrettanto, ma solo dopo essersi lamentato a sufficienza dell’inaffidabilità degli elfi. Mandare Frunn… era davvero indispensabile? Per qualche ragione, l’idea di separarsi da lui, anche se solo per qualche giorno, lo mandava in panico. Forse Glenn aveva ragione, stava facendo troppo affidamento su quel povero ragazzo.
Lo guardò e Frunn ricambiò il suo sguardo. Avrebbe voluto avere anche solo un terzo della sua pazienza.
«Devo chiederti un grosso favore, ragazzo.»
Il suo interlocutore si sistemò gli occhiali e attese. Horlon deglutì.
«Il Capitano Lantor è scomparso durante il tragitto da Shiren a Lenada, con due cavalieri. Mio nipote andrà là insieme ad un mago e – spero – ad un nano per capire che fine abbiano fatto. Glenn vorrebbe che tu andassi con Oliandro, per aiutarlo e appuntare tutto ciò che riterrai utile.»
Frunn non batté ciglio.
«Ci andrai?» incalzò Horlon, sentendosi sempre più inquieto.
«È una richiesta oppure un ordine?» ribatté il segretario.
Horlon deglutì di nuovo. Aveva la gola completamente asciutta.
«Glenn vorrebbe…»
«Il Governatore Glenndois non è il mio Re» lo interruppe Frunn. «Mi interessa sapere che cosa vorrebbe Re Horlon, non suo fratello.»
Il Re si sentì scaldare le guance. Stava facendo la figura dell’idiota, persino i suoi sottoposti si prendevano la libertà di ribattergli.
«Ciò che vorrebbe Horlon spesso non può coincidere con le decisioni che il Re è costretto a prendere, quindi la tua è una contraddizione in termini» rispose, piccato. «Questa situazione rientra tra quei casi. Ad ogni modo, la tua presenza sarebbe di grande aiuto a Dodo, di questo sono certo. Inoltre, visto che lo chiedi, questa è una richiesta, come sempre. Magari non l’avrai notato, ma è molto raro che ti dia degli ordini o che ti imponga unilateralmente la mia volontà, Frunn.»
Frunn abbassò lo sguardo sui propri piedi e non provò nemmeno a mascherare la mortificazione.
«L’avevo notato, invece» disse a denti stretti. «Ci andrò, ma non lo farò perché è il Governatore a volerlo. Quando si partirà?»
Horlon prese un respiro profondo.
«Questo dipenderà dal Consiglio Ristretto, ma comunque il prima possibile.»
Horlon osservò Frunn lasciare la stanza con le spalle basse. Aveva la sensazione di avergli appena fatto un torto, anche se non sapeva spiegarsi bene in che cosa consistesse. E si sentiva un po’ ingiustificatamente deluso da sé stesso. Dopotutto, era la cosa giusta da fare.
Fuori il sole era sorto. Gli restava giusto il tempo di farsi un bagno prima di gettarsi in pasto al Consiglio.
 
Seduto nella luminosa sala riunioni del Consiglio Ristretto, Nastomer ascoltava incredulo le parole di Horlon.
Un Capitano scomparso nel nulla, e non un Capitano qualunque ma un parente del Re, non era cosa da poco, era facile anche per lui capirlo. E se Oliandro fosse andato a Lenada con Frunn, e Glenndois fosse rimasto a Spleen per qualche giorno, il Consiglio si sarebbe ridotto ulteriormente.
«Mark è a tua disposizione» disse Storr. «Avrai bisogno di qualche mago che li trasporti là?»
Horlon scosse il capo.
«Andranno a cavallo, così potranno guardarsi intorno lungo il tragitto. Ma grazie» rispose l’elfo.
«Io metto a tua disposizione Impialla» disse Kirik indicando il nano alla sua sinistra.
Impialla annuì.
«Vi ringrazio. Il mio segretario andrà con loro per prendere nota di tutto.»
Nastomer provò l’irrazionale impulso di candidarsi a sua volta come accompagnatore, ma si trattenne. Con tutta quella gente importante che se ne andava, qualcuno avrebbe pur dovuto rimanere a Cyanor.
Horlon si passò le mani sul viso. Aveva l’aria molto stanca.
«Mi dispiace davvero per questo inconveniente. Potrebbe trattarsi di una semplice defezione, o di un malinteso, ma… mio fratello ed io abbiamo bisogno di sapere che Lantor sta bene.»
«Il Capitano Lantor è un vostro parente» intervenne Kirik in tono stranamente conciliante. «È giusto e doveroso il vostro desiderio di ritrovarlo.»
Nastomer sgranò gli occhi sull’Imperatore, travolto dalla sorpresa. Possibile che anche lui avesse un cuore, da qualche parte? Horlon non si scompose e gli sorrise, poi si volse a Frunn.
«Hai parlato con Oliandro?»
«Vostro nipote è pronto a partire in qualunque momento, Sire.»
Storr si alzò in piedi.
«In questo caso, penserò io ad avvisare Mark. Richard, fai preparare le loro cavalcature, per favore. Se non ci sono altre questioni, aggiornerei il Consiglio.»
I Consiglieri lasciarono la sala e Nastomer si trovò solo nel giro di pochi secondi. Prese un respiro profondo. Dopo tutto quello che aveva fatto quella notte, accusava solo una lieve stanchezza, il ché non era proprio ordinario, ma da quando aveva iniziato a prenderci la mano sui suoi nuovi poteri, anche il senso di estraneità si era attenuato. Piano piano stava metabolizzando i cambiamenti, e anche quelle energie supplementari iniziavano a sembrargli naturali. Forse, tutto sommato, un po’ di consapevolezza la stava acquisendo.
 
Horlon aveva cercato Oliandro per tutto il palazzo prima di scoprire che l’ultima volta era stato avvistato nella stanza di Frunn.
Il Re non era mai stato nella stanza del suo segretario e l’idea di poter curiosare lo allettava e lo faceva sentire in colpa al tempo stesso. Il problema era che Frunn sapeva essere dannatamente criptico quando si trattava di parlare di sé, e per contro sembrava sapere sempre cosa passasse per la testa di Horlon. Non era corretto.
Inoltre, poteva essere l’occasione perfetta per parlare con entrambi prima che partissero. Durante la seduta del Consiglio, il Re aveva preso una decisione unilaterale che nessuno dei due avrebbe approvato, quindi tanto valeva farli infuriare quando non avrebbero dovuto vederlo per qualche giorno. Avrebbero avuto il tempo di sbollire. Se il Reame Eterno poteva avvalersi di una rete di spie addestrate, perché non farlo? Solo perché a capo dell’organizzazione vi era una persona cara sia al suo segretario, sia a suo nipote?
Quando giunse davanti alla porta, la trovò accostata. Dall’interno giungeva la risata sommessa di Oliandro e i borbottii infastiditi di Frunn.
«Bell’amico» diceva quest’ultimo.
«Lascia che rida ancora un po’.»
«Non ti senti in colpa a ridere dei dispiaceri dei tuoi amici?»
«Quello che fa la voce grossa per poi farsi prendere dai rimorsi di coscienza sei tu, non io!»
Horlon bussò, vergognandosi di aver involontariamente origliato.
«Avanti» rispose la voce di Frunn.
Il Re fece capolino.
«Posso entrare solo un attimo?»
Frunn arrossì e si affrettò a infilare in valigia un paio di calzini, mentre Oliandro ricominciava a ridere.
«È successo qualcosa, Sire?» domandò il segretario chiudendo con un po’ troppa foga le fibbie del proprio bagaglio.
«Devo dirvi una cosa che vi farà arrabbiare. Molto.»
Frunn alzò gli occhi su di lui e, dopo averlo osservato per qualche secondo, sospirò sonoramente. Oliandro lo guardò senza capire.
«Sospiri per partito preso?» domandò.
«No, ma immagino di cosa si tratti.»
Oliandro si rabbuiò.
«Si tratta di Meowin?» domandò, volgendosi al Re.
Horlon annuì.
«Le ho mandato un messaggio, poco fa. So che si trova a Pall, quindi dovrebbe potervi precedere a Lenada.»
«Perché l’hai coinvolta?» mormorò Oliandro.
«Perché è il suo lavoro, Dodo. Il lavoro che lei si è scelta.»
Oliandro strinse spasmodicamente i pugni.
«Ti aspetto fuori» disse a Frunn prima di uscire.
Horlon sospirò.
«Perché gliel’avete detto? Sapevate che avrebbe reagito così» disse Frunn con aria di rimprovero.
«Non ho l’abitudine di mentire ai miei collaboratori più stretti, e tantomeno alla mia famiglia.»
«Non si trattava di mentire, ma di omettere» precisò Frunn.
Horlon gli si avvicinò, punto sul vivo.
«Tu ometti spesso?»
«Talvolta» rispose Frunn. «Quando non posso fare altrimenti.»
«Non mi piace l’idea che tu ometta. Io non ti ometto mai.»
Frunn esitò.
«Talvolta è necessario» ribatté. «Meowin ha risposto?»
«Non ancora. Non so nemmeno se deciderà di farsi viva, ma dovevate saperlo, dovevate sapere che in caso di necessità lei sarà in zona.»
Frunn prese un respiro profondo e abbassò lo sguardo. Horlon detestava vedergli quell’espressione sconfitta sul volto.
«Frunn…?»
«So che Mei è abile nel suo lavoro, e che sa quello che fa, ma è mia sorella, anche se solo per metà, e non posso fare a meno di preoccuparmi per lei. Il suo è un lavoro solitario e pericoloso… se non amasse così tanto ciò che fa, mi opporrei con più fermezza, dato che mio padre non ha il buon senso di farlo per primo, ma a che diritto posso rovinarle la vita? A che titolo?»
Horlon gli posò le mani sulle spalle e Frunn sobbalzò.
«Magari tuo padre non sarà un genitore molto coscienzioso, ma deve avere qualcosa di straordinario per aver messo al mondo due persone come te e Mei.»
Frunn arrossì e Horlon si sentì un po’ in colpa.
«Vado a vedere se Mark e Impialla sono pronti. Non ho intenzione di scusarmi con Dodo, spero che tu possa capire.»
«Lo capisco.»
Horlon sorrise e si avviò alla porta.
«E comunque non è colpa mia se si è innamorato di una spia. Buona fortuna, ragazzo» disse uscendo.
Si era già chiuso la porta alle spalle quando si rese conto di non aver sbirciato nemmeno un pochino la stanza di Frunn. Un’occasione persa.
   
 
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