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Autore: Emmastory    15/04/2016    2 recensioni
La bianca lupa Runa, ora protetta dal suo branco e da un amore che non cesserà mai di esistere, continua il suo viaggio alla ricerca delle sue radici. Ne è completamente all'oscuro, ma gli umani, odiati dal suo intero branco, potranno un giorno rivelarsi la chiave del mistero che tenta di risolvere. Lei ha fiducia in loro, e muovendosi controcorrente, ignora i pregiudizi che circondano tali creature. (Seguito di Luna d'argento: Primordio notturno)
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Luna d'argento'
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Capitolo IV

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Attorno a me c’era il silenzio, e la luce del sole stava lentamente scemando. Immobile nel cielo, splendeva flebilmente, segno che avrebbe presto ceduto il suo posto alla luna. Il caldo pomeriggio aveva ad ogni modo minato la mia condizione fisica, e ben sapendo di essere stanca, lasciai che la lingua mi scivolasse fuori dalla bocca, sperando di riuscire in tal modo a raffreddare il mio corpo e abbassarne la temperatura. Debilitata dalla canicola, mi muovevo lentamente, e la sfortuna sembrava seguirmi come una pallida e alle volte spaventosa ombra. Non avrei certo fatto del male a nessuno, e tentando in ogni modo di non attirare l’attenzione, mi aggiravo conservando una seppur apparente tranquillità. In quel preciso istante, ogni fibra del mio corpo era tesa come una corda di violino, e avevo così paura da continuare a pensare ad una sola cosa. La fuga. Unica speranza alla quale avrei potuto aggrapparmi in caso di sorte avversa, e dalla quale non mi sarei discostata per alcuna ragione a questo vasto mondo. I minuti passavano, e camminando, mi guardavo attorno. Ero nuovamente tornata al villaggio degli umani, e posando il mio sguardo su ciò che mi circondava, scoprivo molte novità. Per la prima volta in un così lungo lasso di tempo, notai le loro abitazioni, consistenti in piccole capanne fatte di paglia, e per pura fortuna, ebbi anche modo conoscere alcuni dei loro costumi, che sinceramente scoprii simili a quelli di noi lupi. Difatti, proprio come in un branco, i più piccoli venivano protetti e messi al sicuro, mentre l’onore era costantemente preservato. Sfortuna volle che in alcuni casi, le offese considerate gravi venissero lavate con il sangue e l’odio, passo che mi ero in una sola occasione ritrovata costretta a compiere per salvare la mia grande famiglia. Ad ogni modo, quella sorta di viaggio continuava senza sosta, e improvvisamente, un debole latrato. Mia nonna Athena mi aveva raggiunta, e seguendomi come una cucciola, si assicurava di non staccare mai lo sguardo da me. Mi conosceva sin dal giorno della mia nascita, e mi voleva bene, ragion per cui il suo comportamento non parve toccarmi minimamente. Voltandomi verso di lei, le regalai un sorriso, e lei non tardò a ricambiare. Di punto in bianco, un nuovo cambiamento. Il cielo divenne nero come la notte, e delle grigie e minacciose nuvole fecero la loro infausta comparsa, rivelandosi pronte a scaricare fredda e malaugurante pioggia. Guardando in alto, capii che un temporale era in arrivo, e guardandomi attorno, andai subito alla ricerca di un riparo. Fallendo nel mio misero intento, rimasi ferma e immobile come una marmorea statua. In quel mentre, la paura si era impossessata del mio giovane animo, e continuando a scrutare ciò che mi circondava, cercavo una nuova tana. Un luogo dove io e mia nonna avremmo potuto ripararci, anche solo fino alla fine del cattivo tempo. Ero spaventata, e i miei tremori erano paragonabili a quelli di una morente foglia sferzata dal gelido vento invernale, incurante dei danni che provoca soffiando con pericolosa insistenza. Scuotendo il capo, tornai alla realtà, e proprio in quel momento, accadde il peggio. Una famiglia umana sembrava trovarsi nella mia stesa situazione, e la loro casa aveva preso fuoco. La loro povera figlia piangeva per lo spavento e il dolore a una gamba, la cui pelle appariva rovinata da una ferita. Del sangue sgorgava, e a quella vista, chiusi gli occhi. Per qualche arcana ragione, e nonostante fossi una bestia incline alla violenza, la odiavo. Non riuscivo a motivare tale realtà, eppure non sopportavo di vedere sangue e dolore affliggere i più deboli. Istintivamente, corsi loro incontro abbaiando, e afferrando con i denti una manica del vestito di quella bambina, la portai con me al sicuro. I genitori sembravano adirati, ma non ebbi tempo né modo di capirlo. La pioggia continuava a cadere, e presto il temporale sarebbe divenuto una vera e propria tempesta. Il mio istinto mi parlava, e avevo ormai capito che se gli umani che avevo soccorso non avessero trovato un riparo, la loro stessa sorte non si sarebbe rivelata d’aiuto. Le stelle non avrebbero sorriso, e in altre parole, non ce l’avrebbero fatta. Allarmata, spostai il mio sguardo su mia nonna, che annuendo lentamente, si limitò a correre e farsi strada verso la spelonca in cui ci eravamo previamente rifugiate. Non appena arrivammo, gli umani provarono a sdraiarsi in terra, ma con un semplice movimento del muso unito ad un debole uggiolio, indicai e cedetti loro il mio posto, una sorta di cuscino fatto con erba, foglie e rami d’albero. Per loro non sarebbe certo stato il massimo della comodità, ma ad ogni modo non si lamentarono, ed io non potei fare a meno di avvicinarmi alla bambina. Aveva smesso di piangere, ma alla vista dei suoi occhi rossi e gonfi, ai quali si aggiungeva un viso mesto e corrotto dal pianto, scelsi di leccarle una mano, così da far spuntare un sorriso sul suo volto. Il mio espediente parve funzionare, e lasciandomi accarezzare, mi sdraiai al suo fianco, fungendo per lei da morbida coperta. Era strano e a dir poco incredibile, ma in quella cucciola d’uomo, rivedevo l’infanzia di mia figlia Cora, una lupa sensibile e solare al tempo stesso. Il mio istinto materno aveva fatto la sua comparsa, e stando ai comportamenti che avevo avuto modo di osservare, il selvaggio mondo dei lupi e quello degli umani, apparivano ai miei occhi incredibilmente simili.  
   
 
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