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Autore: Emmastory    17/04/2016    2 recensioni
La bianca lupa Runa, ora protetta dal suo branco e da un amore che non cesserà mai di esistere, continua il suo viaggio alla ricerca delle sue radici. Ne è completamente all'oscuro, ma gli umani, odiati dal suo intero branco, potranno un giorno rivelarsi la chiave del mistero che tenta di risolvere. Lei ha fiducia in loro, e muovendosi controcorrente, ignora i pregiudizi che circondano tali creature. (Seguito di Luna d'argento: Primordio notturno)
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Luna d'argento'
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Luna-d-argento-II-mod
 
Capitolo V

Occhi profondi

Rannicchiata in un angolo della grotta che ci faceva da rifugio, dormivamo. Contrariamente a mia nonna e alla bimba che avevo salvato dalle intemperie, io mi agitavo. Sognavo per l’ennesima volta di correre e salvarmi dal pericolo. Aprendo gli occhi, riuscii a svegliarmi, e alzandomi in piedi, mi allontanai lentamente, muovendomi con passo felpato e furtivo al solo scopo di non disturbare il sonno di quel piccolo angelo. Il viso tondo e paffuto, i capelli neri come l’ebano, e gli occhi chiusi e ora privi d’espressione. Risvegliandosi, si stiracchiò con estrema lentezza, e sbadigliando, provò ad alzarsi da terra. Quasi istintivamente, la guardai senza proferire parola. Il suo vestito appariva leggermente rovinato, e con lo scorrere dei minuti, lei non faceva che avvicinarsi. I suoi genitori erano ancora placidamente addormentati, e avvicinandomi, mi accertai della loro condizione fisica. Per fortuna non erano feriti, solo stanchi e affamati. Rimasi ferma a guardarli per alcuni sporadici secondo, allo scadere dei quali, i due umani si svegliarono. Subito dopo, posarono i loro sguardi colmi di stupore su di me, e guardando negli occhi la loro bambina, parvero non capire cosa stesse accadendo. In quel momento, avrei davvero voluto parlare, dire loro che non ero pericolosa e che non avrei fatto del male alla loro amata figlia, ma non potevo. Dovevo accettarlo. Per loro non ero che un lupo, una bestia selvaggia priva di ragione e intelletto, incline all’ira e alla violenza. In altri termini, sembravano temermi. I loro sguardi saettavano nella grotta, e l’oggetto della loro attenzione cambiava di frequente. Avevano due unici interessi, me e la bambina. Fu quindi questione di un singolo attimo, e uno dei due umani decise di agire. Avvicinandosi lentamente, l’uomo provò a toccarmi, e rimanendo immobile lo lasciai fare. Sapevo bene di non potermi avvalere del dono della parola, così mi concessi del tempo per riflettere, scegliendo di affidarmi alle mie stesse azioni. Mi sforzavo quindi di mantenere un atteggiamento calmo e rilassato, e nell’esatto momento in cui credetti di fallire nel mio intento, qualcosa accadde. La donna accantonò i suoi dubbi nei miei riguardi, e alzandosi in piedi, mi indicò con un gesto della mano un punto preciso della caverna, dove lei stessa aveva lasciato della carne di cervo. Seppur titubante, mi avvicinai, e una volta consumato quel pasto, li guardai intensamente. Mi stavano nutrendo, ma nonostante la nobiltà dei loro gesti nei miei confronti, sapevo di dover tenere alta la guardia. Fissandoli, non mi accorsi che la mia postura aveva subito un cambiamento. La paura si era impossessata di me, e il mio linguaggio corporeo continuava a mutare. In quel preciso istante, tenevo le orecchie basse, il capo chino e la coda fra le zampe. Muovendo qualche incerto passo verso di me, la bambina tentò di risollevarmi il morale, e chiedendo ai genitori di lasciarle spazio, mi accarezzò la testa. Colta alla sprovvista dal suo tocco, indietreggiai, ma raccogliendo le mie forze e il mio coraggio, scelsi di leccarle la mano. Per qualche strana ragione, le volevo bene, e proprio come i suoi genitori, non avrei lasciato che nessuno le facesse del male. Posando il mio sguardo su di lei, ruppi il silenzio mugolando debolmente, e notando la luce del sole penetrare nella spelonca, decisi di uscirne. Mia nonna mi seguì senza parlare né porre domande, e una volta fuori, non feci altro che annusare l’aria. Correndo, lasciavo che il mio naso si riempisse di odori nuovi e mai sentiti prima, e chiudendo gli occhi, assaporai nuovamente la libertà. Mi addentrai quindi nel villaggio assicurandomi di non disturbarne la quiete, e durante il mio cammino, notai una sorta di ombra in lontananza. Un insolito rumore di passi appariva sempre più vicino, e voltandomi, la rividi. Era lei. La bimba che avevo salvato durante il temporale mi aveva seguita, e data la sua giovane età, voleva giocare. Tornando a guardarla, le regalai un sorriso, e ricominciando a correre, lasciai che mi inseguisse. Durante la corsa, ebbi la gioia e la fortuna di sentirla ridere, ma la sua risata si spense appena un attimo dopo, soppiantata dalla voce dei genitori. Preoccupati, si aggiravano nel villaggio, e impegnandosi nella sua ricerca, chiamavano il suo nome. Saskia. Un nome che non avevo mai sentito, ma che mi piaceva come pochi. Voltandosi di scatto verso i genitori, si avvicinò a loro, e prendendo per mano il padre, si allontanò assieme a lui. Poco prima di andarsene, si voltò verso di me, e sollevando una mano, mi salutò amichevolmente. Mia nonna mi aveva ormai raggiunta, e rimanendo al mio fianco, pronunciò una frase in grado di seminare orgoglio e tristezza nel mio giovane cuore. “Se ami qualcuno, lascialo libero.” Mi disse, guardandomi negli occhi e invitandomi a seguirla. A quelle parole, non risposi, e camminando al suo fianco, mi avviai in direzione della foresta. Anche stavolta, tenevo lo sguardo basso e il capo chino. Ero combattuta. Sarei presto tornata a casa a bearmi della compagnia e dell’affetto che il mio branco avrebbe riversato su di me, ma non avrei quasi sicuramente mai più rivisto la piccola Saskia e i suoi occhi profondi.
   
 
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