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Autore: uadjet    20/04/2016    2 recensioni
Dal settimo capitolo:
"Riaprii gli occhi solo per trovarmi di fronte a mia sorella, senza averla nemmeno sfiorata. E lei pareva essere tornata in sé.
“Stai bene?” le chiesi preoccupato.
Lei annuì con la testa, spiegandomi che ora dovevamo chiedere allo spirito di andare dove era venuto. Ci sedemmo nuovamente, pronti per concludere quell’esperienza, e facemmo la nostra ultima domanda.
“Kokkuri-san, Kokkuri-san, puoi tornare da dove sei venuta?”
La moneta non si muoveva. Era un buon segno? Reiko non sembrava convinta.
“Dovrebbe rispondere sì, e poi spostare la moneta sul torij” replicò confusa, quando la moneta si mosse.
La risposta non era quella che aspettavamo.
NO."
Genere: Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Così mi prenderò un bel raffreddore.

Sebbene avesse appena cominciato a piovere, aveva deciso di uscire. La scusa era quella di buttare la spazzatura: in realtà non vedeva l’ora di sentire le prime gocce di pioggia sul suo viso dopo il difficile periodo di secca durato quasi un mese.

Il caldo afoso non stava risparmiando nessuno, e quel ticchettio sul selciato e sulle finestre del condominio erano come una manna dal cielo.

Prese così in una mano i due sacchetti dei rifiuti tenendo libera l’altra per poter chiudere la porta; scendendo i gradini si scontrò più volte con il suo viso riflesso ai vetri delle finestre. Capelli neri lisci, occhi chiari (verde acqua precisamente), pelle bianca spruzzata di lentiggini, grande sorriso sul viso: le era mancata la pioggia.

Perchè, oltre a non sopportare granchè la caluria estiva, ciò di cui sentiva di più la mancanza era il profumo della pioggia. Simile all’odore di umidità, ma comunque diverso e particolare.

Unico.

Con questo spirito di attesa febbrile, scendendo velocemente per le scale, si apprestò ad uscire dall’edificio squadrato che conteneva la sua casa.

Era da poco che era tornata a Matsuyama, sua città natale: la voglia di emergere durante l’adolescenza l’aveva ben presto sopraffatta, spingendola a portare avanti la sua carriera universitaria e lavorativa a Tokyo, la metropoli per eccellenza (era molto patriottica, del resto). Erano stati proprio gli affari a riportarla indietro nella città che l’aveva vista nascere e crescere: non ne era stata molto felice, comunque.

Aveva avuto un’infanzia difficile: veniva da una famiglia molto tradizionalista, in cui era già stato deciso il su futuro come possibile moglie di un uomo benestante del posto.

Ma lei era diversa: ribelle, intelligente, indipendente. Non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa dai suoi genitori. Questi motivi l’avevano obbligata, una volta diventata maggiorenne e dopo aver preso il diploma, a trasferirsi senza nemmeno un soldo in tasca nella capitale; all’inizio era stata dura, molto dura.

Ma si era rialzata, lentamente.

Ogni qualvolta fosse stata depressa pensava ai sacrifici che aveva fatto per essere nella sua attuale posizione, e questi le facevano passare immediatamente il malumore, rincuorandola e facendo riemergere la stima in sé stessa.

L’unico personaggio che fosse stato veramente importante nella sua vita era stato quello della nonna materna: avevano avuto un buonissimo rapporto durante la sua infanzia, che però con il tempo si era andato sgretolando.

Se avesse mai potuto avere un rimpianto, era quello di non tentato di far capire alla sua famiglia il suo punto di vista, non solo sulle sue ambizioni, ma anche sulle sue credenze.

Aveva una mente scientifica e razionale, di conseguenza non aveva mai creduto a cose come il culto degli Antenati, e alle leggende tradizionali: erano solo storie che servivano alla gente per avere qualcosa a cui aggrapparsi, per credere di non essere da soli nel mondo.

Alla fine, si rese conto, le sue elucubrazioni l’avevano distolta dal suo obiettivo principale. Morale della favola: si trovava davanti ai cassonetti della spazzatura, con i sacchetti ancora in mano, lo sguardo perso nel vuoto e zuppa di pioggia. Era quello che voleva, no?

Dopo aver buttato i sacchetti, si attardò un momento ad assaporare quell’odore che le era mancato tanto: sorprendentemente però non fu come si aspettava. Era come se ad esso si accompagnasse qualcos’altro, un sentore di …. presagio maligno, di minaccia. Ecco, ora stava sragionando. Se ne avesse parlato con sua nonna, poi, le avrebbe dato sicuramente ragione.

A ciò si unì la sensazione di avere qualcuno dietro le spalle che la stesse osservando: si girò di scatto, non trovando nessuno. Ma brividi di freddo continuavano a farsi sentire sulle braccia e la schiena.

Forse era meglio tornare dentro.

All’improvviso avvertì una risata dietro di lei.

Voltandosi nuovamente vide che al cancello d’entrata del condominio si trovava una donna in vestaglia, coperta come lei di acqua. Stava ridendo.

Forse si stava prendendo gioco di lei.

Le sembrava però una risata genuina, e decise quindi di stare al gioco: si avvicinò lentamente, chiedendo: “Sta ridendo di me? Dovrei fare lo stesso anch’io, allora, ci prenderemo entrambe la febbre!”

Appena fu a circa cinque passi dalla donna però la risata le morì in gola.

Quella che aveva preso per una risata gioviale era in realtà un ghigno diabolico, il viso una maschera di malvagità. La verità la assalì come un macigno.

Sua nonna le aveva parlato di quelle creature quando era piccola, le usava come minaccia per farle lavare i denti, o per farla andare a letto presto: creature orribili, con diverse connotazioni a seconda della zona.

In alcuni casi creature acquatiche per metà umane e per metà serpenti, in altri donne o bambine completamente bagnate che comparivano in notti piovose ai poveri malcapitati.

Inutile dire che nessuno sopravviveva alla loro visione, e ciò che si sapeva derivava dalle confessioni dei morenti ai passanti del momento.

Tutto ciò che lei ora poteva poteva fare era indietreggiare e chiudersi in casa al più presto.

Certo, chi voleva prendere in giro? L’avrebbero presa anche lì.

Per lei non c’era più scampo.

In un attimo gli artigli delle mani la presero con forza: la presa ferrea degli arti dell’essere non le permetteva alcun movimento. Vide i denti aguzzi avvicinarsi al suo viso lentamente, inesorabilmente. Non c’era alcuna morte veloce dopo un incontro con loro: c’era solo il dolore.









Si risvegliò all’improvviso, in un bagno di sudore.

Un incubo. Era solo un incubo, come ogni notte da quando era tornata.

Ma quella notte era stato così reale.

Ormai sicura che il sonno non sarebbe tornato, decise di alzarsi e andare in cucina a prendersi qualcosa da bere: il contatto dei suoi piedi con il pavimento era … strano.

Appena ebbe acceso la luce si rese conto con orrore che la camera era totalmente allagata.

Una perdita? Il rubinetto del bagno aperto?

Lei sapeva qual’era la verità.

E ne aveva paura.

Osservò, incapace di rialzare lo sguardo, il riflesso offuscato sulla pozzanghera mossa.

Due figure ricambiarono il suo sguardo.







Salve a tutti! Questa storia è presa dalla leggenda mitologica giapponese (ehh XD) delle Nure-onna, che prendono diversi nomi e forme a seconda della zona di interesse (io ho scelto la versione di Tsushima della prefettura di Nagasaki, quella delle nure-onago, lascio sotto il link) XD L’ho un po’ rivista, spero vi piaccia XD ringrazio ancora HoshiOujo e TheAuthor99 per le recensioni e chi legge senza commentare o mette nelle categorie le storie XD

A presto

Uadjet

Link: https://hyakumonogatari.com/2012/02/15/nure-onna-the-soaked-woman/

  
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