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Autore: Cheonefer86    20/04/2016    2 recensioni
“La mattina andava avanti, proseguiva la sua corsa verso la notte, lenta e silenziosa, senza alcun suono, senza alcuna voce, sola tra l’umidità che si faceva strada in quelle giornate d’estate.”
Severus è solo, pensa. Aspetta. Poi...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hermione Granger, Severus Piton | Coppie: Hermione/Severus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
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Silenzio e vuoto

 

Estate 2009

 

Faceva caldo.

L’aria umida lasciata dalla pioggia notturna, si appiccicava sulla pelle come un abito pesante impossibile da togliere.

In quel momento, però, il cielo era sgombro, di un azzurro che accecava la vista, mentre quell’altro azzurro gli accecava l’anima e gliela bruciava, brandello dopo brandello, nonostante gli anni passati da quella notte.

C’era silenzio in casa, una sorta di oasi ovattata dove non arrivava alcun suono esterno, nessuna risata di bambino o di acqua che s’infrange, né palloncini che scoppiano. Era tutto silenzio.

Tutto vuoto.

La scuola era finita, e presto sarebbe ricominciata, senza neanche aver dato il tempo a nessuno di abituarsi a quelle giornate; e i giorni sarebbero passati, e così i mesi, mentre gli anni continuavano a scorrere come un fiume infinito.

Mentre tutto rimaneva vuoto.

Mentre quella parte bella della sua esistenza che lo aveva tenuto in vita, era andata e venuta, finché un giorno era semplicemente svanita.

Lasciando tutto di nuovo vuoto.

La mattina andava avanti, proseguiva la sua corsa verso la notte, lenta e silenziosa, senza alcun suono, senza alcuna voce, sola tra l’umidità che si faceva strada in quelle giornate d’estate.

Gli sarebbe bastato poco per avere aria fresca in quella casa, un gesto, un sibilo, ma rimaneva immobile, rimaneva muto, voleva che persino la sua pelle piangesse quello che non era stato in grado di vivere, quello che si era lasciato andare.

Voleva che il sole si facesse più caldo e forte, e voleva bruciare nel rimpianto di essere stato nient’altro che un codardo.

All’improvviso un suono spezzò il silenzio in cui era immersa la casa. Un suono lontano, quasi di un altro mondo.

Un suono che gli ricordava le urla di suo padre e i pianti di sua madre.

Si alzò, lento, guardandosi intorno: non sapeva neppure dove fosse, in quale punto della casa fosse nascosto, credeva di averlo buttato anni fa. Una vita fa.

Il suono continuava.

Più forte man mano che i suoi piedi avanzavano, ma non voleva fare alcun gesto, non voleva trovarlo, desiderava solamente che quel rumore cessasse, che il silenzio tornasse a fargli compagnia.

Lui, però, continuava la sua musica.

Altri passi e altri pensieri, e lo trovò, nascosto dietro pile di libri, alcuni dei quali non erano neppure i suoi.

E il suono continuava.

“Smettila. Smettila…

«Smettila!» e il rumore cessò.

Trasse un profondo sospiro di sollievo e si sfregò gli occhi con le dita: era stanco, terribilmente stanco.

 

«Non userò mai quell’aggeggio

«Perché no? È comodo. Non sempre potrò mandarti delle lettere via “piumati”. Tra i Babbani è un sistema che non si usa più da secoli, quindi potrebbe sembrare quantomeno strano.»

«Sei una strega brillante, ingegnati!»

«Sei un mago rompiscatole! E molto coraggioso… non ti farà mica paura usarlo?»

«Certo che no! So come si usa!»

«Bene, problema risolto.»

«Bene.»

 

Il suono riprese a fendere l’aria e per un attimo la sua gola si strinse.

Uno squillo, e poi ancora uno.

Afferrò quell’aggeggio e per un attimo sorrise mentre se lo avvicinava all’orecchio, in silenzio.

Le sue labbra non si mossero.

«Sto per tornare» parlò una voce dall’altra parte, lontana, chissà da dove.

La sua bocca non si mosse.

«Mi sono sposata.»

Per un attimo gli sembrò di morire, di perdere il controllo di ogni singolo muscolo e nervo, e crollare a terra, esanime, mentre il caldo aumentava e l’umidità gli marciva le ossa.

«Lui com’è?» Avrebbe voluto dire tante cose, farle tante domande, mandarla al diavolo, stare in silenzio, ma quelle furono le uniche parole che disse, non sapendo nemmeno perché e come gli fossero venute in mente.

«Non è te.»

Rimase per un po’ in silenzio e poi parlò: «Voglio vederti.»

«No. È meglio di no.»

«Perché?»

«Lui mi piace, forse lo amo anche. Io e te siamo complicati. Siamo sbagliati.»

«Allora perché me l’hai detto?»

«Perché volevo lo sapessi da me prima che da altri.»

Ancora silenzio, ancora labbra che non si muovevano, soltanto il rumore di respiri lontani che per pochi attimi s’incontravano e si sfioravano.

Il rumore di qualcosa che forse si spezzava per sempre.

 

«Mi piace passare le ore al telefono con te.»

«Parli quasi sempre tu.»

«Allora forse è per quello» e la sentì ridacchiare, il suono più bello del mondo.

La amava, la amava davvero tanto e odiava quel telefono perché voleva che quei respiri fossero sulle sue labbra, e voleva che la sua bocca fosse sul corpo di lei, voleva ascoltare il battito del suo cuore mentre le sfiorava il petto, e non quello stupido oggetto.

«Quando torni?»

«Ho ancora due settimane di preparazione con il professor Ollsen e poi torno a casa. Torno da te.»

Il suono più bello del mondo, ed era solo per lui.

 

«Ti auguro ogni felicità, Hermione

«Aspe-» ma non sentì altro perché aveva già messo giù il telefono, aveva chiuso ogni cosa.

Tornò il silenzio in quella stanza, e tornò il vuoto, mentre l’estate avanzava e il caldo si faceva sempre più opprimente.

E bruciava.

Bruciava l’anima e il cuore.

 

 

 

Una settimana dopo

 

Fare pozioni come sempre lo rilassava, e si era addormentato; si era sdraiato per un attimo sul divano ormai consunto, chiudendo gli occhi per qualche istante, giusto per riposare un po’, e aveva finito per addormentarsi.

Neppure l’afa che continuava ad opprimere quella casa, aveva impedito al suo corpo di concedersi quegli attimi di sonno di cui aveva assoluto bisogno.

Passò un’ora, e poi due.

«Qui dentro si muore, da quando ami il caldo?»

Severus aprì immediatamente gli occhi e quella voce per poco non lo fece cadere dal divano, provocando dei sorrisi piuttosto malcelati sulle labbra di Hermione.

«Come sei entrata?»

«Non mi hai tolto l’accesso a questa casa.»

Non rispose: era vero, non aveva mai modificato gli Incantesimi di Protezione sulla sua abitazione, e lei era una di quelle che faceva parte di quel ristrettissimo gruppo di persone che poteva entrare a loro piacimento.

Perché non lo aveva mai fatto?

Non sapeva darsi una risposta, forse, in cuor suo, ancora sperava che potesse sistemarsi ogni cosa, che potesse ancora essere felice accanto alla donna che amava più di ogni altra cosa al mondo.

«Mi stai evitando?» la sua era una domanda, ma fuoriuscì più come una costatazione, un dato di fatto che non poteva essere smentito.

«Sto lavorando.»

«Sì, beh, ho visto…»

«Che vuoi, Hermione

«Mi stai evitando.»

«Cosa pretendi che faccia? Sei una donna sposata ora, hai la tua vita, vivila felice e stammi lontana.»

«Mi stai evitando,» ripeté, mentre gli si avvicinava, passo dopo passo, guardandolo risoluta indietreggiare, come se avesse paura che potesse farsi troppo vicina.

«Va via da qui.»

«Mi stai evitando.»

«Smettila!» e le strinse entrambe le mani intorno ai polsi, con forza, ma lei continuò a ripetere quelle parole, ancora e ancora. «Smettila, Hermione!» e la spinse verso il tavolo, con impeto, facendo cadere libri, pergamene e altre cose alle quali non badò minimamente, e la sentì gemere quando il suo corpo toccò con violenza il legno.

«Smettila…» e la baciò.

Un bacio folle, insensato, sbagliato.

Un bacio che aveva tutto il sapore del bisogno, l’odore del possesso, che aveva il suono di sentimenti troppo forti trattenuti a stento.

E la toccò, sfiorandole la pelle umida da sotto la maglietta, con una brama che aveva un che di famelico e di perduto, come se quella fosse stata l’ultima volta che i loro corpi si sarebbero uniti e le loro anime si sarebbero confuse.

E forse era davvero la loro ultima volta, perché per loro, il mondo fuori, aveva preso a vorticare in direzioni troppo distanti, ma in quella casa, in quell’istante, abbracciati dal caldo dell’estate, c’erano nient’altro che loro.

E in quegli attimi il vuoto sarebbe svanito.

E il silenzio.

   
 
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