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Autore: Lady A    21/04/2016    5 recensioni
«[…] Mi sono fermato in Francia per due motivi. Per dare l’ennesima dimostrazione a me stesso che il mio cuore adesso non prova più amore per lei e… per voi. Sì per voi. Vi confesso che in questi sette lunghi anni mi è capitato sempre più spesso di pensarvi Madamigella Oscar, il ricordo della vostra immensa grazia, dei vostri bellissimi lineamenti e dei vostri meravigliosi occhi azzurri sono stati in grado di placare come nient’altro le profonde sofferenze di questi lunghi anni. E sempre pensando a voi, ho capito quanto davvero ho sbagliato con la Regina. Lei resterà sempre nel mio cuore, ma ora posso dirvi con certezza che riesco a pensarla in maniera diversa… mentre per voi… per voi mi sono accorto di provare qualcosa di profondo, di molto profondo Oscar… non voglio sconvolgervi ma credetemi, ci tenevo a dirvi che nell’eventualità che ricambiaste i miei sentimenti, desidererei come niente al mondo sposarvi…»
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Hans Axel von Fersen, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Rosa nata ieri



[Oscar]

Giunsi in Francia nel primo pomeriggio del cinque febbraio, viaggiando all’interno di una carrozza recante lo stemma nobiliare della famiglia Von Fersen.
Le nuvole serravano d’ombre il sole, oscurando nel loro giogo di potere ogni angolo di cielo e terra. Una fitta pioggia accompagnò il mio rientro verso un mondo smussato da radici antiche. Nessuno era al corrente del mio arrivo, e fu un bene in realtà. Consapevole di andare incontro all’indignazione di mio padre, ero pronta ad affrontarlo e a subire se necessario, la sua implacabile condanna.
Portai con me pochi bagagli, contenenti prevalentemente libri e indumenti maschili.
Pregai Dio di darmi il coraggio per tutte le spiegazioni che avrei dovuto dare e per quelle che vigliaccamente, avrei dovuto celare.
Il cocchiere incontrò innumerevoli difficoltà durante il tragitto; fu costretto più volte a rallentare. Inoltrandosi nelle zone circostanti le campagne francesi, i cavalli si ritrovarono spesso in strade strette e inondante.
Quello del 1789 si rivelò un inverno estremamente rigido e piovoso da mettere in ginocchio un intero paese. Il gelo eccessivo di quell’anno ghiacciò le acque della Senna, rendendo impossibili per molto tempo, le navigazioni per il trasporto dei rifornimenti destinati ad una capitale che aveva perso il suo antico splendore. Il popolo oppresso e distrutto dalla fame si avviava ad un’imminente ribellione. Cosa ne era stato della mia Regina? Della speranza e della cieca fiducia che io stessa avevo sempre riposto in lei? Perché ai nobili erano permessi ancora tanti privilegi e diritti mentre la povera gente continuava a morire di stenti per la strada? Scostai le tendine della carrozza, muovendomi tra i cuscini che attutivano i violenti scossoni del veicolo. Con profondo rammarico costatai quanto disperata fosse la situazione. Molti parigini non avevano case dove ripararsi e sempre più orfani vivevano come animali, abbandonati sui cigli sudici delle strade. A quella visione provai indignazione per me stessa, per la fame che mai avevo patito e per la ricchezza della quale Dio mi aveva reso figlia. Ripensai al mio primo incontro con Rosalie, alla disperazione che la spinse una notte lontana a voler vendere la purezza del proprio corpo per salvare la vita di sua madre, gravemente malata. Forse, già da allora avrei dovuto aprire gli occhi, occupata com’ero a confidare tutto il mio cuore e appoggio alla Regina. Pregavo continuamente per lei, affinché il popolo l’amasse.
Siete nata Regina e sarete una grande Regina.
Sperai in questo fino alla fine.
Fin quando una fredda lama calò crudelmente su di lei.

Procedendo verso Place Vendôme, si schiusero ai miei occhi i profili di numerose persone. Incuranti dell’acqua che picchiava dal cielo, uomini, donne, giovani e anziani, marciavano senza alcuna distinzione, fieri e uniti in un corteo crescente come una fiamma.

«Il Cavaliere Nero! Viva il Cavaliere Nero!».

Quel nome non mi era nuovo. Tuttavia, allora sapevo poco o niente su di lui. Sapevo solo che era un ladro che agiva nel cuore della notte per derubare nei palazzi più nobili della capitale. La sua oscura figura aveva cominciato ad incombere fastidiosa come una corona di spine poco prima che lasciassi il paese.

Dopo estenuanti ore di pioggia, un pallido tramonto accarezzò il cielo. La via di casa era ormai prossima, in lontananza intravidi un viale alberato. Mi sporsi dal finestrino, stringendomi nel mantello di velluto; tutto attorno profumava di ricordi e di terra bagnata. Il passato dalla quale mi ero sottratta, si offrì al presente. Rividi ceneri di me stessa, dell’uomo che ero stato per mano di un padre che come Dio, aveva saputo forgiarmi a sua immagine e somiglianza. Rividi l’ombra silenziosa di un amico, il cui sguardo mi sfiorava come un appiglio sicuro. Rividi due bambini che distesi sull’erba d’estate, studiavano le stelle. Le loro mani era unite così come le loro vite.

Quando finalmente giunsi a palazzo, la pioggia ritornò caparbia sul mondo, al di là delle nubi, il sole morì spento all’orizzonte. Afferrando i bagagli, scesi agilmente dalla carrozza senza l’ausilio del cocchiere; completamente libera dalla soffocanti catene dell’abbigliamento femminile.

Fu la mia governante ad aprirmi.

«Oscar?! Oh, la mia Oscar è tornata!».
Mi accolse profondamente commossa, indugiando per un attimo se stringermi o meno tra le sue braccia. Mi avvicinai a lei, confortandola con un sorriso. La guardai, il suo esile corpo tremò di una materna emozione.

«Perdonatemi Madame Fersen… è  che sono così felice di rivedervi! Ma è successo qualcosa? Perché siete qui? E perché non siete più vestita come si addice ad una bella donna come voi?».
Tentò di ricomporsi imbarazzata, asciugandosi le lacrime e rivolgendosi a me con tono formale. Sapevo mi avrebbe
ricoperto di domande, amorevolmente preoccupata com’era sempre stata nei miei riguardi.

«Preferisco indossare abiti più comodi quando sono in viaggio, ma ora che sono a casa, credo che continuerò ad indossarli…».
Fu la mia tranquilla risposta, ma non ebbi il coraggio di guardarla in viso. Entrammo nel salone principale, le cui pareti erano decorate con stucchi e arazzi. Numerosi erano i cesti di fiori posti agli angoli dei mobili che intingevano l’ambiente d’eterna primavera.

«Dov’è mio padre? Devo parlare con lui».
Mi guardai intorno, i camini accuratamente accesi in ogni stanza, diramavano ovunque un confortevole calore. Abbassai lo sguardo ritornando con la mente alle condizioni estreme in cui riversava il popolo francese.

«In questi giorni il Generale è ai confini del paese con il suo esercito. Ritornerà tra due settimane circa. Madame Oscar… è successo per caso qualcosa? Dov’è vostro marito? Non avrete viaggiato da sola dalla Svezia fin qui?».
Indugiò su di me preoccupata.

«So ancora badare bene a me stessa».
Mi sforzai di sorridere fiera. Vidi alcuni membri della servitù dirigersi nelle stanze ai piani superiori.

«Perché non avete avvisato nessuno del vostro rientro?».
Sospirò al mio fianco.

Ritornai a guardarla.
«E’ stata un’idea improvvisa…».

La rassicurai e lei non mi fece più domande.
Forse, intuii tutto già da allora.

«Vi preparo subito un bel bagno caldo, immagino siate molto stanca dopo tante ore di viaggio… André sarà molto contento di rivedervi!».

Mi guardai nuovamente attorno, aspettando forse, di vederlo comparire da un momento all’altro. Ma ciò non avvenne, stranamente.

«Lui dov’è? Non l’ho ancora visto in giro».
Domandai seguendola nei miei appartamenti. La vidi sorridere leggermente.  

«Sono mesi ormai che esce tutte le sere per tornare a notte inoltrata… per niente ubriaco, anzi completamente sobrio e sorridente! Penso abbia trovato finalmente una donna, anche se trovo sconveniente che passi l’intera notte con lei!».

Aiutata da alcune cameriere, dispose una vasca dinanzi al camino, riempendola accuratamente d’acqua calda. Mi apprestai a spogliarmi in silenzio dal mantello, il giustacuore, le culottes e le calze. Sfilai gli stivali. Mi accomodai nella vasca con solo la camicia a celare le mie nudità.

«C’è una novità della quale non vi ho ancora messa al corrente, Madame. Vostra cugina, la giovane contessa Astrée De Flamel, da alcuni mesi soggiorna da noi…».

Lasciò le mie stanze con un inchino. Un freddo chiaro di luna si aprì sul mondo. Benché fossi curiosa di conoscere più approfonditamente mia cugina, vinta dalla stanchezza, rimasi nei miei appartamenti. C'eravamo incontrate poche volte prima di allora. Dall’atteggiamento inizialmente ostile nei miei riguardi, Astrée si rivelò il mio filo di Arianna.
 


 
[André]


Con incredibile precisione, con toni morbidi e soavi nel dipingere su tela volti e paesaggi, Astrée sembrava donar loro attimi di vita, come un Dio onnipotente.
Silenziosamente in piedi, presso la finestra, restavo ore ad osservarla, abbracciato dalla sua arte e compagnia. A lavoro ultimato, si voltò nella mia direzione, sorridendomi intensamente.
Una reticella intrecciata da perle tratteneva i suoi lunghi capelli scuri, mentre un abito di broccato, dal bustino alto e attillato da cui partiva una gonna increspata in morbide pieghe, fasciava il suo corpo esile ma incredibilmente agile. Come Oscar, Astrée si rivelò incredibilmente abile nell’utilizzo delle armi e non solo. Apparentemente impeccabile nella sua anima di donna, la sua indole altruista celava indistinti retroscena. Aveva presenziato più volte in mia compagnia alle riunioni nella piccola chiesa di periferia, arrivando con fervore, ad aiutare me e Bernard nei furti nei palazzi aristocratici. La sua natura nobile viveva oltre le convinzioni sociali e formali. Aveva voluto che la chiamassi per nome fin da subito. Proprio come Oscar.
Mi perdevo ancora nel suo ricordo.
Come un folle continuavo ad amarla in silenzio, nutrendomi delle ombre passate.

«André, questa sera ci sarà un ballo dalla Contessa De Foucher, vi presenzieranno molti nobili e i loro palazzi saranno incustoditi, prepariamoci ad agire. Questo pomeriggio farò credere a tua nonna di andare a cavalcare con Madame Candice. Raggiugerò invece la casa di Bernard e Rosalie, mi cambierò e ti aspetterò lì…».

Si avvicinò lentamente a me. La guardai, stringendo i pugni contrariato.
«Stavolta ti farai da parte Astrée! Potrebbe essere pericoloso, qualcuno potrebbe riconoscerti!».

Lo sguardo che mi rivolse fu tagliente come una lama per poi placarsi mite come un cielo d’estate. 

«Non devi preoccuparti per me. So a cosa vado incontro, morirei per una giusta causa…».

«Non dirlo neanche per scherzo!».

 
Il pallido sole non era ancora calato quando la pioggia riprese suadente, a bagnare la terra madre. Astrée aveva lasciato palazzo Jarjayes da alcune ore.
Accertandomi di non essere visto da nessuno, entrai nelle scuderie dove velocemente, indossai le vesti del Cavaliere Nero. Da mesi ormai, avevo tagliato i miei capelli per accostare maggiormente il mio aspetto a quello di Bernard.
Quella notte agimmo indisturbati, accarezzati dalla luna e dalla furia gelida del vento d’inverno. Custoditi dal silenzio delle tenebre, dividemmo le refurtive tra le persone e le famiglie più povere di Parigi, tra gli orfani e tra i vagabondi che invisibili agli occhi del mondo, si spegnevano ogni giorno nell’indifferenza comune. Erano in tanti che dall’alto della loro ricchezza continuavano a discutere della precaria situazione della Francia, ma nessuno di loro muoveva un dito. Provvedere a tutta la povertà francese era per noi impossibile.

A breve l’alba avrebbe colorato il cielo di luce. Ritornammo a palazzo. Congedai Astrée con un inchino, conducendo i nostri cavalli nelle scuderie. Indossavo ancora gli abiti del Cavaliere Nero. Prima di cambiarmi, li rifocillai accuratamente, carezzandoli e complimentandomi scherzosamente con loro. Riservai lo stesso trattamento anche a Cesar, occuparmi amorevolmente di lui, osservare il mio nome e quello di Oscar incisi da bambini sulle pareti per misurare le nostre altezze, era come sfiorare una clessidra di ricordi che pian piano si disperdevano nel vento. Ogni volta ne raccoglievo i granelli tra le mani per accostarli disperatamente al petto.

Improvvise, le note di un pianoforte mi giunsero al cuore come scrosci di pioggia.
Una melodia inquieta danzò nel risveglio antico del mondo.
Trattenni il respiro.
Mi mossi esitante nel cortile. Il silenzio ne faceva da padrone. Smarrito, guardai verso la finestra di Oscar.
Per un attimo, ebbi l’illusione di scorgervi tracce di vita. Sorrisi amaramente della mia stessa follia. Incauto, vagai per alcuni minuti nei giardini, tra le fontane e le siepi che in primavera sarebbero sbocciate in rose. L’oscurità profonda tingeva ancora il cielo, quando ormai vicino alle scuderie, una voce arrestò ogni mio battito.

«Non vi muovete…».
Mi ultimò gelida.
Imponente, la sua spada calò contro la mia schiena.
 



[Oscar ]


Un intrepido eroe o un volgare ladro, chi si celava dietro la maschera del Cavaliere Nero? Ancora non lo sapevo con certezza. Silenzioso come un’ombra attirò la mia attenzione in una fredda notte che si tingeva di mattino. Le mie dita carezzavano nervosamente i tasti del pianoforte, quando guardando verso la finestra, vidi la sua figura agile, muoversi indisturbata nel cortile del palazzo.
Era venuto dunque a farci visita?
Era già stato qui altre volte?
Ebbi l’impressione che conoscesse bene il luogo.
Raccolsi il suo arrivo come una sfida. Rinacqui dalla ceneri del mio passato. Sentii il mio cuore ridestarsi vivo dinanzi la prospettiva di un’imminente scontro.
Impugnai la mia spada e lo seguii nei pressi delle scuderie. In silenzio, giunsi alle sue spalle. Gli intimai di non muoversi, spingendo appena la lama contro di lui. Volevo osservare i suoi occhi, il suo volto, capire chi fosse e i fini per i quali agiva.

Trattenne il respiro.
Lentamente si voltò verso di me. Accostai la spada contro la sua giugulare. La maschera gli ricopriva il viso e l’oscurità si rese sua complice. Ci fissammo a lungo, tesi come corde nel silenzio. Nessuno di noi proferì parola, fin quando un sorriso comparve sulle sue labbra, incautamente vicine alle mie.
Era una provocazione la sua? Tuttavia, rimase immobile.
Dov’erano finite le sue qualità che tutti decantavano? 

Le scoprii subito.
Con un gesto agile e inaspettato, estrasse la sua spada, gettando la mia con un colpo netto e preciso sul terreno. Lo guardai fremente di rabbia. In quel momento mi odiai. Tuttavia, lui fu solo molto fortunato. In Svezia non avevo avuto la possibilità di riprendere gli allenamenti. Riafferrai la spada decisa. Non lo avrei lasciato sfuggire senza avergli dato prima una lezione.
Schivò e parò più volte i miei affondi.
Fu quando tentò di sfuggirmi che di striscio, lo colpì sul petto, come a marchiarlo. Lo sentì gemere appena. Solo allora soddisfatta, lo lascai andare.  

«Ci rincontreremo Cavaliere Nero!».

La mia fu una promessa.
 

 
 
  
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