Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: Recchan8    23/04/2016    1 recensioni
[SEGUITO DI "Deep Memories", CROSSOVER E VICENDA PREQUEL DI "Dangerous Heritage", SPOILER DI "Deep Memories" IN DESCRIZIONE]
Fine agosto 2014.
Giappone, Morioh: una ragazza dai capelli color miele e gli occhi ambrati si presenta presso i coniugi Higashikata pretendendo di venir ospitata per un periodo di tempo indeterminato.
Italia, Napoli: un ragazzo moro dagli occhi di smeraldo è ricercato dall'organizzazione mafiosa di cui faceva parte con l'accusa di tradimento.
Cosa lega questi due personaggi così lontani ma allo stesso tempo così vicini? Un passato nascosto nelle memorie più profonde dovrà essere destato.
Il destino, a volte, sa essere davvero comico.
Genere: Azione, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Josuke Higashikata, Nuovo personaggio, Okuyasu Nijimura, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'Deep Memories'
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Gli Hirose si trattennero dagli Higashikata fino all'una. Okuyasu li invitò a restare per il pranzo, ma la brutta cera del viso di Koichi spinse Yukako a rifiutare. La pessima faccia da poker dello psicoterapeuta non era sfuggita agli occhi dell'attenta moglie e di Josuke, il quale capì subito che Koichi doveva aver scoperto qualcosa su Celeste, qualcosa di importante e pericoloso.
Non appena la famiglia ospite se ne andò, Josuke si diresse a passo spedito in cucina e richiamò su di sé l'attenzione di Celeste, intenta a sgomberare la lavastoviglie al posto di Okuyasu. La ragazza, sentendosi osservata, sospirò e si voltò verso l'omone, tre piatti bianchi impilati sulle mani. Il suo sopracciglio sinistro scattò verso l'alto a mo' di domanda. Le improvvise apparizioni del pronipote non preannunciavano mai niente di buono.
-”Cosa gli hai fatto?”- disse Josuke a bassa voce; temeva che Okuyasu e Shizuka, usciti in giardino a giocare, potessero sentirlo dalla finestra aperta.
Celeste posò i piatti sul ripiano di marmo e si legò i lunghi capelli biondi. Ora che Yukako se n'era andata non c'era più bisogno di tenerli sciolti. Si chinò, specchiandosi allo sportello del forno e sistemandosi lo chignon scomposto. Josuke chiuse lentamente e piano la porta. Si avvicinò a Celeste e la costrinse a volgere lo sguardo verso di lui. La giovane roteò gli occhi, lamentandosi mentalmente della mancanza di tatto del pronipote.
-”Non so di cosa stia parlando”- rispose stringendosi nelle spalle.
-”Bugiarda”- sibilò Josuke a denti stretti.
Nessuno poteva permettersi di fare del male ai suoi amici e di prenderlo per il culo, nessuno. L'imponente e minacciosa figura di Crazy Diamond apparve alle sue spalle. Gli occhi rossi e bianchi dello Stand si puntarono in quelli di Celeste.
-”Il viso di Koichi è un libro aperto; sono più che certo che tu gli abbia fatto qualcosa”-.
-”Trovo molto curiosa l'iride del suo Stand”- commentò la ragazza ignorandolo e portandosi una mano al mento, avvicinandosi a Crazy Diamond. Istintivamente Josuke retrocedette di un passo e serrò la mascella. -”Un'iride a cerchi concentrici rossi e bianchi... E' molto particolare”- annuì.
-”Celeste, non osare muovere un altro passo”- sussurrò Josuke. -”Questa volta non c'è nessuno a trattenermi dallo sfondarti di botte”- la minacciò.
Celeste, dopo aver squadrato più volte Josuke, alzò le mani e mostrò i palmi in segno di resa. Aveva capito che l'uomo era prossimo a una crisi di nervi. Era stata davvero una buona idea recarsi a Morioh? Stava iniziando a dubitarne fortemente. Forse non avrebbe nemmeno dovuto mostrarsi così ostile nei confronti del signor Hirose... Si era cacciata in una brutta situazione.
Josuke, guardando la giovane in cagnesco, ingoiò il groppo che gli si era formato in gola. Più la guardava e più non poteva fare a meno di vedere nel suo volto i lineamenti di Dio Brando. Come aveva fatto Okuyasu a non accorgersi della loro somiglianza? Gli stessi capelli biondi, gli stessi lineamenti eleganti e aristocratici, lo stesso sorriso spavaldo e arrogante, gli stessi occhi...
...Rossi?”.
Da quando gli occhi da gatto di Celeste erano rossi? Era convinto fossero color ambra, non scarlatti. C'era qualcosa che non andava...
A un tratto lo Stand della ragazza si materializzò al suo fianco, disarmato; il pennacchio dell'elmo ondeggiava come mosso da un vento inesistente. Celeste sobbalzò per l'improvvisa comparsa dello Stand, mentre Josuke assunse una posizione difensiva; il suo sguardo continuava a oscillare tra la giovane bionda e la finestra alle sue spalle dove, ogni tanto, faceva la sua comparsa una spensierata e divertita Shizuka.
-”Signor Higashikata, mi duole esprimermi in un modo così irrispettoso, ma noi non possiamo lasciare codesta cittadina e la vostra abitazione”- disse la voce ovattata di Deeper Deeper.
Sia Celeste che Josuke lanciarono un'occhiata interrogativa allo Stand. Celeste sapeva che Jonathan, così come Joseph, aveva premuto molto per andare in Giappone, ma non aveva mai compreso per quale motivo si fosse impuntato così tanto. Josuke ridusse gli occhi a due fessure: finalmente lo Stand dell'intrusa era riapparso... Da giorni attendeva che si materializzasse nuovamente per poterlo studiare; aveva capito che era uno Stand dotato di una forte volontà propria.
Deeper Deeper chinò la testa verso Celeste e le indicò gli occhi. La ragazza sussultò e distolse lo sguardo da Josuke, quasi imbarazzata.
-”Vi chiedo di pazientare ancora un poco”- proseguì spingendo la sua portatrice dietro di sé. Celeste, irritata dal comportamento protettivo di Deeper Deeper, lo scansò con una spallata e tornò in prima linea, le braccia incrociate al petto e un'espressione spavalda stampata sul viso. Josuke non poté fare a meno di sbuffare rumorosamente, infastidito dall'arroganza della ragazza.
I suoi occhi adesso sono ambrati... Allora mi sono immaginato tutto?”.
-”Deeper Deeper, stai al tuo posto”- ordinò seccamente Celeste. -”Non ti azzardare mai più a intrometterti in questioni che non ti riguardano. Sei il mio Stand, ergo...”-.
-”...Non potrai ignorare la verità per sempre”- la interruppe Deeper Deeper lapidario.
Josuke rimase spiazzato dal modo in cui una semplice frase riuscì a zittire immediatamente la figlia di Dio Brando. La vide mordersi il labbro e voltarsi dall'altra parte, quasi come se si fosse dimenticata dell'esistenza di Josuke stesso e di trovarsi a un passo da una guerra civile. Deeper Deeper le posò una mano sulla spalla, ma Celeste se la scrollò malamente di dosso e lo fulminò con un'occhiataccia, alla quale lo Stand dall'elmo rinascimentale rispose con una lieve risata sommessa.
Josuke guardò quei due battibeccare e non poté fare a meno di pensare che si stessero comportando proprio come lui e sua figlia Shizuka.
Come lui... e sua figlia...?
Per un attimo Josuke si sentì mancare. Si avvicinò al ripiano di marmo e vi si appoggiò con un gomito, portandosi poi una mano alla fronte. No, non poteva assolutamente essere vero, era impossibile. Si ricordò delle parole di Celeste, quando gli aveva detto che “definire questo essere Stand è giusto e sbagliato al tempo stesso”, e scosse la testa, cercando di convincersi dell'erroneità dei suoi pensieri. Improvvisamente la voglia a forma di stella prese a bruciargli e una lieve voce rimbombò nella sua testa.
Un giorno, Josuke, saprai la verità”.
La porta della cucina si spalancò di colpo e Okuyasu e Shizuka fecero il loro ingresso.
-”E' ora di pranzo!”- esclamò Okuyasu passando accanto a Celeste e a Josuke e non notando il loro turbamento; Deeper Deeper e Crazy Diamond erano svaniti.
-”Pa', oggi pomeriggio mi accompagni al centro commerciale?”- domandò Shizuka a Josuke.
-”S-sì...”- rispose distrattamente. Si passò pesantemente una mano sul volto e incrociò lo sguardo indecifrabile di Celeste. La giovane gli diede le spalle e si affrettò ad aiutare Okuyasu nella preparazione del pranzo.
Shizuka osservò attentamente Josuke e strinse le labbra. Celeste non stava facendo altro che portare disagio e tormento alla sua famiglia. Doveva trovare il modo di cancellarla dalle loro vite, ma finché Okuyasu era dalla sua parte, ciò non sarebbe stato possibile. Perché suo padre si fidava così tanto di lei? Dannazione, era la figlia di colui che aveva portato la sua famiglia alla rovina, la causa di tutti i suoi mali!
Vincerò io, bitch...”.

 

 

 

Ogni domenica pomeriggio Okuyasu si recava in un certo posto. La sua figura solitaria era ben nota a tutti i visitatori del luogo in questione. Le sue spalle, più ricurve di quanto solitamente non fossero, sembravano trasportare tutto il dolore che Okuyasu era solito tenersi dentro; solo di domenica l'uomo permetteva ai suoi sentimenti di fuoriuscire liberamente.
Okuyasu, seduto sulla poltrona in salotto, lanciò una rapida occhiata al suo orologio da polso. Deglutì e, titubante, guardò Celeste, sdraiata elegantemente sul divano, una mano a sorreggere la testa e gli occhi ambrati svogliatamente fissati sullo schermo della televisione.
-”A volte ho delle serie difficoltà a comprendere cosa stiano dicendo”- disse la giovane indicando col telecomando una coppia di comici in televisione. -”Fanno troppi giochi di parole...”-.
Okuyasu annuì e sorrise forzatamente. Si vergognava a chiedere alla sua ospite di accompagnarlo in quel posto, ma in cuor suo sentiva di doverlo fare. Il motivo non era chiaro neppure a lui, ma sapeva che finché non lo avrebbe fatto non sarebbe stato in pace con se stesso.
-”Qualcosa non va?”- gli domandò Celeste a bruciapelo. Spense la TV e si mise seduta, portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio destro. Okuyasu spalancò gli occhi dalle pupille puntiformi e scosse con veemenza la testa, quasi come se stesse cercando di convincere più se stesso che Celeste.
-”Tutto bene!”- esclamò con finto entusiasmo.
Lo sguardo indagatore della ragazza lo fece rabbrividire. Celeste si passò la punta della lingua sulle labbra e il suo sopracciglio sinistro scattò verso l'alto. Per un attimo il cuore di Okuyasu venne stretto in una forte morsa; perché sorprendersi tanto? Dopotutto Celeste era la fotocopia vivente di quell'uomo.
-”Il tuo corpo parla, Okuyasu”- gli fece notare Celeste. -”E' fin troppo evidente che tu abbia qualcosa”-.
L'uomo, colto alla sprovvista, prese a boccheggiare e a guardarsi forsennatamente attorno, come alla ricerca di un oggetto o di una persona in grado di tirarlo fuori da una situazione talmente imbarazzante e scomoda.
Forza Okuyasu, devi chiederglielo!”, si spronò.
Celeste sorrise affettuosamente e attese pazientemente che Okuyasu trovasse il coraggio per sputare il rospo. I due rompicoglioni se n'erano andati da circa un'ora e, conoscendo Josuke, non sarebbero tornati a casa prima delle sette di sera. Celeste aveva a disposizione un sacco di tempo da dedicare a quel povero disagiato di Okuyasu.
-”Seres...”- iniziò titubante. Celeste, sempre sorridendo gentilmente, lo incitò a proseguire. -”Ecco... Vorrei che mi accompagnassi in un certo posto”-.
La giovane dagli occhi ambrati alzò le sopracciglia, sorpresa. Non ci pensò su due volte e acconsentì; dopo tutto quello che era accaduto quella mattina, un po' di aria fresca le avrebbe fatto più che bene.
Okuyasu, liberatosi dal suo peso emotivo, tirò un sospiro di sollievo per poi pentirsene immediatamente: la parte più difficile e stressante doveva ancora arrivare, ma lui ce l'avrebbe fatta.
Doveva.

 

 

In tutta la sua vita Celeste non era mai entrata in un cimitero.
Guardò Okuyasu, la fronte aggrottata e le labbra socchiuse, pronta a chiedere spiegazioni. L'uomo si sistemò gli occhiali sul naso, gonfiò il petto e annuì una volta. Afferrò con decisione la mano della ragazza e oltrepassò l'alto cancello che designava l'ingresso del cimitero di Morioh. Uno stretto sentiero centrale e principalmente rettilineo tagliava a metà la collina sulla quale era stato edificato il luogo. Piccoli sentieri più stretti si diramavano da quello centrale e, lungo essi, numerose lapidi dalla forma rettangolare si innalzavano dal suolo. Okuyasu giustificò a Celeste la scarsezza di alberi dicendole che, qualche anno prima, la prefettura si era trovata costretta ad abbatterli in seguito a un improvviso picco di decessi nella città.
Sebbene il cielo fosse azzurro brillante e il sole splendesse sulla città, Celeste, nel suo svolazzante vestitino floreale, si sentiva un poco fuori luogo. Le persone a cui passavano accanto, all'apparenza sorridenti, in realtà soffrivano.
Sarò anche sfrontata e spavalda, ma un minimo di rispetto per le persone ce l'ho!”, pensò la giovane infastidita e cercando, con la mano libera, di impedire alla gonna del suo vestito dai colori vivaci di alzarsi.
Nonostante si fidasse di Okuyasu e non lo reputasse un potenziale pericolo, si sentiva irrequieta. Perché il marito del suo pronipote aveva voluto portarla al cimitero? Aveva provato a domandarglielo, ma Okuyasu aveva scosso la testa e l'aveva pregata di attendere. La stretta dell'uomo attorno alla sua mano stava diventando sempre più forte. Man mano che si addentravano nel cuore del cimitero, Celeste vedeva il volto di Okuyasu rabbuiarsi sempre di più.
La giovane dai capelli color miele stava imprecando contro il suo abito quando Okuyasu si fermò di botto e Celeste gli finì addosso.
-”Ahi...”- mormorò massaggiandosi il naso. -”Okuyasu, cos...?”-.
L'uomo, lo sguardo fisso sulla lapide di fronte a sé, fece un respiro profondo e tentò di ricacciare indietro le lacrime che gli erano spuntate agli angoli degli occhi. Si inginocchiò e congiunse le mani.
-”Aniki...”- sussurrò.
Aniki?”, ripeté Celeste nella sua testa. Le sfuggiva il significato di quella parola. Provò a leggere i caratteri incisi sulla lapide ma ogni suo sforzo si rivelò vano; in due anni di studio del giapponese non era riuscita a padroneggiare la lingua scritta e le capitava spesso di non riuscire a leggere qualche carattere, soprattutto se scritto in kanji.
-”Nijimura Keicho”- disse dopo un po' la voce di Okuyasu. -”Questa è la tomba di Keicho, mio fratello maggiore”-.
-”...Oh”- fu tutto quello che Celeste riuscì a dire. Immediatamente si inginocchiò accanto a Okuyasu e si unì alla sua silenziosa preghiera.
-”Aveva solo diciotto anni...”- mormorò Okuyasu accarezzando dolcemente la lapide.
-”Come... Come è successo?”- gli chiese la ragazza titubante.
Okuyasu sorrise debolmente e si tolse gli occhiali, passandosi il dorso della mano sugli occhi.
-”E' accaduto il giorno in cui ho conosciuto Josuke. Tu... sai cosa sono l'Arco e la Freccia?”-.
Celeste, al solo sentir nominare la Freccia, si irrigidì. Istintivamente mentì e rispose di non averli mai sentiti nominare, né l'Arco né la Freccia. Okuyasu le spiegò che erano due antichi strumenti in grado di risvegliare negli eletti il potere degli Stand.
-”Mio fratello Keicho, nell'ormai lontano millenovecentonovantanove, si era servito di quelle due reliquie per trovare un portatore di Stand in grado di uccidere nostro padre. Quasi tutti i portatori di Stand presenti a Morioh sono nati grazie a mio fratello, i coniugi Hirose compresi. Inizialmente ci siamo scontrati con Josuke, ma proprio quando finalmente eravamo riusciti a chiarirci...”-. La voce di Okuyasu si incrinò. -”...Akira lo ha ucciso sotto i miei occhi”-.
Celeste non fece domande; passò un braccio attorno al collo di Okuyasu e appoggiò la testa contro la sua spalla. Non era molto brava nel consolare le persone: quello era tutto ciò che era in grado di fare. Okuyasu, nonostante l'impaccio di Celeste, avvertì i suoi buoni intenti e sorrise tra le lacrime che avevano preso a scendergli lungo le guance.
-”Seres”- disse poi discostandosi da lei. -”Voglio che tu conosca cosa è successo alla mia famiglia perché... perché...”-. Le parole gli morirono in gola e dovette ricorrere a tutte le sue forze e al suo orgoglio maschile per non scoppiare a piangere senza ritegno. -”Io e mio fratello volevamo uccidere nostro padre perché Dio lo aveva maledetto e condannato a un'esistenza fatta di dolore e sofferenza”- disse tutto d'un fiato.
Le mani di Celeste si staccarono immediatamente da Okuyasu e la ragazza si alzò in piedi, facendo un passo indietro e socchiudendo le labbra. Okuyasu scosse lievemente la testa e la invitò a tornare a sedersi accanto a lui.
-”Prima di fare o dire qualunque cosa, ascoltami”- la pregò.
Celeste era ben conscia di quanto male suo padre avesse causato, perciò odiava quando le persone lo nominavano o si rivolgevano a lei con l'appellativo “Figlia di Dio Brando”. Lo sguardo triste ma al tempo stesso sereno di Okuyasu la convinse a tornare sui suoi passi.
-”Non ti spiegherò il modo in cui Dio ha maledetto mio padre, è una storia lunga e complicata; voglio solo che tu sappia che, per me, tu e tuo padre siete due individui diversi. Solo perché Dio ha fatto ciò che ha fatto, non significa che anche tu sia destinata a farle o abbia intenzione di farle”-.
Le parole di Okuyasu colpirono in pieno il punto debole di Celeste, e la giovane si trovò a fare di tutto per non mostrare all'uomo dai capelli sale e pepe il suo momento di debolezza. Sorrise, cercando di ricacciare indietro le lacrime. Era convinta che quella persona sarebbe stata l'unica disposta ad accettarla per quello che era e a considerarla un'esistenza diversa da Dio Brando.
Okuyasu le asciugò con un pollice la lacrima che le era scivolata dall'occhio destro e le sorrise goffamente di rimando.
-”Dobbiamo imparare a guardare oltre le apparenze”- disse lanciando un'occhiata alla lapide. -”Spesso dietro una facciata rude e spietata si nasconde un cuore ferito”-.
Okuyasu non riuscì più a trattenersi e scoppiò a piangere sulla tomba del fratello, abbracciando la lapide e gridando il suo nome. Celeste gli voltò le spalle e si allontanò di qualche passo, tirando fuori dalla borsetta bianca un fazzoletto. Si asciugò gli occhi e, col sorriso sulle labbra, si maledisse per essere diventata così buona; la se stessa di due anni fa non si sarebbe mai sognata di farsi commuovere in quel modo. Strinse il fazzoletto di carta tra le mani e serrò le labbra. Non si sarebbe mai aspettata un discorso così profondo da un sempliciotto come Okuyasu. Se tutti l'avessero pensata come lui, Celeste si sarebbe risparmiata un sacco di complicazioni. Perché nessuno voleva capire che lei non aveva nessuna colpa? Il suo sorriso beffardo si spezzò quando pensò alla risposta che Jotaro avrebbe dato alla sua domanda: “Tu sei colpevole di essere nata”.
Celeste guardò la schiena di Okuyasu pervasa da forti scossoni e si sentì in dovere di fare qualcosa, di donargli un po' di felicità e di ringraziarlo per averle concesso la sua fiducia. Gli posò una mano sulla spalla e lo chiamò. Okuyasu, il volto deformato dal dolore dei ricordi, tirò su col naso e la guardò con aria interrogativa.
-”Senti... Ti piacerebbe rivedere tuo fratello?”-.

 





NOTE DELL'AUTRICE
"I see you smiling when I close my eyes 'cause I miss you" ---> My Sweet Baby
Scuuuuuusate il clamoroso ritardo ma la sessione estiva d'esami si sta avvicinando ><
Okuyasu si trova di fronte a una scelta che potrebbe causare non pochi problemi alla sua famiglia (se non addirittura all'intera città). Celeste sembra sicura delle proprie capacità: ci sarà da fidarsi? Come risponderà Okuyasu alla domanda della ragazza? *musichetta drammatica*
Nel prossimo capitolo scopriremo che fine ha fatto Mercuzio >:)
Alla prossima! ^^

 

 

   
 
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