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Autore: HolyBlackSpear    24/04/2016    1 recensioni
[Final Fantasy II]
Per cause misteriose, con l'arrivo di un temporale improvviso Minwu sembra stare inspiegabilmente male. Firion, preoccupato, decide di rimanere al suo fianco durante la notte, intenzionato a capire cosa ci sia dietro all'apparente malessere dell'amico.
Quello che scoprirà non sarà solo una piccola confessione, un pezzo del proprio passato che viene condiviso con l'altro. Scoprirà che, forse, c'è qualcosa che può aiutare l'amico a ritrovare la serenità da tempo perduta.
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Firion x Minwu
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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minwu

Note: Firion x Minwu (Final Fantasy II)
Parole: 3698

Thunderstorm.
{I may take a like on them.}
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Il vento era gentile, quel giorno, sui suoi capelli bianchi. Privo dei granelli di sabbia cui si erano abituati nel deserto, quel giorno l’aria sapeva di pioggia e di mare. Sarebbe piovuto preso, perché la brezza che spirava verso di loro stava trasportando delle nubi temporalesche, scure come la propria pelle. Eppure, né il giovane guerriero né il giovane mago bianco parevano starsene curando troppo.
Firion aveva gli occhi chiusi da diversi minuti. Si godeva il calore del sole, mitigato dalla freddezza del soffio dell’aria, quasi spiacevole. Non sembrava infastidito, però, nonostante i brividi che Minwu vedeva corrergli lungo il collo e le braccia, facendo incaponire la pelle ambrata dei suoi bicipiti, ognuno di essi circondato da un cerchietto d’oro.
«Sono un simbolo – gli aveva detto una volta, nelle rare occasioni in cui parlava – Sono la perseveranza e la forza. Le due cose di cui ho più bisogno». Ma dove l’aveva messo l’affetto? Non sarebbe stato importante anche quello?
Firion aveva sofferto tanto. Lo aveva capito dalla prima volta in cui l’aveva visto, quando, tanto tempo prima, gli era stato affidato moribondo e gli era stato detto di curarlo con ogni mezzo a sua disposizione. Aveva scoperto il suo corpo con precisione medica, gettando da parte gli stracci sgualciti e zuppi di sangue che un tempo erano stati i suoi vestiti. E oltre ai tagli, alle escoriazioni, ai graffi e alle profonde ferite, i suoi occhi blu avevano trovato altro. Tante piccole cicatrici bianche lungo la pelle ancora morbida per la giovinezza.
Non era stato solo quello. I suoi occhi color nocciola, appena screziati di giallo, erano troppo spenti e cupi per un ragazzo della sua età. All’epoca di lui non sapeva niente, nemmeno il nome. Eppure i tratti del viso non gli avevano mentito nemmeno per un secondo: era giovane, e tanto. Aveva scoperto solo dopo, infatti, avere poco più di diciassette anni.
Un piccolo sospiro lo riscosse dai suoi pensieri, facendogli riportare lo sguardo e la mente al presente. Si stava spostando, Firion, sgranchendosi il collo con una mano appoggiata contro alla nuca. Gli venne da sorridere nel vedere che, nonostante fosse un guerriero, proprio non riusciva a rinunciare ai suoi gioielli. Era stata Maria a rivelargli per cosa il giovane ragazzo dai capelli candidi andasse tanto matto.
Non si spostò, il mago, quando gli occhi del giovane si puntarono su di lui. Non doveva essersi accorto della sua presenza, appena nascosta nell’ombra di un albero, a giudicare da come sobbalzò lievemente, la mano che di istinto scattò alla cintura, alla ricerca del coltello. Riconoscendolo, però, si placò subito, e un piccolo sorriso timido si fece strada sulle sue labbra.
Nessuno dei due parlò. Ricambiandolo sotto al velo candido che gli copriva il viso, il giovane moro si avvicinò. Sedendosi lentamente al suo fianco.

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«Non ti avevo notato.» - Pronunciò lui, la voce appena rauca per il lungo silenzio, come gli capitava ogni qualvolta parlava. Non era mai stato un gran chiacchierone, nemmeno da bambino. La crescita non aveva fatto altro che portarsi via sempre più parole, facendolo diventare taciturno al punto da farlo sembrare muto.
Immaginava fosse piuttosto frustrante, per i suoi compagni, avere un leader tanto silenzioso. Le sue frasi di solito erano in realtà monosillabi, o versi di assenso o disappunto. Vere e proprie costruzioni grammaticali erano piuttosto rade, benché ci fossero anche le giornate in cui era più rilassato ed incline al dialogo. Come quel giorno.
Il mago bianco parve ridacchiare, un suono lieve e melodioso che gli uscì dalle labbra chiuse. Aveva una voce giovane, Minwu, benché fosse già un adulto. A sentirlo parlare pareva un ragazzino.
«Me ne sono accorto.»
Nemmeno il giovane uomo era di tante parole. Forse per questo si sentiva tanto a proprio agio, in sua compagnia: non c’era bisogno di tanti discorsi, solo la presenza reciproca e il silenzio.
Un tuono in lontananza ruppe la loro mancanza di parole, facendo sobbalzare in maniera inaspettata il castano. Parve poco volenteroso di spiegare, tuttavia, mentre si alzava raccogliendo appena la veste bianca e spariva, mormorandogli di rientrare presto per non prendersi l’acquazzone.
Così fece, pur ancora perplesso.

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L’Inn in cui soggiornavano era molto ampio, ma le camere erano piccole. La stanza da quattro era completamente fuori discussione, dunque si erano dovuti dividere. All’inizio Firion e Maria erano nella stessa camera, mentre lui e Guy, il ragazzone che sapeva parlare con gli animali, erano in quella di fianco, separati solo da un muro.
Si era sistemato senza problemi all’interno di essa, godendosi poco i drappeggi variopinti e i mobili ben rifiniti a causa del nervosismo che gli aveva preso lo stomaco. E dire che aveva pensato di riuscire a controllar…
Proprio mentre stava cercando di calmarsi, afferrandosi la radice del naso con due dita, le mani calde di Firion si erano poggiate sulle sue spalle, i suoi occhi preoccupati che facevano capolino da dietro la propria spalla. Si era sentito mancare il respiro, per un attimo, mentre il bagliore improvviso di una folgore rischiarava la stanza che andava scurendosi, subito accompagnato dal rombo di un nuovo tuono.
«Guy mi ha detto che non stavi bene, che respiravi troppo in fretta. Cosa c’è, Minwu, hai la febbre?»
Si scostò da lui, non volenteroso di fargli sentire quanto in realtà stesse tremando. Non era febbricitante, benché un paio di volte gli fosse capitato di non riuscire a nasconderglielo, facendoli preoccupare. No, era letteralmente terrorizzato.
Invece annuì lievemente, mentre si sedeva sul letto e si prendeva la testa fra le mani, cercando di calmare il battito furioso del proprio cuore.
Da lì, seduto dov’era, l’ombra di Firion stagliato contro alla finestra lo copriva tutto, mettendolo completamente in ombra. Quel ragazzo, per quanto giovane, era dannatamente alto. C’era quasi una testa di differenza fra loro.
«…Resterò qui, stanotte. Sono l’unico della squadra che conosce un po’ di magia curativa.»
Fu inutile provare a trattenerlo. La voce non gli uscì dalle labbra, interrotta da un nuovo rombo che gliela bloccò in gola. Concependo che era inutile ostinarsi a lottare, optò invece per accettare semplicemente i fatti.
Si sfilò copricapo e abiti, rimanendo in camicia e intimo, infilandosi tremante sotto alle coperte. Tirandole fin sopra alla testa, nella speranza di sparire.

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Si era recato da Guy e Maria, spiegando loro la situazione e proponendo il cambio di stanza. Nessuno dei due ebbe da ridire, entrambi preoccupati per la salute del ragazzo. Sapevano tutti e tre quanto fosse forte, ma altrettanto bene sapevano che spesso nascondeva i malesseri, tirando al limite il proprio.
Qualcosa, in Minwu, non andava. Lo aveva visto con la febbre, e poteva garantire che non aveva l’aspetto che gli aveva visto addosso solo qualche momento prima.
Aveva il viso tirato e pallido, per quanto facesse ridere quel termine, associato alla sua pelle scura, gli occhi appena spalancati come non lo aveva mai visto fare. Sembrava quasi … aver paura, ma di cosa?
Il tempo di spostare la propria roba dalla stanza di Maria a quella di Minwu e chiuse la porta, assicurandola con i due pezzi che la agganciavano, per così dire, alla parete.
Il mago era rannicchiato sotto alle coperte. A giudicare da quando poco rilievo coglievano i suoi occhi, doveva avere le gambe strette al petto. L’acqua, intanto, batteva furiosa contro alla finestra, e il vento fischiava minaccioso. Non perse tempo ad aprire, approfittando della posizione riparata del giovane, per andare a chiudere le serrande e, subito dopo, i vetri. Eppure, per quanto stesse imprecando per la bagnataccia che si era beccato, era quasi certo di aver udito un suono provenire dalle sue spalle. Una specie di gemito, un mugolio sommesso e decisamente spaventato.
Voltandosi, si rese conto che chi l’aveva prodotto era colui che ora, più discretamente che poteva, stava tremando sotto alle coperte.

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Non ci riusciva. Aveva provato a distrarsi affogando nel senso di colpa che provava nei confronti di Firion. Più che altro nei confronti di Maria.
Fingendo di essere malato aveva separato i due, eppure aveva visto quando la ragazza desiderasse Firion. Aveva provato a dirsi che sarebbe passato, se doveva solo addormentarsi o pensare ad altro. Come, per esempio, a quello che quei due avrebbero potuto fare in camera da soli. E invece terrore che provava nei confronti del temporale lo aveva attanagliato quando un tuono particolarmente forte aveva squarciato l’aria, facendolo irrigidire immediatamente, le braccia serrate attorno alla vita. Forse, c’era da dire, per fortuna.
Quasi non aveva sentito Firion entrare e muoversi nella stanza, assordato com’era dal rumore affannoso del proprio respiro e dal suono martellante del proprio cuore nelle orecchie. Aveva preso coscienza di cosa gli stava attorno solo quando lo aveva sentito aprire la finestra, facendogli avvertire in maniera molto più distinta i suoni del diluvio che imperversava fuori.
Doveva aver fatto un verso perché, una volta finito, Firion si era astenuto dal continuare la sua sfilza di insulti e aveva taciuto, immobile. Fino a che il materasso su cui era sdraiato si era inclinato, sotto al peso del corpo che si era seduto al suo fianco. E una mano timida era andata ad accarezzarlo titubante su una spalla, sfiorandolo appena umida da sopra le coperte.
«…Minwu?»
Non rispose. Non subito, per lo meno. Non uscì dal bozzolo in cui si era infilato nemmeno con la testa, perché si sentiva a disagio a mostrare il proprio viso senza il velo a nasconderlo, e non voleva fargli notare così da vicino che, effettivamente, non aveva la febbre. Il suo aspetto non era quello di un malato, ne era certo.
Ora che le imposte erano serrate, Minwu percepiva che la stanza era calata nella quasi completa oscurità. Non si sorprese, quindi, quando poco dopo avvertì il rumore di un fiammifero che veniva accesso, e la vaga forma di un lume si intravedeva da sotto il lenzuolo.
Doveva essere una candela, o una piccola lampada. Firion l’aveva poggiata sul comodino, e nell’aria si stava spandendo un buon profumo rilassante. Sapeva di gigli e di rose, i fiori preferiti della sua principessa.
«Scusami. Fai pure quel che vuoi, non preoccuparti per me.»
Provò a far suonare ferma la propria voce, eppure non sembrò affatto convinto nel parlare. Motivo per il quale il giovane non parve muoversi dalla propria postazione, continuando a far scorrere le dita lungo la sua spalla.
Fu felice di non sentirlo chiedere, perché non avrebbe voluto dirgli di sì a parole, in quel momento. Gli bastò la sua ultima frase a rincuorarlo appena, arrestando anche se di poco il suo tremore.
«Mi cambio d’abito e mi metto di fianco a te.»

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E così fece. Infilata una camicia pulita, più morbida e comoda per la notte, e un paio di calzoni larghi, finalmente liberi dal pesante carico delle armi, scivolò con il corpo sotto alle lenzuola, avvertendo distintamente il calore che si espandeva sulle proprie guance, a mano a mano che realizzava l’effettiva vicinanza del mago.
A pochi, pochissimi era stato concesso di essergli tanto vicino. Guy, Maria, forse un paio di volte Leon, quando erano piccoli. Tutti gli altri erano sempre stati tenuti a debita distanza, senza molte possibilità di avvicinamento. Eppure con Minwu era proprio lui ad avvicinarsi. Era lui stesso che ora, con titubanza, gli avvolgeva le spalle con un braccio, avvertendolo irrigidirsi appena pur senza scostare il suo tocco.
Abbassò gli occhi sui capelli mori che vedeva uscire dalla coperta e sentì il respiro bloccarsi nei polmoni, nella gola, il sangue congelarsi in qualsiasi capillare si trovasse non appena lo vide alzare lo sguardo, il viso finalmente libero da qualsiasi drappeggio a nasconderlo.
E un timido sorriso ad illuminarlo.
Minwu era infinitamente bello.
«Grazie. Ecco … è strano, essere aiutato, quando di solito sono io ad aiutare gli altri.»
Capiva cosa voleva dire. Anche a lui capitava di sentirsi strano ogni qualvolta si sentiva debole, perché solitamente era proprio la sua forza d’animo che mai vacillava a far da guida agli altri.
E capiva anche perché, probabilmente, gli avesse mentito. In qualche modo immaginava potesse essere … umiliante, farsi vedere in una condizione tanto straordinaria e inusuale.
«Di nulla. Però … vorrei sapere qual è il problema, se possibile.»
Dissipato il dubbio della possibile malattia, il più giovane voleva capire. Voleva sapere perché, anche adesso, ogni qualvolta la stanza veniva illuminata da un lampo il suo corpo fremeva, tenendosi nel terrore. Che il temporale fosse il problema stava diventando piuttosto palese, ma…
Firion avrebbe voluto che condividesse ciò che stava dietro a tale paura.
Non vedendolo rispondere, però, si rese conto di aver esagerato. E si morse il labbro, quasi impaurito, accennando una risata assolutamente insolita, per lui, da molto tempo.
«Beh, non devi dirmelo per forza. Solo se vuoi. Io pensavo che … sì, ecco, potessi … cioè potessimo…»

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Stava parlando a vanvera. Aveva sorriso, Minwu, nel vedere come la sua frase aveva progressivamente iniziato a perdere la propria logicità, e ancor di più aveva sorriso nel vedere le sue guance tingersi di una tinta rossastra, sebbene una semioscurità le avvolgesse.
Non si sorprese nel vederlo avvampare ancora di più quando alzò un dito appena tremante contro alle sue labbra, scoprendole decisamente troppo morbide al tatto. Avevano mai baciato qualcuno, o erano vergini come le proprie? Avevano già divorato il corpo di qualche ragazza, magari quello di Maria? Il pensiero gli diede la nausea, proprio come il continuo tremore dovuto alla paura che gli scuoteva le membra.
Tuttavia riportò in fretta lo sguardo sui suoi occhi, ritrovando il senno e la determinazione per rispondere al suo quesito, più o meno implicito che fosse stato.
«Ho perso i miei genitori durante un temporale. È per questo che ho paura. Non riesco … a controllare ciò che sento.»
Era strano, per lui, così padrone di se stesso. Negli anni aveva mandato giù tanti rospi, fatto sbollire tanta ira, e nella sua facciata esterna non si era creata nemmeno una crepa. Quel terrore era l’unica vera pecca di cui non riusciva a liberarsi. L’unica debolezza per cui non erano bastate ore interminabili di meditazione, né approcci più invasivi come l’affrontare un acquazzone a viso aperto.
Firion non ebbe una vera e propria reazione. Ridacchiò, lievemente, ma il suono che gli uscì dalla bocca fu finto e gelido. I suoi occhi, allo stesso modo, si erano fatti vitrei e più scuri. Come se stesse ricordando qualcosa, qualcosa di brutto, e l’odio lo stesse corrodendo da dentro.
«Ah. Quindi sei come me con il fuoco. I miei genitori sono morti carbonizzati.»
Rise di nuovo, in un suono spezzato. Ah. Ah. Ah. La mano stretta attorno alla propria spalla si serrò in una presa involontaria, tanto forte da far scricchiolare le falangi.
«…Firion, mi fai male.»
Non lo disse per vero interesse nei confronti del proprio dolore. Fu per distrarlo, probabilmente, riprendendo almeno un po’ il ruolo cui era abituato: quello del padre, del fratello, del consigliere, del protettore. Proprio come immaginava ottenne l’effetto sortito: gli occhi ambrati del ragazzo si spalancarono appena, e la sua mano mollò la presa quasi immediatamente, mentre balbettava un paio di scuse.

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Aveva ricordato. Suo malgrado, alle parole di Minwu, nella sua mente erano balenate le immagini di quella sera, piene di rosso, nero, arancio, marrone. I corpi dei suoi genitori quando li aveva trovati nella loro stanza erano marroni e neri. Guy, giovanissimo come lui, quando l’aveva afferrato per trascinarlo via dai cadaveri era vestito di rosso. Il villaggio in fiamme, il cielo, l’aria e il bosco erano arancio e nero e giallo. Perfino il fumo era color pece…
La voce del mago lo aveva riscosso da quell’orribile ricordo, senza però riuscire a frenarlo dal figurarsi, in un attimo fugace, l’immagine dell’artefice di quell’orrore. Firion, se l’era giurato, lo avrebbe ucciso.
Fu solo un secondo, tuttavia, un istante perso nella notte. Nel ritornare al presente il giovane si accorse di avere ancora il dito dell’altro sulle labbra, e si chiese quasi curiosamente se e quando l’avrebbe spostato. Non gli dispiaceva, la sua presenza, per quanto il corpo la stesse recependo come un tocco molto … intimo. Le mani di Minwu erano sottili e lisce, il palmo più chiaro rispetto alla pelle del dorso a causa della colorazione dalle note calde di quest’ultima. Aveva le dita lunghe e profumate, il genere di dita che non potresti mai figurarti all’interno di un corpo dilaniato, alla ricerca della punta di una freccia.
Ma perché stava pensando alle sue mani? Al suo profumo, poi?
D’istinto si ritrasse appena dal suo tocco, pur cogliendo la sfumatura triste che accarezzò le sue iridi blu in un guizzo, come la fiammella della candela alle proprie spalle.
Si guardarono in silenzio per un attimo, gli occhi di uno affogati in quelli dell’altro. E si accorsero entrambi che no, non volevano separarsi.
I loro visi si avvicinarono appena, nella penombra, fino a che il respiro del moro non gli aveva accarezzato le labbra socchiuse, lievemente accelerato, sì, ma in maniera del tutto diversa da prima.
Quando arrivò l’ennesimo tuono, questa volta, Minwu non tremò.

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E come poteva tremare, stretto contro al suo petto? Non lo aveva avvertito arrivare, lo aveva colto soltanto quando lo aveva avuto sotto ai palmi. Aveva sentito con chiarezza quasi dolorosa il calore della sua pelle ambrata, divisa dalla propria solo a causa della camicia decisamente troppo leggera. Aveva sentito il petto gonfiarsi e abbassarsi di nuovo nell’atto di respirare, il picchiettio rapido del cuore contro alla cassa toracica.
Cos’era successo, prima? Si erano guardati, qualcosa gli si era mosso dentro al petto, un fiotto caldo e incontrollabile. Ed erano ancora lì, adesso, sebbene gli occhi fossero quasi chiusi, sebbene si cercassero incerti, come a chiedersi perché fossero improvvisamente tanto vicini, perché sarebbe bastato un soffio per far unire quelle loro bocche.
Avrebbe voluto farlo, Minwu. Portare una mano fra i suoi capelli, senza più paura del temporale che imperversava fuori, chiudendo in un angolo i ricordi angosciosi; Poggiare la bocca sulla sua e portare via la propria innocenza, concedendosi per la prima volta di assaporare le labbra di un altro.
Eppure l’altro parve batterlo sul tempo. E in maniera decisamente più famelica.

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L’adolescenza è particolare. A seconda dell’individuo prende sfumature diverse, cambiandolo radicalmente. La situazione in cui il soggetto viene posto, poi, è fondamentale: quante sfaccettature incredibili può prendere, la natura umana, posta davanti ad una scelta da compiere!
Così era stato per Firion. Con gli occhi blu del mago addosso e le sue mani incerte contro al petto, si era ritrovato a dover scegliere. Fuggire, come mai faceva sul campo di battaglia e come eppure faceva ogni giorno, con la sfera affettiva? O abbandonarsi e basta, come gli dettava il cuore, colmando quegli stupidi, insulsi centimetri?
La risposta non era arrivata alla sua mente. Non in tempo perché potesse rifletterci.
Il suo corpo pareva essersi stancato delle sue lagnosissime congetture. Quando si accorse di ciò che stava facendo, la bocca di Minwu era giù contro alla propria, le proprie braccia si erano già andate a serrare attorno al suo busto, tirandoselo contro.
Sentì un brivido solcargli la schiena, un fiume in piena che lo travolse, quando dalle labbra del moro uscì un piccolo gemito, una sua mano che risalì la spalla per affondare fra i propri capelli, lasciati sciolti e insolitamente privi di bandana. Non fu più padrone delle proprie azioni quando spinse la sua schiena contro al materasso, scivolando su di lui con l’ausilio dei gomiti a sorreggerlo.

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Per quanto il movimento potesse sembrare irruento, nel suo complesso fu incredibilmente dolce. Firion agì con gentilezza, nonostante la rapidità con cui si mosse, scivolando sul suo corpo con attenzione, senza toccarlo troppo o troppo poco. Si era tirato su appena, con le braccia, per non schiacciarlo, mentre le loro bocche proprio non ne volevano sapere di staccarsi, ma che anzi si cercarono subito, dopo la piccola distanza necessaria a entrambi per riprender fiato.
Tuonò, fuori, lo scroscio della pioggia si fece violento contro alle imposte e il vento soffiò irato. In circostanze normali avrebbe preso a tremare convulsamente, perdendosi a pregare fino a che la paura non si sarebbe acquietata. Non successe.
Una mano di Firion afferrò la propria, intrecciando assieme le loro dita mentre ne premeva il dorso contro al materasso, in modo da poterla utilizzare come sostegno. Ricambiò la stretta, il giovane, socchiudendo appena gli occhi mentre l’altra mano, quella libera, si stringeva con un fremito fra le sue ciocche candide, le stesse onde d’argento che gli accarezzavano il collo e una spalla.
Cosa stavano facendo? Non lo sapeva, Minwu, e non era nemmeno certo che definirlo fosse importante.
Seppe solo che, sempre meno incerte, le loro mani e i loro occhi si fecero strada lungo la figura dell’altro. Bruciando la notte fino all’ultima goccia. Fino a che non rimase altro che un intrico incerto di pelle umida e bollente, le lenzuola avviluppate sotto di loro al pari dei loro corpi. E una miscela peccaminosa di gemiti persi nell’aria di quella stanza dalle pareti decisamente troppo colorate.

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La mattina li colse entrambi alla sprovvista, ancora esausti da ciò che avevano fatto. Il primo a svegliarsi fu Minwu, il quale, ancora scosso e in senso positivo, si era tirato a sedere contro alla testiera del letto, sentendo l’impalcatura dello stesso scricchiolare appena al movimento. Non immaginava i suoni che aveva prodotto la sera prima…
Firion si destò per secondo. Socchiuse piano gli occhi sotto alle carezze che il più anziano gli stava rivolgendo, regalandogli un piccolo bacetto sul palmo, pur non senza una buona dose di rossore.
Era successo per davvero? Avevano … fatto l’amore?
Firion non osò domandare, né parve volerlo fare il moro. I segni rossi che il ragazzo dagli occhi ambrati gli vedeva sul collo erano una prova bella e buona, ma lui non intendeva soltanto … dal punto di vista fisico.
Ci volle molto tempo, prima che entrambi riuscissero a parlare. Forse perché alla fine erano entrambi timidi, forse perché era accaduto tutto in fretta, all’improvviso, come un’esplosione non premeditata.
Ma quando Minwu lo fece, a Firion non servirono più risposte. Né per sapere cosa ne pensava il giovane, né per leggere i propri sentimenti.
«Credo che inizieranno a piacermi un po’, i temporali.»



   
 
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