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Autore: DARKOS    24/04/2016    1 recensioni
Roxas era ormai al terzo anno della Twilight Town University, l’accademia di prestigio della regione. Ormai un “veterano”, era anche la celebrità del campus: la storia di come avesse trionfato sul Consiglio Studentesco e sull’utopia di Xemnas neanche due anni addietro era ormai leggenda e tramandata a tutte le matricole. E come ogni leggenda, anche paurosamente gonfiata: lo stesso Roxas aveva addirittura sentito una versione secondo la quale lui aveva affrontato da solo tutti i tirapiedi di Xemnas in dieci diverse prove di abilità, per poi battere il capo stesso con eleganti mosse di judo. Non poté trattenersi dal ridere, primo perché lui non conosceva nemmeno il judo, secondo perché di sicuro non aveva fatto tutto da solo: era solo grazie ai suoi amici che se l’erano cavata.
Genere: Comico, Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
Capitoli:
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Tredicesimo Capitolo

Roxas percorreva un lungo corridoio bianco intervallato da finestre con le inferriate. Sapeva che il colore serviva a rilassare e a rendere sterile l’ambiente, ma non poteva non ricordargli il design del precedente Consiglio studentesco. O forse era l’idea dell’incontro imminente che gli faceva riaffiorare simili ricordi.
L’infermiera aveva osservato a lungo i loro permessi di visita prima di scortarli dal paziente. Sembrava turbata, come se in qualche modo stessero violando i protocolli, ma forse era solo severa.
“Stanza 113. Ecco. Cercate di non provocare alcun cambiamento, e se notate qualcosa di insolito avvertite un inserviente.”
Detto questo si dileguò, lasciando il gruppetto da solo e quindi già contraddicendo la sua seconda raccomandazione.
“Bene, entriamo.” Terra afferrò la maniglia e spinse cautamente la porta.
La stanza era abbastanza ampia e accessoriata con i comfort basilari, più qualcosina in più. Parecchi libri giacevano su un tavolo accanto a una scacchiera pieghevole, e accanto alla porta per il bagno c’era un piccolo scaffale con altri volumi. In un angolino c’era anche un piccolo televisore, ma era spento.
E accanto a una larga finestra che mostrava il giardino dell’istituto psichiatrico Lux in tutta la sua bellezza primaverile sedeva un giovane uomo alto e decentemente proporzionato, con dei capelli argentei appena più lunghi dell’ordinario.
Il precedente presidente del Consiglio, il figlio del Rettore e ex-nemico giurato dei Nobodies.

“Siete arrivati. Accomodatevi.” La casacca bianca della struttura non aveva privato Xemnas della sua solita autorità e del suo affascinante carisma, né la sua voce aveva perso potenza e abitudine al comando. Ma per chi lo conosceva vi era giusto una punta in più di gentilezza nel suo tono. Tutti presero posto su delle sedie pieghevoli che senza dubbio erano state preparate apposta.
Roxas sapeva che Xemnas non era pazzo: era relegato lì in parte per curare le sue manie di egocentrismo dopo che a causa di esse aveva trasformato il campus universitario in un sistema che favoriva l’ordine mentre distruggeva il diverso e in parte come punizione impostagli dal padre, che pur andandolo a trovare ogni giorno voleva essere sicuro imparasse la lezione. Sapeva tutto questo, ma solo perché gliel’aveva detto Xion. Lui non gli aveva mai fatto visita, e forse avrebbe dovuto: già la situazione era imbarazzante visto che i due erano stati nemici agguerriti, e ora c’erano anche più di due anni di vuoto!
“Avete risposto alla mia convocazione, e avete portato Roxas come da istruzioni. Perfetto.”
“Cosa?”
Aqua si ritrasse sulla sua sedia, mentre Terra si grattò il capo. “Scusa, amico. Il nostro incontro non è stato proprio accidentale, così come il chiederti di accompagnarci. Non volercene, ma ci era stato detto ti saresti rifiutato davanti a un invito diretto.”
“Giusto per chiarire, io non stavo fingendo quando dicevo di non coinvolgerti, spione.”
“Vanitas! Ora anche i nomignoli? Adesso non sei migliore di un qualsiasi bullo che… oh..”
Xemnas agitò pacatamente una mano per scacciare l’imbarazzo. “Non fa nulla. È giusto che chi ha commesso delle colpe si dimostri impassibile quando gli vengono ripresentate. Non è così, Roxas?”
Il ragazzo sapeva cosa intendeva dire. Stranamente continuavano ad avere quella strana sintonia. Rivolto ai ragazzi del Departure disse: “Dopo quello che ho fatto, non posso condannare chi mi tiene all’oscuro di qualcosa. So che agivate in buona fede.”
L’ex-Presidente annuì.
“Come riparazione a questo inganno, prima vorrei scambiare due parole con te in privato. Chiedo a voialtri di pazientare… no, non c’è bisogno che vi alziate. Qui ci sono modi per passare il tempo; andremo noi a farci una passeggiata.”

Passeggiarono tra i viali alberati, su un sentiero pieno di sassi levigati e piacevoli al tatto. Il posto era un istituto, ma Roxas pensò comunque che non era un brutto luogo dove rilassarsi. Poi però pensò che in effetti rilassarsi era l’unica cosa che si poteva fare: pochi pazienti avevano il permesso di lasciarlo anche solo per brevi periodi.
“L’aria aperta fa bene al cervello. È un dato scientifico dimostrato, eppure troppa gente ignora gli effetti benefici di una cosa così semplice.”
“Forse proprio perché è semplice. Oggi la gente è sempre di corsa e non ha il tempo di prendersi cinque minuti per rinfrescarsi le idee. Ritiene non ne valga la pena.”
“Giusta osservazione. Ritengo sia superfluo dirti perché ti ho voluto qui oggi, Roxas.”
“Difficile pensare sia qualcosa che non riguardi i Campionati.”
“Parzialmente corretto. Giacché i Campionati nello specifico non mi interessano, sono stati solo lo scenario degli eventi. Mi interessa parlare di te e delle tue azioni.”
Sembrava di sentire un padre fare la predica al figlio dopo essere venuto a sapere dei suoi errori.
Roxas deglutì. “Quanto sai?”
“Molto. Mia sorella viene spesso a trovarmi e a informarmi su ciò che accade, e ultimamente i suoi argomenti sono stati piuttosto… monotoni.”
Il biondino avrebbe voluto chiedergli cosa esattamente gli avesse detto, ma decise che non era il caso. Xemnas non l‘aveva chiamato per spettegolare. Ma ora era lui a dover mostrare un po’ di telepatia.
“Ora sono io a ritenere superfluo che tu ti sia preso tutto questo disturbo solo per criticarmi. A meno che tu non abbia un concetto della vendetta più superficiale del previsto.”
“Heh. No di certo. Le nostre lance si sono scontrate e tu ne sei uscito vincitore: non ho motivo di serbarti rancore. E credo tu ti sia già punito abbastanza.”
“Cosa intendi dire?”
Xemnas si fermò e lo fissò. “Roxas, intendi passare il resto della tua vita sulle panchine davanti alla fontana? Nutrirai ogni piccione della contea?”
L’ex-Presidente aveva ancora i suoi modi di reperire informazioni. Roxas capì solo ora che il loro era un incontro segreto e nascosto alla sua famiglia, il che spiegava l’atteggiamento nervoso dell’infermiera. Ansem e Xion non avrebbero mai saputo di questa loro discussione.
“Io… prima stavo andando alla stazione-“
“Tornare a casa. Ricominciare da zero. C’è chi lo chiamerebbe fuggire, e chi la definirebbe l’unica scelta sensata.”
“E tu?”
“Io lo chiamo tornare a casa perché trovo che affibbiare altri nomi ai concetti sia caotico e fuorviante. Ma qua non si tratta di me. Qua si tratta del ragazzo che con la sua eccentricità e metodi stravaganti ha trionfato sul mio impiego della ragione, e che ora sta invece decidendo di frenare il suo istinto e di lasciarsi paralizzare dal buonsenso.”
Roxas non capiva se erano complimenti o meno, ma capiva il messaggio. D’altronde già lo presumeva dall’inizio.
“Xemnas, ci ho provato. Ho agito come meglio credevo, e guarda i risultati. Sono stato sconfitto su tutta la linea: ho perso gli amici, la ragazza, la carriera, le morali. …Forse dovrei esserci io, chiuso qui dentro.”
“E tutto questo ti va bene?”
“Mi va bene. Mi va bene? Ovvio che non mi va bene! Sono stato completamente preso in giro, e nessuno mi conforta! Ho fatto cose orribili, quindi perfino ai miei occhi sono spregevole! Non ho nessun sollievo in questa situazione!” Il ragazzo tirò calci ai sassi e prese a pugni alcuni tronchi d’albero, dando sfogo a frustrazioni di mesi e mesi. Xemnas osservava impassibile.
“E la cosa peggiore, è che io vorrei tanto rimediare. A tutto: ai miei errori, chi ho deluso, la gente che mi disprezza… il non poterlo fare mi opprime e mi schiaccia a terra.”
“E chi dice che non lo puoi fare? Questo l’hai decretato tu.”
“Non hai sentito? Ho provato-“
“Hai provato, sì. Hai provato a fare il leader autoritario. Hai provato a decidere per gli altri e ha fare tutto da solo. Hai provato a essere me. Ciò che non ti ho ancora visto fare, è provare a essere te stesso.”
Ora erano entrambi immobili in mezzo ai sassi. Il sole si stava avviando nella sua parabola discendente.
“Roxas, tu non hai sequestrato Marluxia. Non hai disattivato i computer di Vexen. Non hai picchiato Xaldin e il suo squadrone, e non hai ingannato Xigbar. È stato il lavoro di altri, che hanno sfruttato al massimo le loro abilità individuali per garantirti la vittoria. E sebbene li trovi puerili e spesso discordanti fra loro, userò un proverbio e ti dirò che squadra che vince non si cambia. O meglio, la squadra è cambiata perché ora ci siamo io e te e gli altri ragazzi del Departure College… vedi? Questa proverbiale saggezza popolare è piena di falle logiche e altamente situazionale!”
“Xemnas, perché? Cosa ti spinge a tanto? Tu cos’hai contro Ephemera?”
“Tralasciando che ha privato di prestigio la mia vecchia scuola, nonché coperto d’imbarazzo letteralmente metà della mia famiglia? Non ti inganni, c’è di più. Ma ne parleremo a tempo debito. Per ora abbiamo abusato anche troppo della pazienza dei nostri compagni.”
Tornarono dentro l’edificio. “Non ti ho ancora detto se accetto o no.”
“I tuoi occhi non sono quelli di chi si è arreso. E non credo stai salendo le scale assieme a me per tenerti in forma.”

Erano di nuovo tutti assieme nella piccola stanza. Xemnas aveva fatto un riassunto generale della situazione e dei dati su Ephemera, sia per ripasso sia per coprire eventuali falle personali di chi non avesse tutte le informazioni. Ora voleva proseguire e discutere di un eventuale piano, ma Vanitas mostrò di nuovo le sue reticenze.
“Quindi ora ha accettato? Ha cambiato idea così all’improvviso, dopo aver visto chi era il nostro mandante? Molto sospetto.”
“Van…”
“No, lasciatelo parlare. È giusto dica quello che ha da dire.” Roxas voleva ormai risolvere quella faccenda.
“Vanitas, tu non ti fidi di me. Magari nemmeno ti piaccio. E lo comprendo: probabilmente nemmeno io mi fiderei di uno coi miei precedenti.” Il biondino ripensò alle sue prime impressioni su Riku e Sora. “No, sicuramente non mi fiderei. E non ti chiederò di fare qualcosa che non farei io. Ma se saremo in una squadra assieme, dobbiamo almeno collaborare, o allora sì che avremmo perso in partenza.”
“Il punto è proprio questo. Non voglio collaborare con te. Non ti voglio in squadra. Riconosco che non ha molto senso che tu sia in combutta con Ephemera. Ma ho visto cosa hai fatto ai tuoi migliori amici, e a noi ci conosci da.. .diamine, non ci conosci affatto!”
“Vanitas.” La voce calma di Xemnas sovrastò ogni altro rumore. “Tu sei un valido alleato. Comprendi il valore della fiducia, una virtù che io ho imparato ad apprezzare solo a caro prezzo. Tutti i miei subordinati mi hanno abbandonato appena persi il potere. Come te, anch’io so cosa si provi nell’essere tradito, e anch’io sono cauto nell’affidarmi agli altri. Ma ti manca la capacità di individuare altri che sono nella tua stessa condizione, anime affini alla tua. Non sono nemici, ma preziosi alleati. E Roxas, oltre a essere nella nostra stessa barca se non peggio, ci serve. Non posso fare a meno né di te né di lui.”
Vanitas tacque, chiaramente impressionato. Alla fine si rilassò sulla sedia e incrociò le braccia, mormorando. “Per ora va bene, ma lo terrò d’occhio. Se noto qualcosa di insolito…”
“Ti prego di farcelo sapere. E di non agire di tua iniziativa a meno che non sia davvero l’ultima opzione rimasta.
“Ora, torniamo al piano. Sapete ormai tutti di Ephemera e dei suoi Foretellers. Come vi ho appena illustrato, Ephemera è ora al comando non solo di alcune università, ma anche delle industrie di famiglia, una multinazionale all’avanguardia nel campo della scienza.”
“Insomma, Ephemera vuole attuare una specie di rivoluzione nel campo dell’educazione?” Chiese Terra infine.
“Non solo in quello, temo. Ha replicanti che sembrano perfettamente umani e capaci di apprendere ogni disciplina. Una volta perfezionati i prototipi avrà il mondo a portata.”
Vanitas sbuffò. “Sembra che stiamo contro il cattivo di un film d’azione. Ora ci insegnerete il kung-fu tramite un cd?”
“Non basterà un’arte marziale.” Roxas nutriva seri dubbi Xemnas avesse addirittura capito la battuta o la citazione. “Questo Ephemera è anche intelligente, molto. Non esagera quando si autodefinisce un genio, anche per i nostri standard. Ha previsto e interpretato correttamente ogni vostra azione, e immagino abbia perfino ipotizzato una vostra alleanza. Per questo non si è curato di sorvegliarvi dopo aver saputo del vostro abbandonare la scuola: lui ritiene che nulla di ciò che potete escogitare lo coglierà impreparato. Ma ignora un particolare.”
“E sarebbe?”
“Me. O meglio, forse ha pensato persino al mio coinvolgimento. Ma lui non sa che io so. Esiste una persona che possiamo contattare, anzi che DOBBIAMO contattare. Nessuno al di fuori di Ephemera penserebbe mai sia coinvolta in tutto questo.”
Roxas era confuso da tutta quest’aura di mistero. “Di chi stiamo parlando?”
“Non la conosci, e anche se ti spiegassi chi è o cosa fa non capiresti. Perfino sono risalito con difficoltà alla conclusione che mi fa capire il suo intervento sarà fondamentale. E non è nemmeno difficile da trovare. Anzi, il problema è proprio questo: so dov’è, ma è un posto difficilissimo in cui introdursi. Men che mai se cerchi questa persona.”
“Capisco. Quindi, come facciamo?”
“Non ne ho idea. Mai nel corso della mia vita mi è capitato di dover infrangere le regole. Non ho esperienza alcuna.”
“Scusate.” Chirithy prese pacatamente parola. “Si parla di infrangere le regole? Nemmeno io l’ho mai fatto.”
“Io neppure.”  Le fece eco Ventus, e così gli altri.
“Ero una studentessa modello fino a poco fa…”
“Posso sembrare intimidatorio, ma l’unica attività che pratico è quella sportiva. E anche lì rispetto religiosamente i codici di comportamento.”
“Mf. Abbiamo formato la congrega degli angioletti. …Non che io possa dire di meglio.”
Xemnas si rivolse a Roxas. “Tu sei l’unico qui che possa vantare un’esperienza più che discreta. Abbiamo le conoscenze nei vari campi, ma non riusciremmo mai a metterle in pratica da soli, non per questi fini. Dunque ci serve il tuo aiuto. Dobbiamo diventare dei delinquenti.”
Roxas osservò il gruppo riunito. Gli ricordò quando, una vita fa, aveva squadrato i ragazzi nella stanza 713 del campus: il gigante pacifico, l’esuberante ottimista, il tattico scontroso, e il leader che gli chiedeva aiuto. Non era cambiato molto a parte il fatto che le due ragazze, la geniale bellezza e la timida minuta erano già presenti e non si erano unite dopo.
Individui uniti da un intento comune, pronti a tutto per ricordare al mondo che il divertimento e la libertà d’espressione valevano più di qualche regola. I suoi nuovi Nobodies.
“Quanto tempo abbiamo?”
“Per il piano che ho progettato, il VIP ci servirebbe entro un paio di settimane al massimo.”
Roxas sorrise. “Me ne basta una.”
   
 
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