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Autore: alessandroago_94    25/04/2016    12 recensioni
Antonio Giacomelli è un ragazzo molto timido e introverso, a cui piace trascorrere i pomeriggi suonando il pianoforte. Vive una vita assolutamente normale fintanto che viene a contatto con una famiglia, la famiglia Arriga. E da quel fatidico momento, da quando ha modo di incontrarsi per la prima volta e di scontrarsi con uno dei suoi tre componenti, la sua vita cambierà per sempre, poiché sarà proprio quella stessa famiglia Arriga, assieme ai pesanti segreti che porta con sé, a sconvolgere e a cambiare la sua esistenza, tra immensi drammi e gioie inaspettate.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 5

CAPITOLO 5

 

 

 

 

 

La casa di Alice era un’abitazione molto semplice, come tante di questa stessa cittadina, ma era davvero spaziosa al suo interno, più di quanto potesse sembrare se vista dall’esterno. La padrona di casa non mi aveva fatto attendere, e molto probabilmente già mi aspettava, poiché non appena avevo suonato il campanello, lei aveva spalancato subito la porta e mi aveva cortesemente fatto entrare, per condurmi nello spazioso soggiorno su cui si affacciava il corridoio d’ingresso.

‘’Sei davvero molto timido. Più di quanto credessi’’, mi disse subito Alice dopo avermi accolto in casa, notando i miei movimenti impacciati.

A quelle parole arrossii in modo molto veemente, poiché ritengo che nessuna situazione ponga più in imbarazzo di quella in cui qualcuno ti fa notare proprio il tuo stesso imbarazzo.

Io sorrisi, naturalmente, ma sempre restando il solito ragazzino impacciato. La mia nuova amica ridacchiò, guardandomi.

‘’Non volevo farti arrossire così tanto, giuro. Comunque, con me puoi stare tranquillo… rilassati’’, mi disse Alice, arrossendo leggermente anche lei. Ci guardammo a vicenda e scoppiammo a ridere, ormai consapevoli del fatto che entrambi avevamo un’indole piuttosto timida.

‘’Accomodati pure su una delle poltroncine, ti porto qualcosa da mangiare’’, mi disse poi cortesemente, indicandomi con un dito le quattro poltroncine posizionate tutte una a fianco dell’altra a lato della finestra del soggiorno, proprio dietro ad un magnifico ed elegante tavolino di legno, che faceva un figurone nella stanza. Non feci in tempo a dirle di non scomodarsi, poiché era già sparita, certamente diretta in fretta verso la cucina.

Sospirando, e temendo che la mia ansia da ragazzo timidissimo tornasse a prendere il sopravvento su di me, mi andai a sedere proprio dove la mia coetanea mi aveva consigliato di fare, scegliendo una poltroncina di lato alle altre, scoprendone tutta la sua comodità e abbandonando il mio zaino a terra.

A momenti rischiai di chiudere gli occhi e di lasciarmi sfuggire un sorriso beato e rilassato, ma la padrona di casa tornò a piombare nella stanza, stringendo a fatica un sacchetto di patatine e una bottiglia di aranciata nella mano destra, mentre la sinistra era alle prese con due bicchierini di plastica impilati.

Sorrisi quando notai che, con difficoltà, posizionava tutto sul tavolino, offrendomi un bicchiere con attenzione.

Poi, nel soggiorno entrò anche un’altra ragazza, e quasi sobbalzai.

‘’Oh, questa è Jasmine, ma sicuramente sai già chi è… spero che tu non ne abbia per male se ho invitato anche lei. Passiamo molto tempo assieme, e se non lo sai siamo anche migliori amiche’’, disse Alice, sedendosi sulla poltroncina a fianco della mia.

‘’Non c’è problema, ci mancherebbe’’, risposi, sorridendo timidamente.

Sapevo chi era Jasmine, anche perché era impossibile non notarla; la sua altezza impressionante, unita alla bellissima pelle color ebano e a un sorriso splendente, la rendeva davvero unica nel liceo che frequentavo. Jasmine era una ragazza molto diversa da Alice, sia per l’aspetto fisico che per quello relazionale.

Tutti conoscevano la sua storia. Figlia di un impiegato e di una casalinga di origini senegalesi, era da anni una delle ragazze più conosciute della scuola, poiché era anche una grandissima sportiva e inoltre, cosa più rara ma davvero apprezzabile da chiunque, era sempre pronta a sorridere. Anche in quel momento, mentre mi fissava, mi sorrideva. I suoi denti bianchi rilucevano come fossero splendidi diamanti, e penso che quella fu la prima volta che mi colpì così tanto la sua presenza.

‘’Ciao, Antonio’’, mi disse poi, sempre senza smettere di sorridere e sedendosi anche lei.

‘’Ciao, Jasmine’’, le dissi, sempre in modo molto timido.

Mi sentivo in imbarazzo, non lo nascosi affatto. Non avevo mai parlato con Jasmine, nonostante il fatto che a volte ci incontrassimo nei corridoi o davanti alle nostre aule. Quel pomeriggio era pieno di novità per me, e anche solo ventiquattrore prima non avrei mai potuto immaginare di finire in quella casa, per incontrarmi amichevolmente con le due ragazze che formavano uno dei gruppi più conosciuti di tutta la scuola.

Sapevo che Jasmine e Alice erano grandi amiche, e anche se non frequentavano la stessa classe si incontravano assiduamente durante il breve intervallo. Eppure, non potevano esistere al mondo ragazze più diverse, poiché il modo di vestire estremamente alla moda di Jasmine si scontrava violentemente con il solito stile casual e non appariscente di Alice, eppure, anche se esteriormente distanti anni luce l’una dall’altra, le due ragazze parevano andare d’accordo. Molto d’accordo.

A quel punto, la padrona di casa voleva assolutamente togliermi dall’imbarazzo, e con uno sguardo tranquillo afferrò un libro da una borsa a tracolla abbandonata miseramente sul pavimento tra le poltroncine, che la mia ansia non mi aveva permesso di notare fino a quel momento, e lo aprì.

‘’Beh, Antonio, hai portato qualcosa su cui studiare?’’, disse, timidamente. Effettivamente, lo studio non era un gran argomento su cui dibattere, però quella semplice domanda ruppe il silenzio carico di timidezza che era stava opprimendo la stava.

‘’Sì’’, risposi, sorridendo e aprendo il mio zaino, già pronto ad estrarre il libro di scienze. In quegli stessi giorni era iniziato il primo giro di interrogazioni, ma per fortuna non ero ancora stato chiamato dall’insegnante. Per di più, quell’ultimo anno di superiori mi ero davvero ripromesso di cercare di studiare e di fare del mio meglio, per cercare di portare a casa qualche soddisfazione per me stesso e per mia madre, che tanto se la meritava.

Con solerzia, ne approfittai per affondare lo sguardo tra le varie pagine, sperando di riuscire a concentrarmi anche se qualcuno mi stava osservando. Ero davvero molto timido, e così come non riuscivo a suonare con gente di fronte a me, non riuscivo neppure a studiare se sottoposto allo sguardo di altri.

Eppure, m’immersi rapidamente nella lettura, ma la mano di Alice scivolò sulla pagina, costringendomi quindi a uscire in fretta dal mio blando momento di concentrazione.

Alzando lo sguardo, la fissai come inebetito, mentre lei si accingeva a parlarmi e si stava prendendo un momento quasi come per riflettere, come se avesse avuto qualcosa di talmente importante da dirmi per cui doveva cercare le parole più adatte per esprimerlo.

Osservai anche Jasmine, con la coda dell’occhio, e potei notare il suo sguardo consapevole. In meno di un secondo, potei già immaginare quale fosse l’argomento che si stava per affrontare.

‘’Antonio, lei sa tutto. Come me ha visto ciò che ti è accaduto questa mattina’’, iniziò a dire Alice, indicando con lo sguardo Jasmine, che annuì lentamente. Alzai subito la mano destra con risolutezza.

‘’Non voglio più parlarne’’, dissi, in modo diretto. Non volevo ripensare a quei momenti orribili.

‘’Beh, sappi che con noi puoi confidarti e trovare conforto. Ti vediamo sempre solo a scuola, e questo ci dispiace. Se vuoi unirti a noi durante l’intervallo, e passare quindici minuti in compagnia, sai dove trovarci, immagino’’, tornò a dire la ragazza, che comunque parve non voler tornare direttamente sul discorso appena sfiorato poco prima. Annuii, poco convinto.

‘’Quel nuovo arrivato sa metterti nei guai. Dev’essere un bullo, un prepotente. Ho visto fin da subito come si comporta e con quale arroganza si muove tra gli altri ragazzi… è appena arrivato eppure ha già saputo compiere gesti atroci e mettersi in mostra’’, disse Jasmine, parlandomi per la prima volta.

Io mi limitai ad abbassare lo sguardo, senza avere altro da aggiungere. Effettivamente, la ragazza aveva ragione. Da quando era arrivato, Federico era stato in grado di attirare su di sé l’attenzione di tutti, e non solo a scuola, ma anche a casa. Pure mia madre pareva incuriosita da quell’aura sfrontata che sprigionava.

Mi venne in mente infatti che anch’io, la sera prima, subito dopo averlo visto avevo iniziato a pormi delle domande, capendo che era strano e che forse dietro alla sua figura silenziosamente opprimente e maleducata poteva nascondersi qualcosa. Di certo, si nascondeva qualche ostilità rivolta verso di me.

‘’Ecco, noi ti vogliamo dire che… non sei solo, se lo vuoi. Sei un ragazzo delicato ed altruista, anche intelligente, e se vorrai unirti al nostro gruppo, sarai ben accetto. Noi siamo in due, però ci supportiamo molto… beh, se vuoi, noi due per te ci saremo sempre, e ovviamente saremo pronte a darti man forte in caso di bisogno. Se non ti vergognerai di far parte di un gruppo composto da altre due componenti di sesso femminile, naturalmente’’, concluse Alice, con difficoltà.

Io la guardai ma non dissi nulla, in un primo momento. Avevo notato due aspetti distinti in ciò che mi aveva detto; di certo, sia lei che Jasmine dovevano aver parlato di me precedentemente, e dovevano aver deciso di provare ad affiancarmi. Inoltre, la frase finale con cui aveva concluso il suo discorso frammentato da alcune piccolissime pause era stato pronunciato con un po’ di irritazione, quasi a volermi accusare o far passare per misogino.

Dovevo rispondere, e lì per lì mi soffermai un altro istante a riflettere, poiché se da una parte la loro alleanza e la loro vicinanza mi avrebbe fatto comodo, offrendomi comunque due amicizie per il momento sincere e pronte a togliermi un po’ dalla mia solitudine in cui ultimamente mi ero calato, dall’altra mi faceva sentire ridicolo.

Non per piccoli particolari, ma per il fatto che sembrava che, con quell’invito così frettoloso ma tremendamente studiato, entrambe volessero prendermi sotto le loro ali protettrici come si fa con una persona pietosa. E io di pietà non volevo proprio smuoverne in nessun cuore.

Le mie interlocutrici notarono la mia mancata risposta e i miei tentennamenti, e dopo essersi lanciate un’occhiata a vicenda, sembravano perdute. Mi chiesi se fosse stato possibile che non avessero potuto prevedere un mio tentennamento, e capii che forse mi avevano davvero preso sottogamba, credendomi sciocco o comunque uno sfigato, come probabilmente pensavano tutti. Per un secondo, un’irrazionale nervosismo prese vita dentro di me, per poi dissolversi altrettanto in fretta.

Improvvisamente, come un fulmine a ciel sereno, riuscii ad intendere le buone intenzioni delle due ragazze, continuando a notare le loro occhiate cariche di sincera ansia, e comunque decisi di dar loro una chance e di provare a fidarmi. D’altronde, non avevo nulla da perdere e non mi sembravano persone scorrette. Esse stesse stavano davanti a me in evidente apprensione, senza mostrare alcun segno di volermi prendere in giro o di raccattarmi per pietà.

Sorrisi all’improvviso, squarciando il velo di flebile tensione che era sceso sulla stanza, poiché ero certo che le mie interlocutrici pensavano che non avessi inteso ciò che volevano dirmi o che comunque io non volevo lasciarmi avvicinare così facilmente.

‘’Va bene, ragazze. Grazie per avermi offerto un appoggio’’, dissi, rassicurandole ma non promettendo null’altro.

Jasmine e Alice sorrisero anch’esse, e tuttavia poi non chiesero più nulla e non tornarono sull’argomento.

Studiammo per l’intero pomeriggio, senza sosta, a volte passandoci i libri ed interrogandoci a vicenda, ma senza più affrontare vicende maggiormente personali. Così, trascorse in fretta il primo pomeriggio in compagnia di quelle che poi sarebbero diventate per davvero le mie nuove amiche.

 

 

Era già sera inoltrata quando tornai a casa.

L’aria fresca degli ultimi giorni di settembre era pungente, e velocizzai il mio passo pur di rientrare in fretta e di non infreddolirmi. Non volevo ammalarmi, ma tuttavia dovetti anche ammettere che al solo pensiero di dovere rincontrare Federico mi faceva sentire male. Speravo che se ne fosse andato, e che magari si trattasse solo di un semplice incubo, ma sapevo che quel mio coetaneo era reale.

Entrai in casa di soppiatto, e quasi scivolando mi affrettai a rintanarmi nella mia piccola saletta, in compagnia del mio pianoforte. Faceva caldo lì dentro, e scoprii che mia madre doveva già aver acceso il riscaldamento.

Mi guardai ancora un po’ attorno, prima di dirigermi verso il mio strumento.

Di Roberto non c’era più alcuna traccia, se non un giornale abbandonato sul tavolino di fronte alla poltrona. Quasi dispiaciuto, mi avvidi di gettare nuovamente a terra(e con tanta malagrazia) il mio zainetto, togliendomi poi anche in fretta il cappotto e mi catapultai come un rapace sul mio pianoforte, saggiandone prima di tutto i tasti.

Iniziai solo con un assaggio, una sorta di riscaldamento che avrebbe poi permesso alle mie dita di essere meno rigide quando avrei affrontato una sinfonia seria. Eppure, udii distintamente la porta mentre si apriva.

‘’Antonio!’’.

La voce stridula di mia madre mi riportò al mondo reale, fatto di persone che forse parlavano troppo e nei momenti meno appropriati. Ammetto che mi voltai verso di lei con una smorfia irritata ben impressa sul volto.

‘’Dimmi, mamma’’, dissi, sospirando.

Ero stanco e sfinito, non mi andava di ascoltare ciò che il mio unico genitore aveva da dirmi, e in quel momento non mi sarebbe affatto dispiaciuto liquidarla in fretta per poi riprendere il corteggiamento rivolto alla tastiera del mio pianoforte. Poiché tuttora sono convinto che i piccoli tasti siano come le donne; se non le si sfiorano con amore sincero, esse non ti vorranno mai accanto per più di un battito di ciglia. E per i tasti era uguale, poiché se non si riusciva a sfiorarli con la giusta e amorevole ispirazione, essi poi non avrebbero mai prodotto la sequenza rapida di suoni e di note che si volevano ricreare.

‘’Sono un po’ preoccupata per te. Il signor Roberto mi ha detto che sei uscito per andare da qualche amica e che saresti tornato per cena, quindi non mi sono preoccupata molto, ma anche lui ha notato che quest’oggi ti sei comportato in modo strano… c’è qualche problema?’’, mi chiese poi mia madre, visibilmente preoccupata.

Mi vergognai per aver mostrato una smorfia scocciata, d’altronde lei voleva e cercava solo il mio bene.

Mi preparai quindi per risponderle con grande remissività, ma comunque sapevo già dal retrogusto amaro dei miei pensieri che le avrei mentito.

‘’No, è tutto a posto. È solo che oggi ho conosciuto due ragazze, con le quali ho studiato fino a poco fa. Nessun problema’’, le risposi, sorridendo debolmente. Non volevo che lei si preoccupasse ulteriormente per me, e non avevo affatto intenzione di raccontarle del mio scontro con Federico. Non volevo neppure che quella notizia giungesse fin dentro casa, poiché molto probabilmente il nuovo e bruto inquilino doveva aver reagito così spropositatamente solo perché magari quel primo giorno di scuola nel paese doveva averlo reso nervoso.

Per un po’, giusto il tempo necessario per rassicurare mia madre, mi autoconvinsi di ciò, raccontandomi una grande fandonia che rendeva tutto molto più dolce.

Infatti mia madre sorrise, rassicurata dalle mie parole.

‘’Bene, ero davvero un po’ in pensiero per te, e sono felice che tu abbia trovato qualche nuova amica. I nuovi affittuari hanno già cenato, e anch’io l’ho fatto dopo di loro. Ora andrei a riposarmi, sono davvero sfinita… ti ho lasciato un po’ di arrosto nel tegame, ancora caldo sui fornelli. Se vuoi…’’.

‘’No, mamma, non preoccuparti. Vai a riposare. Più tardi cenerò, ora ho bisogno di suonare un poco’’, le risposi, continuando la frase che aveva lasciato in sospeso. Lei teneva molto a me, e avrebbe compiuto pure i tripli salti mortali per accudirmi al meglio, e molte volte mi chiedevo se ero io stesso a volerla vedere a volte così lontana da me.

Era sempre stata poco presente nella mia vita, ma semplicemente perché lavorava tantissimo. Ogni sua lacuna aveva in realtà una solida risposta basilare che a volte non volevo riconoscere, forse per estremo egocentrismo, ma stava di fatto che lei mi voleva davvero bene. Tutto il resto era solo un problema mio.

La mia cara mamma mi lasciò lì, chiudendo la porta con delicatezza dietro di sé e senza smettere di sorridere.

Sorrisi anch’io e scrollai la testa, non appena mi ebbe lasciato solo, e spensi la luce emessa dal lampadario per accendere l’abatjour seminascosta in un angolino della mia saletta, in modo da illuminare parzialmente la stanza.

Poi mi risiedetti alla mia postazione di poco prima e con delicatezza cominciai finalmente a suonare.

L’ambientazione per perfetta per me, mi sentivo nel mio habitat naturale nonostante la penombra che costantemente m’insidiava da ogni lato e le ombre frettolose che io stesso imprimevo sui muri con i miei gesti in controluce.

Già dopo qualche istante la mia vista si fece flebile e sfocata, sia a causa della stanchezza accumulata durante il giorno sia per via di quella soporifera penombra che incitava i miei sensi ad abbandonarmi miseramente, e ben presto mi trovai a chiudere gli occhi e muovermi sinuosamente e quasi automaticamente sulla tastiera del mio strumento, cadendo in una sorta di ecstasy indotta dal mio crescente senso di rilassatezza e sonnolenza.

Suonare il pianoforte per me era da sempre fonte di calma e tranquillità. Ero come unito da un legame mistico e trascendentale al mio strumento musicale, mi sentivo in sintonia con lui e in quei momenti così tranquilli quasi rischiavamo di divenire un tutt’uno.

E proprio in quell’istante udii riaprirsi la porta di quello che ormai si era tramutato nel mio nascondiglio, dove mi rintanavo in cerca di pace, ma che purtroppo ultimamente stava venendo violato un po’ troppo.

Ebbi il timore che si trattasse di Federico, ma fui sfiorato solo per un istante da quel simile dubbio, poiché udii i passi lenti e calibrati che da qualche giorno ormai avevo imparato a riconoscere molto bene. E, mentre nella stanza aleggiava la mia musica, che cercavo comunque di mantenere calibrata per non fare eccessivo baccano, una mano si posò sulla mia spalla.

Sentendone la sua stretta rilassata e il suo calore, mi fermai di colpo, ma rimasi con gli occhi socchiusi e non mi girai a guardare l’intruso. Volevo che fosse lui a parlare per primo, visto che mi aveva interrotto.

‘’E’ tardi, Antonio. È ora di andare a riposare’’.

La voce di Roberto mi giunse come una melodia alle mie orecchie, già sfinite dalla musica che avevo suonato fino ad un istante prima.

‘’E’ tardi e non ho ancora cenato’’, sospirai, quasi sobbalzando e tornando nel mondo reale. Mentre il mio stomaco cominciava a brontolare rumorosamente, accompagnato dalla consapevolezza di aver perso la cognizione del tempo, quasi mi gettai a spegnere l’abatjour e ad accendere la luce del lampadario.

‘’Sono le ventidue’’, mi disse il mio interlocutore, restando fermo nel mezzo della stanza e facendomi notare l’ora, e mi venne davvero da emettere un rantolo disperato. Erano passate almeno due ore da quando mi ero messo a suonare, era già piuttosto tardi e dovevo ancora cenare, preparare lo zaino per l’indomani mattina, fare una doccia e poi dormire un poco.

Non volevo andare a letto tardi, quindi avrei dovuto darmi una smossa fin da subito. E fu quello che feci.

Raccolsi il mio zaino abbandonato a terra, lo tenni stretto tra le mani e controllai che fosse tutto a posto nella stanza, per poi spegnere la luce.

Roberto mi era venuto dietro, e poi si era diretto prontamente verso la cucina mentre io chiudevo la porta del mio rifugio con un giro di chiave. Non si poteva mai sapere cosa sarebbe accaduto in una casa durante la notte, soprattutto con qualche sconosciuto che si aggirava tra le sue mura.

Mi fidavo di Roberto, ma non riponevo alcuna fiducia in Federico, e la signora ancora non avevo avuto modo di conoscerla per bene. Nel dubbio, la stanza sarebbe rimasta chiusa a chiave durante la notte.

Lentamente, mi mossi verso la cucina, preparandomi a scaldare la mia tardiva cena e sperando che non mi restasse tutta sullo stomaco.

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Buongiorno, carissimi lettori, e buon inizio di settimana a tutti voi.

Spero davvero che il racconto continui ad essere di vostro interesse. Mi rendo conto che la narrazione non è un granché, ma comunque questo è pur sempre un racconto introspettivo, scritto principalmente per mostrare il fluire dei pensieri del protagonista e le situazioni che lo coinvolgono. Spero che la trama non vi annoi, e comunque vi assicuro che ne vedremo di tutti i colori, attraverso gli occhi di Antonio.

Grazie infinite a tutti coloro che si sono soffermati finora a leggere la storia e a sostenerla con i loro preziosissimi pareri. Siete la mia forza!

Grazie di cuore per tutto! A lunedì prossimo J

   
 
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