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Autore: ElaineAnneMarley    28/04/2016    1 recensioni
È il primo giorno d’estate e Agata viene avvicinata da un ragazzo dall’aria smarrita. È la prima volta che incontra qualcuno di Levante, il continente al di là delle montagne. Lui ha i tratti tipici dei levantini: la pelle olivastra e gli occhi a mandorla. Gli occhi. Occhi di un colore simile non esistono, neanche a Levante. Sono di un blu intenso con scaglie ambrate e sembrano racchiudere la storia del mondo.
«Ti ho trovata» e il ragazzo lascia andare un sospiro di sollievo «appena in tempo.»
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 22

PONENTE, 5 ANNI E 351 GIORNI FA – Gli scavatori del deserto

 

La prima giornata di lavoro era stata traumatica per entrambi. Si erano calati con una corda in una buca del diametro di neanche un metro e mezzo. La roccia era friabile e gli scavatori utilizzavano un picchetto e un pennello di pelo ruvido per frantumare delicatamente la roccia e pulire i fossili. I detriti andavano raccolti in un pesante secchio di legno che una volta pieno svuotavano in superficie. La cavità era illuminata da una lampada a olio appesa alla corda. L’aria era rarefatta e di un’umidità gelida, ma Agata, al contrario degli altri scavatori, indossava solo una maglia smanicata, perché lavorare vicino a Tseren era come stare accanto a una stufa. Le prime due ore erano state alquanto imbarazzanti per la ragazza, per via della prossimità. In quello spazio angusto era impossibile non sfiorarsi. Agata sobbalzava ogni volta che lui la urtava, ma al tempo stesso era lei a cercare il contatto se passavano troppo tempo senza toccarsi. Dopo un po’ i due decisero che la posizione più comoda per lavorare era schiena contro schiena. Agata poteva sentire le scapole di lui alzarsi e abbassarsi a ogni respiro. Quelle scapole da cui, la settimana di luna nuova, spuntavano un paio di ali artigliate.
Dopo solo una giornata, Agata si era abituata al ritmo di lui. E nonostante il tipo di lavoro fosse disumano, la ragazza fremeva per quelle ore di intimità forzata con il levantino.
Tseren si sobbarcava le attività più faticose, era lui a fare su e giù per issare il secchio pieno di scarti o perforare con forza le rocce più dure. Quando trovavano un fossile, Agata si occupava di rimuoverlo delicatamente e pulirlo. Lo riponeva poi con cura in un sacchetto che teneva appeso alla vita e che il capo passava a ritirare due volte al giorno, durante la pausa di metà giornata e a fine turno.
Era loro permesso interrompere il lavoro per pranzare. I due ragazzi si sedevano sul bordo della buca e divoravano le focacce di frumento e le strisce di carne essiccata che ricevevano quotidianamente dalla proprietaria della locanda dove alloggiavano. Per quanto amasse trascorrere quei pochi minuti in superficie, dopo le lunghe ore sottoterra, Agata era diventata presto intollerante a tutta quella polvere. Se la sentiva in bocca quando masticava, negli occhi dall’istante in cui gli apriva ogni mattina, tra i capelli e sui polpastrelli delle dita costantemente. Non sopportava inoltre non potersi lavare quando voleva, ma solo durante il suo turno ogni due giorni. Non c’era molta acqua disponibile nell’oasi e nonostante gli scavatori avessero il diritto a sciacquarsi più frequentemente degli altri, Agata detestava dover andare a letto completamente coperta di polvere un giorno sì e uno no.
 
Un giorno che la ragazza sembrava più esasperata del solito, Tseren decise di mostrarle il suo posto preferito. Il Drago aveva trovato un punto sul fiume dove alcuni alberi malnutriti si alzavano timidamente verso il cielo. Tseren prese ad arrampicarsi su quello più alto e si volto per tendere la mano ad Agata. Lei lo guardò titubante.
“Non-non sono molto agile…” balbettò.
“Lo so” ghignò lui, “ma io lo sono per due…” e allungò la mano insistentemente.
La ragazza strinse la presa e salì ramo dopo ramo ripercorrendo i passi di lui. Un paio di volte rischiò di scivolare, ma Tseren la teneva saldamente. La fece sedere a cavalcioni su uno dei rami più robusti, mentre lui salì fino in cima. Era una giornata senza vento e la polvere non raggiungeva quell’altezza. Agata respirò a pieni polmoni, per la prima volta da quando erano arrivati. Inspirò ed espirò finché non fu sazia di quell’aria pulita. Tseren la lasciò respirare in tutta tranquillità e si pentì di non averla portata lì prima; per quanto la ragazza non si lamentasse spesso, quello stile di vita era piuttosto faticoso persino per lui, che aveva una forza fisica di molto superiore.
 
Il momento della giornata che Agata preferiva era la sera. Il deserto polveroso di Ponente era probabilmente l’area più multietnica dei due continenti. La voce dei sostanziosi guadagni derivanti dalla ‘corsa ai fossili’ si era diffusa e aveva richiamato levantini e ponentini dallo spirito imprenditoriale o dall’appetito vorace per soldi veloci. Il risultato era un calderone di culture e personalità variegate. Un contesto di questo tipo era perfetto per le aspirazioni di mediatrice culturale di Agata, che cercava di chiacchierare con più persone possibili. In quei giorni scoprì una serie di cose interessanti sulla Setta degli Audaci e si rese conto di come la versione dei fatti che giungeva tramite i canali ufficiali tra Ponente e Levante era ben lontana dalla realtà. Il governo di Levante non aveva mai avuto veramente il controllo del continente, ma negli ultimi anni si era fatto ancora più debole e in alcune zone aveva perso qualsiasi tipo di influenza. La zona costiera era stabilmente sotto il dominio della Setta, mentre la zona paludosa risentiva fortemente della presenza massiccia di cantieri della Setta, così venivano chiamate le sedi, e l’opinione generale era che presto le mire sulle altre zone di Levante sarebbero venute allo scoperto.
La maggior parte dei levantini con cui Agata ebbe l’occasione di scambiare due chiacchiere non aveva un parere positivo sulla Setta degli Audaci, la ragazza percepiva come un sottofondo di paura. Nessuno voleva ammettere di essere spaventato da quello che accadeva dietro le porte chiuse dei cantieri, ma il sentimento emergeva di tanto in tanto dietro ai pareri politici e le considerazioni razionali.
Altrettanto confusi erano i pareri sulla Fondazione Scientifica Internazionale, Agata si stupì del fatto che nonostante la FSI fosse nata e cresciuta a Levante, la gente dell’altro continente sapesse così poco a riguardo. Era come un’isola avvolta in una nebbia di oscurantismo e la ragazza si ritrovò a pensare che le masse di Levante fossero volutamente mantenute nell’ignoranza.
 
Più di uno scavatore ronzava intorno ad Agata, non c’erano molte donne alla locanda e la ragazza, con il suo modo di fare distaccato ma al tempo stesso socievole, e una freschezza data da una femminilità non costruita, riscuoteva un certo successo tra le file dei lavoratori. Così come era accaduto alla festa di fine anno, Tseren non sembrava amare il fatto che altri uomini prendessero confidenza con Agata, ma la ragazza non era sicura si trattasse di gelosia. Le sembrava più un meccanismo di difesa dovuto al fatto che il Drago non voleva che qualcuno si inserisse nel legame con la propria Ascendente.
“Ma non è un po’ troppo protettivo? Pensavo foste parenti…” disse una sera Cirino, uno degli scavatori con cui Agata trascorreva più tempo.
“Sì, siamo lontani parenti” confermò la ragazza.
“Eppure c’è come una vibrazione tra voi due!” Prima era entrata nella conversazione con non curanza. “Sei sicura Aghi? Quindi sono libera di provarci con Tseren? Non ho mai visto un ragazzo così attraente… saranno quegli occhi blu… avete notato che è come se avesse degli schizzi ambrati? È da togliere il fiato…” e la ragazzina chiuse con uno scatto il libro che stava leggendo e cominciò a cercare il levantino tra la folla. Senza aspettare la risposta di Agata, appena lo ebbe individuato si precipitò a raggiungerlo.
Agata si mangiucchiò un’unghia vedendola prendere Tseren sottobraccio, ma se ne pentì immediatamente sentendo il sapore acre della polvere in bocca. Cirino le porse un bicchiere d’acqua non appena cominciò a tossicchiare.
“Non so cosa intende con vibrazione…” ghignò lo scavatore, “ma sono d’accordo, c’è qualcosa che non torna…”.
Tseren si liberò subito dalla stretta di Prima, guardò nella loro direzione e incenerì con lo sguardo Cirino. Agata sospirò perché era più o meno la stessa scena che si ripeteva ogni sera da una settimana a quella parte. Ringraziò l’altro ragazzo per l’acqua e prese in mano il libro che Prima stava leggendo poco prima.
   
 
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