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Autore: Emmastory    29/04/2016    1 recensioni
La bianca lupa Runa, ora protetta dal suo branco e da un amore che non cesserà mai di esistere, continua il suo viaggio alla ricerca delle sue radici. Ne è completamente all'oscuro, ma gli umani, odiati dal suo intero branco, potranno un giorno rivelarsi la chiave del mistero che tenta di risolvere. Lei ha fiducia in loro, e muovendosi controcorrente, ignora i pregiudizi che circondano tali creature. (Seguito di Luna d'argento: Primordio notturno)
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Luna d'argento'
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Capitolo XIV

Tracce di verità

Imitando le azioni compiute nel giorno della mia nefasta fuga alla ricerca della salvezza, correvo. Mi muovevo con velocità inaudita, e annusando costantemente l’aria, erravo senza una meta precisa. Improvvisamente, un colpo di fortuna, che unito ad un ricordo, mi spinge a cambiare idea. Ora come ora, non desidero altro che tornare dalla mia amica Saskia, controllare come sta e avere sue notizie. Il mio viaggio alla volta del suo paese natio continua, e ogni passo mi avvicina alla mia meta. Il suo odore permea l’aria umida di nebbia, e seppur lentamente, la mia gioia aumenta. Finalmente la rivedrò, e con me ci sono anche i miei figli. Continuando a correre, lascio che i miei pensieri si muovano liberi all’interno della mia mente, e mentre il tempo non fa che scorrere, i miei ricordi fanno ritorno, più vivi e nitidi che mai. King e Cora mi seguono, ma Murdoch si rifiuta categoricamente. “Io non vengo.” Afferma, sedendosi e non accennando a muovere un singolo passo. “Dovete venire entrambi, lei è diversa.” Rispondo, posando il mio fermo sguardo su di lui. “Quella ragazza è umana, non diversa.” Continua, mostrando i denti e sentendo la rabbia crescergli dentro. Fissandomi, ringhia, e avvicinandomi con fare autoritario, gli impedisco di proferire parola. “È mia amica, e potete fidarvi.” Concludo, concentrandomi nuovamente sul sentiero che percorriamo ed evitando di guardare negli occhi i miei figli. I passi di Murdoch sono lenti ma decisi, e la sua postura tradisce insicurezza. A quanto pare, ha capito di aver sbagliato, e con un debole uggiolio, non cerca e chiede che il mio perdono. “Va tutto bene.” Sussurro, tornando a guardarlo e regalandogli un debole sorriso. I minuti scorrono lenti come il nostro cammino, e alzando lo sguardo, capisco di aver finalmente raggiunto la mia tanto agognata e bramata meta. Di fronte a me il villaggio di Saskia, che appare irrimediabilmente diverso, come svuotato della luce e della vitalità che è solita caratterizzarlo. Confusa e stranita, continuo a camminare guardandomi intorno, ma nulla appare vivo. È come se ogni più piccolo essere vivente avesse appena raggiunto la fine della propria esistenza, ma non ho alcuna voglia di arrendermi. Decisa, mi dirigo verso quella che è la sua casa, ed emettendo un semplice latrato, attendo che la porta venga aperta. A farlo è suo padre, che alla nostra vista, si esibisce in un rispettoso inchino. La situazione è inspiegabile, ma tacendo i miei dubbi, lascio che la mia attesa si protragga per altri preziosi minuti, allo scadere dei quali, Saskia si presenta dinanzi a noi. Spostando il suo sguardo su di me, si avvicina, e inginocchiandosi, prova ad abbracciarmi. Seppur colta alla sprovvista, la lascio pazientemente fare, e la sua felicità mi pervade e contagia fin quando lei stessa non pronuncia una frase semplice e al contempo capace di confondermi. “Per fortuna state bene.” Dice, riferendosi con quelle parole sia a me che ai miei figli. “Entrate, sembra poi voler dire, mentre con un gesto della mano ci invita a introdurci nella sua umile dimora. Mantenendo il silenzio, obbediamo ciecamente, e sdraiandoci sul ligneo pavimento, finiamo per addormentarci, sfiniti. Cora mi dorme accanto assieme a King e Murdoch, ma contrariamente a loro, faccio fatica a sprofondare in una delle mie solite e ormai conosciute dimensioni oniriche, che da qualche tempo a questa parte, non rappresentano che un problema. Incubi orribili mi perseguitano, e svegliandomi numerose volte, mi guardo intorno, impaurita. Le mie speranze di passare una vita tranquilla svaniscono quindi in un soffio, e riuscendo a uscire di casa attraverso una porta socchiusa, decido che una passeggiata è forse l’unico modo di ritrovare la calma ormai persa. Silenziosa, esploro le vie del villaggio, godendomi lo spettacolo offerto dalla notte e dalle lucciole, ballerine aggraziate e perfette. I loro lumi sembrano tuttavia guidarmi verso una meta specifica. Interrogandomi sull’inconsuetudine del loro comportamento, scelgo di seguirlo, e fissando il mio sguardo sul terreno, noto delle impronte mai viste prima. Leggere, e quasi invisibili, conducono alla cascata poco distante. L’acqua è tranquilla e immobile, e fermandomi per bere e ammirare il mio riflesso, scorgo in lontananza la sagoma di un lupo. So bene che la vista non mi inganna, e basandomi sul colore del pelo e degli occhi di quella fiera, la riconosco nello spazio di un momento. Di punto in bianco, la rabbia si impossessa di me, e mentre il terreno sembra tremare, scosso da una forza a me ignota, mi volto nella sua direzione, ringhiando furiosa. “Silver!” Lo chiamo, sputando senza alcun ritegno il suo nome. Rispondendo a quella sorta di richiamo, il mio interlocutore mi guarda negli occhi, e apparendo spaventato, non ha il coraggio necessario a parlare. “Perché lo state facendo? Perché attaccare gli umani? Dicevi di stimarli!” gridai, volendo unicamente redarguirlo per l’orribile gesto che sapevo portasse la sua firma unita a quella del perfido Scar. “Io non l’ho mai voluto, è colpa del mio branco!” risponde, con la voce spezzata e corrotta dal dolore e da un nodo di pianto ancora presente nella sua gola. “Allora vattene, fuggi e fai ciò che credi.” Continuo, conservando la segreta speranza di riuscire a riportarlo alla ragione e spingerlo ad agire secondo il suo stesso volere. “Non posso.” Biascica, per poi abbassare il capo in segno di vergogna e rassegnazione. A quelle parole, mantengo il silenzio, e limitandomi a guardarlo, attendo chiarimenti. “È vero, non posso farlo.” aggiunge, dandomi le spalle e allontanandosi con lentezza. “Perché?” ho la sola forza di chiedere, mentre la collera non fa che accecarmi. “Tu hai quasi ucciso mio padre, e ho giurato sulla luna!” urla, lasciando che la sua frustrazione abbandoni il suo corpo riversandosi su di me. “Cosa? Vuoi dire che Scar è…” balbetto, confusa e stranita da quanto ho appena sentito. “Sì, Runa. Scar è mio padre.” risponde, per poi tacere e scivolare nel più completo mutismo, che cessa non appena ritrova il coraggio di parlarmi. “Ricorda ancora il giorno in cui vi siete battuti, e da allora medita vendetta. Volevo proteggerti, e ci sono anche riuscito, fino a quando non ha iniziato a cercarti. Si è già vendicato sulla tua metà, e non voglio che prenda anche te. Torna indietro, adesso.” Confessa, per poi voltarsi e fuggire nel bosco pregno di vegetazione e nebbia. Decidendo di dargli retta, non pongo ulteriori domande, e ripercorrendo i miei passi, torno subito al villaggio, avendo cura di non disturbare il sonno di nessuno. Fuori è ancora buia, ma l’alba sta per spuntare. Dormo poco, e svegliandomi, riesco finalmente a comprendere ogni cosa. Era letteralmente incredibile, ma le lucciole, la luna e le impronte non erano che gli indizi necessari a seguire le tracce della verità che avevo finalmente scoperto.
   
 
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