La fuga di Sarah -perché era una fuga a tutti gli effetti!- fu meno rapida di quanto avesse previsto. Le bastò mettere piede nel corridoio per essere avvicinata da due genitori che le chiedevano informazioni. Li guidò verso la sala medici, stando ben attenta a non voltarsi nemmeno per sbaglio verso la saletta A, e si chiuse la porta alle spalle. Solo allora tirò interiormente il fiato e ritrovò la lucidità necessaria per rispondere alle domande.
Quando rimise il naso fuori dalla porta, era ormai alla fine del turno e il corridoio era deserto. Con la scusa di andare a salutare gli infermieri, passò davanti alla saletta A: le luci erano spente, l’attrezzatura dello spettacolo sparita. Sarah trasse un sospiro di sollievo e proseguì dritta verso la sala infermieri, congedandosi da Marika.
Uscì dal reparto appena in tempo per sentire il trillo dell’ascensore che ripartiva e il lento ronzio delle porte che si chiudevano. Corse verso quella direzione, premendo una mano contro la fotocellula per farle riaprire… e si ritrovò faccia a faccia con il Re dei Goblin.
O Jareth.
O David King, il suo
alter ego finto mortale che adesso si pavoneggia con abiti dal gusto sartoriale
invece di un mantello degno del peggior fantasy che mi possa venire in mente.
Piuttosto che mostrare debolezza, Sarah Williams si sarebbe
fatta precipitare nella Gora.
Entrò nell’ascensore con nonchalance e si posizionò il più distante possibile da lui, evitando di incontrare i suoi occhi spaiati.
-Dottoressa Williams? Sarah Williams?- chiese l'uomo.
Sarah si morse la lingua e annuì con un cenno del capo.
-Ci conosciamo?- si informò l’uomo, in un tono così incuriosito e rilassato che Sarah non riuscì nemmeno a trovarlo sgradevole. Se possibile, questo la irritò ancora di più.
Gli piantò in faccia gli occhi verdi, scintillanti di
scherno.
-Non sei affatto divertente,- lo informò.
L'uomo rimase di sasso, ma si riebbe subito.
-Scusa se ti sono sembrato invadente: non era mia
intenzione. Permettimi di presentarmi: mi chiamo David King e, come hai visto,
sono un prestigiatore.- L'uomo le porse la mano destra: sul suo palmo Sarah
notò un tatuaggio a forma di stella.
Le mani di Jareth erano sempre rimaste coperte e, adesso,
Sarah si scopriva a osservarle incuriosita: erano prive di anelli, maschili e
nodose, con unghie corte e ben curate.
Seppur con titubanza, si ritrovò a stringere quella mano: la
presa forte e calda la confuse ulteriormente.
-Oggi durante lo spettacolo mi hai chiamato Jareth. E ora, che ti ho domandato se ci siamo mai incontrati, mi sei sembrata così perplessa che... - l’uomo stava parlando in tono perfettamente rilassato ma la mano che si passò nei capelli tradiva un certo nervosismo. - Vedi, quindici anni fa ho subito un grave incidente ed ho una forma di amnesia piuttosto grave. In pratica non so chi sono e mi è parso che tu oggi mi abbia riconosciuto. Tra l'altro, e questo ti sembrerà ridicolo, faccio dei sogni nei quali c'è una ragazzina che ti assomiglia moltissimo e...-
Sarah si perse il resto della conversazione, intenta com'era
a riflettere sulle prime parole pronunciate da Jareth. Fece mente locale su
tutte le leggende che ruotavano attorno ad Halloween: in quella notte il varco
tra i mondi era più sottile e gli spiriti dei morti e le creature del
Sottosuolo potevano camminare tranquillamente sulla terra. Jareth doveva averne
approfittato per raggiungerla ed escogitare chissà quale inganno per
vendicarsi.
D'accordo, Jareth: se questo è il gioco, giochiamo, pensò, un lampo di sfida negli occhi verdi, quasi fosse tornata ad essere la ragazzina del Labirinto.
-Credo di aver dato adito a false speranze, Mr King. Però,
devo ammettere che somigli terribilmente ad un mio vecchio amico. Anche lui aveva quel problemino agli occhi.- disse, ben
sapendo di essere scortese. -Però, vede, io ho conosciuto Jareth anni fa e
adesso dovrebbe andare per la settantina, più o meno. Potrebbe essere suo
padre.-
Beccati questa, Re dei
miei stivali!
Più che un'espressione ferita, Sarah poté leggere negli occhi spaiati di David un misto di curiosità ed apprensione.
-Potresti aver conosciuto mio padre? Lo pensi sul serio?-
Sarah iniziò a sentirsi a disagio. Pur tenendo presente che Jareth era un Sidhe pericoloso, l’espressione di quell’uomo era così vulnerabile da lasciarla confusa.
-Anche lui se la cavava nella contact juggling, la capacità di manovrare le sfere a quel modo...come fai tu.- buttò lì, cercando di valutare che reazione avrebbe sortito.
L’uomo si morse il labbro con ferocia
-Dottoressa Williams… Sarah… posso invitarti a prendere un caffè? Ho quindici anni di domande qui con me e forse solo lei può rispondere. –
*
Fu l'invito più strano che a Sarah fosse mai capitato di accettare. Non ci fu nemmeno bisogno di prendere l'auto: si fermarono giusto il tempo necessario a lasciare il borsone di David nel bagagliaio.
Il caffé era a pochi metri dall'ospedale.
Era un posto abbastanza noto tra i dottori e gli specializzandi e Sarah
ne aveva
sentito parlare, ma era la prima volta che vi metteva piede: rimase
incantata
dai dipinti affissi alle pareti e dagli interni che le ricordavano
alcune
patisserie francesi. David sembrava conoscere l'intero personale e
quando Sarah
glielo fece notare, lui fece spallucce. -Non ricordavo chi ero ma le
gambe mi
funzionavano ancora, e così ho scoperto questo posto e sono
quindici anni che vengo
sempre qui.- le raccontò. -Adoro i dolci alla mela e qui
preparano uno strudel
fantastico.-
Mele, uno dei cibi
preferiti dei Sidhe, si rese conto Sarah.
Eppure, notò con una punta di invidia, David sembrava molto
umano e reale di lei che, se chiudeva gli occhi, poteva udire il richiamo del
Labirinto.
David possedeva un'intelligenza acuta ed uno spirito arguto, trasudava fascino, ma non la metteva a disagio. Ben presto Sarah si ritrovò a ridere delle sue battute e a scambiare con lui piccoli aneddoti della sua vita. Dopotutto, Jareth o David che fosse, era una presenza familiare, che non la metteva a disagio.
Non era così sciocca da cadere nella sua malia, tipica di ogni creatura del Reame Fatato, ma aveva
deciso di godersi la serata e considerare l'episodio come un gradevole
armistizio tra Sopramondo e Sottosuolo.
L'unico dubbio che le restava riguardava David/Jareth.
Fingeva così bene di aver perso la memoria, che Sarah avrebbe potuto cascarci
con tutte le scarpe, se solo non avesse saputo quanto il Re dei Goblin fosse
abile a mentire e manipolare.
Eppure, con sua somma sorpresa, Sarah si lasciò accompagnare a
casa quando David venne a sapere che, per andare dai suoi genitori, Sarah avrebbe
dovuto chiamare un taxi.
-Eccoci arrivati.- lo informò, non appena imboccarono il viale alberato e scorse la casa della sua infanzia -Quella lì è casa mia.-
Gli diede appena il tempo di accostare, poi aprì lo sportello e sgusciò fuori.
-Sarah, aspetta!- Anche David uscì dall’auto e la raggiunse in poche falcate. -Abbiamo parlato tanto, ma non ho avuto il coraggio di chiederti ciò che mi premeva di più! Quell'uomo di cui mi hai parlato, Jareth, potrebbe essere un mio parente. Non che mi interessi conoscere la mia famiglia ma mi piacerebbe sapere chi sono davvero. Ho bisogno di sapere come e dove l'hai incontrato!-
Sarah lo guardò perplessa e infastidita. La recita stava durando un po' troppo e virava verso il melodramma, ma se il Goblin King voleva una fiaba, beh, gliel'avrebbe raccontata. - Sei certo di volerlo sapere, David? - sottolineò il suo nome, in quanto i nomi avevano un grande potere.
- Sono quindici anni che aspetto. -
Sarah prese fiato e si concentrò. Non
recitava quelle parole da anni e voleva essere certa di saper ancora
interpretare la sua parte, come quando giocava con Tobia al parco,
stringendo tra le mani il Libro Rosso - Ebbene...c'era una volta una
ragazza tanto carina che la matrigna lasciava sempre a casa con il
bambino. Il bambino era tanto viziato e
voleva tutto per sé, e la ragazza era praticamente una schiava
in quella casa.
Ciò che nessuno sapeva, era che il re dei Goblin si era
innamorato della
ragazza e che le aveva dato certi poteri. Così una notte che il
bambino fu
oltremodo crudele con lei, lei chiamò in suo aiuto i Goblin. “Dì le tue
parole magiche”, dissero i Goblin, “e
porteremo il bambino nella città di Goblin e tu sarai libera”. Però lei
sapeva che il re dei Goblin avrebbe tenuto il bambino al castello per sempre,
trasformandolo in gnomo, e così preferiva soffrire in silenzio. Finché una
notte che era stanca dopo una giornata di faccende, che era ferita dalle dure
parole della sua matrigna e sentiva che non ne poteva più, pronunciò le parole fatidiche:
“desidero proprio che i Goblin ti portino via, all'istante!”-
E, poiché aveva detto le parole giuste, la Magia la ascoltò.
Eccoci di ritorno qui :)
Spero che il nuovo capitolo vi sia piaciuto e se volete, lasciate pure un commentino!
A presto!