- Ehi ragazzina!
- Ehi…
- Che fai?
- Secondo te che faccio? - esclamai mostrandogli un mucchietto di erba, senza riuscire a nascondere il mio malumore. - Mi hanno punita.
- Cos’hai combinato?
- Vuoi dire che anche oggi non hai toccato cibo? Qual è il piano di quel mostro, lasciarti morire di fame?
- Credo di essere stato… come dire… un po’ duro con te ieri. Il fatto è che penso sinceramente che questo posto ti ucciderà. Quelli contro cui ti sei messa non sono avversari alla tua portata.
- Probabile.
- Dovresti chiedere a Pope il trasferimento.
- Non posso.
- Perché no, ancora con questa faccenda del segreto? Che cosa nascondi di tanto contorto?
- Diamine si, sei una ragazzina in un penitenziario maschile…
- Disse il condannato a morte! - esclamai sfacciata, fermandomi per guardarlo dritto negli occhi.
- Che cosa si prova al pensiero di dover trascorrere gli ultimi preziosi giorni della propria vita in mezzo a delinquenti della peggior specie?
Aveva risposto alla mia sfida con un’altra sfida invece che mandarmi al diavolo. Bene. Allora non ero proprio un completo disastro.
- Touchè! - risposi trattenendo un sorriso.
A dire il vero, ero un po’ sorpresa. Il giorno prima a mensa, l’uomo non mi era parso così ben disposto nei miei confronti, mentre adesso si stava mostrando persino amichevole. Oddio, forse amichevole era una parola grossa, comunque non scortese. Quella era un’occasione da prendere al volo. Dovevo ancora ringraziarlo per avermi aiutata a rimanere illesa dall’imboscata messa in atto da Bagwell.
- Senti un po’… perché mi hai aiutata ieri a mensa? - gli chiesi diretta.
- Non sei il solo, credimi.
- Il fatto è che… ho un figlio della tua età… cioè, lui ha 17 anni ma tu in un certo senso me lo ricordi.
- Come si chiama tuo figlio? - gli chiesi più per avere l’opportunità di protrarre la conversazione che per un reale interesse.
- Lincoln Junior. - rispose. - Sai, lui è già un piccolo teppista. E’ un bravo ragazzo intendiamoci, io so che è così, ma il mio arresto e la successiva condanna a morte non hanno contribuito a dare un buon esempio paterno… vorrei che non finisse come me e suo zio. Quando ieri ho visto quell’individuo venirti incontro con fare minaccioso, ho subito pensato a mio figlio. Se ci fosse stato lui al tuo posto, avrei tanto desiderato che qualcuno l’avesse protetto.
- Beh, qualunque sia il motivo per cui mi hai aiutata ti devo un grazie, anche se credo che tu ti sia fatto un’opinione sbagliata di me. Io non ho bisogno di protezione.
Ovviamente Lincoln rise. - Oh certo.
- Guarda che sono molto più forte di quanto possa sembrare.
- Ti credo.
- Tuo fratello come ha preso la tua condanna?
- Come un qualunque fratello che apprende una notizia del genere. Comunque se conoscessi Michael sapresti che non è il genere di persona che accetta passivamente.
- Che vuoi dire?
- Lui è… diverso dagli altri ragazzi. Non si dà mai per vinto.
- Ah davvero? Beh, scusa il disfattismo ma non è che possa fare gran che qui dentro, a parte sperare nella tua assoluzione o in una revisione della pena.
Mi rialzai da terra abbandonando le erbacce per ripulirmi i pantaloni prima di andare. Quando mi voltai nuovamente verso l’inferriata, Burrows era scomparso. Era andato via senza neanche salutarmi.
Arrivai di fronte alla porta dell’infermeria chiusa, scortata da una guardia che non avevo ancora visto, un tizio pelato che per tutto il tempo non aveva fatto altro che lanciarmi occhiatine curiose, convinto che non me ne fossi accorta. Il nome del secondino a quanto ero riuscita ad afferrare era Green Rizzo.
Al nostro arrivo, l’infermiera Katie Welsh ci aveva chiesto di attendere in corridoio perché la dottoressa non aveva ancora finito con l’ultimo detenuto entrato prima di me.
Quando la porta si aprì, circa dieci minuti dopo, restai piuttosto sorpresa di veder uscire la bionda e sexy dottoressa proprio in compagnia di Michael Scofield. Li osservai a lungo, mentre il detenuto salutava affabilmente la donna con un sorriso.
Che cosa era andato a fare Scofield in infermeria? Non mi sembrava che avesse un aspetto malaticcio o particolarmente sofferente.
Sembravano così in sintonia, lei pareva addirittura lusingata. Mi chiesi cos’avessero Michael e la Tancredi da sorridere.
“Mmmm… vuoi vedere che tra quei due c’è del tenero”.
- Sara, se hai finito con Scofield, di là c’è un altro detenuto che aspetta. - sentii dire all’infermiera Katie, mentre mi indicava al di là della porta in compagnia della guardia.
- Si grazie… ci vediamo la prossima settimana Michael. - salutò cordiale la donna, congedando il ragazzo.
Aveva detto: “ci vediamo la prossima settimana Michael” in tono estremamente cordiale e amichevole, il che poteva non voler dire niente, ma poteva anche voler dire che quei due se la intendessero. Inoltre lo aveva chiamato Michael e non Scofield, questo significava che tra loro si era creata una certa confidenza. Però a dir la verità, aveva attirato molto di più la mia attenzione il fatto che la donna lo avesse invitato a tornare la settimana seguente. Perché? Michael Scofield soffriva di particolari problemi di salute o si trattava semplicemente di visite di piacere?
- Allora signorina Sawyer, come procede la permanenza a Fox River? - mi chiese la donna nell’istante esatto in cui si fu chiusa la porta alle spalle.
- Sono ancora viva. - risposi secca.
- Lieta di saperlo.
- I detenuti come hanno preso il tuo arrivo?
- Non saprei, lo chieda a loro.
- Lo sto chiedendo a te.
- Beh, abbiamo fatto subito amicizia. Ci siamo scambiati i numeri di telefono e abbiamo in programma di organizzare una gita in campagna appena saremmo fuori di qui. - ironizzai.
- Come vuole che l’abbiano presa? - sbottai d’improvviso. - Nessuno mi è ancora saltato addosso per ora, ma stamattina il mio vicino di cella mi ha dato una pacca sul sedere. Crede che dovrei denunciarlo per molestie sessuali?
- Potrebbe andarti anche peggio di una semplice pacca sul sedere. Qui non sei al sicuro.
- La prego, se la risparmi… la tiritera intendo.
- Sono solo preoccupata per la tua incolumità. Gwyneth, ha idea di quanti detenuti si uccidano o peggio, vengano uccisi per un nonnulla? Perché vuoi mettere a repentaglio la tua vita?
- Tu non sei la classica ragazzina sbandata che vive per strada ed è finita dentro per una bravata di droga o di taccheggio, potrei scommetterci. Tu sei una ragazza intelligente, scommetto che hai studiato e hai una vita fuori da qui, anche se, chissà perché, tutto quello che ti riguarda è avvolta nel mistero.
- Che sta facendo, fa congetture sulla mia vita?
- No, io…
- Che cosa direbbe se fossi io a fare congetture sulla sua vita? Scommetto che non è neanche così difficile inquadrarla. Che dice, proviamo? - Ammiccai melliflua. - Sara Tancredi, figlia del governatore Frank Tancredi, studentessa modello, laureata col massimo dei voti alla North Western University di Chicago. Poi il disfaccelo durante la specializzazione: le feste a base di alcool e sballo, la droga, i furti di morfina dagli ospedali, il primo arresto per possesso e uso di stupefacenti 3 anni fa e infine la disintossicazione. - La donna era ammutolita di fronte al mio pungente riepilogo. Mi fissava a occhi sbarrati. - Che le è successo? Era stanca di vivere come la classica figlia di papà ricca e viziata ed è andata a cercare emozioni forti, o è semplicemente scattata in ritardo la ribellione adolescenziale?
- Come sai tutte queste cose?
- Leggo i giornali. Lei è stata la spina nel fianco di suo padre per anni dottoressa Tancredi, lo sanno tutti. Suo padre è un personaggio pubblico, è naturale che i giornali si siano accaniti tanto sulla sua storia. Quando Frank Tancredi è diventato governatore dell’Illinois, gli altarini della figlia sono usciti allo scoperto e il paparino ha deciso di spedirla dritta dritta in riabilitazione per farla disintossicare. Pare incredibile che lei sia finita ad esercitare la professione di medico proprio in un carcere. Che bell’ipocrisia! Lei cura i detenuti che suo padre spedisce sulla sedia elettrica, questo lo sa, vero?
- Basta, esci fuori di qui! - La sua voce d’un tratto era diventata carta vetrata.
- Guardi che queste sono notizie di dominio pubblico… non si sarà offesa…
- GUARDIA!! - chiamò, distogliendo definitivamente lo sguardo da me. L’uomo che mi aveva scortata fino all’infermeria, comparve pronto. - Riporta la detenuta nella sua cella. Per oggi abbiamo finito.
Per un po’ passeggiai cercando di tenermi lontana dai guai, ripensando nel frattempo a quello che avevo detto alla Tancredi. Non ero stata molto cordiale nei suoi confronti e la cosa non mi stupiva affatto a dire il vero. Non era stata mia intenzione esagerare o offenderla. Beh, perlomeno adesso avrebbe smesso di fare domande indiscrete sulla mia vita.
Mentre proseguivo verso est assorta nei miei pensieri, riconobbi Michael Scofield accanto alle cabine telefoniche destinate ai detenuti. Aveva appena riattaccato la cornetta sul ricevitore, dopodiché si era voltato verso un altro uomo al suo fianco, posto di spalle. Solo quando l’uomo misterioso si era voltato per allontanarsi lo avevo riconosciuto, restando letteralmente di sasso.
Quello era John Abruzzi.
Michael stava chiacchierando proprio con John Abruzzi. Che cosa avevano di così importante da discutere? Non c’era modo di avvicinarsi senza che mi vedessero. Avrei potuto raggiungerli, ma con tutta probabilità avrei dato l’impressione di volermi intromettere, però avevo una gran voglia di sapere cosa si stessero dicendo.
Purtroppo per il momento avrei dovuto mettere da parte la mia curiosità, Michael e Abruzzi avrebbero dovuto aspettare.
Tornai sui miei passi costeggiando la recinzione alla ricerca di Burrows, ma non lo trovai, quindi mi diressi verso l’esterno. All’improvviso mi sentii strattonare da un tipo completamente calvo con la barbetta bionda che con una spallata riuscì a scaraventarmi dentro uno stanzino, facendomi cadere a terra.
- Ehi, ma sei impazzito?
- Ciao bambolina. Sono felice di vederti. - esordì quest’ultimo con un sorriso compiaciuto. - Il nostro primo incontro non è andato come mi sarei aspettato. Non sei stata affatto carina con me. Io ti ho fatto una proposta e tu mi hai addirittura snobbato. Così non va.
Mi rialzai lentamente da terra, radunando i brandelli del mio coraggio che sentivo appeso ad un filo. T-Bag mi si avvicinò con quell’orrido sorriso voglioso stampato in faccia e quei suoi inquietanti occhietti da iena addosso.
- Facciamo un gioco, vuoi? - La sua espressione la diceva lunga su quale fosse il gioco che aveva in mente.
“Corri, ferisci, scappa!” gridò una vocina nella mia testa.
La porta era proprio di fronte a me, ma non sarebbe stato così semplice raggiungerla. Anche riuscendo a superare Bagwell e avere la meglio su di lui, come avrei fatto a mettere fuori combattimento i suoi due gorilla?
“Corri, ferisci, scappa!”
- Che cosa vuoi da me? - balbettai.
- Credo che tu lo sappia. - mormorò leccandosi le labbra con un movimento che avevo ormai imparato ad odiare.
- Lasciami uscire da qui o giuro che mi metterò ad urlare.
- Accomodati pure, tanto nessuno correrà in tuo soccorso tesoro, tanto meno le guardie. Loro chiudono un occhio quando possono, e li chiudono tutti e due quando gli allunghi una banconota da cento. - continuando a parlare, mi si avvicinò ancora sfiorandomi il viso. Potevo sentire il suo alito, ma non potevo che rimanere immobile. - Eh dai piccola, vogliamo solo divertirci, scambiare quattro chiacchiere. Rilassati.
- Stammi lontano. - mormorai disgustata.
“Corri, ferisci, scappa”.
Prima mossa: colpisci l’avversario. Il mio braccio rispose al comando con forza e precisione colpendo sul viso il losco individuo, seguito da una ginocchiata ben assestata allo stomaco. L’uomo incassò entrambi i due colpi, imprecando. Evidentemente non si era aspettato una reazione così improvvisa, per questo ero riuscita a prenderlo di sorpresa.
Seconda mossa: scappa. Quasi non credetti ai miei occhi quando mi resi conto di essermi liberata di Bagwell ed essere riuscita a sfuggire al colosso dietro quest’ultimo. Ero sgusciata via come una biscia approfittando della lenta reazione dell’uomo, però ero capitolata quasi subito quando il tizio con la barbetta bionda mi aveva arpionato una spalla e spedita nuovamente a terra. In un paio di secondi il gorilla era riuscito a bloccarmi entrambe le braccia e sollevarmi da terra come un sacco di patate. Non potendo avvalermi delle braccia, ero ricorsa ai calci e ai morsi, lottando senza sosta e scalciando come una cavalla selvaggia.Il nerboruto sulla sinistra si beccò un calcio in testa. Io mi beccai un malrovescio in piena faccia che per qualche secondo mi fece vedere le stelle.
Avevo provato a difendermi, ma erano pur sempre tre uomini contro una ragazza.
Finii per la terza volta a terra quando il tizio con la barbetta mi lasciò cadere sul pavimento. In quel momento mi resi conto che non ce l’avrei fatta. Ero circondata, sentivo un dolore pulsante alla guancia destra e alla mascella e il sapore del mio sangue sulle labbra.
- Maledetta puttana, hai delle gambette scheletriche ma quando calci fai male. - sbottò il nerboruto.
- E io che ti immaginavo docile come un agnellino… ora tu e io ci faremo una bella chiacchierata fra amici, che ne dici bambolina? - Fu T-Bag a strattonarmi il braccio perché mi tirassi su. - Proviamo, per cominciare, a risolvere questo mistero che ti riguarda. Perché ti hanno spedita a Fox River?
- Sei un idiota depravato, te l’ha mai detto nessuno? Credo proprio che morirai con questo dubbio. - risposi tagliente, facendo appello a tutto il mio coraggio.
- Oh… è così…
- Riproviamo? La domanda è sempre la stessa: perché ti hanno spedita a Fox River?
- Lasciami andare, io non ti ho fatto niente. - piagnucolai quando mi tolse la mano dalla bocca.
- Non funziona così. Rispondi alle domande.
- Che cosa te ne importa? Tanto finirai con l’uccidermi.
- Naa… e come potrei più divertirmi se lo faccio? Possiamo andare avanti all’infinito e rendere il resto della tua condanna un inferno, o puoi passare dalla mia parte e diventare la mia bambolina. In cambio di qualche piccolo favore e del patto di allietare i miei giorni qui dentro, io ti lascerò in pace.
- Che favori?
- Forse ti dispiacerà saperlo, ma tu non sei l’unica fonte di interesse che mi attrae qui a Fox River. C’è un altro finocchietto col quale ho un conto in sospeso, e con lui… beh, sarà tutta un’altra storia.
- Chi? - chiesi per prendere tempo.
- Scofield.
- Scofield? Perché? - Ero esterrefatta.
- A tempo debito, dolcezza. Allora, hai ripreso fiato a sufficienza? Sei pronta a rispondere alle mie domande o vuoi un altro incontro ravvicinato con la grata?
- Penso proprio che ti vedrò scavare la fossa da solo nell’attesa di gratificare la tua curiosità, e per quanto riguarda la tua proposta da depravato psicopatico, preferirei tagliarmi la gola da sola che stare al tuo seguito come una pecora. – dissi sputando fuori quelle parole con odio.
- Mmm… sei così coraggiosa e tagliente quando alzi la voce. Le donne però mi eccitano molto di più quando gridano. Chissà se… - vidi che estraeva dalla tasca dei pantaloni un coltellaccio dalla lama dentata e sentii improvvisamente le forze venirmi meno. - … voglio presentarti un amico. Io lo chiamo “sferruzzabudella”, e sai perché? Perché dopo averlo piantato nello stomaco e averlo tirato fuori, è in grado di portarsi dietro le budella della vittima, così mentre il malcapitato soffre può guardarsi le budella prima di morire.
“Non voglio, non voglio morire”.
Non avevo più neanche la forza per supplicarlo di lasciarmi andare e non riuscivo a schiodare gli occhi da quel coltello a così breve distanza da me. Mi vedevo già morta. Tutto ciò a cui riuscivo a pensare in quegli interminabili istanti, era che avrei portato come ultima immagine della mia vita la forma e il colore delle mie budella.
Poi all’improvviso, sentii una voce rimbombare all’interno dello stanzino e nello stesso istante, il buio venne sostituito da una luce che quasi mi accecò. Mi resi conto che la porta era stata aperta e che qualcuno era entrato avvicinandosi pesantemente verso di noi. Contemporaneamente i due scagnozzi di Bagwell mi avevano mollata e io ero finita con le ginocchia a terra, priva di forze.
- Bagwell, ma che cazzo hai combinato?!
Misi a fuoco la vista cercando di capire se fosse reale o se lo avessi solo immaginato.
- Che cosa le avete fatto? - continuò la guardia, trattenendo T-Bag prima che potesse sgattaiolare via.
- Noi non l’abbiamo toccata. E’ stato solo un incidente. - si giustificò il galeotto.
- Incidente un corno! Ma l’hai vista?
- Si è ferita da sola… noi siamo accorsi per soccorrerla.
- Fuori di qui. Tutti. Tornate nelle vostre celle!
- Oh mio Dio… come ti hanno ridotta…
Vedendomi tremare scossa dai brividi, la donna si fermò, restando a fissarmi comprensiva.
- Gwyneth, che cos’è successo? - mi chiese delicata.
- Lo sai che se penso tu possa essere stata aggredita dovrò denunciarlo e fare rapporto…Chi ti ha fatto questo? A me puoi dirlo.
Restammo entrambe in silenzio per un po’, io continuando a versare lacrime e lei restando seduta accanto a me come presenza di conforto. Quando trovai finalmente la forza di calmarmi, la donna riprese la sua medicazione e non mi fece più alcuna domanda.