Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: _Blanca_    06/05/2016    1 recensioni
«Mi segue» disse Anna.
«Di che cosa parlate, miss Hawkins? Chi vi sta seguendo?»
«La morte.»

Ottobre 1875. Dalle coste della Nova Scotia, Anna Hawkins si imbarca per l’Inghilterra, dove vivrà con gli zii Woodhams, ricchi borghesi del Kent. Anna sa che vivere nel cuore dell'Impero, tra i bianchi sudditi della regina Vittoria, non sarà semplice. Lei è una Metis. È figlia di un inglese, che ha fatto fortuna come cacciatore di taglie, e di una donna della Prima Nazione. Ma Anna sa anche di non poter tornare indietro. Il suo viaggio è una fuga. Una fuga dalla solitudine, dalle responsabilità, da un destino che la terrorizza. La nuova esistenza nel Kent, tuttavia, si rivelerà diversa da qualsiasi speranza o timore. Anna dovrà affrontare i segreti di una vecchia casa e di una stanza che non deve mai essere aperta; dovrà tenere testa a una zia decisa a odiarla e a uno scrittore di racconti del terrore, capace di dare un’impronta fin troppo realistica agli incubi di carta e inchiostro. E, sullo sfondo del tutto, toccherà a lei risolvere l’enigma di un misterioso suicidio.
Genere: Horror, Mistero, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
5.




V. Pagine dal passato





Nel pomeriggio, Anna si rinchiuse in biblioteca, accese il caminetto e cercò un passatempo. Trovò scatole di giochi da tavola e mazzi di carte, ma era sprovvista di compagni di giochi; trovò degli spartiti musicali, ma lei non sapeva suonare e non c'era nessuno disposto a suonare per lei. Così, dopo una sconfitta a Klondike, raccolse le carte dal tappeto e si decise a usare la biblioteca per lo scopo al quale era destinata: leggere. Anna non aveva particolari opinioni sui libri. Non la ripugnavano, né l'esaltavano; ne aveva avuti tra le mani a sufficienza da imparare a leggere e scrivere in modo passabile, ma non abbastanza da poterne amare i contenuti.
Quel pomeriggio, impiegò mezz’ora per scegliere. Scartò la Bibbia, i filosofi, i saggisti, i poeti; alla fine, tra un Trollope e un Dickens, nascosto sotto La Fiera delle Vanità, scovò un libro dalla copertina color smeraldo. Titolo e autore erano impressi in sottili e svolazzanti caratteri d'argento: Dalla Terra alla Luna di Jules Vernes.
Sorridendo a metà tra perplesso e soddisfatto, Anna si distese sulla greppina, incrociò le caviglie e aprì il libro davanti al naso.
Ma non andò lontano con la lettura.
Era appena alla seconda pagina, quando la porta del parlour venne aperta e la signora Woodhams comparve sulla soglia della biblioteca.
«Sei qui» disse la zia.
Anna fu in piedi con la rapidità di una molla. «Io... spero di non aver fatto male... a sistemarmi in biblioteca. Faceva freddo. Ho pensato di poter... » Guardò il fuoco nel caminetto, a un tratto cosciente delle macchie di carbone  sulla gonna bianca. «Vi lascio subito la stanza.»
Ma la signora Woodhams la fermò con un gesto della mano. «Resta. Non ho bisogno della biblioteca.» Entrò. Si diresse agli scaffali vicini al pianoforte e prese un libriccino grigio, con una lunga croce era impressa sul dorso. Poi, si volse verso la nipote. «Che cosa stai leggendo?»
Anna mostrò la copertina.
«Vernes» constatò la signora. «Quel francese tutto scienza e fanfaluche che si fa chiamare scrittore. Tuo zio ha sempre avuto gusti dozzinali. Giacché pare che tu sia in grado di leggere, e di questo mi sorprendo, ti consiglio di dedicarti a qualcosa di maggiormente istruttivo.»
Anna inspirò e strinse le labbra. Schiacciato in quel sorrisetto nervoso, il proposito di comportarsi al suo meglio si sbriciolò, in un attimo. «Zia cara, ma credete sul serio di mortificarmi proibendomi di sedere a tavola con voi o dandomi della sciocca ignorante? Se questo è il caso, ho io un consiglio per voi: impegnatevi un po’ di più, se volete spuntarla.»
La signora Woodhams parve studiare la nipote da capo a piedi, e da piedi a capo. Sorrideva, flebilmente, carezzandosi la base del collo. «Sei davvero uno strano esserino» sospirò. «La degna figlia di tuo padre.»
Ad Anna prudevano le mani dalla voglia di lanciarle contro il libro. Per non cedere alla tentazione, lasciò cadere il romanzo sulla greppina. «Questo strano esserino può chiedere quale torto vi ha fatto? Lo sapete che sono venuta qui in buona fede. Sono stata invitata. Credevo di essere voluta.»
«E io ti ricordo che è stato tuo zio a ingannarti.»
«Rispondete alla mia domanda! Perché mi disprezzate? Il fatto che mia madre non fosse una donna bianca è davvero tanto inaccettabile?»
Il sorriso della signora Woodhams si dissolse, ma la detestabile pacatezza dei modi non accennò a incrinarsi. «Dimmi, Anna: sei a conoscenza del motivo per il quale tuo padre salpò per le Americhe?» Camminava intorno al pianoforte, sfiorando la cassa con la punta delle dita. A ogni passo, la chatelaine mandava flebili tintinnii.
Per un istante, Anna esitò. «Debiti» ammise. 
«Mio fratello non era un uomo coraggioso. Era un codardo. Un un egoista.»
«Era giovane.»
«Lo ero anche io, quando Jonathan ha abbandonato me e nostra madre. Ci ha lasciate sole, a tener a bada i debitori, a occuparci di un fratello malato e di un padre rimasto storpio in guerra.»
«Ma quando ha trovato un lavoro, vi ha mandato il denaro.»
«Denaro che grondava sangue.»
«Ma che pensate? Che se ne andasse in giro a sgozzare agnellini innocenti? Le persone a cui dava la caccia erano criminali. Banditi. Assassini. E non credete che non facesse il possibile per consegnarli vivi alla legge... quando glielo permettevano.»
«E mentre lui scorrazzava nell’Ovest, a caccia di banditi, io ho dovuto seppellire tutta la nostra famiglia. Il piccolo Andrew. Nostro padre. Nostra madre.» La signora Woodhams fece una pausa: guardava la finestra della veranda. Fuori, la pioggia non accennava a diminuire. «Il denaro non può sostituire un fratello, ma lui ha preferito una prostituta indiana alla sua famiglia. E ora, devo ringraziare l'egoismo di mio marito, per l'ultima beffa: avere costantemente davanti agli occhi la prova e il ricordo vivente della slealtà di Jonathan.»
«Questo è il problema?» esclamò Anna. «Odiate mio padre perché ha amato mia madre più di voi. ― Ma che colpa ne ho io? La mia colpa è quella di esistere?»
La signora Woodhams avvicinò il libro al petto. «Dunque, possiedi almeno un poco di intelletto» concluse, serafica.
«Allora, fate pure!» soffiò Anna. «Disprezzatemi. Ma non vi azzardate mai più a chiamare mia madre prostituta. Non pensate, neppure per un attimo, che mio padre se la sia scelta come si compra una schiava al mercato. Non sapete nulla di mia madre. E di me.» Voltò le spalle alla zia e uscì in fretta e furia dalla biblioteca. Si sentiva ardere di rabbia, tanto che appena mise piede in camera, tirò un calcio a una gamba  dello scrittoio. Cinque minuti dopo, marciando in su e in giù davanti al caminetto, comprese che la sfuriata non aveva ― né avrebbe in futuro ― giovato alla situazione e al suo stato d’animo, ma non venne sfiorata da rimorsi o pentimenti.

*

Era da poco passata l’ora del tè, e la pioggia iniziava a dar tregua alla campagna, quando il signor Woodhams tornò a Bon Fleur. Anna, scorto il calesse dal salone da pranzo, andò ad attendere lo zio nel vestibolo. Il padrone di casa, stanco ma di buon umore, entrò con un giornale arrotolato sottobraccio, il bastone da passeggio in mano e la sciarpa a penzoloni attorno al collo.
Lo seguiva un ometto dallo sguardo malinconico come quello di un segugio fattosi troppo vecchio per la caccia: era Cuthbert, detto Bert, Blackwell. Nel porgere i saluti ad Anna, Bert si levò il cappello, rivelando i grigi capelli minacciati dalla calvizia, ma non spiccicò parola. Anna lo osservò scendere nel seminterrato: si muoveva lento, con un'andatura gobba e passo indolente.
Dopo una cena silenziosa, eccezion fatta per i tentativi di conversazione dello zio Woodhams, quest’ultimo chiese ad Anna di fargli compagnia in biblioteca. «Non ti dispiace, se fumo in tua presenza, vero?» Sedette in poltrona e accese la pipa.
Anna, che aveva visto uomini, in sua presenza, ubriacarsi come disperati e prendersi a pugni come imbecilli, non vedeva ragione di offendersi per del fumo. Si accomodò a propria volta in poltrona, di fronte allo zio; sollevò di peso il gatto ― la bestiola li aveva seguiti nella stanza, a coda ritta, in cerca di attenzioni ― e se lo tenne in grembo. Il gatto ringraziò a suon di fusa.
«Milton ti ha in simpatia» disse lo zio.
«Non ho mai visto un gatto come questo. Sembra un piccolo... peloso puma.»
«È un Norvegese delle Foreste.»
«Che nome importante!» rise Anna.
Lo zio aspirò dalla pipa. «Dimmi... come si è comportata oggi la nostra signora Woodhams?» chiese.
Anna chinò lo sguardo e affondò le dita tra la pelliccia di Milton, che aveva appoggiato il muso sulla sua spalla. Non le piaceva mentire. Raccontò della discussione avuta con la zia tentando, però, di celare quanto si sentisse sul piede di guerra. 
Il signor Woodhams prestò ascolto, senza dar segno di fastidio o malumore. E quando Anna tacque, lui, allontanando la pipa dalle labbra, disse: «Sarò onesto, mia cara Anna. L’atteggiamento di mia moglie non mi sorprende. È esattamente ciò che sospettavo ― o, per meglio dire, temevo. E tuttavia, sono fiducioso. Io credo che con il tempo la sua indisposizione nei tuoi confronti verrà meno. ― Adesso, chiedo a te di essere sincera: mi rimproveri di averti invitata con una bugia?»
«Non sono arrabbiata. Come potrei? Mi avete trattata con più premura voi, in questo poco tempo, che... chiunque altro per tutta la mia vita. Avrei solo voluto sapere subito i veri sentimenti di mia zia.»
Il signor Woodhams mosse il capo in un cenno di assenso e restò in silenzio per qualche secondo, prima di riprendere: «Sii paziente con tua zia, te ne prego.» La voce e lo sguardo erano d'un tratto appesantiti da una nota malinconica, stanca, inaspettatamente seria. «Non è una donna cattiva, ma la vita le ha indurito il cuore e raffreddato l’animo. Alle volte, penso che abbia scelto di rinunciare ai sentimenti per non smarrire il senno. Immagino...» Si interruppe. Sospirò. «Immagino ti abbiano avvertito della nursery.»
La ragazza annuì. «Mi chiedevo» azzardò, dopo un’ulteriore pausa, «perché la zia la tiene chiusa a chiave?»
«Per amore di Violet. Per amore del ricordo della nostra bambina.»
«Ha vietato anche a voi di entrare?»
«Questa è la mia casa e nulla mi è vietato. Ma non ho desiderio di vedere la nursery. È troppo doloroso. Come ti dicevo, a ciascuno il suo modo di salvarsi dalla follia. E in quanto a tua zia, lei più di tutti conosce gli orrori di una mente che smarrisce la ragione.»
Anna aggrottò la fronte.
Il signor Woodhams non tardò a interpretare lo uno sguardo confuso e interrogatorio della nipote. «Da giovane, tua zia è stata un’infermiera. Al County Lunatic Asylum. Hai mai visitato un manicomio, Anna?»
Anna scosse il capo.
«Sono l'Inferno in terra» disse il signor Woodhams. E non aggiunse altro. Fumava e fissava il dimenarsi delle fiamme, nel caminetto. La legna scoppiettava. Milton, acciambellato sulle ginocchia di Anna, continuava con la sinfonia di fusa. Nell’atrio, la pendola batté nove colpi.
Anna vide lo sguardo dello zio farsi lontano, opaco quasi; specchio di una mente immersa in un pensiero fisso e distante. Vide gli angoli delle palpebre venir attraversati da un guizzo. Vide le dita rugose tracciare un segno sempre uguale sul bracciolo della poltrona.
«Pensate a Violet, zio?»
La voce di Anna parve risvegliare il signor Woodhams.
«No... no.»
«Allora, in quale ricordo eravate immerso?»
«Come sai che stavo ricordando qualcosa?» 
«In mancanza di libri, ho imparato a leggere le persone.»
Il signor Woodhams increspò un sorriso. «Che peculiare capacità, in una personcina così giovane. C'è chi direbbe che in te vi sia un po' della strega.»
«Un sospetto infondato» disse Anna. «Ditemi a cosa stavate pensando.»
«Pensavo... a un fatto assai spiacevole, accaduto tre anni fa.»
«Ha a che fare con il manicomio ― o con mia zia?»
Lo zio temporeggiò, prendendo una lunga boccata di fumo.
«Quando... quando lavorava in quell’ospedale, Vivian divenne assistente di un medico di nome Mallory. Tre anni fa, Mallory venne travolto da uno scandalo... se vogliamo usare una parola cortese. Da ricco e rispettato qual era, finì i suoi giorni come un derelitto, abbandonato da tutti ― oh, ma non credo che dovresti ascoltare certe cose, Anna.»
Anna inarcò un sopracciglio. «Mio padre andava a caccia di criminali. Non mi impressiono con poco. Cos’è? Una storia di amanti? Di denaro rubato?»
«Se solo!» esalò lo zio Woodhams. «No. Morirono delle persone. In un modo tanto terribile che non oso ripeterlo a voce alta. La storia che ne seguì fu ancora più raccapricciante. Siamo stati fortunati che, all’epoca dell'accaduto, i rapporti tra la nostra famiglia e quella del dottor Mallory fossero diventati praticamente inesistenti.» Lo zio sollevò una mano. «Ma basta così. Non portiamo avanti questo argomento. Non mi piace rinvangare brutti ricordi, prima di andare a dormire. Alla mia età, prender sonno non è facile.» Indicò uno scaffale, alle spalle di Anna. «Prendi la scatola di legno sul secondo ripiano. Lì, accanto al libro di sciarade. Sai giocare a Backgammon? ― No? Bene. Questa è la sera buona per imparare.»

*

Durante la settimana che seguì, Anna oziò con e come il gatto, tra sbadigli in poltrona e appostamenti alle finestre. Pioveva sempre. E nelle pause tra uno scroscio e un temporale, l'aria pregna d'umidità e il terreno infangato non invogliavano alle passeggiate. Non che ad Anna dispiacessero la calma e il tempo libero: dopo il viaggio, l'ozio era un piacere, ma sarebbe stato piacevole anche avere qualcuno con cui condividere il dolce far nulla.
Lo zio restava a Maidstone dal mattino al tardo pomeriggio e la signora Woodhams trascorreva le giornate tra il boudoir e la camera da letto, non mostrando alcun interesse per la nipote. Si incontravano soltanto a cena, e tanto bastava a entrambe. In quanto a Lily e alla signora Blackwell, erano perennemente indaffarate e presto Anna capì che ronzare loro attorno in cerca di conversazione le rendeva ansiose.
«Madam penserà che ce ne stiamo in panciolle» disse Lily.
«Non sta mica bene che passiate il tempo con i domestici» rimbrottò la signora Blackwell. «Lo dico per voi, signorina. Dovete imparare il vostro posto.»
Una volta, Anna si offrì di aiutare in cucina. La signora Blackwell la guardò come se avesse insultato lei e tutta la sua famiglia. Anna comprese l’antifona e decise che si sarebbe accontentata di scambiare qualche parola con Lily, quando la ragazza entrava in biblioteca a controllare il fuoco.
Relegata a quella strana solitudine, ad Anna la casa sembrava più vuota e triste di quanto già non fosse in realtà. La prospettiva di trascorrere l'inverno in tal modo la deprimeva ma si sentiva un’ingrata a lamentarsi, sia pure in segreto. Viveva in una casa ricca, alle spese di parenti ricchi: avrebbe dovuto essere felice.
E, forse, anche senza l'affetto di una zia e con poca compagnia, Anna avrebbe potuto essere felice se solo la casa non avesse iniziato a turbarla, come una singola goccia di inchiostro intorbidisce l’acqua in un calice di cristallo. A volte, era soltanto una vaga inquietudine che si contorceva all’altezza dello stomaco. Più spesso, era la sensazione di essere spiata. In più di un'occasione, durante le letture in biblioteca, il suo sguardo si era fissato sulle tende, e sul modo in cui gli spifferi riuscivano a muoverle. Una volta, si alzò per andare a spostare le tende, con un gran strattone.
Naturalmente, dietro non vi trovò niente e nessuno.
Soltanto la presenza dello zio riusciva a dissipare le fantasie di Anna. In sua compagnia, la casa perdeva ogni senso di minaccia e le sere trascorse assieme, davanti al camino della biblioteca, divennero fin da subito i momenti preferiti da Anna.
Lo zio amava parlare di invenzioni, di macchinari, delle novità della scienza; e lo faceva con una tale affabilità, con un tale fanciullesco entusiasmo, che Anna non si sentiva mai incapace di comprendere e ricordare. Una sera, le mostrò i tesori dietro la vetrina dello studio: un sestante, una piccola bussola di rame (che chiusa si mimetizzava nella forma di un orologio da taschino), un caleidoscopio, un astrolabio spagnolo, un binocolo del Settecento, una sfera armillare costruita nel cuore del Secondo Reich e stampe di animali ― grossi rettili dall’aspetto sgraziato ― di cui Anna non aveva mai sentito parlare, né ne aveva mai visti dal vivo.
«Megalosaurus... Hylaeosaurus...» sillabò Anna, scorrendo il dito sotto le parole. «Ma sono animali veri?»
Alzò lo sguardo sullo zio; lei sedeva sul tappeto, davanti al camino, e il signor Woodhams se ne stava in poltrona, con la pipa in una mano e una lente d’ingrandimento nell’altra. Stava osservando la riproduzione in legno di un cervo volante, appuntata in cima a un spillo.
«Lo erano. Milioni di anni fa. Dinosauria ― li hanno chiamati.»
«Dinosauria...»
«È  greco e vuol dire lucertole spaventose. ― Cos'è quel sorrisetto scettico? Non credi che siano esistiti? Ne ho viste io le statue, a grandezza naturale. Fu alla Grande Esposizione di Londra, nel Cinquantuno. Ah, quando torneremo nella capitale, Anna, ti porterò al British Museum e ne vedrai i fossili con i tuoi occhi.»
Anna non sentì accendersi nessuna fiamma d'interesse, al pensiero di lucertole giganti eppure, la sera seguente, rimpianse fossili e lucertole. Dopo una partita a Backgammon, lo zio le mise sotto al naso tre libri. Era in vena di consigli sulla lettura e le scelte erano ricadute su Manuale di Etichetta, Le Abitudini della Buona Società e Le Figlie d’Inghilterra di Sarah Stickney Ellis.
«Scommetto qui che non si parla di lucertole spaventose» commentò Anna, sollevando la copertina de Le Figlie d’Inghilterra.
«No, ma vi troverai molti utili consigli per le giovani donne. Così mi hanno assicurato.»
«Voi non l’avete letto, zio?»
«Sono stato molte cose, in vita mia, ma mai una giovane donna.»
«Fortunato voi.»
Il signor Woodhams sbuffò un sorriso, insieme al fumo della pipa.
«Rimpiangi di esser nata donna?»
«Rimpiango di vivere in un mondo modellato sui bisogni degli uomini.»
«Ah! Che piccola lingua tagliente. In questo, somigli a tua zia» Lo zio si strofinò il mento. «Non hai torto. Riconosco che vi siano molte ingiustizie a questo mondo e il tuo sesso ha ben ragione di protestare. - A ogni modo, promettimi che avrai la buona volontà di seguire i miei consigli.»
Anna mantenne la promessa e si dedicò a Le Figlie di Inghilterra quella stessa sera: a letto, in vestaglia, al chiarore della lampada a olio. Come aveva immaginato, nella prosa della Ellis non comparivano lucertole, né grandi né piccole. In compenso, v’erano altri tipi di stranezze.

Come donne, dunque, più importante di ogni altra cosa è l’essere sempre liete della propria inferiorità all’uomo ― inferiori nelle capacità mentali come nella forza fisica.

Anna sospirò. ‘Questa m’è nuova.’ Le avevano sempre detto di tenere la testa bassa accanto agli uomini, ancor più se bianchi, ma addirittura gioire della propria inferiorità! Continuò a leggere, più per sollecitare l’arrivo del sonno che per interesse. Nulla di quanto la quacchera aveva da dire le sembrava utile. Tutto ciò che ne comprese fu l’idea che la forza di una donna risedesse esclusivamente nella capacità di influenzare le scelte gli uomini.
Fin quando non incappò in un quesito:

È tua intenzione vivere per te stessa o per gli altri?

La frase colpì Anna, pizzicando un senso di colpa che aveva tentato di nascondere insieme all’anello e alla valigia. ‘Codarda’ sussurrò una voce nella sua testa: la voce della coscienza. Anna chiuse il libro, lo mise via e spense la lampada. Ma il senso di colpa accompagnò il suo sonno ed era ancora con lei, quando fu il momento di alzarsi dal letto. Anna, vestita di tutto punto, stette a rimirare l’anello, adagiato nel palmo della mano. Non lo indossò, ma nemmeno lo ripose nel cofanetto. Lo lasciò scivolare l’anello nella tasca della gonna.

*

A una settimana dall’arrivo di Anna, il signor Woodhams, dovendo dedicarsi ad alcune lettere, dispensò la nipote dal fare la dama di compagnia e Anna, poiché era domenica e i domestici godevano della serata libera, poté imporre la propria presenza a Lily.
Da principio, la cameriera protestò: madam non avrebbe approvato. Ma quando Anna disse che era assai improbabile che la zia venisse presa dal capriccio di arrancare fino sull’attico per una ronda a sorpresa, sul volto di Lily fiorì un sorriso di maliziosa complicità.
La camera di Lily era piccola e spoglia, col soffitto spiovente e le pareti bianche. Il letto era poco più di una branda e l’unico addobbo si trovava sul davanzale della finestrella: un vaso sbeccato, dal collo stretto, che la cameriera riempiva ogni quanto poteva di fiori freschi, raccolti in giardino o lungo il viale d’ingresso. Quella sera, c’era un mazzetto di fiori di lavanda. Ad Anna tornò in mente la sua vecchia camera, sopra l’emporio dei Martin, e rifletté sulla singolarità della sua situazione: a detta della società, lei aveva origini ancor più umili di Lily, eppure eccola lì, servita come un’ereditiera.
Spostarono il tavolinetto vicino alla stufa e presero il tè; poi, Lily mise mano al cestino del cucito, dedicandosi al ricamo. Si era tolta crestina e grembiule e con i lunghissimi riccioli biondi, sciolti sulle spalle, sembrava pronta a posare per un pittore dallo spirito romantico. Rapide e leggere, le sue piccole dita lavoravano l’orlo di un fazzoletto bianco.
Anna chiese di raccontarle qualcosa: da dove veniva? Da quanto lavorava per i suoi zii?
E Lily raccontò.
Era nata a Broomfield: un villaggio all’ombra del castello di Leeds. Sua madre, a propria volta una domestica, era morta quando Lily aveva nove anni. In quanto al padre, non sapeva neppure che faccia avesse. Lily non aveva ancora imparato a camminare, quando il signor Parker aveva deciso che il mestiere di marito e di padre non gli era congeniale. Se ne era andato di casa. Sparito nel nulla. E quella era la macchia d’infamia: di una donna abbandonata dal marito non si poteva che dire e pensare male. Ma loro erano state fortunate ― disse Lily ― perché i parenti materni, a dispetto dei pettegolezzi, erano stati animati da buon senso e buon cuore. Avevano trovato loro un tetto; e un lavoro rispettabile per sua madre. Quando quest’ultima li aveva lasciati, una cugina si era presa cura dell’orfana. Lily era cresciuta in casa di persone semplici e timorate di Dio; voleva loro un gran bene, assicurò, ma era stata molto felice, all’inizio dell’estate passata, di andare a servizio dai Woodhams di Maidstone, lasciando una casupola affollata di bambini e dove tutte le stanze puzzavano di rape bollite. Man a mano che parlava, Lily parve perdere riserbo e timidezza; qualità che, evidentemente, dovevano far parte del ruolo di cameriera ma che erano estranee alla sua vera natura.
«Hai lavorato per qualcun altro, prima di venire qui?»
«Sì, lo scorso anno, per una signora di Rochester. Sono rimasta in quella casa solo per due mesi. ― Ma adesso è il tuo turno! Scommetto che hai tante storie da raccontare.»
«Non così tante» sviò Anna. Stava rovistavano nel cestino del cucito, tra bottoni di legno, straccetti e nastrini.
Lily interruppe il ricamo per fissare Anna: una curiosità quasi infantile le animava lo sguardo. In sussurro, domandò: «Sei nata tra gli indiani?»
«Sì.» Anna avvolse un nastrino bianco attorno alle dita. «Ma non ricordo nulla - del villaggio, intendo. Ero una piccola cosetta in fasce quando mio padre tornò a prenderci.» Lesse il dubbio sul volto di Lily e anticipò la domanda: «Mia madre non è stata comprata. O rapita. Lui tornò per lei perché ne era innamorato. E mia madre l’ha seguito perché lo amava. Mia madre era un Ahawiti. Si chiamava Awenisa. Ma i bianchi la chiamavano Evie.»
«Quindi, sei nata tra gli indiani e cresciuta tra i bianchi. E sei sempre rimasta nella Nova Scotia?»
«No, ci spostavamo spesso, da una provincia all’altra. E ancora più spesso, quando io cominciai a crescere. Sopratutto nelle cittadine sperdute, dove... sai, la legge arrivava a fatica e i criminali avevano vita facile.»
Lily aveva abbandonato il ricamo in grembo. «Dev’essere stato tutto così... così... avventuroso!»
Anna decise di raccontarle di quando suo padre aveva dato la caccia a Willie MacCallum, un rapinatore di banche, accusato di tre omicidi. «La sua prima vittima fu la moglie. Era giovane, e incinta. E lui l’ammazzò di botte - letteralmente.» Era riuscito a fuggire di prigione a una settimana dall’esecuzione, e mentre la polizia lo cercava inutilmente attorno a Sherbrooke, suo padre l’aveva catturato nella valle del fiume Saint Lawrence. «Due giorni dopo, a mezzogiorno in punto, MacCallum era un cadavere appeso alla forca.» Anna conosceva la vicenda nei dettagli perché lei ne era stata protagonista e testimone: a diciotto anni e una carabina in spalla.
Ma questo non lo disse a Lily.
Come non disse che era stata lei a conficcare una pallottola nella gamba sinistra di MacCallum, mentre il bandito cercava di scappare a cavallo.
In più, in cuor suo, il ricordo dei genitori iniziava a renderla malinconica, e fu un sollievo quando Lily, ormai perso ogni contegno, disse: «Quella... cosa... che hai raccontato a tua zia... è vera?»
«Quale cosa?»
«Il matrimonio! Davvero hai ricevuto una proposta di matrimonio?»
«Oh, quello» sbuffò Anna. «Sì. Veniva spesso all’emporio per smerciare le pelli di castoro. Più che una moglie, cercava uno sfogo per i suoi bassi istinti. Immagino fosse stufo di lasciare i suoi soldi nei bordelli. E aveva le stesse idee di mia zia: era convinto che una ‘mezza indiana’ se lo sarebbe preso senza fare storie. Si sbagliava. E come è solito di certi uomini, non ha voluto un no come risposta, fin quando non sono stata costretta a colpirlo. Forte. E con cattiveria.»
«L’hai picchiato?» squittì Lily.
Anna fece spallucce.
«Chi vuole deflorare finisce defenestrato.»
Lily, che stava riponendo il ricamo nel cestino, sobbalzò tanto bruscamente da farsi cadere di mano il ditale. Avvampò. Rise: una risata nervosa. «Se madam ti sentisse usare certe parole!»
Il ditale, rimbalzando sul pavimento, rotolò sotto al letto.
Anna ghignò. «Defenestrare? Ho scoperto questa parola pochi giorni fa. Non è curioso che esista una parola per un azione così particolare?» Si alzò, raggiunse il materasso e si inginocchiò sul pavimento, allungando una mano alla cieca, sotto al letto. «Non lo trovo...»
«Non ti preoccupare. Lo tirerò fuori domani mattina. - Ma davvero sei venuta alle mani con un uomo?»
«Cose che capitano» ribatté Anna, continuando a tastare il pavimento. Sollevò le lenzuola e scrutò sotto al letto: buio pesto.
«E ti capitano spesso?»
Anna aggirò la domanda. «Sono gli uomini che vogliono risolvere tutto con una rissa o un duello. A me non piace mica venire alle mani. E laggiù non è proprio come qui, in Inghilterra. I gentiluomini scarseggiano. Non si va lontano facendo le svenevoli.» Si alzò in piedi, mollando una scrollata alla gonna, mentre Lily la osservava incredula. «Perché mi guardi così? Mio padre ha passato la vita a inseguire gli esemplari peggiori, pensi che non avrebbe dovuto insegnarmi a starmene fuori dai guai?» tagliò corto. «Aiutami a spostare il letto...»
«Faremo rumore» protestò Lily.
«No, se lo solleviamo. Datti una mossa!»
Lily rifiutò di nuovo. Anna insistette. E, alla fine, con un sospiro strozzato, la cameriera diede il suo contributo. Mossero il letto di lato, verso la porta; e Anna scoprì che era più pesante di quanto avesse immaginato.
Il ditale era vicino al muro.
Ma le ragazze non lo degnarono di uno sguardo, sorprese com’erano da quel che avevano appena scovato.







➽ Note autrice
First things first: un grazie particolare a Mirrine, New Red Eyes e vali_ per le recensioni ai precedenti capitoli ( ・ω・)ノ❤ E grazie anche ai lettori silenziosi!
Qualche puntualizzazione, storica e non: Ahawiti (pronuncia: ah-ui-ti) è un nome di fantasia per una popolazione fittizia - farina del mio sacco, insomma;  tutti i libri (e rispettivi estratti) citati nel capitolo sono reali; il Klondike è una variante del solitario e il Backgammon in Italia si chiama Tric-trac - anche nei futuri capitoli, i termini particolari resteranno in inglese, per rispettare lo spirito della storia; il Kent County Lunatic Asylum è un ospedale psichiatrico costruito a inizio Ottocento in una zona a sud-ovest della città di Maidstone. Ribattezzato nel corso del tempo Oakwood Hospital, è stato chiuso tra gli anni Settanta e Ottanta del Novecento.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: _Blanca_