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Autore: Tetide    09/04/2009    2 recensioni
E' la mia seconda fanfic su "Rosa Alpina", questa volta ambientata al giorno d'oggi. Jeudi ha una vita in apparenza perfetta, ma che in realtà nasconde dubbi e... qualcos'altro! Dunque, cosa succede quando un evento inaspettato scompagina il castello di carte dell'apparente perfezione? Leggete e lo scoprirete!
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
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L'orecchino della discordia CAPITOLO 4
L’ORECCHINO DELLA DISCORDIA
“Sei gentile a volermi aiutare, pur essendo un ospite”, stava dicendo Jeudi a Leòn,
“E’ un piacere per me” le rispose lui, “e poi è un modo per abituarmi: quando avrò anch’io una moglie, dovrò farlo per forza; quindi, meglio che mi trovi già preparato”. Rise, con il suo solito senso della battuta pronta.
Jeudi finse di sorridere anche lei, ma in realtà, quando Leòn aveva parlato di trovarsi una moglie, per un attimo aveva sentito una morsa al cuore: non avrebbe saputo dire perché, ma l’idea di Leòn sposato ad un’altra donna non le faceva piacere.
Forse sono un po’ gelosa del passato, cercò di autogiustificarsi.

“Scusa, Jeudi” Leonhard la risvegliò dai suoi pensieri “di solito, quanto tempo ci impiega Lundi a leggere la favola della sera a tuo figlio?”,
“Perché me lo domandi?”,
“Perché potrebbe scendere da un momento all’altro, e non potremmo mettere in atto il nostro piano”.
Fu solo in quel momento che Jeudi si ricordò del vero motivo per cui Leonhard era venuto lì quella sera “Hai ragione. Andiamo!”, disse togliendosi il grembiule.
I due entrarono in salotto;  la stanza era vuota. Leòn si avvicinò al divano, si accovacciò e ne sprimacciò i cuscini “Sembra tutto regolare” disse.
Jeudi lo osservava con aria preoccupata; lui prese uno dei cuscini e lo scosse in aria; poi lo palpò, cercando di individuare una qualche “forma sospetta” sotto la stoffa della fodera, ma non trovò nulla, così lo rimise al suo posto.
“E’ meglio lasciar perdere, Leòn: così, non otterremo nulla”,
“Non è detto”, fece lui prendendo l’altro cuscino e sottoponendolo allo stesso trattamento. Una piuma d’oca volò fuori da un punto imprecisato, volteggiando per la stanza.
“E questa da dove arriva?” esclamò Jeudi, meravigliata “I cuscini erano nuovi!!”.
Leòn mise giù il cuscino, rigirandolo dall’altra parte; notò qualcosa sul retro: una piccola lacerazione nella stoffa della fodera.
“Vieni un po’ a vedere”, si rivolse a Jeudi. Questa si avvicinò.
Leonhard stava passando con la mano sopra il piccolo strappo; anche Jeudi allungò la mano, facendo lo stesso “Questo non c’era prima della mia partenza, ne sono sicura!”.
Come poteva essere successo? Si avvicinò e guardò meglio la stoffa: quello che aveva davanti non era una lacerazione dovuta all’uso, né un taglio: era piuttosto un’apertura dai bordi slabbrati, come quella procurata da un ago che sia stato inserito nella stoffa, e poi sia stato strattonato con violenza. Ma come poteva essersi formato?
“Forse tuo marito si è seduto con le chiavi appese alla cintola”, le disse Leonhard,
“Così sembra… e la faccenda della macchina?”,
“Quale faccenda?”.
Jeudi si rialzò, scostandosi dal divano; si sedette su di una poltrona. “Ecco” attaccò “la sera in cui sono tornata da Toronto, Lundi non è venuto a prendermi con la sua macchina, ma in taxi”,
“E allora? La macchina avrà avuto un guasto”,
“Così mi aveva detto, infatti. Ed io gli avevo creduto. Ma l’altra sera sono passata davanti all’officina del meccanico, e lui mi ha detto che la macchina di Lundi non l’aveva vista affatto! Poi sono rientrata a casa, sono andata a vedere in garage e indovina cosa ci ho trovato? La macchina!”.
Leòn aveva abbassato la testa e rifletteva, gli occhi concentrati sul vuoto “Evidentemente, aveva perso qualcosa e credeva di trovarlo in macchina, ma invece il qualcosa era qui, in salotto”,
“Ma di cosa si tratta? Cosa può essere così pericoloso da dover essere nascosto ai miei occhi?”,
“Questo non lo so, Jeudi. Ma non è detto che si tratti di qualcosa di brutto: magari tuo marito ti sta preparando una sorpresa!”.
Si avvicinò alla donna seduta che si guardava intorno con aria smarrita e le prese le mani “Jeudi!”, le disse. Lei alzò gli occhi, guardandolo. Aveva un’aria indifesa, arresa. Le mani di lei tremavano. “Non è più lo stesso da quando lavora alla Troncan. Non è più lui, non è più il mio Lundi!”.
Leòn capì che la sua ex-fidanzata era realmente angosciata per quanto stava succedendo; si rammaricò per questo, ma cosa poteva fare per aiutarla? Le si sedette accanto, passandole un braccio intorno alle spalle. Lei iniziò a piangere.
“Su, su, non fare così”, le disse “tuo marito potrebbe scendere da un momento all’altro e vederti!”.
Maldestramente, Jeudi si asciugò il viso con le mani. “Scusami, Leòn. Mi sono lasciata andare allo sconforto. Scusa se ti ho coinvolto: tu non c’entri. Dimentica tutto, ti prego”.
In quel momento, sentirono dei passi sulle scale. Era Lundi che ridiscendeva.
Prontamente, Jeudi si alzò, riempì un bicchiere di Porto e lo porse a Leonhard. Quella che Lundi si trovò dinnanzi, era una normalissima scena di due vecchi amici che chiacchieravano dei vecchi tempi.

Due giorni dopo, Leonhard ripartì. Jeudi l’aveva accompagnato all’aeroporto.
“Jeudi, questo è il mio numero a Vienna, caso mai ti servisse qualcosa chiamami!”,
“Grazie. Fai buon viaggio”.
La voce dello speaker annunciò l’imbarco immediato del volo per Vienna; l’uomo abbracciò Jeudi, quindi si diresse al gate.
Un attimo prima di superare il cancello, Leòn si voltò e alzò un braccio per salutare ancora Jeudi che lo seguiva con lo sguardo. Provò una grande tenerezza per lei: gli sembrava così fragile ed indifesa, nonostante la sua posizione di giornalista affermata; pensò che l’amore può far soffrire molto.

Passò un po’ di tempo. Le cose, per Jeudi e Lundi, continuavano sempre allo stesso modo. Poi, una sera, il coperchio saltò in aria.
Jeudi era ritornata prima dal lavoro quella sera, causa un forte mal di testa, e subito si era spogliata per mettersi a letto. Il figlio si trovava presso sua sorella.  
Aveva freddo, si sentiva la febbre addosso. “Forse covo un’influenza” pensò.
Indossò la camicia da notte, ma aveva più freddo di prima, dato che questa era fatta in seta leggera; decise allora di indossare di sopra la felpa rossa, che Lundi le aveva regalato il Natale di due anni prima; lui ne aveva acquistata per sé una quasi uguale.
Aprì il cassetto, ma non la trovò; sorrise “Lundi l’avrà scambiata nuovamente con la sua”, pensò. Così si diresse al comodino del marito ed aprì il primo cassetto, dove lui teneva i maglioni. Non la trovò; cercò allora in fondo al cassetto, rovistando con la mano, quando, inaspettatamente, sentì una puntura al dito. Incuriosita, aprì di più il cassetto e vi guardò dentro. Intravide qualcosa di luccicante tra i maglioni; li scostò, con movimenti ansiosamente meccanici: e vide un orecchino, di pessimo gusto peraltro, in fondo al cassetto.
Lo prese: era a cerchio, molto grande e coperto di strass; la chiusura a  gancio non aveva sicura.
Un sospetto le attraversò la mente come un lampo. Incurante dei brividi che le attraversavano il corpo febbricitante, scese di sotto; entrò in salotto, si avvicinò al divano, sollevò uno dei cuscini, quello con la scucitura; vi accostò il gancio dell’orecchino, e vide che questo corrispondeva perfettamente allo strappo nella stoffa. Avvertì un improvviso gelo penetrarle nelle ossa e cadde in ginocchio al suolo, priva di forze, l’orecchino ancora in mano.
Adesso, tutto quadrava.
Tutto si sarebbe aspettata, ma non questo: non di essere tradita da suo marito!
Lundi le doveva delle spiegazioni, e gliele avrebbe date, volente o nolente.
Risalì in camera ed indossò una vestaglia, poi ridiscese. Si sedette in cucina, attendendo il ritorno del marito.

Lundi non si fece attendere a lungo. Dopo una mezz’ora circa dagli avvenimenti che abbiamo visto, la chiave girò nella toppa e la porta si aprì. Lundi entrò, con un’aria stanca.
Gettò le chiavi sulla mensola, si tolse cappotto e cappello, quindi si diresse in bagno. Passando davanti alla cucina, vide la moglie seduta al tavolo. “Non mi aspettavo di trovarti qui. Che ci fai a casa tanto presto, cara?”,
“Dovevo parlare con te”,
“Di che cosa?”, Lundi si tolse la giacca.
“Di questo!”, fece Jeudi prendendo l’orecchino tra le dita per mostrarglielo. Lundi rimase interdetto.
“Dunque, dammi una spiegazione, e che sia convincente!”.
L’uomo entrò anche lui in cucina, e si sedette accanto alla moglie. “Cosa vuoi che ti dica?”, sospirò “Tanto è fin troppo evidente!”,
“Quando è successo? Quando è stato?”, Jeudi aveva iniziato a singhiozzare,
“Una sera, mentre eri via”,
“Questo l’avevo capito da sola!”, ruggì Jeudi, scattando in avanti sulla sedia. Poi su quella stessa sedia si afflosciò, ricominciando a piangere. “Chi… chi era?” chiese,
“Una conosciuta per caso, in un caffè. Jeudi…” allungò una mano verso di lei,
“Non mi toccare!” lei si ritrasse “Mi fai schifo! Come hai potuto?”,
Lundi abbassò lo sguardo. “Mi dispiace. Mi dispiace tanto. Perdonami, Jeudi”.
Per tutta risposta, lei si alzò e salì di sopra.
  
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