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Autore: beornotobe    06/05/2016    1 recensioni
PROLOGO
Una ragazza.
Un viaggio studio.
Un ragazzo.
Una compagnia.
Un'organizzazione.
Un pericolo.
New York corre dei rischi.
La parola chiave č ...
ASDAR.
Periferia.
Edifici nascosti.
Quartier generale.
ATTENZIONE.
Genere: Avventura, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Entrammo, una stanza grandissima, piena di tavoli, di gente. Le pareti erano piene di quadri, persino sul soffitto ve ne erano alcuni. Ci fermammo al centro e la gente ci osservava, curiosa. Johnny venne fuori da un angolo remoto della stanza: "Ehi gente", esordģ, "Julia e Sarah daranno una mano qui fino a nuovo ordine", spiegó poi. Un tipo basso, mezza etą e la barba lunga fece: "Cosa vuoi che facciano, capo?". Lui non ci riflettč affatto e rispose subito: "Nulla di che, Scott, potrebbero semplicemente applicare le cornici, ad esempio. Mi interessa che spieghiate loro come funziona qui, prima di tutto. Tutto il processo, l'esposizione.", si fermó, "Posso contare su di te?", domandó poi, porgendogli la mano. Scott gli strizzó l'occhio: "Ovviamente si", poi di rivolse a noi: "Allora, cominciamo?". Noi annuimmo e Johnny si congedó: "Beh, ci si vede in giro", sorrise. Ricambiai con un cenno del capo e un lieve sorriso, che penso lui riuscģ a vedere prima di uscire dalla porta principale. "Allora, i quadri che vedete attaccati da ogni parte sono pezzi da collezione rubati nei pił famosi musei di arte contemporanea, antica e futuristica", spiegó, aggiuntandosi lo strambo cappello che portava. Si accorse che lo fissavo divertita e si affrettó a precisare: "Č di Johnny, me l'ha prestato un paio di giorni fa". Io risi: "Non pensavo gli piacessero i capelli". Lui disse: "Oh no, no, no, li adora. Soprattutto quelli strambi, colorati e con qualche piuma". I cappelli piacevano tanto anche a me, ma non ne avevo mai portato uno. Decisi che gli avrei chiesto di prestarmelo. "Quindi, a quanto ho capito, applicheremo le cornici?", chiese Sarah. "Hai capito bene, signorina. Andate da Diana, la ragazza lą in fondo, vi spiegherą lei come fare", fece poi, indicandoci la ragazza che gią conoscevamo. "Ciao ragazze", ci salutó lei, "Johnny mi ha spiegato tutto, lavorerete con me". Ci indicó delle cornici bianche, con degli acrilici accanto e disse: "Dobbiamo pittarle e applicarle a quei quadri lą in fondo". Annuimmo, dopo di ció lei ci porse i pennelli e ci mostró come fare. "Dipingetele del colore che preferite, basta che lo spalmiate bene", fece, iniziando lei con delle pennellate sulla mia cornice. Cominciammo di buona lena, chiacchierando, lei faceva la nostra medesima cosa. "Mi sembrava strano foste andate a scuola con Johnny, quando me lo raccontaste, quel giorno", rise lei, riferendosi alle nostre bugie. Ridemmo anche noi. "Ci serviva qualcosa da dire", spiegai io, semplicemente. "Perché vi eravate intrufolate alla festa?", chiese poi. "Johnny voleva tenerci chiuse in camera", inizió Sarah, "E io l'ho convinta ad andare", continuai io, "Siamo uscite, siamo arrivate e niente", risi, "Ti abbiamo raccontato un sacco di cazzate". Diana annuģ sbattendo le lunghe ciglia ornate dal mascara. Guardandola pensai che alla fine non mi avrebbe affatto sorpreso se Johnny ci avesse provato anche con lei in passato. Era una bella ragazza, alta, capelli castano chiaro, occhi verdi, sui 25 anni, sorrideva sempre. Indossava al momento un grembiule azzurro sporco di pittura con una camicia a righe bianche e blu, ed era ugualmente molto elegante e graziosa. Non era una ragazza che amava mettersi in mostra, semplicemente teneva al suo aspetto, che teneva sempre curato. Alice lo stesso, ma lei era pił estroversa, pił furba e persino civetta, oso dire. Nonostante tutto, la sua simpatia non l'aveva nessuno. Dopo una decina di cornici, Diana ci interruppe: "Puņ bastare per oggi, riprenderete domani mattina ragazze", ci sorrise. "Grazie mille per tutto, Di", la ringrazió Sarah, e io feci altrettanto. Camminavamo per i corridoi, tornando in camera, quando Sarah mi chiese: "Che ne pensi di Francis?". Sorrisi divertita: "Perché?". "Cosģ", rispose, alzando le spalle. "Non mi convince la tua risposta", sorrisi maliziosamente, "Ma tuttavia ti dirņ cosa ne penso", feci, "Penso semplicemente sia un tipo cool, abbastanza simpatico e cose simili", spiegai gesticolando, fingendo mi fosse totalmente indifferente. "Lo snobbi?", fece lei, con espressione indecifrabile. Era agitata. "Uhm... No", risposi, giocandoci un po', "E tu?", chiesi. "Perché dovrei? Č nostro, beh, amico", spiegó velocemente. "Infatti non lo snobbo, come ho detto", risposi io. "Lo hai descritto con sufficienza, Ju", fece lei, sbuffando. "Scusami, ho la testa sovraffollata di pensieri", risposi ridendo, perché in realtą lo avevo fatto apposta. "Potrei sapere quali?", domandó. "Non si tratta di Francis, non preoccuparti", risi ancora, dandole una gomitata. Lei arrossģ, ma ribattč: "Le si fa una domanda e si mette in testa cose assurde", incroció le braccia fermandosi in mezzo al corridoio. "Suvvia, non fare la stupida, ormai ti conosco", la spinsi "invitandola" a camminare: "Torniamo in camera". Ci sdraiammo sui letti, esauste. Erano le 19:30. La giornata era stata molto ma molto esaustiva, e ce ne stavamo completamente distese quasi sonnecchianti. Francis irruppe nella stanza dopo neanche 10 minuti: "Ehiiiii", urló, a torso nudo. "Sbornia?", domandai. "Era solo uno scherzo", disse, triste, osservando la nostra misera reazione. "Siamo stanche", spiegai, alzando le spalle. Sarah si era messa a sedere sul letto. "Che ci fai qui?", chiesi. "Niente di che", rispose lui, grattandosi goffamente la schiena. Io risi a quei movimenti, sembrava un orso, anche se la sua corporatura tutto diceva tranne che quello. "Nessuna festa stasera?", chiese Sarah, gli occhi bassi. "Temo di no", fece lui, "Johnny sta male". "Che cos'ha?", mi informai, un po' preoccupata, lo ammetto. "Ha litigato di nuovo con Winona", spiegó lui. "E ora dov'č?", chiesi. "Non lo so", rispose, "Č uscito mezz'ora fa". "Dove potrebbe essere andato?", continuai. "A meno che la litigata non sia stata tanto forte da fargli venire in mente di buttarsi sotto a un ponte... Dovrebbe essere in un postaccio dei suoi soliti", aprģ le braccia facendole poi ricadere sui fianchi. "Dove?", fece Sarah. "Birrerie? Discoteche? Pub?" elencó lui. "Mi dispiace, spero non sia nuovamente a causa nostra", dissi io, scossa. "Dispiace anche a me", disse Francis, "Speriamo torni presto". Detto ció si congedó uscendo poi dalla porta. "Ma quando ti importa?", fece lei, scrutandomi e ridendo. Cercai di non arrossire: "Non sono menefreghista, quante volte devo ripetertelo?", feci io, girandomi dall'altro lato e mettendo la testa sotto al cuscino. "Dove sarą il povero Johnny?", chiese lei, imitando il mio tono mentre chiedevo a Francis. Le rivolsi l'anulare, ridendo. Dopo un po' cenammo, con la roba nel frigo bar e bevemmo una birra. Mi fece pensare a lui. "Hai mai bevuto tanto?", ricordai la sua frase, nella casetta di legno, da soli. Volevo ubriacarmi. Ma non l'avrei fatto in quel momento, ora che lui era lą, abbattuto, in quella discoteca o pub che si trattasse, l'avrei fatto un'altra volta, gią. Chiacchieriammo ancora un po' e poi andammo a dormire, chiudendo gli occhi quasi subito.
  
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