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Autore: Lady A    09/05/2016    9 recensioni
«[…] Mi sono fermato in Francia per due motivi. Per dare l’ennesima dimostrazione a me stesso che il mio cuore adesso non prova più amore per lei e… per voi. Sì per voi. Vi confesso che in questi sette lunghi anni mi è capitato sempre più spesso di pensarvi Madamigella Oscar, il ricordo della vostra immensa grazia, dei vostri bellissimi lineamenti e dei vostri meravigliosi occhi azzurri sono stati in grado di placare come nient’altro le profonde sofferenze di questi lunghi anni. E sempre pensando a voi, ho capito quanto davvero ho sbagliato con la Regina. Lei resterà sempre nel mio cuore, ma ora posso dirvi con certezza che riesco a pensarla in maniera diversa… mentre per voi… per voi mi sono accorto di provare qualcosa di profondo, di molto profondo Oscar… non voglio sconvolgervi ma credetemi, ci tenevo a dirvi che nell’eventualità che ricambiaste i miei sentimenti, desidererei come niente al mondo sposarvi…»
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Hans Axel von Fersen, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Rosa nata ieri


 
[André]

Il sole giunse come un’illusione quel giorno. Al primo sorgere dell’alba, la neve abbracciò nel suo silenzio l’intera Île-de-France. Minuscoli cristalli foggiati in fiocchi leggiadri, si adagiavano al suolo, colmando con la loro inviolata purezza ogni singolo dettaglio umano e naturale. Sotto il loro candore, il mondo vibrava d’uguaglianza. Ciò nonostante, la rigidità di quell’inverno distrusse interi raccolti e numerosi alberi da frutto. La crisi economica accrebbe violentemente, originando continui scontri tra le strade di Parigi. Ogni anno, gran parte del bilancio
 statale era riservato a garantire il lusso del clero e della nobiltà, sfavorendo l’accrescimento dell’economia del paese. A discapito del terzo stato, essi godevano di svariati privilegi sulle imposte. Quando sarebbero terminati quei soprusi? Quei gioghi di potere assolutisti? Il popolo sarebbe insorto prima o poi, rovesciando con violenza l’intero sistema politico.

Sospirai amaramente, alimentando le fiamme del camino; la stanza si animò in breve, di un vellutato tepore. Mi concessi un bicchiere di vino, sedendomi sul letto. Abbassai lo sguardo, là dove una macchia scarlatta s’offriva al candore della stoffa. Mi liberai della giacca, aprendo lentamente la camicia. Trasversale, la leggera ferita riprese bruscamente a sanguinarmi lungo il petto. Sorrisi appena nel guardarla. La tamponai con un panno, lievemente. In un soffio di vento, rividi i suoi occhi fermi nei miei. Orgogliosi, caparbi, determinati come un tempo che sembrava ormai lontano. Ritrovarla così reale seppur inafferrabile, risvegliò il mio cuore di gioia.
Avevo forse sognato?
Lo temetti a lungo, malgrado il sangue sulla pelle.
Mi ero davvero scontrato con lei nelle vesti del Cavaliere Nero?
Cosa ne era stato di quella donna che avvolta da fili d’oro e organza, mi aveva salutato un anno prima, per sposare l’uomo che amava?
Strinsi i denti e trattenni il respiro nel ricordo di quel giorno. Il panno mi scivolò dalle mani, finendo sul pavimento. Una macchia accesa ne graffiò la lucentezza del marmo. Portai le mani agli occhi, brancolando confuso nelle ombre di quelle domande senza risposte.
«Per amore del cielo André! Che cosa ti è successo?».
Stringendo tra le mani gli abiti appena lavati, mia nonna entrò nella stanza. Con un leggero sforzo, richiuse la porta alle sue spalle. Alzai il viso, andando incontro ai suoi occhi. Mi guardò allarmata, quasi incredula.
«Non è niente nonna… è soltanto un graffio, non preoccuparti!». La rassicurai con un sorriso, riprendendo a tamponare la ferita.
«Disinfettala bene prima che prenda infezione! Si può sapere come te la sei fatta? Tu e Madame Fersen mi farete morire di crepa cuore un giorno!».
Sospirando, depose la biancheria e i vestiti in una cassettiera di legno, adagiata nell’angolo più freddo della camera. A quell’accenno, il mio cuore tremò d’angoscia e di vita.
«Oscar…». Sussurrai appena, per poi correggermi con un penoso sorriso. «Madame Fersen… è qui…?». Chiesi, posando il panno sul mobile accanto.
Cercai i suoi occhi angosciati. Ebbi l’impressione che mi nascondesse qualcosa. Sfuggì infatti dal mio sguardo, prendendo a sistemare con cura, le sedie intorno al tavolo.
«Sì, è tornata ieri pomeriggio. Accettare il suo matrimonio con il conte svedese è stata la scelta più sensata che potesse fare il Generale. Quando la vedrai André, mi raccomando, salutala con dovuto riguardo e mantieni le distanze!».
Continuò a darmi le spalle.
«Senz’altro nonna…».
Annuii con il capo, indossando una camicia e un gilet puliti.
Conoscevo ormai bene tutte le sue apprensioni sulle formalità da adottare.
Avrei dovuto ascoltarle fin da bambino, pensai per un attimo, socchiudendo gli occhi con infinita amarezza e frustrazione. Ripensai al nostro antico legame. Ai sogni, le sfide, le gioie e i dolori che insieme, avevamo condiviso. Al suo affetto e alla sua fiducia nei miei confronti. Alla generosità che la spinse un giorno lontano ad offrire la sua stessa vita in cambio della la mia, sfidando l’ira del Re; al suo amore per Fersen che mi aveva reso impercettibile ai suoi occhi e al suo cuore, e all’indifferenza con la quale mi aveva lasciato.
«Dovresti fare lo stesso con Astrée. E’ sconveniente che tu trascorra tante ore nella sua camera…».
Brontolò rivolgendomi finalmente lo sguardo. Mi scrutò a lungo accigliata. Sorrisi divertito, sistemandomi la giacca. Quando si avvicinò a me, i suoi occhi si ravvivarono di un’insolita emozione.
«A parte questo, ho la certezza che tu mi nasconda qualcosa André… quando me la presenterai? Sono tanto impaziente di conoscerla…». 
Rimasi senza parole.
«Nonna io…».
Indugiai imbarazzato.
Mi alzai in piedi, avvicinandomi alla finestra. Mi seguì con lo sguardo. Solo in quel momento, mi resi conto di come quel folle pensiero la rendesse insolitamente discreta nei miei riguardi, permettendomi di agire indisturbato nell’ombra della notte. Sospirai.
«Quando… sarà il momento…».
Mi voltai, simulando un sorriso. Lei mi venne vicino e mi strinse amorevolmente le mani.
«Sono tanto felice per te, André!». I suoi piccoli occhi azzurri si velarono di una profonda commozione. «Mi raccomando, sii responsabile e bada a non farla restare incinta prima del matrimonio!». Aggiunse tornando seria e minacciosa, lasciando infine la stanza.
Sorrisi di cuore e poi risi amaramente di me stesso. Risi delle mia totale devozione per una donna che mai mi avrebbe amato.
Crudele Amore, a che cosa non forzi i cuori degli uomini!*

Risi di quella pietosa menzogna che rese incredibilmente felice mia nonna. Risi di me stesso al ricordo di colei che all’alba dei miei diciotto anni, mise a tacere per la prima volta il mio desiderio fisico, allora così intenso e immaturo. Bérénice, questo il suo nome.
Bionda, sensuale, dalla pelle infinitamente vellutata e pallida, dallo sguardo limpido e malizioso.
Sentendomi un vile traditore, smisi ben presto di cercarla. La ritrovai molti anni dopo, poco prima della partenza di Oscar per la Svezia. Ubriaco e sperduto, cedetti impunito al suo fascino nella squallida stanza di una bettola di Parigi. Il piacere carnale soffocò nuovamente nei sensi di colpa. Non avrei mai amato né avuto nessun’altra donna nella mia vita se non Oscar; ero quiete nella mia condanna.

La pioggia si sostituì violenta in cielo. Rimasi ad osservarla, sorseggiando un altro calice di vino.
Alla salute del Conte e della Contessa di Fersen!  
Ero rimasto stupito nel trovarla nuovamente in abiti maschili. Allora, non mi interrogai troppo sul perché del suo improvviso ritorno. Mia nonna si rivelò insolitamente spiccia al riguardo, omettendo alcuni particolari. Così, con frustrazione ripensai al momento in cui l’avrei rivista nuovamente accanto a suo marito. L’unico che avesse il diritto di sfiorarla, baciarla, far suo quel corpo.
Avrebbero avuto dei figli un giorno. Quasi sorrisi a quell’ultimo pensiero.
Abbassai lo sguardo, toccando attraverso la stoffa, la lieve ferita che mi aveva provocato. Perché tanto interesse e ostilità nei confronti del Cavaliere Nero? Lei così sensibile alle ingiustizie del mondo, lei che aveva pianto lacrime amare per l’uccisone di un bambino per mano del duca De Germain, mettendo a rischio la sua stessa carriera per vendicarlo; lei che con la sua generosità aveva soccorso il piccolo Gilbert Sugane e accolto sotto la sua ala protettiva Rosalie. Lei, figlia della nobiltà. Io, figlio del popolo. Ci saremmo davvero trovati un giorno, a scontrarci su linee opposte?

 


[Oscar]  

Dopo la neve, una fitta pioggia bagnò il lento sorgere del giorno. Ero ancora nei miei appartamenti, abbandonata su una poltrona di broccato, al cospetto del fuoco vivo del camino. Bevendo del cognac, osservai l’eterno vibrare di quella fiamme protese in uno scontro senza fine. Avvertii l’ardore di quella lotta sulla pelle. La feci mia con il cuore. Socchiudendo gli occhi, indugi nel ricordo del Cavaliere Nero, sull’insolita familiarità del suo impunito sorriso. Fissai la mia spada calata a terra. Con orgoglio la impugnai. Sulla punta, inequivocabili tracce di sangue. Il suo.
Chi era realmente? Intendevo scoprirlo. 
Volevo far luce sull’ombra dei suoi segreti, per allontanarmi egoisticamente dai miei. In quell’allettante sfida, credetti di ritrovare l’impronta di me stessa. 
Quel mattino, raggiunsi il salone principale per la colazione.
Seduta attorno al tavolo, persa nei meandri della lettura, vestita d’elegante velluto, incontrai la contessa De Flamel, mia cugina. I suoi capelli d’ebano raccolti in una morbida treccia, ne risaltavano il petto impeccabilmente composto nel rigido bustino.
«Buongiorno». Mi salutò, alzando lo sguardo dal libro. Lo richiuse subito dopo con un gesto rapido, quasi brusco. Incontrai il suo viso, i suoi lineamenti delicati, i suoi occhi azzurri simili ai miei, taglianti come lame.
«Buongiorno Astrée, sono felice di rivedervi». Sorrisi, sedendomi accanto a lei. Alcune cameriere ci servirono del pane fresco, dolci alle mele, latte, cioccolato e spremuta d’arancia. Adagiarono il tutto sul ripiano del tavolo, decorato con un mosaico di vari colori.
«Ho saputo del vostro rientro solo questa mattina. Mi sorprende trovarvi nuovamente in abiti maschili. Mi era stato detto che avevate lasciato il palazzo come una vera dama…».
Mi guardò intensamente, avvicinando alle labbra una tazza di latte.

«Quegli abiti sono solo un’inutile costrizione». Replicai senza scompormi, bevendo del cioccolato fumante. Continuò ad osservarmi.
«Ho sentito molto parlare di vostro marito, mi sorprende che non abbiate ancora messo al mondo un erede, nei salotti se ne parla spesso e credo che la cosa renderebbe felice anche vostro padre…». Mi guardò seria in volto. Scorsi una inspiegabile provocazione nelle sue parole. L’inquietudine mi si affacciò improvvisa sul cuore.  
«Non è nelle mie aspettative diventare madre…». Affermai pacata, evitando il suo sguardo.
Non avrei mai avuto figli, pensai. Quell’ipotesi era assurda per una come me. Non la presi mai realmente in considerazione se non pallidamente all’inizio del matrimonio. Me ne scoprii profondamente smarrita e inadatta anche solo a concepirne l’idea. Ma fu Hans a rassicurarmi. Affinché non sarei stata pronta, sarebbe stato previdente, mi disse. Lo era anche con le sue amanti? Probabilmente.
Spiai l’espressione esterrefatta di Astrée. Senza aggiungere altro, mi alzai, quando qualcuno giunse silenziosamente alle mie spalle.
Solo allora mi voltai.
«Buongiorno Madame Fersen».
Incontrai il viso di André. I suoi capelli inaspettatamente corti, non erano più raccolti nel nastro nella quale era solito legarli da che ne avessi memoria. Mi salutò con un lieve inchino intinto di compostezza. Cercai il suo sguardo, considerando l’assurdità di quelle formalità calate tra noi. Formalità che io stessa, avevo accettato passivamente al momento di abbandonare la mia vecchia vita.
«Mi vogliate scusare cugina, dato il maltempo mi ritirerò a dipingere nei miei appartamenti in compagnia di André».
Astrée gli si pose davanti. Una nota di complicità corse nei loro sguardi taciti. Si capirono senza l’ausilio di parole, come impeccabilmente in sintonia tra loro. Coperti dal silenzio, si inoltrarono nella stessa direzione.
Mi scoprii un’estranea al loro cospetto.

Trascorsi il pomeriggio nei miei appartamenti, immersa nella letteratura antica, dinanzi al tepore cordiale del camino. La pioggia continuò a battere dal cielo come le lacrime incessanti di un gigante o di un Dio.
Era forse l’eco del popolo ridotto allo stremo delle forze?
Raggiunsi la nonna nella cucine. Non mi vide, affaccendata com’era nel svolgere con alacrità le sue mansioni. Quasi la spaventai.
«Oh Madame siete voi!». Sussultò appena, portando una mano al petto, per poi sorridermi dolcemente. «Il vostro tè è quasi pronto!».
«Posso aspettare. Ascolta, quando vedrai André, digli di raggiungermi nei miei appartamenti!».
«Ma…».
Decisa, frenai ogni sua protesta sul nascere.
«Devo parlare con lui di una questione importante».
Intimai.
 
Attesi André, in piedi, presso la finestra. Osservai l’oscurità calare assoluta sul mondo. Non c’era la luna quella notte, né le sue stelle. La pioggia continuò a picchiare a lungo, contro le vetrate. Udii un lieve colpo alla porta. Senza voltarmi, diedi il permesso di entrare.
«Madame Fersen!».
Avanzò di qualche passo verso di me.
«E’ inutile che tu usa certe formalità con me, André…». Sorrisi appena, continuando a dargli le spalle. «Cosa sai del Cavaliere Nero? Ieri notte è venuto qui, non sono riuscita a togliergli la maschera, ma l’ho ferito di striscio…». Tagliai corto.
 
 

[André]

«So poco di lui Oscar, ma so che sta facendo molto. Ogni notte dona la sua refurtiva ai poveri di Parigi…».
Parlai lentamente, osservando le sue spalle esili, i suoi lunghi capelli d’oro. Silenziosamente, contemplai ciò che offrì al mio sguardo. Mi scoprii preparato a quella domanda, così come alla sua bieca indignazione.
Un ladro resta sempre un ladro. Era quello il suo pensiero.
«Dona ricchezze che appartengono ad altre persone!».
Ringhiò nel silenzio, stringendo appena i pugni. Non si mosse, né si voltò. Non incontrai mai i suoi occhi.
«I nobili si arricchiscono con i soldi che lo Stato sottrae alla povera gente, quelle ricchezze non appartengono loro di diritto!». Il fervore mi crebbe nel cuore. Quelle parole nacquero dure come rocce. Mi sentii come un fiume in piena. Nel parlarle, alzai inaspettatamente la voce, ma subito dopo mi placai. Non volevo scontrarmi nuovamente con lei.
«Buona notte Oscar, se non hai bisogno di altro, Astrée mi attende in salotto…».
La congedai o forse semplicemente, scappai.


 
[Oscar]  

Mi voltai di scatto, per un attimo a corto di parole. I nostri sguardi non si incontrarono né si cercarono. Fu nell’istante in cui vidi André voltarsi per lasciare i miei appartamenti che qualcosa attirò la mia attenzione. Come a marchiarlo, una striscia di sangue spiccò viva sul suo petto, all’altezza del cuore.
 
André cosa…?
 
 
 


 

*Frase di Publio Virgilio Marone.
 
 
 
  
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