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Autore: Adeia Di Elferas    10/05/2016    2 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Giovanni Andrea da Savona aveva appena ricevuto la notizia di una prossima visita di tutta la famiglia Riario alla rocca di Imola. A quanto pareva la Contessa voleva visitare ufficialmente la città, per dissipare alcuni dubbi nati su di lei.
 La notizia delle presunte nozze tra lei e Antonio Maria Ordelaffi aveva scosso molto sia gli imolesi sia il castellano. Dopo aver ospitato il cugino del defunto Conte, il Cardinale Sansoni Riario, e averlo conosciuto un po', Giovanni Andrea si era messo in testa che la Contessa non fosse proprio una donna così limpida come aveva creduto fino a quel momento.
 La storia delle nozze gli puzzava. Anche se adesso tutti cominciavano a dire che l'Ordelaffi era stato addirittura mandato in esilio perché aveva messo in giro voci non vere, il castellano continuava a credere che quella donna avesse in mente qualche losco piano per estromettere Ottaviano Riario, il legittimo erede di Girolamo, e far assurgere al potere un qualche altro uomo scelto da lei.
 Inoltre, benché quel pensiero lo facesse sentire un po' egoista, lui sarebbe stato tra i primi epurati, visto che era sempre stato fedele ai Riario. La sua rocca sarebbe finita nelle meni di qualcun altro e la sua carriera si sarebbe conclusa nel modo peggiore. Magari con una bella impiccagione in pubblica piazza. A quel che pareva, la Contessa non faticava a trovare scuse per far fuori chi non le andava a genio.
 La visita della famiglia per intero faceva proprio al caso suo. Giovanni Andrea era stato avvisato che i figli della Contessa l'avrebbero preceduta di qualche giorno, assieme alle balie e a qualche servitore. Dunque, quale occasione più ghiotta di quella, per rimettere quella donna insolente al suo posto?

 “Proprio non capisco perché vogliate andare a Imola adesso.” disse Tommaso Feo, gli occhi scuri che fingevano di passare in rassegna l'inventario delle vettovaglie.
 “Perché, anche se Imola è sempre stata tranquilla, non mi piace quello che mi hanno detto le mie spie.” spiegò Caterina, che si era messa alla finestra e osservava il cielo ottobrino, di un grigio tenue, appena più scuro lungo la linea dell'orizzonte: “Ordelaffi, con le sue chiacchiere, sembra aver fatto più danni del previsto. Voglio sentire di persona quello che si dice in città e voglio mostrarmi agli imolesi da sola, senza nessun uomo a farmi da ombra, se non mio figlio Ottaviano.”
 Tommaso lasciò perdere le carte su cui pretendeva di concentrarsi e guardò la sua signora, che gli dava la schiena.
 C'erano giorni, come quello, in cui lei gli sembrava tremendamente invecchiata. Certo, sempre con la sua solita pelle vellutata da diciottenne e la sua chioma liscia e color del grano. Però... C'era qualcosa nel modo in cui inclinava la testa o si appoggiava appena al davanzale...
 “Porterete molta servitù con voi?” chiese Tommaso, cercando di tornare concentrato sull'argomento di quel loro incontro, ovvero la trasferta a Imola.
 Caterina avvertì una piccola scossa lungo la schiena. La domanda del castellano era disinteressata oppure voleva sapere più di quel che le sue parole osavano chiedere?
 “No, solo la moglie di Bernardino, come mia cameriera e qualche soldato.” scosse il capo Caterina.
 “Dunque non devo dire a mio fratello e agli altri stallieri di prepararsi...?” buttò lì Tommaso, con affettata casualità.
 “No, non è il caso.” fece subito Caterina, sentendosi punta nel vivo.
 “Come preferite.” soffiò Tommaso, come se in fondo la cosa non lo toccasse, quando invece quella piccola soddisfazione – il sapere la Contessa e suo fratello lontani per qualche giorno – gli dava uno strano piacere.
 Da un po' di tempo i suoi dubbi erano stati avvalorati dalle parole di Bianca Landriani. La ragazzina provava un certo attaccamento per lui e Tommaso non si era fatto scrupolo nello sfruttare quel suo ascendente per scoprire quanto la giovane conoscesse la vita privata della sorella maggiore.
 Bianca aveva detto di non avere certezze in merito, ma le era parso di notare qualcosa di strano in Caterina, quando nelle vicinanze c'era anche Giacomo. Tanto era bastato a Tommaso per sentirsi legittimato a credere che tra i due ci fosse una relazione.
 
 I figli di Caterina e le balie raggiunsero la rocca di Imola in un tranquillo pomeriggio di quell'inizio di ottobre e furono accolti con insolito calore dal castellano Giovanni Andrea.
 In particolare, Ottaviano si sentì trattato come un principe. Gli vennero offerti cibi prelibati e Giovanni Andrea gli permise di seguirlo, durante il giorno, per 'controllare', così aveva detto, il suo operato e decidere se fosse o meno un buon castellano.
 La piccola Bianca passava molto tempo assieme alle balie e a Sforzino e Galeazzo Maria. Leggeva loro dei miti dell'antichità e raccontava alcune delle storie che la loro madre era solita narrare sui loro avi.
 Cesare moriva d'invidia nel vedere come Ottaviano venisse trattato già come un adulto, perciò mal sopportava la vicinanza forzata di Livio che, con i suoi quattro anni, non era per lui il massimo della compagnia.
 Una sera, mentre raggiungevano assieme la sala per la cena, il castellano, che in quei giorni non aveva fatto altro se non conquistarsi sempre di più la fiducia del Conte di nove anni, chiese a Ottaviano: “Mio signore, ho sentito dire che vostra madre intende prendere di nuovo marito, è così?”
 Il bambino restò folgorato da quelle parole, ma cercò di darsi un contegno e rispose, incredibilmente serio: “State sbagliando, castellano.”
 “Eppure mi era stato riferito che volesse convolare a nozze con Antonio Maria Ordelaffi.” insistette Giovanni Andrea, con un sorriso tirato.
 “Mia madre non si risposerà più.” disse Ottaviano, con un velo di ostinazione decisamente infantile nella voce: “Non importa quello che avete sentito dire. Lei non si sposerà più e basta.”
 Il castellano capì di aver commesso un passo falso e si affrettò a ritirare tutto: “Perdonatemi, ho dato peso alle voci sbagliate. Mi rincuora sapere da voi che vostra madre non prenderà più marito, è un vero sollievo.”
 “Perché?” domandò Ottaviano, sospettoso.
 Non gli stava piacendo quel discorso. Il castellano gli stava simpatico, ma tutte quelle domande e quella considerazioni su sua madre lo stavano infastidendo.
 “Ebbene – alzò le spalle Giovanni Andrea, improvvisando una risatina – senza un nuovo marito al fianco di vostra madre, la vostra posizione è ancora più salda, non credete?”
 Ottaviano ricambiò svogliatamente la risatina, mentre la sua mente cominciava ad arrovellarsi su quel dettaglio che fino a quella sera non aveva mai preso in considerazione.

 Caterina aveva appena lasciato la rocca assieme a un piccolo drappello di soldati e la sua dama di compagnia. Avrebbero evitato Faenza, più per evitare ogni tipo di incidente, piuttosto che per evitare di pagare il pedaggio. Dalla morte di Galeotto la tassa di passaggio si era abbassata, ma era, secondo la Contessa, comunque molto più sicuro passare per i boschi.
 Tommaso Feo l'aveva guardata uscire dalla rocca di Ravaldino stando sulle merlature. Non appena l'aveva vista sparire tra le strade della città, aveva fatto un respiro profondo e aveva fatto per tornare al suo posto, quando il suo sguardo era stato catturato da una figura appena oltre il ponte levatoio.
 Giacomo, suo fratello, era uscito dalla rocca e ancora guardava l'orizzonte, stringendosi nelle spalle per far fronte al freddo umido di quel giorno.
 Tommaso sentì crescergli nel petto uno strano fastidio. Non poteva certo impedire alla Contessa di commettere una sciocchezza di quella portata, ma almeno poteva dare una strigliata a suo fratello.
 Con che coraggio Giacomo si era spinto fuori dalla rocca, da solo, per salutare Caterina che stava partendo per Imola? Non aveva pensato che qualcuno avrebbe potuto notarlo e trovare molto strano il suo atteggiamento?
 Tommaso si massaggiò la fronte, spaziosa, ma già segnata da alcune profonde rughe, e si disse che non poteva nemmeno fare una sceneggiata a Giacomo. Avrebbe perso completamente la faccia.
 L'unica cosa che poteva tentare era dissuaderlo inducendolo a convincersi che amare la Contessa era un errore madornale.
 Così il castellano aspettò il fratello appena oltre il portone.
 Giacomo, nel vedere Tommaso a braccia incrociate e gambe larghe ben piantate nel terreno, restò un momento contraddetto. Era ovvio che lo stesse aspettando, ma per quale motivo?
 “È molto bella, non è vero?” chiese Tommaso, con uno sguardo complice che poco si addiceva al suo volto severo.
 Giacomo finse di non capire, ma suo fratello indicò verso la città, a sottintendere che la Contessa appena partita era il soggetto della sua considerazione: “È così bella che è fin troppo facile innamorarsi di lei.” proseguì: “In quanto ad amarla, però...”
 Giacomo deglutì. Non capiva dove Tommaso volesse andare a parare. Aveva capito qualcosa? Aveva capito tutto? O stava solo parlando a ruota libera, da fratello a fratello, come avrebbe fatto qualche anno addietro?
 “Che significa?” domandò Giacomo, senza sbilanciarsi.
 “Che non è una donna facile da amare.” parafrasò Tommaso, i cui occhi scuri puntavano quelli appena più chiari del fratello minore: “La Contessa è un'anima inquieta.”
 Siccome Giacomo aveva un'espressione confusa, il castellano affondò il colpo, credendo di poter cominciare a minare fin da subito le convinzioni del ragazzo: “Se la chiamano Tigre, sappi che un motivo c'è.”
 Giacomo restava muto, guardingo, ancora impegnato a capire quanto suo fratello sapesse, perciò quasi sussultò, quando Tommaso scoppiò a ridere e, dandogli una fortissima pacca sulla schiena – tanto forte che Giacomo pensò che suo fratello volesse davvero fargli del male – gli disse: “Su con la vita! E vai a dar da mangiare ai cavalli!”

 Caterina e il suo seguito arrivarono a Imola accompagnati da una foschia molto fitta che rese i loro abiti umidi e pesanti.
 Non faceva troppo freddo, ma dopo la traversata dei boschi per aggirare Faenza, tutti loro non vedevano l'ora di ritirarsi davanti a un camino e mangiare qualcosa di caldo.
 Imola li accolse con estrema allegria, improvvisando canti e festeggiamenti di ogni tipo. Caterina apprezzò quella dimostrazione di affetto, tuttavia non riusciva a godere appieno di quello spettacolo.
 Pensava a quello che aveva lasciato a Forlì. Anche se era questione di pochi giorni, non era tranquilla.
 Lasciare Giacomo da solo, in balia di se stesso, era una cosa che l'angosciava. Anche se, per via della natura particolare del loro rapporto, non lo conosceva ancora molto caratterialmente, aveva già capito determinate cose di lui.
 Prima di tutto, sapeva che Giacomo era in fondo un grande ingenuo. Si fidava troppo delle persone e faticava a vedere il male anche laddove la sua presenza era evidente.
 Poi, avere una relazione con lei lo portava a essere insicuro e quindi ad agitarsi più del dovuto, per paura di essere scoperto. Anche se poi era capace di gesti di grande avventatezza, come quando, quel giorno, era uscito dalla rocca per salutarla, non curandosi degli sguardi indiscreti.
 Infine, Giacomo aveva una forte sudditanza nei confronti di suo fratello Tommaso e nell'amare Caterina si sentiva come un traditore nei suoi confronti, dato che anche lui, come quasi tutti, aveva capito la natura dei sentimenti del castellano per la sua signora.
 Dunque lasciarlo solo in una rocca con suo fratello a Caterina pareva una scelta azzardata. Però non aveva voluto portarlo con sé, temendo che una seconda trasferta con il giovane stalliere incorporato nella schiera di servi sarebbe stata sospetta agli osservatori più fini.
 Nemmeno il fatto che sua sorella Bianca fosse rimasta a Ravaldino la tranquillizzava. Le mire di quella ragazza nei confronti di Tommaso non si stavano ridimensionando, anzi, si stavano ingigantendo sempre di più. Non ci sarebbe stato da stupirsi se Bianca avesse, contravvenendo il normale ordine del mondo, chiesto la mano del castellano. Caterina temeva che il giorno in cui avrebbe dovuto consolare sue sorella per il rifiuto di Tommaso fosse ormai molto vicino.
 Con tutti questi pensieri che le ingombravano la mente, Caterina raggiunse infine la rocca di Imola.
 Il ponte levatoio era sollevato, contrariamente a quanto si era aspettata e non c'era nessuno nemmeno sulle merlature della tozza e pesante rocca.
 Senza aspettare che si formasse il solito capannello di curiosi, Caterina prese a chiamare il castellano con tutta la voce che aveva in corpo e incitò i soldati della sua scorta a fare altrettanto.
 Dopo quelle che parvero ore, Giovanni Andrea si degnò di presentarsi sulle merlature: “Che volete?” chiese, apparentemente molto infastidito.
 A Caterina si gelò il sangue nelle vene. Quella scena le ricordava in modo troppo vivido i giorni d'agitazione che aveva vissuto quando prima Zaccheo e poi Codronchi avevano cercato di tenersi la rocca di Ravaldino.
 La differenza questa volta, però, era sostanziale: Giovanni Andrea aveva i suoi figli.
 Per un momento, perse la lucidità e si abbandonò a una serie di insulti e minacce, sfoderando termini che credeva di aver dimenticato.
 Il castellano la lasciò sfogare e, quando la Contessa finalmente si calmò, le gridò: “Minacciate quanto vi pare. Siete una traditrice e io non vi lascio entrare.”
 Caterina aprì di nuovo la bocca, mentre sentiva l'aria attorno a sé farsi agitata. La piccola folla che si era creata vociferava, visibilmente preoccupata. Caterina seppe immediatamente che, in caso di necessità, gli imolesi non l'avrebbero aiutata. I soldati che aveva con sé, invece, stavano già mettendo mano alle spade, benché quel gesto fosse al momento del tutto inutile.
 Così fece in fretta mente locale e provò con l'unica strada che le sembrava ragionevolmente percorribile: “Lasciatemi entrare per parlamentare. Entrerò con solo la mia dama di compagnia e uno dei servi. Non avrete certo paura di due donne e di un ragazzino.”
 Giovanni Andrea, molto tentato di rifiutare, sentiva gli occhi di tutti gli imolesi su di sé, perciò concesse, a malincuore: “E sia. Ma solo voi, la vostra serva e un vostro servo.”
 Caterina entrò nella rocca con l'amaro in bocca. Si sentiva umiliata da quella situazione e messa in ridicolo come mai in vita sua. Quell'uomo, senza averne minimamente il diritto, l'aveva osteggiata pubblicamente, chiamandola addirittura 'traditrice' davanti ai suoi sudditi...
 Doveva ricordarsi che i suoi figli erano lì. Quello era l'unica cosa a cui doveva pensare. Per non trascendere, doveva darsi un freno.
 Un pazzo poteva appunto fare pazzie. Per quanto si sentisse sminuita da quel maledetto castellano che credeva di poterla allontanare così facilmente dai suoi figli, non voleva correre rischi inutili solo in nome dell'orgoglio.
 Giovanni Andrea la incontrò nella sala di rappresentanza e la trattò per tutto il tempo con condiscendenza. Le spiegò che non aveva nulla di personale contro di lei, ma che non poteva più fidarsi, da quando aveva saputo delle nozze con Ordelaffi.
 Caterina si affrettò a smentire, spiegando con sincerità cosa fosse accaduto con quel bellimbusto di Antonio Maria Ordelaffi e negò con forza di aver intenzione di prendere marito.
 “Né ora né mai.” precisò, riuscendo a controllare alla perfezione la sua mimica facciale.
 Giacomo, si sforzava di pensare, non era suo marito e probabilmente non lo sarebbe mai stato.
 Il castellano restò un secondo zitto, colpito dalla sicurezza con cui quella giovane vedova gli stava rispondendo, ma non demorse: “Eppure vostro cugino, il Cardinale Sansoni Riario sostiene che potreste risposarvi e in quel caso il governo di vostro figlio – 'e la mia carica', aggiunse, solo col pensiero – sarebbe in grave pericolo.”
 “Che intendete?” chiese Caterina, prendendo mentalmente nota del fatto che Raffaele sembrava c'entrare qualcosa in tutto quell'inghippo.
 “Che se prendeste marito, avreste da lui dei figli e di certo quest'uomo, soprattutto se di una famiglia come quella degli Ordelaffi, vi costringerebbe a far cedere la carica al nuovo nato, strappandola dalla mano di Ottaviano.” enunciò Giovanni Andrea, con ovvietà: “E io non posso permettere che il sangue del Conte Girolamo Riario venga così infangato! Sono sempre stato fedele a vostro marito. Il Conte Girolamo Riario mi ha dato tutto e io devo proteggere la sua discendenza!”
 Caterina sbuffò. Girolamo, sempre lui... Riusciva a angustiarle la vita anche da morto!
 “Capisco il vostro punto di vista, ma vi assicuro che non intendo risposarmi.” insistette Caterina, ormai certa di aver dinnanzi un uomo che aveva perso il senso della realtà.
 Continuarono a discutere a lungo e, ogni tanto, Caterina provò a chiedere di vedere i figli, ma il castellano rifiutò sistematicamente. Più si addentravano nel merito delle presunte future nozze di Caterina, più spuntava il nome di Raffaele che, a quel che pareva, durante il suo lungo soggiorno a Imola, non aveva fatto altro che parlare di matrimoni, immaginando scenari apocalittici tanto per Ottaviano quanto per Giovanni Andrea da Savona.
 Alla fine, senza più voce, Caterina lasciò perdere e chiese al castellano qualche giorno. 'Per riflettere', disse.
 In realtà, appena uscita dalla rocca di Imola, la Contessa chiamò a sé due dei soldati della sua scorta e ordinò loro di correre immediatamente a Roma e rintracciare il Cardinale Sansoni Riario.
 “Prendetelo anche di peso, se necessario, me ne assumo ogni responsabilità – disse loro – basta che me lo portiate qui il prima possibile. Se è stato lui a mettermi in questo pasticcio, allora sarà lui a tirarmene fuori.”
 

   
 
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