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Autore: Gemini_no_Aki    11/05/2016    1 recensioni
Prima di dare la caccia alle Leggende Chronos era uno dei Cacciatori e Agenti più temuti, e rispettati, che i Signori del Tempo avessero mai avuto.
«Non temere, ci occuperemo noi di te.» Fece un breve gesto con la mano indicando attorno a sé mentre le pareti cambiavano mostrando uno schermo con cose che Mick non capiva. «Questo è il Punto di non Ritorno. Ti consiglio di restare il più fermo possibile.»
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mick Rory, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Chapter 04

 

«Non l’hai ucciso.» Era un’affermazione, Leonard si fermò davanti alla porta aperta della sua stanza ma non rispose. «Va contro il tuo codice.» “E non uccideresti l’unica persona che ti conosce più di chiunque.” Non lo disse ma era sottinteso nel tono che aveva usato.
«Ho fatto quello che dovevo fare.» Entrò lasciando che la porta si chiudesse dietro di lui lasciandolo solo, era trascorsa un’ora, forse anche di meno, e la sensazione di aver preso la decisione sbagliata era sempre più opprimente.
«Tornerò a prenderti.» Promise a mezza voce prima di tornare ad indossare la maschera di Captain Cold, quelle cosiddette Leggende volevano credere che aveva ucciso il suo partner? Ottimo, lui non avrebbe fatto nulla per smentirlo.
 
 
Quando Mick si svegliò sentiva che c’era qualcosa di strano ma non sapeva decidere cosa fosse. Mancava qualcosa, qualcosa di importante, quasi fondamentale ma più ci pensava e meno riusciva a capirlo. La stanza era uniforme, lo schermo era svanito esattamente come la porta e, dopo diversi minuti, un’altra porta sul muro davanti a lui si aprì, nessuno gli disse cosa fare, nessuno gli disse se poteva entrare o meno, lo fece per mera curiosità, o quantomeno ci provò.
Alzarsi dal letto e restare in equilibrio in piedi sembrava improvvisamente una delle cose più complicate che avesse mai fatto, era come se il suo stesso corpo gli fosse estraneo, come se restare in piedi fosse qualcosa di impossibile per lui. Quando finalmente vi riuscì sembravano essere passate ore, era convinto che la parte più difficile fosse finita, invece cadde nuovamente in ginocchio nel momento in cui cercò di muovere un passo. La porta era rimasta aperta tutto il tempo davanti a lui, non sapeva se lo stesse chiamando, invitandolo ad attraversarla o se lo stesso osservando divertita davanti alla sua incapacità di restare in piedi.
Potevano essere passate ore come potevano essere stati solo minuti, non aveva modo di calcolare il tempo lì dentro, dall’altra parte della porta c’era una stanza piccola, come se fosse uno sgabuzzino, un tavolino metallico contro al muro e uno specchio. Un accendino arrugginito era stato lasciato lì incustodito insieme ad un coltellino, Mick ghignò a quella vista.
«Finalmente si ragiona.» Disse avvicinandosi e prendendo l’accendino in mano, lo aprì e lo accese, la fiamma era piccola, probabilmente era troppo vecchio e scarico, alzò lo sguardo osservando il riflesso allo specchio. Per un attimo rimase concentrato solo sul riflesso della debole fiammella come accadeva sempre quando il fuoco era coinvolto, quando finalmente lo sguardo riuscì ad andare oltre e osservò il suo riflesso nello specchio capì da dove arrivava la sensazione che aveva avuto svegliandosi.
Lasciò l’accendino sul tavolo e si sfilò la maglia solo per aver maggior conferma di ciò che aveva visto sulle braccia. Ogni cicatrice, ogni bruciatura che aveva definito chi era Mick Rory era di colpo scomparsa.
«Cosa mi avete fatto?» Si ritrovò a domandare ma nessuno rispose, la stanza restava silenziosa, sembrava quasi che avessero perso ogni interesse in lui. Continuò a fissare lo specchio mentre un inusuale terrore si faceva strada dentro di lui. Ognuna di quelle bruciature aveva definito la sua persona, gli avevano rivelato chi era veramente, ed ora era andato perso.
Come i tatuaggi, anche le cicatrici raccontano una storia e gran parte del suo corpo ne era coperto, fino a quando non si era addormentato erano lì, Mick ne era più che certo nonostante quella certezza stesse vacillando pericolosamente nel momento in cui si rese conto di non ricordare quando si era addormentato.
Ispezionò a fondo il palmo di entrambe le mani trovandolo liscio come non era stato da quando era giovane, la prima bruciatura era stata proprio lì, poche ore dopo l’incendio che aveva distrutto la casa di campagna.
“La mia casa?” Pensò confuso, scosse la testa decidendo che per quel pensiero ci sarebbe stato tempo, la cosa importante in quel momento erano le cicatrici. O la loro assenza.
I vigili del fuoco spegnevano le fiamme velocemente prima che si espandessero al campo dietro la casa, il giovane Mick li guardava seduto sul retro di un’ambulanza, frugò distrattamente nelle tasche della felpa estraendo una piccola scatola di fiammiferi, la stessa che stava usando prima che l’incendio scoppiasse. Ne prese uno, lo accese e lo fissò finché non si bruciò completamente spegnendosi sulle sue dita. Passò ad un secondo e un terzo. Al quarto posò la scatola sul pavimento metallico e tenne il fiammifero contro il palmo della mano, il calore rimase circoscritto in quel punto e quando si spense lasciò dietro di sé solo il ricordo. Mick si guardò rapidamente intorno, tutte le persone presenti correvano da un lato all’altro, i medici lo avevano lasciato solo. Con un saltello scese a terra, infilò la scatolina nuovamente in tasca e dopo aver controllato nuovamente che nessuno stesse guardando nella sua direzione iniziò a correre lasciando la sua vecchia casa dietro di sé senza mai voltarsi. Solo una volta lontano si fermò e il primo istinto fu di tenere tra le mani il piccolo fiammifero finché una bruciatura tonda non comparve sul suo palmo, non era troppo dolorosa, non era abbastanza dolorosa, meritava di peggio, li aveva uccisi. “Chi?” Li aveva lasciati morire nella disperata ricerca di un po’ più di calore.
La bruciatura era scomparsa. Mick guardò l’accendino per un attimo, lo accese e lo avvicinò al palmo, non si era accorto fino a quel momento di quanto quel calore gli fosse mancato, chiuse gli occhi beandosi di quel momento come se fosse una delle cose migliori che gli fossero mai capitate, il dolore era sopportabile, la fiamma troppo piccola, ma una nuova bruciatura comparve sulla sua pelle prendendo il posto di quella che doveva esserci, il fuoco era parte di lui, il fuoco aveva definito chi era. Ma quello non era abbastanza, era solo un piccolo, minuscolo segno sulla sua mano e quel vecchio accendino non sarebbe mai stato in grado di ricreare l’opera che il capanno in fiamme aveva compiuto sull’80% del suo corpo.
“Chi sono?” La domanda sorse spontanea nella sua mente, aveva vissuto così a lungo con un corpo sfregiato da non riuscire a ricordare un momento in cui non era stato così. Ricordava di aver intimato Gideon, sulla Waverider, di non toccare nessuna delle cicatrici ogni volta che era costretto a passare in infermeria, e così era stato, ma non era sulla nave, non più. Il suo sguardo si posò sul coltello, lo sollevò rigirandoselo tra le mani, sembrava vecchio proprio come l’accendino ma la lama era affilata e scintillante.
Ricordava la posizione di ogni singola cicatrice, le aveva guardate talmente a lungo da averle memorizzate, aveva imparato a non guardarle soltanto ma ammirarle come piccole opere. La lama scintillò nuovamente sotto la luce accecante, stavolta con una tinta rossa. Solo un paio delle cicatrici originali erano state provocate da un coltello, solo quelle che era stata la sua mano a fare mentre la vocina spaventata di una piccola Lisa lo pregava di smettere e al contempo chiamava il fratello, Snart non era lì a fermarlo, Lisa non lo pregava di smetterla con gli occhi grandi e spaventati di bambina, nessuno lo avrebbe fermato, anche perché a nessuno importava di lui.
Le cicatrici avrebbero impiegato qualche tempo a formarsi ma per il momento sarebbe stato sufficiente, quel corpo che vedeva riflesso nello specchio iniziava a somigliare nuovamente a quello che era davvero. Raccolse la maglia che aveva abbandonato a terra e la infilò fissando l’accendino mentre un’idea si faceva strada nella sua mente, non sarebbe stato abbastanza forse ma sarebbe stato quantomeno un inizio. Avvicinò la fiammella alla manica e attese pazientemente. Quando finalmente il fuoco si attaccò alla stoffa il gioco era fatto, sentì il calore espandersi lentamente, bruciare la maglia e attaccarsi alla pelle, Mick chiuse gli occhi sorridendo, immaginò che l’intera stanza attorno a lui fosse invasa dalle fiamme, non era possibile poiché l’unica cosa in grado di bruciare in quella stanza era lui, e lui soltanto. Immaginò le fiamme danzare davanti ai suoi occhi, muoversi sinuose ed eleganti e letali, le immaginò avvicinarsi, lambire il suo corpo in carezze roventi, plasmarlo fino a creare ciò che era davvero Mick Rory. Le persone andavano e venivano, le amicizie si spezzavano, i rapporti finivano con una parola o un gesto di troppo, il fuoco invece era eterno, il fuoco era l’unica cosa che non l’aveva mai abbandonato dal giorno in cui lo scoprì, il fuoco non lo avrebbe mai tradito, non importava quanto potesse bruciare o quanto lo avvolgesse.
Quando riaprì gli occhi le fiamme erano svanite, il loro calore solo un lontano ricordo ormai, non ricordava quando si era spostato sul letto e ultimamente accadeva spesso che non ricordasse qualcosa di così banale. C’era un tavolino accanto al letto che non c’era la volta precedente, l’accendino e il coltello erano posati su di esso. Lo schermo era nuovamente calato sul muro, come se i Signori del Tempo si fossero ricordati della sua presenza.
«Ho solo una domanda.» Disse l’uomo con la solita pacatezza e il sorriso di chi conosceva già la risposta. «Chi sei?»
Mick inclinò la testa leggermente, lo guardò come se fosse stupido prima di pensare che magari era un trabocchetto, magari era una specie di codice assurdo per avere qualche informazione precisa da lui, lasciò passare un minuto pensando a cosa rispondere.
«Il mio nome è Mick Rory, nato appena fuori Central City nel 1970.» Disse infine in modo quasi meccanico, qualunque informazione volessero da lui avrebbero dovuto fare di meglio per ottenerla, di certo non chiedendogli chi fosse. Al contrario delle aspettative il Signore del Tempo non cambiò espressione, al contrario sembrò quasi soddisfatto dalla risposta.
«Ne sei davvero sicuro?» L’immagine scomparve lasciando al suo posto uno specchio, non impiegò a lungo per capire cosa non andasse questa volta, le ferite e le bruciature del giorno prima erano scomparse, ancora una volta. Rimase ad osservare l’immagine per pochi secondi prima di voltare la testa di scatto, afferrare il coltello e l’accendino e farli cadere sul letto.
La prima volta che Lisa l’aveva visto con un coltello insanguinato in mano e un taglio sull’avambraccio si era giustificato semplicemente dicendo che era stato un incidente mentre cucinava la loro cena, quella sera era stata la verità, ma non le altre, il senso di colpo per l’incendio che aveva distrutto la sua famiglia non svaniva negli anni, si rafforzava, le radici si facevano più profonde.
Nel presente aveva dimenticato il perché di quelle cicatrici svanite, aveva dimenticato la famiglia che urlava tra le fiamme chiedendogli aiuto mentre lui restava incantato ad osservare la loro danza di morte, aveva dimenticato ma non capiva perché, né come. Nel presente quelle cicatrici senza più una ragione erano una delle poche cose che lo teneva ancora intero.
La lama affondava quel che bastava perché una volta guarita potesse restare la traccia chiara, la fiamma lambì la manica e si allargò sulla schiena, si attaccò caparbia al lenzuolo avvolgendolo.
Il lenzuolo era intoccato quando si svegliò, i due strumenti ordinatamente posati sul tavolinetto e lo schermo davanti a lui.
«Chi sei?» Mick sapeva dentro di sé che c’era qualcosa di strano, come un inquietante déjà-vu di quel momento.
«Il mio nome è Mick Rory, nato appena fuori Central City nel 1900… qualcosa.» Esitò incapace di ricordare l’anno esatto, il Signore del Tempo si limitò a sorridere, lo schermo si spense mostrando la sua immagine, pochi secondi e il sangue gocciolava sul lenzuolo che attendeva di prendere fuoco come se già conoscesse la sua sorte, Mick non capiva se la mano che reggeva il coltello tremasse per rabbia o per paura, non capiva nemmeno di cosa avrebbe dovuto aver paura. Il fuoco abbracciò ogni cosa che poteva toccare, vestiti, lenzuola, pelle, fino a trascinarlo nell’oblio.
«Chi sei?» Mick sapeva del tavolino, del lenzuolo bianco e i vestiti puliti, sapeva dello schermo calato e della voce che gli poneva quella domanda. E sapeva la risposta senza pensarci, era sempre più automatico.
«Il mio nome è Mick Rory, nato appena fuori Central City.» Mancava qualcosa, qualcosa che non riusciva ad afferrare, non aspettò che lo schermo si spegnesse, istintivamente abbassò lo sguardo sulle braccia.
“Perché lo fate? Perché continuate a togliere ogni cosa?” Le parole morirono in gola, le mani tremavano mentre afferrava l’accendino e lo passava sulla lama del coltello. Quando la terza famiglia adottiva si accorse dei tagli e delle nuove bruciature che ogni tanto comparivano sul suo corpo lo guardarono con disprezzo, una settimana dopo era ancora tra le mura di quel piccolo e sovraffollato orfanotrofio nel cuore della città.
Zaman Druce dall’altro lato dello schermo ghignò compiaciuto mentre il fuoco bruciava ogni cosa, si alzò lasciando il posto a un altro, una volta sulla porta si voltò verso il collega che osservava disgustato la scena.
«Lascia che bruci.» Disse senza dar peso al verso ancor più schifato dell’uomo. «Poi resetta.» E abbandonò la stanza, dopotutto Mick Rory non era l’unico paziente di cui doveva occuparsi.




Angolino dell'Autrice: Uff!! E' stato un parto questo capitolo, specialmente per il fatto che non ne volesse sapere di restare come avevo deciso, sono andata avanti per giorni a scrivere, cancellare e riscrivere finchè oggi non mi sono messa lì a concluderlo lasciando che prendesse la strada che voleva senza più cercare di impormi... (Odio quei capitoli che hanno vita propria... e al tempo stesso li amo, quando ho il tempo di scriverli tutti in una volta.)
Per l'anno di nascita vista la confusione che fanno nella serie ho deciso di tenere lo stesso dell'attore, almeno sono sicura non sbagliare o dimenticarmelo.
Spero di non esserci andata troppo dura, l'idea era che avesse solo l'accendino (e me lo sono ritrovata con un coltello in mano... D: ) e di non aver disturbato nessun lettore, nel caso mi scuso per questo!! >.<
Grazie di essere arrivati fin qua, al prossimo capitolo!  (Mick: vuoi dire "Alla prossima tortura.", giusto? No perchè io lo traduco in questo modo...)

Bye Bye~
Aki
   
 
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