Anime & Manga > Captain Tsubasa
Segui la storia  |       
Autore: Blue13    11/05/2016    0 recensioni
*SOSPESA*
"Ero a Monaco da due mesi e dal primo giorno mi ero ritrovato catapultato in un mondo completamente diverso, circondato da cose e persone che non avrei mai immaginato di vedere. Auto da corsa, appartamenti infiniti con ogni comodità possibile e immaginabile, ma soprattutto il tipo di persone: giornalisti che ti assaltavano alla fine di ogni partita, paparazzi che ti fotografavano in macchina anche quando andavi semplicemente a prendere qualcosa da mangiare (perché sì, puoi anche essere il portiere migliore del mondo, ma il frigo resta vuoto comunque), donne che cercavano in qualsiasi modo di mettere anche solo un piede nel tuo letto riducendosi a livelli di bassezza e civetteria disarmanti.
[...] mi resi conto che essere un calciatore a Monaco, o comunque in un grande club europeo, aveva lo stesso significato di “essere esagerato”. Tutto di te veniva portato all’esasperazione, all’idolatria. Privacy? Parola che dovevo dimenticare il più presto possibile. La mia vita da calciatore famoso avrebbe presto inglobato anche quella personale, tutto sarebbe diventato pubblico, un argomento come altri di cui si sarebbe letto sulle riviste più disparate."
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Karl Heinz Schneider, Nuovo personaggio, Shunko Sho, Stefan Levin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Loft di Schneider

Febbraio 2015

“Dai che ne manca solo una!” Dissi continuando a guardare le varie foto su Instagram e Facebook. A ogni serata da organizzare era sempre la stessa storia. “Quella si frequenta con quello, quella si è fidanzata tre mesi fa, quella questo e quella quell’altro”. Neanche a farlo apposta quasi tutte le ragazze che partecipavano alle nostre nottate di baldoria nel giro di poco tempo si trasferivano o, peggio, si buttavano in relazioni che nessuno di noi avrebbe mai immaginato, al punto che ormai più che una squadra di calcio ci sentivamo una squadra di wedding planners. Però dai, guardiamo il bicchiere mezzo pieno: ciò significava che a ogni festa del Bayern c’era sempre carne fresca a disposizione. No, non eravamo un branco di pervertiti, eravamo semplicemente giovani, belli e famosi. Avevamo dei mezzi e delle possibilità che gli altri non avevano, mica potevamo farcene una colpa. Calciatori e modelle, le due facce della stessa meschina medaglia del successo. Spesso la passione non basta e diventiamo famosi per caso, grazie a qualcuno che ci butta sotto i riflettori quasi a forza, obbligandoci a lanciarci nel mondo del professionismo quasi sempre senza paracadute. L’unico modo per atterrare in piedi è tirare fuori gli attributi e mostrare tutto il tuo talento, perché se è vero che una spinta iniziale può arrivare dall’esterno, è anche vero che poi devi imparare a camminare, anzi, a correre sulle tue gambe.

“L’ultima deve essere la ciliegina sulla torta!” Sho si sedette vicino a me sul divano, seguendo con lo sguardo le foto di quei bei volti perfettamente simmetrici che si susseguivano sullo schermo del Mac. Nel vederlo così concentrato e serio mi venne da ridere. Shunko era semplicemente il miglior compagno di giuria che potessi avere. “Lei è bella, intelligente, pensa che me la prenderei io, ma le manca l’esperienza. Mi dispiace che  possa restarci male, ma è una roba seria questa…magari alla prossima finale di Bundesliga!” Esigente, onesto, diplomatico. Dopo aver girato ancora un po’ sui social decidemmo di dare ancora un’occhiata a una compagnia londinese che ingaggiava modelle per le più importanti sfilate della London Fashion Week, una delle nostre migliori risorse. Iniziai a scorrere velocemente nella sezione dei nuovi volti, finché all’improvviso Shunko mi urlò nell’orecchio “Fermo! Torna indietro!”. Cristo, manco avesse visto la Madonna. Tornai su e cliccai sulla foto che mi indicò Shunko. Entrambi rimanemmo a fissarla come due dementi per alcuni secondi. Altro che la Madonna…
“… Dio…” sussurrammo entrambi con un filo di voce. Nella foto c’era solo il suo volto, ma quello fu più che sufficiente per convincerci. Capelli neri a caschetto, con le ciocche che dalla riga al centro scendevano lisce incorniciando la pelle chiara e limpida come la neve. Labbra fine, forse un po’ troppo per i miei gusti, ma in una linea perfettamente orizzontale che le conferivano un’espressione indecifrabile e terribilmente stuzzicante. E poi il colpo finale: due zaffiri che ti penetravano come lame affilate. In Germania le ragazze con gli occhi azzurri sono la normalità, ma la sua tonalità era diversa, un azzurro chiarissimo tendente al ghiaccio. Probabilmente il contrasto con i capelli corvini incrementava l’effetto. Una cosa era certa, sarebbe stata mia.

“Tanja Koval, 20 anni, 1 metro e 79. Nata in Ucraina, vive da quattro anni a Londra. Alla scorsa Milano Fashion Week ha sfilato per Valentino, Elie Saab, Gucci e ha chiuso la sfilata di Chanel..”, Shunko leggeva la didascalia accanto all’immagine stupito, “.. Ma come diamine è possibile che non l’abbiamo trovata prima?” Bella domanda! Cercai di mantenere la calma e volsi lo sguardo verso l’altro divano.

“Levin, che te ne pare?” Prima di procedere all’invito ufficiale bisognava avere il nullaosta da parte del terzo membro della nostra giuria. Il più freddo e cinico, Levin. Lui era diverso da me e Sho, lui non si faceva prendere dalle emozioni, non faceva commenti volgari, non si lasciava influenzare da quelle bellezze. Perché la sua bellezza l’aveva lasciato anni prima, in un incidente stradale. Da quel momento il mio grande compagno di squadra, il famigerato cannoniere svedese non si era più avvicinato a una donna, nemmeno alle più belle, nemmeno alle più intelligenti e colte. A ogni serata come minimo la metà delle invitate avrebbe dato oro, argento e mirra per avere anche solo un suo bacio. Del resto, come biasimarle: biondissimo, occhi azzurri e un fisico da far paura. Ammetto che in confronto a lui pure io a volte mi sono sentito uno sfigato. Mi era capitato di pensare a come si sentisse durante le nostre feste, a cosa si provasse a essere circondati da ragazze mentre si pensa a quell’unica donna che si ha amato nella propria vita e d’istinto la si cerca con lo sguardo tra quei volti sconosciuti. Una volta, alla fine di un normale allenamento, ci avevo pure parlato negli spogliatoi. Avevo aspettato che tutti uscissero per poi avvicinarmi, posargli una mano sulla spalla e parlargli. In fondo ero il capitano, e un capitano deve fare anche questo. “Stefan, io posso solo immaginareMa se ti fanno star male, possiamo anche non farle. Non è un problema né per me, né per la squadra.” Ricordo ancora la sua risposta. “Parli delle feste? Oh no, per carità..” Si era voltato, guardandomi negli occhi con uno sguardo quasi divertito e continuando con tono ironico. “Mi diverto troppo a vedervi limonare su quei bei divanetti in pelle, o ancora meglio, in quelle belle vasche ricoperte di mosaico.” Eccolo, il freddo e cinico Stephan in tutto il suo splendore. Rimasi per un istante in silenzio, sbattendo le palpebre come se stessi sognando ad occhi aperti. “Scusa... hai detto vasche?” Sulle sue labbra si era stampato un sorrisino soddisfatto. “Sì Karl, vasche.” Tentai di ricordarmi una simile scena ma non me ne veniva in mente nessuna. Esageravo sempre con l’alcol durante quelle notti. Con un cenno della testa mi avvicinai a lui, come per farmi dire un segreto. “…Ma chi?” Gli chiesi sottovoce, morto sia di curiosità che di paura di essere l’argomento della discussione senza neanche saperlo. Tutto, ma limonare in una vasca no dai. A quel punto Levin sospirò facendo il finto  affranto e mi diede un paio di pacche sulla spalla. “Grazie capitano, ma non serve che ti preoccupi per me.” Se ne andò via lasciandomi solo nello spogliatoio. Ancora adesso non so di chi stesse parlando quel giorno, ma di certo è successo davvero. Levin è un ragazzo di poche parole, ma quelle poche che dice sono vere. So solo che in quel momento mi resi conto che lui, lui sì che era un uomo forte. 

Stefan si alzò dal divano, la sua espressione era indifferente e non fece una piega nemmeno quando gli mostrammo la foto. Questo suo modo di fare distaccato e tremendamente calcolatore mi teneva ogni volta sulle spine. Del timore che incuteva ai nostri avversari non ne parliamo. Mano a mano che si avvicinava alla porta, correndo con l’eleganza e la velocità di un ghepardo, i portieri diventavano sempre più angosciati e venivano assaliti dalla paura di veder le proprie dita delle mani maciullate. Ai calci di rigore poi, da morire dalle risate! Poche volte siamo finiti ai rigori veri e propri, di solito vincevamo sempre nel tempo regolare o al massimo al primo tempo supplementare, ma quando capitava tutta la squadra dava spettacolo, sia nei tiri che nelle parate. Sho insisteva sempre per essere il primo, ogni volta diceva che era “per testare l’erba” (dopo averci corso sopra per due ore, chiaro), poi altri due nostri compagni, poi Levin e infine io, che avevo l’infausto compito di dare il colpo finale. Al turno di Levin ci mettevamo tutti a guardare le espressioni svampite dei portieri. Si era fatto conoscere nel mondo del calcio per averne infortunati alcuni tirando in porta. Di certo non un bel biglietto da visita… Il nostro svedese poggiava il pallone a terra, indietreggiava di qualche metro e a quel punto cominciava a fissare il portiere dritto negli occhi. Il suo sguardo gelido e serio non lasciava intravedere alcuna emozione, ma nella sua mente aveva già la traiettoria perfetta del pallone. Era semplicemente impossibile capire dove e come avrebbe tirato e ciò mandava già in crisi la maggior parte dei portieri. Poi, quando socchiudeva le palpebre affilando lo sguardo, i poveretti in porta iniziavano a deglutire e a sudar freddo, alcuni di loro impallidivano. Credo che fosse quello il momento clou, l’attimo in cui si rendevano conto che il loro destino fosse ormai segnato. E tutto d’un tratto le sue gambe scattavano in avanti, le maniche corte e il colletto aperto della maglietta lasciavano in bella vista i muscoli delle braccia e del collo contratti e in un secondo partiva la cannonata. Veloce, potente, credo allo stesso livello del mio tiro. Qui entrava in gioco il libero arbitrio del portiere: c’era chi si buttava dall’altra parte per la propria incolumità, chi si buttava dalla parte giusta ma un’ora dopo e poi c’erano i martiri coraggiosi, quelli che cercavano di pararla e che poi si ritrovavano con le mani doloranti o peggio con qualche distorsione al polso o qualche dito rotto. Del resto, non tutti potevano avere il privilegio di avere un Wakabayashi in porta. 

“Mmh…” Levin, in piedi dietro al nostro divano, incrociò le braccia pensieroso, mentre io e Sho aspettavamo agonizzanti il suo giudizio. Per quanto la mia Tanja fosse bella, il verdetto doveva essere unanime, era una questione di unità e fratellanza.
“Mmh…” Stefan inclinò la testa da un lato, dopo un po’ dall’altro. C’era poco da dire, si divertiva a vedere gli altri penare.
“Mmh…”
“Allora?!?” A quel punto entrambi ci girammo all’indietro verso di lui seccati.
“Ti serve un binocolo?” Chiese Sho serio, ma Levin non si mosse di una virgola, come se non ci avesse sentito. Dopo interminabili secondi dischiuse finalmente quelle labbra ermetiche.
“…Mh, può andare.”
 “OOOH! È finita!!” Io e Sho spalancammo le braccia come se fossimo appena stati miracolati. “Stampala Karl!” Con uno scatto mi alzai dal divano e andai alla stampante nello studio. Dopo un minuto tornai in soggiorno con la foto della bella Tanja su carta lucida, presi un pezzo di nastro adesivo e la appesi assieme alle altre 10 elette. All’FBI avevano attaccate al muro le foto dei peggiori terroristi e criminali, mentre noi avevamo attaccate alla parete di casa le foto delle migliori modelle d’Europa. Beh, a ognuno il suo! Dopo ore e ore di intense e scrupolose ricerche finalmente tutti i buchi erano stati riempiti. Ci ritrovammo tutti e tre ad ammirare il nostro lavoro, chi emozionato, chi orgoglioso, chi più o meno indifferente.

“Ragazzi miei..” Guardai prima Shunko e poi Stefan, pregustandomi già la serata. Quando i nostri sguardi si incrociarono ci capimmo al volo e sulle nostre labbra si stamparono sorrisi vincenti.
 “…questa volta ci sarà da divertirsi.”

 

 

Ciao!
Eccomi col secondo capitolo. Ho cercato di caratterizzare un po’ i personaggi, in particolare questo santo trio.. non so perché ma nel descrivere l’ultima scena mi sono venuti in mente i tre Minions … probabilmente sono un po’ stanca.. :S
Prossimamente ci tufferemo in un piccolo mare di lusso sfrenato (e chissà, magari la leggendaria vasca di mosaico farà di nuovo la sua comparsa) e vedremo se Adrian troverà qualcosa da scrivere nei suoi articoli a riguardo : )
Ringrazio tantissimo i due lettori che mi hanno lasciato una recensione e coloro che hanno letto il primo capitolo! Ogni tipo di feedback è ben accetto, purché non offensivo XD
Buona lettura!
Blue

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Captain Tsubasa / Vai alla pagina dell'autore: Blue13