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Autore: Blue13    08/05/2016    2 recensioni
*SOSPESA*
"Ero a Monaco da due mesi e dal primo giorno mi ero ritrovato catapultato in un mondo completamente diverso, circondato da cose e persone che non avrei mai immaginato di vedere. Auto da corsa, appartamenti infiniti con ogni comodità possibile e immaginabile, ma soprattutto il tipo di persone: giornalisti che ti assaltavano alla fine di ogni partita, paparazzi che ti fotografavano in macchina anche quando andavi semplicemente a prendere qualcosa da mangiare (perché sì, puoi anche essere il portiere migliore del mondo, ma il frigo resta vuoto comunque), donne che cercavano in qualsiasi modo di mettere anche solo un piede nel tuo letto riducendosi a livelli di bassezza e civetteria disarmanti.
[...] mi resi conto che essere un calciatore a Monaco, o comunque in un grande club europeo, aveva lo stesso significato di “essere esagerato”. Tutto di te veniva portato all’esasperazione, all’idolatria. Privacy? Parola che dovevo dimenticare il più presto possibile. La mia vita da calciatore famoso avrebbe presto inglobato anche quella personale, tutto sarebbe diventato pubblico, un argomento come altri di cui si sarebbe letto sulle riviste più disparate."
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Karl Heinz Schneider, Nuovo personaggio, Shunko Sho, Stefan Levin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo

 

 

La vita di un calciatore famoso non è come le altre. Per quanto uno si possa sforzare di seguire una routine semplice come tutti gli altri, la normalità si limiterà al caffè o al croissant della colazione. Non andrà a lavorare in un angusto ufficio, non prenderà la metro, non farà la fila al supermercato aspettando impaziente il proprio turno, non sentirà il peso angosciante di non vedersi arrivare la paga alla fine del mese. Si può pensare che la sua quindi sia una vita facile, in cui le salite della quotidianità altrui per lui sono discese. Ma ci si sbaglia. Il fatto che la sua vita sia diversa non significa che sia più facile.

Vivere non è mai facile, indipendentemente che quel tipo di vita si sia scelto consapevolmente o sia capitato. Soprattutto al giorno d’oggi, soprattutto nel nostro mondo moderno e senza pace.

 

 

 

 

 

Capitolo 1                                  

 

 

 Redazione del Süddeutsche Zeitung, Monaco di Baviera

 

 

Gennaio 2015

 

 

“Voglio l’articolo sul trasferimento di Wakabayashi entro la pausa pranzo.” Andandosene via il direttore diede un colpo alla scrivania, facendo cadere il fermacarte. Mi chinai a raccoglierlo e lo sguardo mi cadde sulle lettere nere stampate sopra. “Adrian Schröder”. Rimasi fermo imbambolato per qualche secondo, come se non sapessi nemmeno chi fosse quella persona. E invece quello era il mio nome.

A 17 anni avevo deciso che sarei diventato un giornalista sportivo. Mi sono sempre piaciuti gli sport, specialmente quelli invernali. Nato in un paesino della bassa Baviera incastonato tra i dolci pendii delle Alpi, sin da piccolo aspettavo l’arrivo della neve per fiondarmi sulle piste da sci. Non ho mai voluto entrare nell’agonismo o diventare un campione. Quello che mi affascinava era scrivere su questi sport. Dopo la laurea all’Università di Francoforte iniziai a lavorare per il Frankfurter Allgemeine, dapprima come segretario tuttofare, poi come aiutante e infine come giornalista vero e proprio. Lì scrissi i miei primi articoli sportivi. Sul calcio e la Formula 1, dal momento che altri sport sembravano non esistere, o almeno nel mio ufficio. Così ebbi la grande idea di tornare in Baviera e lavorare per il Süddeutsche Zeitung, credendo che essendo più vicino alle mie amate montagne avrei avuto più possibilità di scrivere sugli sport che preferivo. Mi sbagliavo. Certo, gli articoli sui campionati mondiali di sci e snowboard non potevano mancare, ma si trattava di una ventina di articoli l’anno. Per il resto calcio. Nemmeno più la Formula 1, che era rimasta a Francoforte. Solo calcio. Ma del resto, come può un giornale farne a meno? Lo sport più praticato in Germania e nel mondo e probabilmente lo sport con il maggior giro di soldi che sia mai esistito. Calciatori milionari, con più spot pubblicitari dei più famosi fotomodelli e con più auto di un concessionario. Per carità, c’erano anche i talenti. Come quelli che si stavano allegramente riunendo in Baviera.

Ebbi il tempismo perfetto di iniziare a lavorare a Monaco nel periodo d’oro della squadra della città. “Il Diamante d’Europa”, così i giornalisti e i telecronisti sportivi chiamavano il Bayern Monaco. L’allenatore Franz Schneider, oltre a riprendersi il figlio dall’Amburgo di Zeeman, stava spendendo una barca di soldi per accaparrarsi i migliori calciatori in Europa. Lo svedese Stefan Levin e il cinese Shunko Sho erano le ultime due stelle giunte a casa Bayern. Neanche a metà stagione si parlava già del Bayern come potenziale vincitrice della Bundesliga e della Champions League. Franz però ripeteva a ogni rassegna stampa una cosa, un dettaglio non ininfluente per una squadra con così alte aspettative e aulici obiettivi. E devo dire che io ero d’accordo con lui. Quello che ancora mancava al Bayern per essere davvero un diamante era la punta su cui poggiarsi e restare in equilibrio: il portiere.

E chi meglio del giapponese?”  pensai scrivendo le prime righe dell’articolo. Genzo Wakabayashi ormai aveva già un piede in Baviera e per come stavano andando le cose tra lui e l’allenatore dell’Amburgo le trattative non sarebbero durate ancora molto. Certo, l’aver abbandonato la porta proprio all’ultimo minuto e proprio contro il Bayern non era stata una mossa intelligente. Ma la scelta di Zeeman di relegarlo in panchina a tempo indeterminato lasciando la porta dell’Amburgo in mano a un demente non era stata da meno. L’Amburgo stava affondando sommersa dai goal delle squadre più disparate e la rottura tra allenatore e portiere era ormai irreparabile.

“… Wakabayashi si inserirà rapidamente nel nuovo ambiente, considerando soprattutto l’amicizia di lunga data con l’attaccante Schneider, ex capitano dell’Amburgo, con il quale il giovane giapponese ha legato sin dall’inizio della sua carriera in Europa…” continuavo a scrivere svogliato, chiedendomi come un portiere sconosciuto potesse essere piombato nel vecchio continente e aver fatto una tale carriera. Evidentemente il giapponese aveva talento.

Seh, giapponese. Di giapponese non c’ha proprio un bel niente”. Lo conoscevo solo tramite foto e video, ma da quel poco che avevo visto non assomigliava proprio a un giapponese. Era noto che la sua famiglia aveva origini tedesche e che i genitori vivessero a Londra, tuttavia me lo ero sempre immaginato con gli occhi a mandorla. Sebbene non trovassi in Wakabayashi un argomento interessante su cui scrivere, ammetto di aver avuto un briciolo di curiosità nei confronti di quel giovane campione del mondo ormai ventenne. Nei mesi seguenti l’avrei conosciuto sicuramente meglio.

 

 

Franz Josef Strauss International Airport, Monaco d Baviera

 

 

Febbraio 2015

 

 

Gentili passeggeri, siamo atterrati a Monaco di Baviera.

Continuai a tenere il cappuccio calato sulla fronte e rimasi immobile con la testa appoggiata al finestrino facendo finta di dormire, mentre gli altri passeggeri stavano già tirando giù le valigie dagli scomparti. Quando l’aereo iniziò a svuotarsi mi alzai, presi la valigia e il borsone con lo stemma dell’ormai passata Amburgo e scesi, salutando in modo svelto la giovane hostess all’uscita. Attraversai i controlli e schizzai fuori dall’aeroporto per respirare la nuova aria pungente di Monaco. Ad un tratto notai con la coda dell’occhio un uomo con degli occhiali da sole neri fermarsi accanto a me, anche lui incappucciato. Quando vidi un ciuffetto biondo spuntare furtivo dalla felpa sorrisi.

“Sei addirittura venuto a prendermi, notevole.”

“Alla fine hai ceduto.” Mi disse con piglio vincente.

“Preferisco dire che ho accettato una proposta vantaggiosa.” Risposi con tono disinteressato.

“Avanti, lo so che in altre circostanze non avresti accettato.” Si voltò e sebbene le lenti dei suoi occhiali fossero scurissime sentii comunque il suo sguardo fisso su di me. Erano passati anni dall’ultima partita giocata assieme, ma mi conosceva ancora bene. Sapeva che per me non era stato facile lasciare la squadra che mi aveva accolto al mio arrivo in Europa, la famiglia che negli anni mi aveva cresciuto fino a farmi diventare un vero professionista. Era vero, se la situazione fosse stata diversa non avrei ceduto alle richieste sue e di suo padre.

“Spero solo ne valga la pena.” Gli dissi serio, reggendo il suo sguardo nascosto dietro le lenti.

“Non te ne pentirai.” Alzò un braccio e mi tese la sua mano. “Benvenuto a casa Bayern, Genzo.” Sorrisi, ricambiando il gesto.

“Danke, Karl.”

 

 

Appartamento di Adrian

 

 

Spensi il televisore alla fine del notiziario serale, restando sul divano a meditare sulle notizie della giornata. Ancora attentati in Medio Oriente, mentre le trattative procedevano lente e con difficoltà. Ancora problemi nell’Unione Europea. E ancora una vittoria schiacciante del Bayern. Certo, detto così mi rende un uomo alquanto superficiale, ma in quel momento era importante per me, perché ormai , volente o non, ero diventato il principale giornalista sportivo a occuparmi del percorso stellato del Diamante in Germania e in Europa. Era davvero una grande squadra, non c’era nulla da dire. Wakabayashi si era fatto notare da subito. Franz Schneider l’aveva piazzato in porta alla prima partita, contro il temibile Dortmund. Al terzo minuto il giovane aveva fatto sbiancare il mister in panchina e tremare gli spalti uscendo un’altra volta dai pali, correndo incontro al pallone a metà strada tra lui e la punta della squadra avversaria. Il suo tiro potentissimo fece svanire la paura e spedì il pallone dall’altra parte del campo, vicino all’area di rigore. Lì c’era Schneider ad aspettarlo, fermo tra la voragine della difesa che non l’aveva nemmeno notato, troppo concentrata a seguire l’azione dei compagni terminata nel peggiore dei modi. Aveva fermato il tiro con il petto, si era preparato a calciare e in un secondo il pallone era in rete. Ricordo di aver riguardato quell’azione per una decina di volte, per il semplice fatto che non riuscivo a credere che con due soli passaggi si potesse fare un goal del genere. La partita era finita con un 3-0. Ora a distanza di mesi la porta del Bayern era ancora inviolata grazie all’eccellente performance del suo portiere, e io continuavo a scrivere articoli su articoli colmi di lodi prima nei suoi confronti, poi nei confronti del capitano, poi sulle “meravigliose” cannonate di Levin che in ben due casi avevano infortunato i portieri avversari e infine sugli assist perfetti di Sho. Insomma, ormai ero conosciuto nel mondo del giornalismo (e credo anche tra i diretti interessati) come una sorta di guru del Bayern. Ma al mio direttore tutto questo non bastava. Per lui non era sufficiente guardarsi tutte le partite, le interviste e le discussioni negli studi televisivi fino alla nausea, per lui bisognava fare di più. Per riuscire a scrivere davvero sui campioni, per capire i loro comportamenti in campo bisognava entrare nelle loro vite e scrutarle più a fondo possibile, cosa che al giorno d’oggi risulta molto più semplice rispetto ai vecchi tempi senza internet. Fu così che fui costretto a mettere “mi piace” alle loro pagine ufficiali e seguire i loro profili sia su Facebook che su Twitter. Iniziavo a sentirmi una sorta di Gossip girl e allo stesso tempo un perseguitato: quando uscivo dagli studi del giornale e salivo sul bus mi capitava di dare un’occhiata ai social network per “distrarmi” un po’ e tutto quello che trovavo erano foto e post dei calciatori su cui avevo appena smesso di scrivere. Foto di allenamenti, foto di auto luccicanti, foto di feste. Ah, le feste del Bayern Monaco, solo su quelle si potrebbe scrivere un libro illustrato. Ogni volta che la squadra vinceva una partita importante, come una semifinale o una finale di campionato, i giocatori organizzavano questa specie di “team party”. Facevano tutto da soli, sceglievano il mega loft dove festeggiare, ma soprattutto con chi. Erano loro che invitavano gli esterni, o forse dovrei dire le esterne. Dopo attente ricerche e analisi la severissima giuria Schneider – Sho – Levin invitava personalmente una dozzina di fortunate, cosicché nessuno rimanesse a mani vuote. Inutile dire che nella maggior parte dei casi si trattava di modelle tedesche o inglesi sull’onda del successo. Neanche a dirlo giornalisti e fotografi erano banditi da questi eventi, più o meno come l’Anticristo a San Pietro a Roma. Quindi uno si potrebbe chiedere come faccia a sapere queste cose. No, non mi sono travestito, se è questa l’idea. Semplicemente vedevo le loro foto su Facebook e Instagram. Erano proprio i partecipanti a postare caste immagini di una gioventù sorridente e sobria, di camicie ancora abbottonate e di eleganti calici di champagne. Quello che succedeva dopo nel corso della nottata non sarebbe mai venuto fuori, lasciando gli amanti del gossip con la bocca asciutta, i giornalisti senza nulla di scioccante da scrivere e i giocatori delle altre squadre pieni di invidia a rosicare. Ma il bello è che era proprio l’allenatore a spronarli. Durante una conferenza stampa un giornalista inglese gli aveva chiesto se tutta questa storia non rovinasse l’immagine del Bayern. Franz Schneider aveva risposto tranquillo che non era assolutamente una cosa negativa e che “anche i migliori campioni, quelli che si allenano ogni giorno, persino sotto la neve, hanno bisogno di svagarsi come il resto dei giovani”. Un’affermazione giusta e sacrosanta, verrebbe da dire. Peccato che il resto dei giovani non vivono in lussuosi loft, non bevono champagne e soprattutto non conoscono gli ultimi volti di Chanel e Valentino.











Angolo autore

Ciao a tutti, sono Blue e questa è la prima storia che scrivo su Captain Tsubasa. Mi sono immaginata come sarebbero le vite di Genzo e dei suoi compagni di squadra, ma anche del resto dei calciatori, nell’Europa e nel mondo di oggi.

I personaggi appartengono all’autore del manga Captain Tsubasa ad eccezione di alcuni nuovi personaggi inventati da me, come Adrian.

Ringrazio coloro che leggeranno, se volete lasciate una recensione 

Buona lettura!

Blue :)


 

 

   
 
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