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Autore: zing1611    13/05/2016    1 recensioni
Sono ormai passati cinque anni dalla sconfitta di profondo Blu, ma chimeri e creature spaventose continuano ad infestare il nostro pianeta. Un nuovo nemico è alle porte, e l'intera squadra Mew Mew è costretta a riunirsi di nuovo sotto la guida del giovane Ryan. Strawberry è cambiata moltissimo dalla fine della prima guerra, e dopo anni passati tra le braccia di Mark, ora dovrà tornare a confrontarsi col suo passato che inevitabilmente si scontrerà col presente.
E' la mia prima fan fiction, ispirata ad uno dei cartoni preferiti della mia infanzia.
Spero vi piaccia e vi appassioni capitolo per capitolo. Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoyama Masaya/Mark Aoyama, Ichigo Momomiya/Strawberry, Nuovo Personaggio, Ryo Shirogane/Ryan, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mi scuso per la luuunga assenza di questo mese, ma la scuola mi ha tenuta parecchio impegnata. Comunque, il capitolo è leggermente più lungo del solito anche se non succede un gran che. Dal prossimo capitolo ci sarà molta più azione, sarà molto più lungo, e introdurrò i punti di vista di altri personagg oltre a quello di Strawberry e di Ryan. Le cose vanno complicandosi ma, mano a mano, le risposte verranno a galla! Detto ciò, buona lettura!


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La mattina seguente mi svegliai praticamente all’alba.
Era da tanto tempo che non dormivo così bene.
Poca luce filtrava dalle persiane e decisa più che mai a rendermi utile, nel silenzio più assoluto, mi diressi in laboratorio.
Non so dire quanto tempo trascorsi davanti allo schermo cercando possibili combinazioni chimiche che avrebbero permesso alla squadra Mew Mew di tornare sul campo più forte di prima, ma una cosa durante quei minuti (o forse ore) passate ad arrovellarmi il cervello, l’avevo capita.
Dovevamo fare in modo di essere pronte, sempre.
Stavolta, in questa lotta non potevamo farci cogliere di sorpresa. I nostri nemici purtroppo riuscivano a mescolarsi ben bene tra la gente, almeno la maggior parte delle volte, senza destare il minimo sospetto, e di certo noi non potevamo irrompere nel bel mezzo della folla vestite di tutto punto come il vecchio team cercando qualcuno che apparentemente sembrava essere “normale”. Avremmo solo creato il marasma più generale e gettato le persone nel panico.
Quello che ci serviva era un modo per poter acuire sempre di più i sensi degli animali a codice rosso, in modo da usare le loro caratteristiche a nostro favore 24 ore su 24.
Nella “guerra” passata era capitato più volte che gli alieni ci cogliessero impreparate e che per un verso o per un altro non riuscissimo a trasformarci mettendo in pericolo le altre Mew e noi stesse, pur essendo capaci in precedenza di rintracciare, grazie ai radar e a Mash (ormai fuori uso), i nemici.
Ora non avevamo più alcun vantaggio su di loro, quindi avremmo dovuto agire in modo diverso.
Stavolta però non sarebbe stato sufficiente il campione di acqua Mew, che mi iniettavo una volta a settimana. Il mio cambiamento, anzi il nostro cambiamento sarebbe dovuto essere ben si più profondo.
Le Mew Mew sarebbero dovute diventare predatrici naturali e per farlo sapevo bene che non sarebbe bastato qualche gene in più, ma anche del buono e duro allenamento. Il che paradossalmente era la parte più difficile.
Per quanto riguardava le modifiche genetiche ci avrebbe pensato Ryan, che con il mio aiuto paradossalmente avrebbe fatto di certo un ottimo lavoro. Ma dal momento che non avremmo avuto più le solite armi ad aiutarci, e una metamorfosi a trasformarci, avevamo decisamente bisogno di prepararci.
Già mi vedevo lì, disperata a cercare di convincere Lory ad usare un po’ di violenza e Mina a sporcarsi le mani.
Avrei dovuto provare a corromperle, o forse ricattarle con qualche bel segreto da tempo nascosto, ma sapevo bene, in fondo, che non si sarebbero mai tirate indietro se questo avesse significato difendere la terra da un'altra eventuale minaccia.
La parte delle divise era quella che mi emozionava di più. Non avrei permesso che Ryan o Kyle mettessero bocca sulle mie uniformi; un po’ perché mi piaceva l’idea di essere utile, e un po’ perché volevo scampare la possibilità di ritrovarmi ad essere vestita di un rosa confetto allucinante.
Tuttavia eravamo pur sempre delle eroine ed ero sicura che sarei riuscita a trovare qualcosa di adatto per delle ventenni che se ne andavano in giro a sconfiggere i cattivi per le strade di Tokyo.


Ryan mi raggiunse in ufficio alle 11 inoltrate, con gli occhi ancora impastati dal sonno.
Quando mi vide seduta al suo solito posto, a smanettare sulla tastiera senza neanche degnarlo di un saluto per quanto ero presa dalle mie ricerche, sembrò non poco sorpreso.
-Mi sarebbe piaciuto che fossi arrivata in orario anche quando lavoravi per me come cameriera- disse ironicamente;
non si aspettava che fossi diventata così mattiniera.
Colsi la palla al balzo infastidita dalle sue allusioni – E a me piacerebbe che ti svegliassi ad un orario decente e venissi a darmi una mano, ora che ce ne è davvero bisogno. Invece di provare a riprodurti-. Lo dissi tutto d’un fiato senza degnarlo di uno sguardo e probabilmente interpretò il mio sfogo come semplice e pura gelosia visto che iniziò a ridere sotto i baffi, mugolando.
-Sai bene che Fujiko non era qui sta notte-
-Sta' notte no.- ci mancava che mi uscisse il fumo dalle orecchie. Lui tuttavia sembrò non dare peso alle mie parole. Forse di prima mattina non amava beccarsi con me.
Ero ancora intenta ad evitarlo quando mi poggiò una mano sulla spalla e tirandomi lievemente , facendo ruotare la sedia girevole mi trovai a pochi centimetri dal suo viso. Fissò i suoi occhi nei miei e potei sentire il suo sguardo indagatore scavarmi dentro, forse alla ricerca di quel briciolo di gelosia che prima aveva colto nella mia voce.
Eh ti pareva, ho parlato troppo presto!
Cercai di sostenere il suo sguardo il più a lungo possibile, non volevo dargliela vinta. Poi mi afferrò per le braccia  e mi tirò in piedi quasi come se fossi stata leggera come una bambola. Feci per scostarmi ma sentivo il suo respiro accarezzarmi il collo e per un attimo mi abbandonai a quella sensazione, cullata quasi da quelle carezze d’aria che mi si infrangevano sulla pelle; poi velocemente sempre tenendomi vicinissima a lui, tanto che riuscivo a percepirne il calore, mi spostò di poco e si sedette al mio (o meglio dire suo) posto.

Stizzita rimasi per alcuni secondi a guardarlo indecisa se lasciar correre o se prenderlo a sberle per non aver ancora smesso dopo cinque anni di prendermi in giro, ma poi fui interrotta dalla sua voce che mi domandava a cosa stessi lavorando fino a quel momento, e dovetti abbandonare la discussione che stavo intrattenendo con me stessa.
Gli raccontai delle riflessioni che mi avevano tenuta impegnata tutta l’ora precedente e lui sembrò particolarmente colpito nel trovarsi d’accordo con me. Quando gli comunicai che sarei stata io a occuparmi delle uniformi sembrò leggermente scocciato per il fatto che mettessi in dubbio le sue doti da stilista ma  anche se storcendo un po’ la bocca alla fine acconsentì.
-Mi piacerebbe darti una mano con le ricerche- feci una pausa sperando che per un secondo si togliesse da dosso un po’ di quel gelo che lo caratterizzava –potrei esserti utile-.
-D’accordo- la risposta arrivò quasi immediatamente e fu non poco inaspettata. Mi aspettavo che si rifiutasse categoricamente di lavorare al mio fianco considerandomi tutt’ora una pasticciona bella e buona, invece aveva deciso di darmi fiducia.
-Grazie- risposi sorridendo.
-Dovrai stare alle mie condizioni, ragazzina-.  L’ultima parola della frase la scandì pian piano in modo da farmela percepire il meglio possibile. Non volevo essere considerata una ragazzina, e soprattutto sentivo di non esserlo più da ormai alcuni anni, tuttavia cercai di mantenere la calma.
–Accetto le tue condizioni-.


***


La progettazione delle divise mi tenne impegnata per tutta la settimana successiva.
Sdraiata sul letto della camera degli ospiti al piano superiore del caffè continuavo a disegnare le tute della squadra “Mew 2.0”, come la chiamava Paddy.
Avevo pensato ad un colore che potesse star ben a tutte evitando di riutilizzare le tinte degli ex completi.
Con Pam avevamo convenuto che il nero potesse essere il colore ideale per scendere meglio nelle parti delle “cacciatrici”.
Quella dopotutto era stata la parte più divertente di cui occuparsi; messa in confronto al collaborare con Ryan, poi. In quei sette giorni era riuscito a togliermi ogni fantasia di lavorare al suo fianco.
Non è mai stato così stronzo.
-Come sta andando?- Mina entrò nella stanza spalancando la porta che era soltanto leggermente socchiusa.
-Bene, devo solo mettere appunto alcuni particolari delle divise di Lory e Paddy-.
-Fammi vedere!- la Mew Bird si avventò su di me per prendere il blocco ma io fui più veloce e lo nascosi sotto il cuscino dietro le mie spalle.
–No! Assolutamente Mina, è una sorpresa!-
-Se solo proverai a mandarmi in giro conciata come un pagliaccio io…- disse agitando il pugno in aria, fingendo (o forse no) di minacciarmi.
-Stai tranquilla, vedrai che ti piacerà!-
Mina si sedette di fronte a me sbuffando, con strana arrendevolezza. –Mark ti ha chiamata?-
-Si ci siamo sentiti tre giorni fa… è riuscito a catturare uno dei chimeri, ma l’altro è scappato-.
-Ha intenzione di tornare a Tokyo?-
Non capivo proprio perché la mora si stesse interessando tanto a Mark. In fondo pur facendo ormai ufficialmente parte della squadra, nessuno aveva prestato particolare attenzione alla sua presenza.
-Non per il momento. Deve sbrigare delle ultime cose a Londra-.
-Bene- mormorò.
Bene?
-Perché ti importa?- dissi stranita. Lei si voltò e sorrise tranquilla.
-Oh non è a me che importa, Straw-.
-E allora a chi?-. se stava cercando di dirmi qualcosa tra le righe allora proprio non riuscivo ad arrivarci. Questo improvviso interessamento a Mark non faceva altro che stranirmi. Inoltre più domande mi faceva più temevo si sarebbe chiesta se stavo soffrendo per la sua assenza. E certi dubbi per alcun motivo dovevano colpire Mina perché se avresse capito che c’era qualcosa che non andava, non mi avrebbe più lasciata in pace. per di più la situazione sarebbe tesa tutta a suo favore vista l'immensità del fuso orario e il fatto che tra gli impegni a Tokyo e i suoi a Londra, nei giorni successivi saremmo riusciti a sentirci solo per miracolo.
-A volte sai essere sciocca esattamente come cinque anni fa-.
Mi lasciò a bocca aperta e rossa di rabbia. Prima di riuscire a dire qualsiasi altra cosa si alzò dal letto con la solita aria di superiorità, che le avrei tolto dalla faccia a suon di ceffoni se solo avessi potuto, e si diresse verso l’uscita dicendomi solo che Ryan l’aveva mandata a ricordarmi che l’indomani nel pomeriggio ci sarebbe stata l’inaugurazione del locale.
Grazie al cielo avevo portato a termine quasi del tutto i bozzetti dei completi. Dovevo solo darli a Ryan, il che sarebbe stata di gran la parte più complicata.

La prima volta che glieli avevo mostrati non era andata esattamente bene come mi aspettavo. Certo non che credessi che mi avrebbe riempita di chissà quali complimenti, o che avrebbe fatto i salti mortali. Ma decisamente non mi aspettavo quello.

Stavo disegnando nel salone, l’unico punto veramente luminoso in tutto l’edificio, e dove, soprattutto verso mezzogiorno, la luce che filtrava dalle finestre rendeva l’ambiente piacevolmente caldo e illuminato.
I nuovi tavoli erano veramente deliziosi e la superficie bianca e lucida sembrava fatta di marmo. Sapevo già che sarebbe stato parecchio difficile ripulire tutto la sera senza lasciare aloni. Il che mi disturbava personalmente visto che circa il 90% delle volte avrei dovuto occuparmene io.
Ryan era stato giù in laboratorio per tutta la mattina non salendo nemmeno per pranzo e lasciando mangiare me e Kyle da soli.
Sarebbe stato piacevole trovarsi consapevolmente in sua assenza. Certo se ciò non avesse voluto dire che lui si trovava al piano inferiore con Fujiko probabilmente sulle gambe a distrarlo da ciò che realmente avrebbe dovuto fare.
Egoista sfaticato.

La ragazza era arrivata al caffè poco prima di mezzogiorno e salutando tutti con un gran sorriso era scesa di tutta fretta in laboratorio, tenendosi ben stretta nel pellicciotto nero che indossava sopra un vestito così mini che ad uno sguardo poco esperto poteva sembrare non esserci affatto. No, decisamente non aveva freddo lei. Al contrario di me che, a distanza di una settimana e mezza al Natale, sarei andata in giro vestita come un uomo delle nevi.
Verso le 5:30 il biondo era uscito dalla “tana” e trovandomi nel salone si era avvicinato sbeffeggiando quell’aria fredda e distaccata, anche se sapevo bene che se non fosse stato realmente interessato non mi avrebbe degnato neanche di uno sguardo.
Da quando ero letteralmente fuggita da casa mia per andare al caffè nel bel mezzo della notte non avevamo più parlano.  Certo, se si evitava di considerare qualcuna di quelle frasette di circostanza che eravamo stati costrette a dirci, tanto per non far pensare agli altri che fosse successo qualcosa.
Poi è esattamente così no? Non è successo assolutamente nulla.
Ahh ma a chi volevo prendere in giro. Mi sentivo in colpa, terribilmente, per averlo desiderato così tanto quella sera. Per aver voluto così ardentemente il suo calore. Per aver cercato il contato col suo corpo.
Ma solo perché lì per lì ne avevo bisogno, no?
Nei giorni addietro, tutte le volte che si era trovato in mia presenza assieme a Fujiko, aveva dato piena mostra di se, facendo sfoggio della ragazza in modo assolutamente troppo evidente. Come se avesse avuto qualcosa da dimostrare.
Lei era visibilmente innamorata le si leggeva in faccia. Lui non so, forse lo era anche lui. Le sorrideva “sempre” il che era raro per Ryan quindi vederglielo fare così frequentemente era senza dubbio un segnale inequivocabile del suo interessamento verso di lei.
Non mi ero neanche accorta che stava immobile dietro le mie spalle ad osservarmi in silenzio.
Almeno fino a quando non lo sentii ridere così forte che si piegò su se stesso per lo sforzo e intanto con le mani si asciugava le lacrime per il troppo ridere.
-Cos’è che suscita la tua ilarità, Shirogane?-
Cercò di recuperare un po’ della sua composteza per rispondermi ma mentre lo faceva aveva assunto un colorito molto simile alla tonalità dei miei capelli, forse per lo sforzo impiegato nel trattenersi da scoppiare a ridere nuovamente.
-Sono davvero belli-
-Così belli che ti stai ammazzando dalle risate?- strinsi i pugni. Dovevo trattenermi o lo avrei attaccato al collo, ne ero certa.
-Mi fa ridere il fatto che tu possa credere di indossare una cosa del genere-
-Perché non potrei?-
-Sei una ragazzina, Momomiya. Non puoi fingere di essere ciò che non sei-.
Colpita e affondata.
Non ero più una ragazzina. Ero cambiata così tanto dall’ultima volta che …oh non so neanche io cosa. Ma non poteva di certo trattarmi come la bambina pasticciona e bonariamente casinista che ero stata. Ero una donna, e tra soli tre mesi avrei compiuto 21 anni.
-Cosa fingo di essere esattamente, di grazia?- Chiesi, sapendo già dove voleva andare a parare e che la sua risposta mi avrebbe fatto incazzare almeno otto volte di più di come ero ora.
-Sensuale?- Lo disse sorridendomi, porgendomi un’altra domanda come risposta. Mi stava lanciando una sfida bella e buona e non gli avrei dato per alcun motivo la soddisfazione di farmi vedere imbarazzata di fronte a quello sguardo malizioso e a quella voce così roca.
Mi alzai dalla sedia su cui ancora stavo seduta e mi avvicinai a lui con una lentezza quasi insopportabile. Una volta di fronte all’americano, gli cinsi la nuca con le braccia, accarezzando dolcemente i ciuffi biondi che ribelli ricadevano sul collo. Lui per un attimo parve sorpreso e sono quasi certa di averlo sentito rabbrividire sotto il mio tocco, poi dopo pochi attimi riacquistò la sua solita compostezza e mi accarezzò a sua volta un fianco sfiorando la pelle lasciata nuda dalla maglia che si era alzata.
-E tu come fai a saperlo, Ryan- sussurrai il suo nome con voce roca, il più sensualmente possibile, continuando a guardarlo negli occhi cercando di non affogare in quei pozzi blu.
-Ti conosco, gattina-.
Dovevo resistere ad ogni costo. Non gliel’avrei mai data vinta. Così mi avvicinai al suo orecchio e cercando di far aderire il più possibile il seno al suo petto caldo e scolpito sussurrai, proprio sforandolo nell’incavo del collo: -Mi conosci male-.
Non gli diedi il tempo di rispondere. Mi staccai da lui e me ne andai di sopra.
Sicuro di voler giocare?

***

Domenica, Giorno dell’inaugurazione

Ryan e io eravamo scesi in laboratorio alle7:30 della mattina ed erano ben 3 ore che cercavamo di combinare i nostri DNA con quelli degli animali a codice rosso nel miglior modo possibile.
Era la prima volta dopo una settimana di convivenza che lavoravamo veramente insieme. Nel senso che io non boccheggiavo nella speranza che il supplizio finisse presto e lui aveva finalmente smesso di darmi ordini a bacchetta e il più delle volte sembrava dare credito alle mie idee. Non avevamo parlato gran che quella mattina ma avevamo fatto un sacco di progressi e a me andava bene così. Ero particolarmente rilassata visto che Fujiko ancora non si era fatta vedere.
L’ultima volta che ci eravamo incontrate lei stava sgattaiolando in camera di Ryan con in mano una bomboletta di pana spray.
Rabbrividii immaginando alle particolari abitudini “alimentari” dei due e cercai di togliermi dalla testa l’immagine del biondo che faceva chissà cosa con gli ingredienti di Kyle.
Odiavo che lei fosse sempre così estremamente e ormonalmente sensuale. Il che mi faceva sentire una ragazzina proprio come Ryan aveva provato a insinuare il mercoledì passato.
Da quel giorno non è che mi fossi impegnata tanto a pensare come potergli fare cambiare idea sulla piccola scaramuccia che avevamo avuto riguardo alla MIA sensualità. Ma sapevo che prima o poi avrei avuto la possibilità di riscattarmi e farlo ricredere. Mi sarebbe bastato un suo piccolo attimo di titubanza e di cedimento per sentirmi soddisfatta.
Poi la vendetta è un piatto che va gustato estremamente freddo, no?

Ryan quando lavorava sembrava quasi non vedermi; fissava lo schermo massaggiandosi di tanto in tanto le tempie ma era perfettamente impresso nel suo lavoro.
Non gli avevo parlato delle mie iniezioni fatte in casa perché sapevo che mi avrebbe ucciso con le sue stesse mani e perché ero consapevole che il siero che avevo progettato serviva solo ed unicamente a stabilizzar un po’ i miei sensi felini e a non crearmi più di tanti problemi. Le altre, per lo meno per quanto ne sapevo, non avevano mai avuto problemi simili al mio.
Quello che stavamo creando io e lui al momento era ben diverso.
Le Mew Mew dovevano essere in grado di combattere, di entrare così tanto in sintonia con la natura da diventare un tutt’uno con essa. Dovevamo controllare la natura. Avremmo avuto delle armi certo, ma saremmo dovute diventare prima di tutto noi stesse un arma.
Non conoscevamo per nulla il nemico che ci trovavamo davanti e che sembrava non voler far mostra di se nascondendosi nell’ombra. Quindi, dovevamo essere pronte a tutto.
Solo una cosa ci era ben chiara. Non avremmo dovuto semplicemente mettere KO i chimeri. Dovevamo uccidere i chimeri. E per quanto le due cose possano sembrare lì per lì simili, sapevamo bene che c’era un immensa differenza.
-Poteri o no, ci servirà un duro allenamento- dissi dando voce ai miei pensieri.
-Lo so, cerchiamo di superare questa giornata e…-
-E..?-
-Ce l’abbiamo fatta, Straw!- disse alzandosi in piedi –Sono riuscito a trovare la combinazione! Abbiamo il siero!-
Non ci potevo credere.
Dopo una settimana passata a sgobbare sopra a quei computer finalmente ce l’avevamo fatta! E insieme per di più! Sorrisi a mia volta alzandomi anch’io e mi gettai tra le sue braccia stringendolo così forte che temevo smettesse di respirare. Lui mi stringe a sua volta preso dalla contentezza e senza che me ne resi nemmeno conto mi tirai di poco indietro andando a baciarlo sulla guancia, sfiorandogli di poco le labbra, e lasciandolo esterrefatto. Rimase in quel modo, fermo ad abbracciarmi.
Sentivo il suo calore e il suo odore assalirmi l’intero corpo poi realizzai la stronzata che avevo appena fatto.
Cazzo.


Stavo per scusarmi ma lui mi precedette: –Scusami- disse quasi mormorando, e si allontanò da me, uscendo dalla stanza e lasciandomi lì in piedi, davanti allo schermo del PC a schiaffeggiarmi mentalmente e a chiedermi perché l’avevo baciato. Perché mi ero gettata tra le sue braccia. E soprattutto perché ora desideravo che accadesse di nuovo?
Quel ragazzo faceva uscire fuori parti di me che nemmeno io sapevo riconoscere. Solo in sua presenza riuscivo ad essere così, incazzata, sgarbata, istintiva. Riusciva a tirar fuori la parte peggiore di me.
Ma era anche estremamente piacevole e liberatorio dimostrarmi di tanto in tanto per la pessima ragazza che potevo essere. Era in assoluto, la valvola di sfogo più strana, perfetta e sensuale che mai sarei riuscita a trovare.


Il caffe era strapieno. C’erano persone in piedi che aspettavano di potersi sedere e altre sull’ingresso che cercavano di vedere se qualche tavolo stava per essere liberato. Kyle era indaffaratissimo come me, Lory e Paddy che correvamo a destra e a sinistra per prendere ordini e portare questa o quella torta da un cliente o da un altro.
Le divise erano quelle di cinque anni prima ma non me ne dispiacevo. In fondo quei completini erano davvero deliziosi e per di più quel colore era perfetto con i miei capelli che ora per quanto lunghi dovevo raccogliere in una coda alta.
Ryan girovagava per il locale tranquillamente senza degnarci di uno sguardo e senza avere la minima intenzione di darci un aiutino anche se eravamo visibilmente in alto mare. Lo sguardo di quasi tutte le ragazze nella sala erano puntati su di lui e nessuna sembrava voler smettere di mangiarselo con gli occhi. Fujiko dal canto suo era estremamente a suo agio con quella situazioni e anzi sembrava essere particolarmente soddisfatta di poter esporre il proprio fidanzato quasi come fosse un premio.
Dal mio punto di vista provavo un po’ pena per tute quelle mocciose che sbavavano dietro al capo. Sole due settimane di conoscenza e come minimo sarebbero tutte scappate a gambe levate davanti alla sua presunzione al suo brutto caratteraccio. Anche se a volte… no Straw! Stai zitta!
-Hey tu!- mi sentii  chiamare alle mie spalle da una voce graziosa e delicata, e mi voltai.
Una ragazza biondissima con gli occhi verdi e profondi stava guardando nella mia direzione.
-Si dimmi- dissi con un sorriso.
-Quel ragazzo là- disse indicando Ryan- come si chiama?-
-Ma chi? Shirogane?- sgranai gli occhi. Non ero più abituata a dover fare da informatrice per le ragazze che venivano al caffè con l’unico scopo di fare colpo sul proprietario, e quella ragazza che fino a poco prima avevo pensato essere di una bellezza sconvolgente ora mi procurava solo che fastidio.
Senza dirle più nulla mi voltai decisa a continuare a lavorare ma lei mi afferrò per un braccio e mi strattonò delicatamente per farmi tornare a guardarla.
-E dimmi, è impegnato?-
Ancora??
Stavo per rispondere di si, quando la consapevolezza del fatto che si, Shirogane era felicemente fidanzato mi colpì allo stomaco e le parole mi si bloccarono in gola. Non so perché e neppure come, ma la mia lingua prese a muoversi senza che io lo volessi e tirai fuori la prima cosa che in quel momento avevo creduto di desiderare.
-No, liberissimo-.
Arrossii subito dopo ma lei sembrò estremamente soddisfatta della mia risposta. In fondo a Fujiko non avrebbe fatto altro che piacere no?
Ma che cazzo…
Sarebbe stata decisamente una lunga, lunghissima serata.

 

***

 

 

Di nuovo mercoledì. Adoravo il mercoledì. Forse perché a Londra quello era il mio giorno libero. O forse perché era sempre di mercoledì che da qualche tempo a quella parte tassativamente provvedevo all’iniezione. La mia “dose” settimanale, in un certo senso. Adrenalina pura che mi incendiava i muscoli, la pelle e le ossa continuando a scuotermi per ore intere.
Ora, il mercoledì non era più il mio giorno libero. La settimana lavorativa era appena riiniziata e già mi ero trovata di nuovo immersa nei miei 15 anni, passati assiduamente a lavorare al caffè.
Da domenica non avevo fatto altro che correre a destra e a sinistra, da un tavolo all’altro, sotto lo sguardo vigile di una Mina sempre attenta e rischiando di perdere la vita praticamente sei ore su otto al giorno, dal momento che le abitudini di Lory e Paddy erano sempre le stesse.
La verde aveva già provveduto a far scivolare casualmente uno o due coppe da gelato dal vassoio. Stava venendo a tutti il dubbio che lo facesse apposta e ci trovasse gusto a spandere di tutto sul pavimento per poi costringere la sottoscritta a pulire. Paddy aveva rischiato di investire me e una decina, si e no, di clienti, da sopra il pallone su cui ancora imperterrita di esibiva, e per poco quella mattina non aveva portato via a Kyle un braccio, cimentandosi nel lancio dei coltelli. Quello era stato più che altro un incidente, grazie al cielo.
Nell’ultimo periodo ero rimasta in contatto si e no con Mark  un giorno su tre, ma il saperlo al sicuro sotto l’occhio vigile dei sistemi di ricognizione di Kyle e Ryan mi faceva sentire tranquilla. Per di più ora, che avevo scoperto che era riuscito a catturare il chimero fuggitivo che, secondo la sua descrizione, assomigliava tanto ad una enorme balenottera con le zampe caprine. Che poi come ha fatto un chimero del genero a passare inosservato proprio non riesco a spiegarmelo.
La sera prima mi aveva chiamata tutto entusiasta per come stavano procedendo i suoi studi e perché probabilmente avrebbe ottenuto una gratifica da uno dei suoi docenti universitari riuscendo forse a partire per un progetto nel nome dell’eco life.
La sua presenzaa Tokyo al momento non era richiesta, per lo meno Ryan se lo sarebbe voluto tenere lontano il più a lungo possibile, e anche le altre Mew non sembravano dispiacersene in modo particolare.
Con i geni di Profondo Blu che gli erano rimasti non sarebbe stato in grado di esserci di supporto e i due cervelloni del progetto non avevano la benché minima idea di come incrementare anche i suoi poteri visto che , almeno apparentemente, il DNA del ragazzo non sembrava adatto a legarsi con alcun animale, e loro non predisponevano di geni alieni. Poi detto chiaro e tondo, non è che avessero tutta quella voglia di incentivare ulteriormente il geni di Profondo Blu. E dovevo ammettere, nemmeno io.
Il moro cominciava a mancarmi, ma tutto sommato saperlo a casa mi permetteva di rilassare un’altra parte del mio cervello che altrimenti sarebbe stata da tutt’altra parte.

Dal momento che due paia di braccia in meno per Ryan, sembravano essere un rischio troppo grosso da correre aveva deciso di farci un regalo. Uno splendido regalo.
Fujiko con immane gioia della sottoscritta sarebbe entrata a far parte del team. Anche se in cuor mio sospettavo che l’assenza di Mark c’entrasse poco con la scelta del biondo, pur tenendo conto di quanto non poteva subirlo, e che la cosse fosse già stata preventivata da tempo. Molto tempo.
Tempo a sufficienza da farm chiedere con un groppo in gola quanto in realtà questa cosa fosse stata progettata. 
E perché?

Per la verità però, le domande che mi turbinavano in testa erano un infinità. Ad esempio, perché la gallinaccia lì, fosse venuta a conoscenza di chi fossimo e come, quando e dove. Mi chiedevo quando avessero scoperto che il suo DNA fosse compatibile e cosa avesse spinto Ryan a infilarla in mezzo, anche se sentivo che lei aveva fatto le sue belle pressioni. Mi domandavo quale fosse l’animale che si legasse al suo DNA e su questa questione i miei sensi felini sembravano volermi avvertire di qualcosa e il cuore salirmi in gola. Avevo un brutto presento.
Ma d’altronde lei era di per se un orribile presentimento, con tanto di gambe cerettate e capelli scuri e splendenti.
Ma non potevo ,ne da una parte “volevo”, soddisfare de mie infinite domande, perché se Ryan non era venuto da me per aggiornarmi della nuova recluta non vedevo il motivo per cui avrei dovuto farlo io con i miei numerosi interrogativi.
La notizia mi era giunta per così dire vie traverse. Innumerevoli vie traverse a dire il vero.
Pam mi aveva avvisato freddamente più o meno 24 ore prima in modo gelido , senza darmi ulteriori spiegazioni e dicendomi soltanto che era stata Mina, ovviamente, a dirglielo. Non mi ci era voluto poi tanto a scoprire che Mina lo era venuta a sapere da Paddy, Paddy da Lory e la verde da Kyle che ovviamente ne aveva discusso ancora prima con Ryan.
Non ne avevo parlato con nessuna delle Mew e tanto meno con i due ragazzi, ma ero sicura che Ryan con il suo cervello da genio intuisse che ne ero venuta a conoscenza.
Il fatto che non ne avesse parlato con nessuna di noi non mi piaceva visto che volente o nolente noi eravamo la squadra. Noi il braccio e lui la mente. Mente che sicuramente aveva orgogliosamente agito sulla base del mio stesso identico principio.
Sbuffai ancora dalla rabbia sperando che almeno si sarebbe tenuta un minimo in disparte così da non costringermi a salvarle la pelle, e felice di non aver dovuto disegnare anche la sua uniforme per poi sottostare anche a qualche pessimo capriccio della castana.
Mancavano soli due tavoli da pulire che Pam entrò nel caffè, ormai chiuso al pubblico da una quarantina di minuti buoni, vestita, improfumata e pettinata di tutto punto, proveniente da uno dei suoi servizi fotografici che quei giorni la tenevano impegnata (grazie al cielo) proprio a Tokyo.
-Buonasera- disse con voce piatta, accennando un piccolo sorriso.
Salutai di rimando un po’ distratta, rimettendomi dritta e sciogliendo i capelli fino a poco prima dolorosamente e strettamente legati in una coda altissima.
Negli ultimi anni ero cresciuta molto diventando alta quasi quanto la modella. L’idea mi faceva sempre sorridere visto quanto quattro anni prima lei mi mangiasse letteralmente in testa.
-Sei pronta?-
La sua voce mi destò del tutto dai mie voli pindarici e focalizzai seriamente cosa significasse la domanda che mi aveva posto. E soprattutto la risposta che avrei potuto, più sinceramente possibile, darle.
Era chiaro che fossi pronta e disposta a  combattere. Ma ora, che praticamente stavo per essere rigettata in mezzo a tutto quel marasma catastrofico che era stato il progetto Mew, avevo paura.
Paura per quello che sarebbe potuto succedere alla terra, ai miei amici e a me. Paura di non riuscire più ad accogliere il gatto selvatico dento di me e paura di non essere più abbastanza in gamba per riuscire a reggere tutto il peso che significava tenere unito il team e stare alla testa del gruppo.
-Non lo so, Pam- era infondo la risposta più veritiera che potessi darle.
Lei mi guardò quasi riuscendo a cogliere i miei pensieri, e forse qualcosa in più perché rispose: -Stai tranquilla, non cambierà nulla- provò a rassicurarmi,- o quasi.
-Dove sono gli altri?-
-Sono di sotto da un po’, io stavo finendo di sistemare- risposi.
-Vedi? Infondo siamo sempre le stesse- sorrise un ultima volta poi ci dirigemmo assieme al piano inferiore.
Quanto hai ragione, Pam.



***

Quando aprimmo la porta ritrovammo tutta la squadra Mew (più una) ad attenderci.
Fujiko era seduta sulle gambe di Ryan, Paddy stava importunando Mina con le sue sconnesse chiacchiere e Lory sembrava stesse facendosi tranquillizzare un po’ da Kyle, vista la sua palpabile preoccupazione e il viso cinereo. Proprio non le andava di tornare sul campo.
Quando Fujiko mi vide sorrise maliziosa e si chinò di poco verso il biondo, fino a poggiarsi con la fronte sulla tempia di lui, che non sembrò quasi dare peso al gesto. Come se fosse naturale.
E lo è, stanno insieme.
Tutti salutarono e l’agitazione era nell’aria tanto fitta da poterla toccare con mano.
La prima cosa che attirò la mia attenzione, messo piede nella stanza, fu la serie di sei valigette stipate sul tavolo di ferro a sinistra della stanza. Mi accostai e posai una mano su uno dei contenitori.
-Sono pronte- sussurrai.
Non era una domanda, ma Kyle mi sorrise radioso e fece un cenno d’assenso nella mia direzione:
-Si, de devo dire che sei riuscita fare uno splendido lavoro.-
Miagolai un grazie e percependo l’ansia di vedere le mie creazioni si avvicinò a me posandomi piano una mano sulla spalla: -Se volete, potete aprirle subito-.
-Oh, si! Sono così curiosa!-
Risi divertita dall’emozione che trapelava da Paddy, che aveva preso a battere le mani felice e cercai di distogliere l’attenzione del biondo e dalla castana ormai in piedi, decisi anche loro a partecipare all’apertura delle valigette.
-Si, direi che possono aprire i loro “regali di Natale” in anticipo- si intromise Ryan, che fino a due secondi prima non aveva proferito parola.
Io di tutta risposta lo guardai storto per quell’intermezzo, e afferrai il “pacco” che Kyle mi passò sulle braccia.
Lo riappoggiai sul tavolo con un gesto meccanico e , aprendolo cominciai a scartare il mio regalo.
Erano proprio le mie tute!
Le ragazze guardavano eccitate le loro nuove divise, stupide dalla finezza e dalla resistenza del tessuto, da una parte proprio come lo ero io.
Avevo tenuto segreto loro ogni mia bozza, dal più piccolo particolare al colore della tutta (eccetto Pam) e per le ragazze fu una piacevole sorpresa scoprire di non essere più costrette ad indossare le vecchie mise. Eccetto forse Paddy che ero convinta sarebbe andata in giro anche in pigiama se il caso l’avesse richiesto e permesso.
Tirai fuori la mia divisa e la rimirai soddisfatta. Era esattamente come nel disegno.
Il bustino, un poco rigido, avrebbe sorretto le forme abbondanti del seno, permettendo un piacevole effetto push-up che mi avrebbe concesso una libertà di movimenti, degna di un gatto. 
Il bustino che lasciava scoperte le braccia, dall’allacciatura posta dietro il collo faceva partire un cappuccio abbastanza coprente da proteggere il viso fino a sopra gli occhi. Un piccolo e ben congeniato escamotage che avrebbe fatto parte della divisa di ognuna. Gli stivali alti fasciavano tutta la gamba, fin sopra il ginocchio  e sfinavano maggiormente le cosce che erano invece protette da morbido e liscio tessuto nero.
Guanti neri senza dita e una cintura pesante che avrebbe potuto contenere tutte le munizioni dell’esercito giapponese, russo e americano insieme, erano accessori perfetti che rendevano ancora di più l’idea della femme fatale. Fin’ora a me tanto estranea.
L’unico particolare, che un po’ per malinconia verso le vecchie mise, avevo deciso di mantenere invariato per tutte era il collarino sottile che fasciava il collo, facendo spiccare il  filo nero rispetto alla pelle più pallida. Un filo che collegava quelle che eravamo e quelle che eravamo state tanti anni prima.
Anche le altre continuavano a rimirare gli abiti nuovi e per un secondo fui davvero convinta di aver fatto un ottimo lavoro.
Pam osservava il top a maniche lunghe che lasciava la pancia scoperta, e che avrebbe quindi lasciato intravedere il suo marchio.
 La parte inferiore della divisa era costituita da un paio di pantaloncini corti, che fasciavano le curve della modella e che intervallavano i lembi di pelle bianca dell’addome e delle cosce, lasciati invece scoperti. Lunghi e stretti stivali le avrebbero accompagnato e protetto le gambe, ma nei lati erano abbastanza morbidi da poter nascondere qualche eventuale arma affilata.
La divisa di Mina invece era un aderente tutina che lasciava scoperta buona parte della schiena della schiena, che di lì a poco avrebbe ospitato le ali del lorichetto blu, ma abbastanza accollata sul davanti, con maniche a tre quarti e le gambe lasciate scoperte da pantaloncini poco più lunghi di quelli di Pam.
 Paddy sembrava non capire in che modo dovesse indossare il body nero smanicato e dal collo alto. Anche Mew Paddy avrebbe indossato degli stivali sopra al ginocchio, ma privi del tacco che mi ero concessa di aggiungere solo alle divise mie, di Pam e di Mina, vista l’adorabile imbranataggine di Lory e l’astio che la biondina provava per le cose troppo femminili. Ovviamente la scelta di aggiungere un particolare così apparentemente scomodo alle nostre divise non era soltanto una scelta di stile.
I tacchi di cui erano dotate le alte calzature mie e della Mew-Lupo e degli stivaletti più bassi di Mina erano delle vere e proprie armi. Resistenti e perfino, apparentemente, affilate sul profilo dello spillo.
Lory che inizialmente parve sbiancare notando i particolari delle divise delle altre si rassicurò un poco vedendo lo scollo a V non eccessivamente provocante ma (forse anche troppo) profondo e che la parte superiore della mise non lasciava scoperta troppa pelle sul ventre. Riacquistò particolarmente colore poi quando fu certa che avrebbe potuto indossare dei pantaloni lunghi e dei comodi e resistenti anfibi.

Gongolante per i risultati raggiunti mi voltai verso Ryan cercando di capire se alla fin fine avesse apprezzato o meno il mio lavoro ma raggelai quando lo vidi essere distratto da ben altro.
Sorrideva sornione in direzione di Fujiko che sventolava entusiasta un top nero aderentissimo a maniche corte, che visto da dove mi trovavo sembrava appartenere quasi ad una bimba di 10 anni e non lasciava affatto spazio all’immaginazione vista la profonda scollatura, e un paio di pantaloni neri che probabilmente arrivavano poco sotto il ginocchio.
Cercando di scacciare la morsa di nervoso che costrinse me e il mio stomaco a ricacciare indietro la bile ormai convinta di uscire, continuai a sbirciare il contenuto della valigetta rimanendo estremamente soddisfatta da quello che trovai al suo interno. Due magnifiche Colt, risplendevano alla gelida luce del laboratorio. Pericolose e fatali, le afferrai la calcio e me le rigirai nelle mani.

Avevo imparato a sparare  tre anni prima, accompagnata da Mark. Entrambi eravamo stati convinti dal biondo ad imparare visto che al tempo non aveva idea per quanto tempo i nostri geni modificati ci avrebbero aiutato e pensava (mio malgrado giustamente) che avessimo la NECESSITA’ impellente di poterci difendere in ogni caso.
Ora come ora, mi trovavo a ringraziare il biondo per una delle sue ansie.
Mentre rimiravo ancora le due armi, pensando a quanto sarebbero sembrate “da dura” infilate nella cintura della divisa notai che non ero l’unica a possedere un arma. O meglio, io ero l’unica a possederne una sola.
Tutte avevano trovato nella “scatola”  altro oltre le pistole, eccetto me, che anche ricontrollando, non riuscii a vedere niente.

Pam arrotolava distratta, già pregustando quasi il gusto della battaglia, una frusta lunga, tagliente e argentea che quasi le ricopriva tutta la lunghezza del braccio affusolato.
Mina ammirava una grande balestra nera e lucente, così imponente che sembrava quasi sovrastare la mora ma allo stesso tempo adattarsi perfettamente a lei. Risultava azzeccatissima tra le sue mani.
Paddy, con un espressione buffa, faceva roteare un ascia dal manico lungo, che pareva essere particolarmente pesante, ma che lei maneggiava con estrema facilità, divertendosi, mentre Lory dall’altra parte della stanza, toccava lievemente con l’indice la punta di uno dei due sai che teneva in mano, simili a quelli che aveva utilizzato Ghish cinque anni prima. Con la sola differenza che in mano a lui sembravano essere molto più temibili.
Lory non sembrava neanche capire da dove avrebbero dovuto essere impugnati.
Il colpo di grazia però, me lo auto-inflissi gettando per un attimo l’attenzione sulla castana di fronte a me , che con lentezza inesorabile facile scivolare la mano su uno dei sei coltelli da lancio, prelevati dalla sua valigetta, sfidandomi e allo stesso tempo saggiando la lama affilata e lucente.
E’ uno scherzo.
Ryan notò la mia espressone accigliata e pensando che non cogliessi il suo gesto si voltò interrogativo verso di me. Non sembrava soltanto leggermi dentro, ma anche percepire quello che mi passava per la testa.
Senza sapere perché, una rabbia sorda fece si che lo stomaco mi si rigirasse venti o trenta volte su se stesso, tappandomi le orecchie e facendo aumentare i battiti del mio cuore che percepivo fin dentro alle tempie. Rombavano così insistentemente, che fui costretta a portarmi una mano alla fronte, stringendo con l’altra ancora più forte il calcio della pistola.
In un attimo ero passata dal semplice fastidio alla rabbia più pura. Razionalmente non ne comprendevo il motivo, ma c’era qualcosa dentro di me, che stava urlando affinché di lì a poco mi preparassi al peggio.
-Perché non ho un’arma?-
-Mi pare che tu ne abbia una ben stretta in mano, al momento- disse Ryan sardonico.
Pam capì che stavo per sbottare e mi si accostò molto lentamente, come se dovesse avvicinare in silenzio una preda, e mi poggiò lieve una mano sulla spalla. Per un attimo pensai di calmarmi, poi vedendo il ghigno irrisorio che aveva colto Ryan e di conseguenza aveva fatto sorridere maliziosa Fujiko cancellai ogni buon proposito.
-Sono l’unica a non avere un ‘altra arma, Ryan- sibilai a denti stretti.
Kyle percependo che la situazione stava per mettersi male intervenne in soccorso del biondo e del bene comune:
-Non è ancora pronta Strawberry, ma lo sarà di qui a poco-. Cercò di sorridermi lieve ma quando vide che la mia espressione non stentava a rilassarsi si irrigidì.
-Dobbiamo aspettare ancora quindi?-
-Non c’è tutta questa fretta.
-Non abbiamo rintracciato niente di strano e dei chimeri fin ora non ce ne traccia-. Anche Ryan ora sembrava innervosirsi e le parole che pronunciò mi apparvero poco convinte, a malapena sussurrate. Tuttavia la falsa ingenuità che lessi tra le righe mi fece ribollire l’intestino, e per tutti  sospiri che potessi provare a fare o per tutte le divinità che povai a pregare in quel momento affinché mi trattenessero, scoppiai:
-E ti stupisci? Non fare l’idiota con me, Ryan.
-Sai bene che non c’è modo di rintracciarli, e decisamente non si presenteranno alla nostra porta suonando il campanello e offrendoci un cesto di frutta.-
La bomba era ufficialmente esplosa. il bello era che nemmeno io sapevo per quale motivo ero tanto incazzata; anche se qualcosa, dentro di me, mi diceva che presto l'avrei scoperto. come una premonizione.
Tutte le ragazze guardavano la scena in silenzio, non capacitandosi di tanta irascibilità. Pam aveva ormai lasciato la mia spalla e Lory aveva abbassato gli occhi non appena i miei avevano incontrato i suoi.
Mina non fece un fiato, stranamente, evitando di riprendermi. Ognuna delle ragazze sembrava in fondo capire più di me il perché di quella sfuriata. O semplicemente volevano essere, in ogni caso al mio fianco.
-Sono due settimane che ci rigiriamo i pollici! E questo soltanto perché tu non ci permetti di allenarci come dio vuole! Io sono stanca di aspettare-.
Da quando avevamo definito quali fossero i nuovi pericoli da affrontare sia Ryan che Kyle erano stati d’accordo sul fatto che un buono e duro allenamento sarebbe stato indispensabile per affrontare questa nuova missione, ma l’unica cosa che almeno nelle ultime 72 ore il biondo ci aveva permesso di fare, era correre come maratoneti nel parco. Quasi come se ci dovessimo impegnare per scappare meglio.
Purtroppo i nostri poteri si erano indeboliti, il che era inevitabile, e per quante altre modifiche avremmo potuto subire nessuno di noi era tanto convinta di andare a gettarsi così, sul campo di battaglia, tanto all’acqua di rose, vista la pericolosità di questi chimeri. Per di più se fossimo state colte impreparate e non fossimo riuscite a utilizzare gli eventuali poteri garantiteci dal nuovo siero, che ancora erano un mistero, dovevamo saperci per lo meno difendere.
-Che cosa avreste potuto imparare Strawberry, in settantadue ore?-  camminava a pugni chiusi verso di me. Temevo davvero che mi avrebbe preso a sberle. Era infuriatissimo, come poche volte lo avevo visto. Per inciso, sempre con la sottoscritta.
-Per di più senza l’aiuto del siero!- Continuava a sbraitare senza aspettare neanche che gli rispondessi, -Se tu, e sottolineo TU, vuoi rischiare la tua vita, fai pure. Ma non farò ammazzare l’intera squadra perché non sei in grado di ragionare come una persona matura.-
In men che non si dica era tornato imperturbabile come sempre, distogliendo lo sguardo da me e tornando a fissare lo schermo.
-Non ho bisogno di una mocciosa nella mia squadra.- L’aveva praticamente sussurrato, come se stesse parlando tra se e se, ma il messaggio arrivò forte e chiaro, diretto come un pugno nello stomaco.
Avevo dato praticamente qualsiasi cosa per la riuscita del primo progetto Mew.
Ero addirittura morta per portare a termine la missione. Ero disposta a rinunciare a tutto e avevo continuato a farlo anche alla fine rincorrendo i chimeri superstite, ed ora mi stavo rimettendo in ballo. Avevo lasciato tutto per tornare indietro, per poter dare una mano.
Potevo accettare qualsiasi cosa, ma non quello. Non quella irriconoscenza, non da parte sua.
-Se la mia presenza non ti è gradita Ryan, hai fatto bene a cercarti una sostituta-.
Stavo per andarmene ma la mano di Pam mi ancorò il braccio costringendomi a voltarmi nuovamente verso gli altri presenti che osservavano la scena come spettatori immobili, manichini in una vetrina. Ryan nel frattempo si era alzato e mi stava venendo incontro. Quando parlò, mantenne un tono atono ma ero sicura che se avessi riaperto bocca avrebbe dato di matto di nuovo:
-Una volta iniettato il DNA del gatto selvatico, sarà anche lei molto utile per la squadra.
-E farà sicuramente meno stronzate di quante ne abbia fatte tu.-
Pam come scottata dal contatto con la mia pelle allentò di fretta la presa e ritrasse la mano, lasciandosi cadere le braccia lungo i fianchi. La fissai per un attimo non comprendendo quella reazione, così inusuale per lei; poi, lasciai correre.
-Ryan, piantal…- Kyle aveva provato a frenare la lingua del biondo, rendendosi conto dei danni che stava facendo, ma senza dire una parola, lo fermai, con un gesto della mano.
Gatto selvatico? L’Iriomote? Stava sul serio dicendo che avrebbe iniettato il DNA del mio animale ad un’altra persona? A Fujiko?
D’un tratto la frase che gli avevo buttato là, tanto per fargli capire che quello che aveva detto poco prima mi aveva ferita, aveva acquistato un significato tutto nuovo. Era vera.
Ero stata declassata, offesa. Ero stata realmente sostituita, per altro, dalla persona che sulla faccia della terra sopportavo meno.
Cercai di trattenere le lacrime di rabbia che volevano per forza uscire fuori. Era troppo. Era tutto troppo, e non potevo più rimanere lì o sarei esplosa, e l’ultima cosa che avrei voluto sarebbe stata dargli la soddisfazione di vedermi piangere, per lui.
Sentii ribollirmi, le luci del laboratorio sfarfallarono per un attimo, e tutti si guardarono attorno per un secondo spaesati come se si fossero appena svegliati da un sogno. Poi il gioco di luci e ombre terminò lasciando tutti indecisi sul da farsi.
Io, dal mio punto di vista sapevo benissimo cosa avrei dovuto fare.

-Dov’è il mio siero?-
-Strawberry che vuoi fare?- Lory aveva ripreso un poco di colore dopo che Ryan aveva smesso di lanciare urli, ma al momento sembrava essere seriamente preoccupata per quello che mi stava passando ipoteticamente per la testa.
-Nulla che altrimenti non avrei fatto -.
Puntai lo sguardo sul biondo e riacquistai il coraggio perso nel rispondere a Lory, vedendola così spaventata. –Allora, dov’è?-
Ryan non rispose, ma per un attimo i suoi occhi schizzarono nella direzione delle valigette e potei giurare su qualsiasi cosa che stava guardando il primo cilindro sulla sinistra.
Negli anni a lavorare al caffè ero diventata impeccabile nel cogliere ogni minima variazione del suo sguardo e riuscivo a percepire i suoi pensieri (o quasi ) soltanto riuscendo a notare dove si posavano quegli oceani blu.
Mi avviai a passo di carica verso il contenitore precedendo di poco Kyle che non sapendo dove stavo andando a parare aveva cercato di fermarmi afferrando la siringa con il mio preparato. Ora ero sicura di quale fosse. La afferrai e me la puntai al collo.
Sapevo già come andavano fatte quelle iniezioni ed ero già sicura che il dolore che avrei provato sarebbe stato almeno quattro volte multiplo rispetto a quello provato solitamente col siero blu per la stabilizzazione del DNA felino.
Senza indugiare oltre, stringendo il calcio della siringa spinsi la levetta e i milioni di aghi, che mi sembrarono penetrare il collo, sovrastarono le rumorose proteste di Paddy, Lory e Mina.
Una serie infinita di lame che graffiavano, penetravano, perforavano il corpo, in ogni parte possibile. Dalla punta dei capelli a quella dei piedi.
Era un dolore così intenso che mi irrigidii tanto che temetti per un secondo che sarei caduta in pezzi da un momento all’altro come una statua di sale.
Poi, come una scarica di elettricità.
Pura, inebriante, potente, ovunque, come se avessi spinto play e la canzone fosse partita un po’ in ritardo.
Ogni cellula, che un secondo prima, sembrava voler esplodere ora vibrava di una forza adrenalinica, di una sicurezza mai provata. Quella serie di istanti divennero infiniti e il tempo sembrò plasmarsi attorno a me; poi, sentii tutto.
Sentivo il respiro spezzato di Ryan, il cuore di Lory che martellava e Pam che tratteneva il respiro. Sentivo l’odore del sofisticato profumo francese di Mina, il traffico nella via adiacente al locale, il rumore del vento che si infrangeva leggero sui vetri. Gli spifferi che penetravano nel laboratorio e che ora sembravano soffiare come brezza. Sentivo, ogni cosa.
Cominciai a sgranchirmi dalle dita delle mani al collo, fissando i palmi come se mi aspettassi di vedere spuntare fiamme dalle mani, poi  mi rivolsi a Ryan:
-Hai fatto bene a trovare qualcuna che prenda il mio posto-.
 Mi voltai dandogli le spalle e mi diressi verso la porta, quando la voce del biondi mi accarezzò flebile la schiena.
-Dove vai?- mormorò.
Soppressi una risatina nervosa e senza voltarmi gli rifilai, tanto per citare, le parole che aveva usato pochi minuti prima: -A rischiare la mia vita, da sola.-


***

Una volta infilata la nuova divisa ed essermi rimirata allo specchio per qualche secondo quasi non riconoscendomi, uscii di corsa dal locale, cercando di non farmi sentire e impedendo qualsiasi altro contatto diretto col resto del gruppo. Mentre salivo avevo udito le proteste di Lory e Paddy e gli urli insopportabilmente acuti di Mina, venire placati da un Pam fredda ma molto più altera del solito. L’occhiata che mi aveva gettato prima di mettere il piede fuori dalla stanza era molto simile, se non peggiore, a quelle che mio padre mi lanciava ogni volta che Mark mi bussava alla porta per chiedermi di uscire. Era ovviamente una classica occhiata da “facciamo i conti dopo”. Solo che Pam non era mio padre, che si infervorava per un po’ di gelosia paterna. Pam mi avrebbe probabilmente strozzato nel sonno con la sua frusta nuova di zecca per la mia impulsività.


***

Camminai nel parco per una trentina di minuti che mi sembrarono infiniti. Tutta la zona era praticamente e totalmente disabitata.
Erano quasi le 22 e l’unica cosa che rendeva il parco meno inquietante erano le luci dei lampioni che illuminavano un poco, con cerchi di luce giallastra, la piazza con la fontana e i sentieri tra la vegetazione.
Era tutto tranquillo. Fin troppo tranquillo.
Arrivai all’estremità nord del parco e mi diressi verso la periferia della città.
Non sapevo esattamente dove andare, quindi decisi di seguire l’istinto. Istinto che non appena mi ero iniettata il siero aveva cominciato a vibrare, teso come una corda di chitarra.
Più lo seguivo e prendevo le strade che lì per lì sembravano le uniche a portare da qualche parte, più ogni senso del mio corpo si tendeva come fosse un muscolo. Poi, lo sentii. Di nuovo. Quell’odore acre, sanguinolento metallico. Uguale e allo stesso tempo diverso da quello solito del sangue. Sembrava…rugginoso. Se ne poteva quasi percepire la solidità.
Era il loro odore. E questo mi bastava per trovarli.
Assunsi le sembianze di un gatto e in meno di un secondo quegli odori e quei rumori che prima percepivo in modo cristallino divennero ancora più chiari. Se prima avevo creduto di sentire, percepire, ogni cosa, mi ero sbagliata. Ora percepivo davvero qualsiasi cosa mi circondasse.
Corsi tra una via e l’altra beandomi del fatto di essere semplicemente un gatto e che quindi nessuno pur vedendomi si sarebbe insospettito, finché non arrivai a confondermi in un labirinto di viottole e bassi sottopassaggi che collegavano un palazzo all’altro.
L’odore era vicino ma si diffondeva in fretta e girando in quel modo come una trottola non avrei concluso nulla. E avevo giurato su Dio che avrei concluso “qualcosa” da sola. Pur di non darla vinta a quello sbruffone di Ryan. E di non dare soddisfazione a Fujiko, ovviamente.
Mi ritrasformai, sentendomi un attimo frastornata per i giramenti di testa che mi colpivano ogni volta che tornavo alle dimensioni standard.
Dovevo salire sul tetto. Dall’alto avrei avuto una visuale molto più ampia e una percezione migliore del labirinto in cui mi stavo spostando. Camminai ancora lungo il vicolo rabbrividendo per lo squittire dei topo dietro ai cassonetti e facendomi strada, attenta a dove mettevo i piedi.
Il posto non era per niente illuminato ma la vista felina mi permise di individuare a pochi metri una scala anti-incendio.
La base era incastrata in alto ma non troppo in alto per non poter essere raggiunta con uno bello slancio. Presi un minimo di rincorsa e facendo leva sul muro con una spinta mi aggrappai al primo piolo. Rimasi sospesa a ciondolarmi per qualche secondo poi mi arrampicai sopra, raggiungendo due scalini alla volta la cima del tetto.
Grazie al cielo in quella zona i palazzi non erano altissimi e non c’erano tetti troppo spioventi da cui avrei rischiato di cadere, quindi, seguendo sempre la traccia che, seppur indebolita, rimaneva facilmente percepibile, mi spostati da un tetto all’altro, saltando di qua e di là quando la distanza lo permetteva e cambiando strada quando non era possibile.
Avevo detto di voler rischiare la mia vita era vero. Ma non avevo intenzioni di spiaccicarmi al suolo.
Seguivo la scia lasciata dal chimero senza neanche più pensarci. Come un cacciatore che insegue la preda, il corpo agiva automaticamente. Il che, poteva solo voler significare che era vicino, o comunque mi precedeva di poco perché l’intensità dell’odore era costante e io procedevo abbastanza velocemente.
I tetti dei palazzi cominciarono a divenire sempre più bassi e il fatto di rimanere in una posizione sopraelevata cominciava ad essere irrilevante. Per di più avevo la sensazione che chiunque stavo cacciando stava mettendo una distanza sempre maggiore tra me e lui perché l’odore iniziava a scemare e la traccia diventava sempre più difficile da seguire.
Spiccai un salto che mi permise di atterrare su di una palazzina alta forse una decina di metri e ruzzolando due o tre volte mi rimisi in piedi, decisa a riscendere per le strade, quando mi accorsi che quella che avevo avuto poco prima non era una semplice sensazione o il sesto senso che mi giocava tiri mancini. L’odore era davvero sempre più flebile,  per di più ora quel senso di adrenalina che fino a poco prima mi aveva spinta a correre e saltare a destra e a manca si era spostato un po’ per fare spazio a qualcosa che il mio corpo percepiva come “merda”. Parafrasando, c’era qualcosa che non andava e più proseguivo più mi ci trovavo immersa dentro. Alla merda intendo.

Sviando vicoli a casaccio mi resi conto che la traccia, quasi totalmente scomparsa, mi stava portando in un posto che conoscevo anche fin troppo bene. Casa mia.
Accelerai il passo. Qualsiasi fosse quella cosa che mi stesse gridando il sesto senso in quel momento, non mi piaceva.
Ero ormai a mezzo chilometro da casa, in linea d’aria, quando l’odore scomparse e fu sostituto da un altro che lì per lì non riuscii a distinguere da quello dei chimeri. Poi avvicinandomi capii.
Non era l’essenza rugginosa, stantia di quegli esseri. Era metallico si, ma sembrava… sangue. Semplicemente sangue. Tanto, troppo sangue. Una quantità troppo abbondante per poter essere ricollegata a qualcosa di irrilevante.
Quando svoltai l’angolo, capii perché qualcosa dentro di me mi diceva di andare più veloce. Di arrivar lì prima che fosse troppo tardi.


Nel percepire una massa scura, circondata da chiazze rosse che sembravano essere nere e lucide come il cielo notturno, sull’asfalto grigio e gelido, spuntarono fuori orecchie e coda feline.
Quando fui a 10 metri dalla figura percepii un lento ritmo, lievi battiti che si ripetevano a distanza di pochi secondi gli uni dagli altri.
Qualcosa sbucava da sotto il tessuto riversato a terra in modo scomposto e quando un minimo movimento fece alzare e abbassare la stoffa nera feci un balzo di spavento allontanandomi di nuovo dall’ammasso nero supino a terra.
L’odore era quasi insopportabile. Pensavo potesse essere una trappola e che sarebbe stato meglio agire con cautela, quando ciuffi verdastri uscirono da sotto il nero del tessuto e rantoli sconnessi mi fecero tremare le orecchie e la coda felina.
Il cuore mi balzò in gola.
Dio dimmi che non è lei.

   
 
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