Io Ricomincerei – Nek
Note.
Ennesima licenza out-of-challenge, perché è
eternamente lunga.
Tecnicamente
Cristiana avrebbe dovuto interpretare con arte
magistrale la donna soddisfatta della propria vita sentimentale, a
maggior
ragione se supportata da un giovane e vivace specializzando, in ritardo
e
distratto sul lavoro, ma mai quando si trattava di accompagnarla per
locali e
passare fuori gran parte della notte.
Ed era proprio
questo piccolo particolare che a Riccardo non
sfuggiva mai, ogni mattina, neanche con tutta la volontà del
mondo per
trattenersi dal farglielo notare – sinceramente, di quale
volontà stiamo
parlando? Lo stesso stava per ripetersi quella mattina, con occhiate (o
sarebbe
stato meglio parlare di occhiaie?),
parole e gesti sovrapponibili a quelli di tutte le altre mattine.
Eccoli a salutarsi,
e lui a fissarla con l’espressione
dubbiosa.
«Non dire
niente, già lo so» l’ammonì
Cristiana, senza nemmeno
prendersi il cruccio di guardarlo, ma solo scuotendo per aria una mano
come ad
allontanare da sé lui e quell’argomento.
Stava infatti
litigando con il lucchetto del proprio
armadietto, e non aveva tempo da perdere ad occupare la mente in
funzioni
cognitive superiori. Almeno non prima di rifornirsi della seconda dose
di
caffeina.
Ci pensò
Riccardo, a strapparle d’in mano chiave e
lucchetto, e a risolvere il problema.
«Non
riesco a pensarti a suturare un fegato sanguinante»
considerò Riccardo.
«E io a
farti gli affari tuoi.»
Era stanca
abbastanza dal non mettere in conto che chiunque,
Malosti o non Malosti, sarebbe stato in grado di farglielo notare.
«I miei
sono consigli dal punto di vista professionale.»
«Non ti
sei mai preoccupato di fornirmeli precedentemente al
suo arrivo. È come se… oh, che
sciocchezza.»
«Rendimi
partecipe. Me la dimenticherò tra esattamente 120
secondi, perciò non temere, il tuo segreto sarà
protetto da Teresa.»
Cristiana rispose
senza pensarci troppo. Perché, se ci
avesse pensato, sarebbe uscita da quella stanza troncando la
discussione. Che
forse sarebbe stato meglio. «Da quando sto con Daniele
è come se sbandierassi
un cartello con su scritto ‘Esisto anche
io’.» Sagomò per aria un rettangolo
all’altezza della sua testa. «Prima di tutto questo
non eri affatto interessato
alla mia vita sentimentale, a come passavo le mie serate, a quanti
caffè avrei
dovuto prendere per ristabilire un contatto con il mondo, alla mia
performance
in sala operatoria. Ero io e basta, una collega come tante.»
Sospirò, pronta a
dire qualcosa di cui si pentì subito dopo. «Se non
ti conoscessi direi che sei
geloso, solo perché sto con un altro.»
Infatti Riccardo
rise. E lei scosse la testa, rassegnata al
suo comportamento infantile, una delle tante cose che non sarebbero mai
cambiate di lui.
«Aspetta,
ho capito. Sapevo foste complicate, voi donne, ma
mi stai mettendo alla prova più che mai»
l’ultima osservazione la fece in un
borbottio, non mancando di alterare ulteriormente il già
pessimo umore di
Cristiana. «Mi stai dicendo che sto usando il tuo ragazzino
come pretesto per
ammettere di avere qualche interesse nei tuoi confronti».
Lei non rispose.
Detto così, senza giri di parole, non
sapeva più se fosse la sintesi più giusta da
estrapolare da quel discorso. Non gli
diede una conferma, tanto non sarebbe servita a cambiare le sue idee.
«Spiegami
perché il pretesto non possa essere invece il
tuo.» Malosti che si impegnava a strutturare un dialogo
formativo con lei non
era da tutti i giorni. Forse davvero gli interessava venirne a capo.
No,
probabilmente stava gettando le basi per confutare la tesi di Cristiana
e
perciò liberarsi dalle accuse di ‘interesse
sentimentale nei confronti di una
collega’. «Escludiamo un attimo la mia ingombrante
presenza dalla vostra idilliaca
coppia, e parliamo di te.» Si appoggiò al tavolo
in mezzo alla stanza. Sarebbe
stata una cosa lunga? Cristiana rimase comunque in piedi, accanto
all’armadietto aperto. «Qual è
l’obiettivo che ti sei prefissata stando insieme
a lui? Sposarti, farti una famiglia, dare un fratellino ad
Elena?»
Cristiana chiuse gli
occhi deglutendo a fatica, ma si
costrinse ad ascoltare quelle parole, le stesse che quando tornava a
casa alle
3 di notte la sua testa le martellava nelle orecchie. Solo che,
ascoltate a
voce alta, avevano un impatto ben più violento.
«Non lo
possiamo forse chiamare ‘solo un gioco’?»
continuò
Riccardo. «E allora torniamo a prima: tu credi che sia io,
l’uomo dei pretesti,
quando il pretesto l’hai scelto tu, forse perché
non puoi avere chi davvero
vuoi.»
«No»
ribatté automaticamente, a voce più alta e roca.
«No,
non c’è nessuno che voglio più di lui.
È quello che ho adesso, ed entrambi
sappiamo che questa relazione si limita qui, al presente. Nessuno dei
due vuole
guardare un po’ più in là.»
«Vorrei
solo avere uno specchio per mostrare anche a te
l’espressione con cui mi stai deliziando in questo
istante.»
Poco credibile,
sicuramente. In un film di ultima categoria
avrebbero saputo interpretarla meglio.
«Cristiana,
lui vuole qualcosa di più serio di quanto tu gli
voglia offrire.»
«E se
anche ammettessi che è così, e se anche ci
lasciassimo, cosa importerebbe a te?»
Riccardo sorrise.
Quanto poteva essere legata a lui, se da
quell’unico dialogo la sua mente stava già
rincorrendo l’idea di separarsi da
lui?
«Almeno
sul lavoro non saresti più così distratta, lui
gira
sempre attaccato alle tue gonne. Sono io il suo tutor.»
«Passiamo
dall’essere geloso di me all’essere geloso di un
tuo studente. Tanto sei tu che gli firmi le ore, sei tu che gli dici
quello che
deve fare. E se quello che deve fare è leggere cartelle
cliniche di 3 anni fa
in archivio per farsi una cultura, non è la strategia ideale
per invogliarlo a
continuare la sua specializzazione.»
«Tanto ci
pensi tu ad invogliarlo. A fare cosa non è dato
atto di saperlo.»
«Sei
sgradevole, antipatico, odioso. Quando parliamo di lui
o di me, si va sempre a finire lì. Ti dà
fastidio? Non pensarci, trovati una
donna, così smetterai di essere così
acido.»
«Acido?
Sono le donne ad essere acide.»
«E gli
uomini che si chiamano Riccardo Malosti e che una
donna non ce l’hanno.»
«Sono una
specie protetta.»
«E
perché non sei in gabbia?»
«Oh-oh,
Gandini, bel tentativo. Non siamo allo zoo. Devo
potermi muovere, ho bisogno di spazio, altrimenti ne soffro.»
«E fai
soffrire anche noi.»
«Adesso
c’è un voi?
Do ut des, ma senza troppa simmetria. Non sei forse il ritratto della
felicità?
E per compenso, chi dovrebbe risentirne di più tra me e
te?»
«Non
c’è una quantità fissata di gioia nel
mondo, da
ripartire tra tutti gli esseri umani.»
«Sono
convinto del contrario.» “Almeno tra noi
due”.
«Perciò, visto che non sono io il disagiato, in
tutto questo, e dunque
stamattina mi sono alzato con la mia dose ottimale di
felicità, forse sotto
questa tua maschera nascondi giusto un
po’
di turbamento e insoddisfazione. E non parlo dello strato di fondotinta
con cui
hai esagerato stamattina per coprire la ristrettezza di sonno. Il sonno
profondo ne risente, se vai a letto alle 4 e ti alzi alle 6.»
«C’ero
anch’io alle lezioni di neurofisiologia.»
«Qui di
fisiologico non c’è niente, mi pare. E di neuro forse meno ancora.»
«E questo
ti disturba.»
«Curo i
miei pazienti apposta. Dalla patologia alla
fisiologia, dalla patologia alla fisiologia.»
«Non sono
una tua paziente.»
«Il medico
è prima di tutto un analizzatore della psiche
altrui. Lo sai percentualmente quanta gente soffre di disturbi psichici
prima
di quelli fisici?»
«Qui
dentro il 50%.»
«Sono
d’accordo.» Rise.
Cristiana venne
sopraffatta dal desiderio di tirargli un
pugno. Ma non era mai stata tanto forte, non gli avrebbe fatto tutto il
male
che voleva. Così decise di concludere con una smorfia, che
voleva mostrare
risentimento, rabbia, fastidio, irritazione, antipatia. Ma che
semplicemente
esitò in un tentativo poco riuscito di copertura di una
risata.
«Ah!»
le puntò un dito accusatore. «Ho
ragione.»
«Nel tuo
mondo ce l’hai sempre, nel mio un po’
meno.»
Si zittirono
entrambi, a guardarsi, a chiedersi se ci fosse
altro da dirsi, e dove fosse nascosta la verità in tutte le
parole pronunciate
che vagavano ora per la stanza.
Riccardo si
avvicinò a lei, che, già pronta a
indietreggiare, si trovò bloccata dalla fila di armadietti.
«Io ricomincerei
daccapo, che dici?»
«Forse»
farfugliò Cristiana, scossa da un brivido.
«Allora»
riprese lui, sempre più vicino, e sempre più
sorridente. «Io ti piaccio?»