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Autore: nikita82roma    17/05/2016    3 recensioni
La storia ricomincia qualche giorno dopo la fine degli eventi di The Memory Remains. Sembrava che l'azione congiunta di Gibbs e di Noah avesse portato tranquillità nella vita di Ziva e Tony ed invece non sarà così. Qualcuno, ancora una volta, tornerà dal passato perchè vuole una cosa che Ziva conosce molto bene: Vendetta. Si salveranno da soli o avranno bisogno di un aiuto inaspettato? Ma nel loro passato ci sono altre cose ancora rimaste in sospeso e arriveranno tutte a turbare una serenità che si illudevano di aver raggiunto, aprendo vecchie ferite e procurandole nuove, ma soprattutto obbligandoli a fare i conti con se stessi e le proprie paure e con la propria capacità di sopportare il dolore fisico e mentale. Long TIVA
Genere: Angst, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Anthony DiNozzo, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Ziva David
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '3 Years Later'
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It's a beautiful day
Sky falls, you feel like
It's a beautiful day
Don't let it get away

Aprii piano la porta di camera e guardando verso il letto un sorriso enorme riempì il mio volto: Tony e Nathan dormivano esattamente nella stessa posizione con la stessa espressione imbronciata e ad osservarli attentamente si notava anche che respiravano simultaneamente. La mano sinistra di entrambi sbucava fuori dal cuscino e non potei evitare di soffermare lo sguardo su quella di Tony dove la fede scintillava riflettendo i raggi del sole pomeridiano che filtrava dalle tende della camera. Era passata una settimana dal giorno del matrimonio, eravamo tornati da quella breve fuga alle Bahamas e tutto sembrava come sempre, tranne che per quel piccolo cerchietto sulla sua mano. E sulla mia, conclusi il mio pensiero osservandola.
La stanchezza di quella settimana così intensa emotivamente e non solo si faceva sentire, avrei voluto anche io sdraiarmi sul letto e dormire un po’, ma l’idea di svegliargli mi fermò, quindi mi accoccolai sul divano con l’intenzione di leggere un po’. Avevamo ancora qualche giorno di ferie prima di tornare a lavoro e mai come in quel momento ne fui sollevata.
I giorni alle Bahamas erano stati perfetti, nonostante il risveglio di quella mattina con le notizie da Israele e Washington: lo avremmo affrontato poi, quando saremmo tornati a casa, quando ne avremmo avuto voglia.
Con Tony ci eravamo accordati di non parlarne, di lasciare tutto fuori, di non farci condizionare e di vivere quei giorni solo per noi. 
E lo abbiamo fatto.  Correre fino al mare buttarci tra le onde e baciarci fino a quando la pelle non era totalmente raggrinzita e allora ci siamo stesi sulla sabbia ed abbiamo ricominciato lì. Passeggiare sul bagnasciuga al tramonto e rimanendo abbracciati guardare il sole tuffarsi nel mare, cenare a lume di candela passando tutto il tempo a guardarci tenendoci per mano senza dire nulla, mangiando come se fosse un brutto contrattempo che interrompeva i nostri sguardi. Fare colazione insieme a letto imboccandoci a vicenda giocando con il cibo stuzzicandoci. Giocare con la schiuma nell’idromassaggio, sulla veranda, soffocando i gemiti quando il gioco diventava più intimo per non farci sentire dai vicini. Ridere, parlare, ballare, stare in silenzio. Amarci. In tutti i modi, senza pensare che non era il momento adatto, senza la paura di essere interrotti, senza preoccuparci di non fare troppo rumore. Sentirsi veramente come due ragazzi in luna di miele, per pochi giorni senza preoccupazioni, ma tornare genitori tutte le volte che prendevamo il telefono per chiamare Nathan, che non sembrava nemmeno troppo preoccupato dalla nostra assenza, ma sempre felice di sentirci e di raccontarci tutte le belle cose che faceva con Gibbs. Non ci aveva mai chiesto, in nessuna telefonata, quando saremmo tornati e Tony sorridendo diceva che se lo avesse saputo avremmo potuto fermarci anche qualche giorno in più. La verità, però, era che quando stavamo tornando a casa, dall’aeroporto, non vedevamo l’ora di vederlo, perchè ci era mancato tantissimo ad entrambi, anche se non ce lo eravamo mai detto.
Incontrammo Gibbs per pochi minuti appena rientrati a casa. Nel salutarlo incrociammo i nostri sguardi. “Ne parliamo poi” mi disse, ma non lo avevamo ancora fatto. Non c’era fretta, avrei voluto sapere qualcosa in più, ma non era più di vitale importanza sapere quello che era accaduto e perchè. Avevo altre priorità adesso, lo avevo capito dopo tanto tempo.

Un contatto morbido e caldo sulla mia guancia mi fece aprire gli occhi, avevo ancora il libro che avevo preso per leggere aperto sul mio petto, alla stessa pagina. Mi stropicciai gli occhi e guardai la finestra, era buio.
- Ho dormito così tanto? - Chiesi a Tony che si era accovacciato vicino al divano e continuava a darmi fugaci baci sul viso. 
- Sì dormigliona. È ora di cena e con l’ometto di là pensavamo di andare a mangiare fuori, che ne dici?
- Ci facciamo portare qualcosa a casa? - La voce impastata dal sonno faceva capire il perchè di quella mi a richiesta.
- Se lo preferisci, va bene. - Sorrise.
- Sì, non ho proprio voglia di prepararmi ed uscire, preferisco passare il tempo con te - gli dissi tirandomi su e portando entrambe le mani dietro la sua testa, avvicinando a me per baciarlo come si deve. - Ordini tu? - Gli chiesi staccandomi malvolentieri dalle sue labbra - Io vado da Nathan.
Mi fece un cenno di assenso e andai a giocare con Nathan a costruire improbabili torri con le costruzioni, deluso per la mancata uscita serale, con la promessa che avremmo recuperato il giorno dopo. 

Qualche mattina dopo Tony era seduto al bancone della cucina scorreva tra le pagine di web di siti per animatori per feste per bambini
- Ziva, pensavo… cosa organizziamo per il compleanno di Nathan?
- Tony c’è tempo per pensarci no? - Risposi senza prestargli troppa attenzione
- Beh, è settimana prossima, se dobbiamo organizzare qualcosa o invitare qualcuno… - A quella risposta mi allarmai
- Settimana prossima? 
- Qualcosa non va? - Chiese distogliendo lo sguardo dal computer ed osservandomi perplesso
- Che giorno è oggi?
- 10, perchè?
- Perchè credo che abbiamo un problema…
- Cioè? - Chiuse il portatile osservandomi più attentamente. Alla parola problema i suoi sensi si erano allertati.
- Io… ho perso veramente la cognizione del tempo… Non ci ho pensato, non ho fatto caso quando eravamo fuori… - Balbettavo, non sapevo cosa dire e come dirlo. Mi sentivo una stupida ragazzina adolescente.
- Ziva, che c’è? - La sua voce più che preoccupata era spazientita perchè non gli comunicavo l’origine del problema.
- Ho un ritardo Tony, 6 giorni. - Sputai fuori le parole velocemente e dalla sua riposta temetti che non avesse capito il senso. 
- E’ tanto o poco? Non sono esperto - Era calmo, mi stupiva e mi rendeva felice.
- Sono sempre puntuale Tony. Le ultime due volte che ho avuto un ritardo… - Non finii la frase, lui si alzò e mi venne davanti. Mi portò una mano sul viso e spostò una ciocca di capelli.
- Hey, che c’è? Non sei felice?
- Sì, certo… Sarebbe bello… Ma… è sempre qualcosa di… grande. Non pensavo così presto… - Dissi sinceramente.
- Te l’avevo detto che io e te insieme siamo la salvezza del genere umano dall’estinzione! - Rise
- Tony come riesci a fare lo stupido anche adesso? - Avrei voluto essere più arrabbiata di quando effettivamente gli risposi sorridendo anche io.
- Perchè se non lo faccio mi viene un’attacco di panico, e poi perchè così ridi anche tu e mi pare ne hai bisogno. Dai vieni qui, fatti abbracciare. - Mi cinse i fianchi e mi avvicinò a lui. Appoggiai la testa sul suo petto mentre mi accarezzava la schiena.
- Dobbiamo esserne sicuri, voglio dire, è solo un ritardo, potrebbe anche non essere, anche se per me sarebbe strano, però con lo stress per il matrimonio, la vacanza, non lo so… 
- Shhh che vuoi fare?
- Andiamo a comprare un test? - Gli chiesi allontanandomi appena per guardarlo in volto.
- Mi sembra un’ottima idea! - Ebbi la sensazione che, qualunque cosa gli avessi chiesto, mi avrebbe risposto così.

 

——————

 

Il silenzio nel breve percorso tra la casa e la farmacia era carico di tante cose: paura, speranza, inquietudine. Camminavamo mano nella mano e non era una cosa usuale, ma era stata Ziva a prenderla appena usciti di casa, quando eravamo ancora nell’ascensore e non l’aveva più lasciata. Così tenendola stretta avevo cominciato con il pollice ad accarezzare il dorso della sua mano, lasciando che fossero i gesti a parlare per noi.
Arrivati davanti alla farmacia mi chiese di aspettarla fuori, come se si vergognasse di avermi lì mentre comprava quel test. Uscì poco dopo con la scatolina nella borsa. Le chiesi se era tutto ok, mi rispose solo facendo un cenno con la testa.
Tornammo a casa, sempre in silenzio, sempre tenendoci per mano, che Ziva aveva cercato e ripreso appena avevamo ricominciato a camminare.
Avevamo ancora un po’ di ore prima di dover andare a riprendere Nathan all’asilo, Ziva da quando eravamo rientrati a casa si era seduta sul divano facendo roteare la scatolina tra le mani con lo sguardo basso.
- Ok, dimmi cosa c’è - le chiesi bloccandole le mani
- Niente. - Rispose con lo sguardo sempre basso. Le alzai il viso per obbligarla a guardarmi.
- Non mi mentire, che problema c’è Ziva? Hai deciso tu che ti sentivi pronta per provarci.
- Lo so. 
- C’hai ripensato? Lo hai fatto solo per farmi contento? - Ero triste e deluso.
- No, Tony, no! - Liberò una delle sue mani dalla mia presa e mi accarezzò
- E allora? Da quando mi hai detto del tuo ritardo sembra che ti sia capitata una disgrazia. Ti vedo così e non riesco nemmeno ad essere felice… 
- Ho solo paura.
- Di saperlo o del dopo.
- Del dopo.
- Se intanto vediamo se è vero, che ne dici? Così poi ci preoccupiamo insieme - cercai di farla sorride inutilmente. Si alzò, di scatto, nervosa ed andò in camera diretta nel nostro bagno. La seguii ma mi bloccò prima di entrare con lei e la aspettai seduto sul letto fissando la porta in attesa che lei uscisse e lo fece poco dopo.
- Allora? - Le chiesi
- Dobbiamo aspettare.
- Ah. Non so come funziona.
- 3 minuti.
- Ok. - Sospirai
Appoggiò lo stick sul comodino e si sedette vicino a me. Cercai la sua mano e la tenni tra le mie.
- Sembra che aspettiamo una condanna a morte. - Asserii spezzando quel silenzio
- Scusami è colpa mia. È solo che ora sto ripensando all’ultima volta. Non voglio che gli succeda niente. Non lo voglio mettere in pericolo.
- È di questo che hai paura?
- Sì. - La risposta fu quasi un sussurro.
- Non gli succederà niente. - La rassicurai. Era una promessa stupida, non potevo saperlo, però lei ne aveva bisogno.
- Doveva essere un momento bellissimo questo. - Disse amareggiata mentre appoggiava la testa sulla mia spalla.
- Lo è. - Le lasciai la mano per accarezzare la sua schiena. - Anche io ho paura. Tu sai già cosa aspettarti, io no.
- Non so nemmeno io cosa aspettarmi. È tutto diverso adesso. Ci sei tu.
- Uhm… se preferisci me ne vado per un po’ di mesi e ci vediamo a caso risolto. - Le dissi sorridendo.
- Non ci pensare nemmeno Agente Super Speciale. Questo è anche il tuo caso.
Sembrava decisamente più tranquilla. Non avevamo ancora guardato il risultato ma già parlavamo come se fosse scontato che fosse positivo. Lei lo aveva detto dall’inizio, da quando si era resa conto di che giorno era lei era sicura che fosse incinta, non c’era bisogno che lo diceva lo capivo da come ne parlava, come un dato di fatto, non una possibilità. E così quando si staccò dal mio abbraccio e si voltò a prendere lo stick, bastò il suo sorriso nel vederlo per farmi capire che non si era sbagliata, perchè una mamma lo sa, se lo sente forse, nel momento in cui se ne rendo conto crea un contatto con il suo bambino che reclama spazio nel suo corpo e prima ancora nella sua mente. Era in piedi davanti a me con il test in mano, me lo diede ed io cercai di capire cosa dovevo leggerci, perchè per me il suo volto era molto più chiaro delle lineette.
- E’ ufficiale - mi disse - abbiamo un nuovo caso. - Era felice, non aveva smesso di sorridere da quando aveva visto il risultato. Non so se le paure che l’avevano attanagliata fino a poco prima erano scomparse o erano semplicemente diventate di minore entità rispetto alla felicità che provava, però ora sorrideva felice e a me importava quello. Alzai le mani per prenderla ed avvicinarla a me, ma nel toccarla ebbi un attimo di esitazione, come se improvvisamente avessi paura di farle male, di fare qualche casino. Fu lei a prendere le mie mani e a condurle verso di se, avvicinandosi in modo che la potessi abbracciare. Si posizionò in piedi tra le mie gambe ed appoggiai la testa sul suo ventre chiudendo gli occhi. Lei cominciò subito ad accarezzarmi i capelli rimanendo in quella posizione a lungo.
- Tony - mi disse staccandosi dal mio abbraccio e tornando a sedersi vicino a me - dobbiamo pensare a come dirlo a Nathan e poi dobbiamo parlare con Gibbs.
- Sì, dobbiamo parlare con Gibbs. - Ripensai a quello che era accaduto a dicembre ed era necessario che il capo sapesse subito la novità. - A Nathan lo vuoi dire subito o aspettiamo un po’?
- Preferirei aspettare che vada tutto bene, per dirlo a lui ed anche agli altri. Non sopporterei di dover un’altra volta…
- Shh non dire nulla. Aspetteremo. Lo diciamo solo a Gibbs, a lui dobbiamo dirlo.

Così quel pomeriggio prima di andare a prendere Nathan all’asilo passammo in ufficio, con la scusa di salutare tutti prima di tornare a lavoro dopo pochi giorni, visto che le nostre ferie stavano finendo. Mandammo un messaggio a Gibbs, per avvisarlo che dovevamo parlargli e così dopo aver salutato tutti, fatto un veloce racconto della luna di miele e del rientro a casa, risposo alle solite domande di rito su come ci si sente da sposati e rievocato qualche momento della cerimonia, ci spostammo con il capo nella sala riunioni, ma una volta dentro Gibbs non ci diede la possibilità di parlare e cominciò lui.
- Avete saputo quello che è accaduto il giorno che siete partiti, vero? - Rimanemmo spiazzati, perchè lui era evidentemente convinto che eravamo lì per parlare di Orli Elbaz
- Sì, Gibbs - rispose Ziva - ma non è importante sapere di dettagli.
- Sono morti tutti i membri del Mossad coinvolti in questa storia. - Conitnuò Gibbs - Tranne una persona.
- Chi? - Chiesi mentre Ziva e Gibbs si scambiavano occhiate interrogative e nessuno parlava. Mi dimenticai completamente il motivo per cui dovevamo parlare con lui  e mi agitai. Loro sapevano qualcosa che a me sfuggiva. - Allora? Si può sapere chi è che manca e perchè è così importante?
- La persona che mi aveva pedinato. - Ziva mi rispose prima di Gibbs e prese la mia mano sotto il tavolo. 
- È importante? - Chiesi 
- Lo è Tony -  intervenne Gibbs, poi guardò ancora mia moglie come a chiedere il permesso per poter parlare e la cosa mi preoccupò ancora di più. Ziva appoggiò le nostre mani unite sulla sua gamba e fece cenno di sì a Gibbs - La persona che seguiva Ziva era Gabriel Rivkin. 
Mi voltai di scatto a guardare Ziva come a cercare una risposta a quel nome nei suoi occhi, ma lei li abbassò.
- Rivkin - scossi la testa - cos’è, un parente?
- Il fratello - disse Gibbs.
- Il fratello di Rivkin… E voi da quanto lo sapete?
- Da un po’
- E perchè non mi avete detto nulla Gibbs? Non ero tenuto a saperlo io?
- Non ho voluto io che te lo dicesse - Disse Ziva sempre con lo sguardo rivolto verso il basso - Non volevo che reagissi così.
- Così come Ziva? Così preoccupato? Così arrabbiato? Che devo fare, ne devo ammazzare un altro per difendervi adesso? - Lasciai la sua mano e mi alzai andando verso la finestra. Guardavo fuori stringendo i pugni per la rabbia. Ogni volta che sentivo quel nome era riaprire una vecchia ferita, una delle più dolorose.
- Tony per favore… - la voce di mia moglie era quasi implorante.
- Per favore cosa Ziva? Perchè è tanto importante che non è stato eliminato? Ma soprattutto perchè è più facile eliminare il direttore del Mossad che Rivkin?
- Tony, siediti! - Mi ordinò Gibbs ma lo ignorai. Ci guardammo per un po’ poi continuò, facendo finta di nulla mentre rimanevo sempre vicino alla finestra, ora rivolto verso di loro ad osservarli. - Gabriel Rivkin è una scheggia impazzita, era stato dislocato negli Stati Uniti ma da tempo non risponde più al controllo di Tel Aviv. Mette le sue competenze al servizio del miglior offerente o per affari personali. Al momento non siamo ancora riusciti a determinare la sua posizione. Non ci stiamo lavorando solo noi se questo ti fa stare più sicuro.
- No Gibbs, non sto più sicuro sapendo che chi ha pedinato e organizzato l’agguato a mia moglie è in giro ed è uno psicopatico parente di Rivkin. Dopo quello che ha passato, dopo quello che è successo, come faccio ad essere tranquillo Gibbs? Dimmelo! - Gli urlai avvicinandomi a loro e andando dietro la sedia dove era seduta Ziva abbracciandola. Ripensavo alla sua paura di questa mattina ed all’improvviso la stessa paura si impossessò anche di me. - Io non posso permettere che accada ancora!
Gibbs assistette impassibile alla mia sfuriata.
- Hai finito Tony? - Mi chiese solamente quando smisi di parlare, ma prima che potessi rispondere, fu Ziva a parlare e a rivelare a Gibbs il motivo per il quale eravamo lì.
- Gibbs, noi oggi in realtà non eravamo venuti per parlare di questo.
- Ok, di che si tratta allora?
- Sono incinta. Lo abbiamo scoperto poco fa e abbiamo pensato questa volta di dirtelo subito. Lo sai solo tu e vorremmo che per ora non lo dicessi agli altri, vorremmo far passare un po’ di tempo, per essere più tranquilli. - La voce di Ziva era ferma, sembrava non tradisse nessuna emozione nel fare quell’annuncio, come se fosse una normale comunicazione di lavoro. Rimasi perplesso per quella reazione, era così diversa da quella donna che poco prima era spaventata e timorosa.
- Non ti preoccupare Ziva, hai fatto bene a dirmelo subito. Tony, nessuno permetterà che accada nulla questa volta. 
Gibbs si alzò, si avvicinò a Ziva, le diede un bacio sulla fronte e poi mi appoggiò una mano sulla spalla
- Congratulazioni ragazzi. - Uscì lasciandoci lì da soli. Strinsi le braccia più forte intorno al corpo di mia moglie e lei portò le sue mani sopra le mie.
- Non vi succederà niente Ziva. Te lo prometto.
 

——————

 

Nathan era più loquace e attivo del solito mentre nè io nè Tony riuscivamo, colpevolmente, a catalizzare le attenzioni su nostro figlio. Eravamo persi nei pensieri di quel giorno tra il bambino in arrivo che ancora dovevo metabolizzare e le notizie su Rivkin che lo avevano turbato più di quanto volesse far vedere. Nathan in auto mentre andavamo verso casa non smetteva un attimo di parlare.
- Ometto, che dici se andiamo al parco e poi a mangiare fuori stasera?
Ovviamente il suo urlo di gioia risuonò per tutto l’abitacolo e lo rese ancora più eccitato guardai Tony con aria interrogativa e lui per tutta risposta appoggiò la sua mano sulla mia gamba, carezzandomi appena. Sapevo che quando faceva così voleva che mi fidassi di lui. Provai a rilassarmi per quei pochi minuti che ci separavano dal parco.
- Non ti preoccupare - mi disse mentre entravamo nell’area giochi - Ci sto io con lui, tu aspettaci là - e indicò una panchina vuota proprio vicino alle altalene. 
Non mi andava che mi considerasse da subito una malata, una che non si potesse occupare del proprio figlio solo perchè incinta, però la realtà era che la mia non era stanchezza fisica ma mentale e mi sentivo tremendamente in colpa per non riuscire a passare del tempo con Nathan come avrei voluto e dovuto. Tony invece si lasciava coinvolgere, lo spingeva come piaceva a lui e sicuramente gli raccontava qualcosa di buffo, perchè ridevano entrambi. 
Alla fine quella sua decisione improvvisa era stata un toccasana, mi sembrava quasi che mi stavo rilassando. Mi piaceva vedere mio marito vestito una volta tanto informale giocare con nostro figlio al parco. La t-shirt nera appena aderente fasciava il suo fisico che ultimamente sembrava un po’ più asciutto degli ultimi tempi e i jeans chiari esaltavano il sedere che non mi era mai stato indifferente. Sorrisi di me stessa nel trovarmi a squadrare mio marito al parco mentre giocava con nostro figlio e mi guardai intorno per vedere se c’era qualche altra donna che lo stava osservando. Ecco, ero anche gelosa. Poi quando Nathan evidentemente si era stancato dell’altalena e Tony lo sollevò per metterselo sulle spalle, la maglietta si alzò leggermente e il mio sguardo fu catturato dal quel luccichio metallico dietro la schiena. Mi alzai di scatto e lo raggiunsi. Invitai Tony ad accompagnare nostro figlio a giocare con gli altri bambini nel castello gonfiabile e mi allontanai qualche passo con lui, quel tanto che bastava per non essere in mezzo agli altri genitori che osservavano i figli giocare.
- Cosa ci fai con una pistola quando giochi con Nathan? - Ero furiosa, ma dovevo mantenere un tono basso e calmo per non dare nell’occhio.
- Per sicurezza. - Rispose fermo
- Sicurezza di cosa? Una pistola dietro i pantaloni ti sembra una cosa sicura quando giochi con un bambino e te lo carichi sulle spalle?
- Sicurezza tua. Sua. Nostra. C’è in giro un pazzo che non si sa cosa vuole da noi, mi pare il minimo.
- Non voglio che ci siano pistole in giro quando c’è Nathan, te l’ho già detto Tony.
- Io non voglio che Nathan corra pericoli perchè non ci possiamo difendere. Se fossi stata armata, con Jordan, sarebbe andata diversamente.
- Me lo vuoi rinfacciare?
- No, è un dato di fatto Ziva. Non avresti avuto problemi a liberarti di loro da sola. Lo so io e lo sai benissimo anche tu. Due delinquenti comuni ed un folle non ti tengono testa. - Disse quell’ultima frase sorridendo, come per farmi un complimento, ma il mio cervello non recepiva nulla di tutto ciò come qualcosa di positivo.
- Non mi va che giochi con Nathan armato - Ripetei tralasciando tutto quello che aveva detto.
- Ok, stai tu con lui, io mi allontano, se non ti fidi. - Era amareggiato e infastidito. Si stava allontanando quando lo fermai per un braccio.
- Ehy scusa…
- Tranquilla Ziva. - Provò a liberarsi
- No, non sto tranquilla. Soprattutto non mi va che lasci perdere così. Mi dispiace, ma lo sai quello che penso sulle armi e su nostro figlio.
- Con il lavoro che facciamo e con la nostra vita non lo potremo tenere sempre al di fuori da tutto. Ha già vissuto situazioni abbastanza spiacevoli ed è meglio se veda una pistola addosso a me o a te che qualcuno che gliela punta contro, no? - Il suo ragionamento era logico, ma la mia paura di vederlo crescere in mezzo alle armi era qualcosa di innata. Tony sembrò leggermi dentro. - Non le deve usare le pistole, non si addestrerà per entrare nel Mossad da adolescente, non sarà la sua vita, ok?
Nathan stavo uscendo dal castello gonfiabile
- Vai a mettergli le scarpe - dissi a Tony
- Non gli sparo, te lo prometto - mi fece l’occhiolino e si accovacciò davanti a nostro figlio aiutandolo a sistemarsi. Quell’improvvisata al parco era riuscito a scaricare le sue batterie naturali ed ora piagnucolava per farsi portare in braccio e lo presi facendogli appoggiare la testa sulla spalla. Tony mi guardò come se stessi facendo chissà quale fatica immane e lo fulminai con lo sguardo.
- Non cominciamo eh! - Lo ammonii - Sto bene, ce la faccio a portare mio figlio, rilassati. Quando non ce la farò sarai il primo a saperlo e a farti carico di tutto! - Lo rassicurai.
- Sai che non ci credo, vero? - Rispose rassegnato.
- Fai bene! - Gli risposi ridendo allungando il passo verso la nostra auto.

 

 

NOTE: Rieccomi. Dove eravamo rimasti? 
Ah sì, alla carneficina degli agenti del Mossad, Tony e Ziva che corrono sulla spiaggia finalmente sposati. Tutto è bene quel che finisce bene, però poi si ricomincia e allora…
No, niente, questo capitolo ve l’ho lasciato un po’ ancora immerso nella gioia della fine dell’altra storia e cominciamo con qualcosa di positivo, in tutti i sensi :D Felici della news?
Però un pochina di tensione ce l’ho dovuta mettere con la scoperta di Rivkin :)

La storia è sempre scritta alternando i punti di vista di Tony e Ziva ma forse più avanti ci potrà essere anche quello di qualcun altro… Chissà… Una cosa che ho un po’ cambiato è raccontare di più la storia attraverso i ricordi dei personaggi, soprattutto per collegare degli spazi temporali che altrimenti sarebbero noiosi a farli tutti con botta e risposta e descrizioni, spero vi piaccia questa novità che avevo già cominciato un po’ negli ultimi capitoli dell’altra storia.
Beh, buona lettura e armatevi di pazienza, perchè credo che anche questa long sarà molto long, però gli aggiornamenti saranno meno frequenti rispetto all’altra, perchè mentre quella era pronta e solo da sistemare, questa la sto proprio scrivendo.

   
 
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