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Autore: nikita82roma    24/05/2016    5 recensioni
La storia ricomincia qualche giorno dopo la fine degli eventi di The Memory Remains. Sembrava che l'azione congiunta di Gibbs e di Noah avesse portato tranquillità nella vita di Ziva e Tony ed invece non sarà così. Qualcuno, ancora una volta, tornerà dal passato perchè vuole una cosa che Ziva conosce molto bene: Vendetta. Si salveranno da soli o avranno bisogno di un aiuto inaspettato? Ma nel loro passato ci sono altre cose ancora rimaste in sospeso e arriveranno tutte a turbare una serenità che si illudevano di aver raggiunto, aprendo vecchie ferite e procurandole nuove, ma soprattutto obbligandoli a fare i conti con se stessi e le proprie paure e con la propria capacità di sopportare il dolore fisico e mentale. Long TIVA
Genere: Angst, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Anthony DiNozzo, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Ziva David
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '3 Years Later'
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This life don’t last forever (hold my hand)
So tell me what we’re waitin’ for (hold my hand)
We're better off being together (hold my hand)
Than being miserable alone (hold my hand)

Il pomeriggio al parco aveva stancato Nathan più di quanto potessimo pensare. Mangiò meno di metà hamburger prima di addormentarsi sul divanetto del ristorante sotto casa, con la testa sulle gambe di Ziva che gli accarezzava i capelli. Nemmeno lei a dire la verità aveva mangiato più di tanto, giocava con il cibo, martoriandolo con la forchetta, spezzando e riducendo quasi in poltiglia quel trancio di salmone che aveva ordinato. 
- È già morto. - Le dissi prendendole la mano che impugnava la posata
- Chi? - Rispose come se l’avessi destata da qualche pensiero lontano
- Il tuo salmone. Sarebbe meglio che lo mangiassi
- Non ho molta fame in realtà. - Disse allontanando il piatto pressoché intatto da davanti a se.
- Stai male?
- No, non ho semplicemente fame. - Si era risentita della mia domanda. Ci guardammo un po’ senza dirci nulla - Non sono malata Tony, sono incinta.
- Lo so. Scusami. Io mi preoccupo, non so come comportarmi a dire il vero. Però sento che c’è qualcosa che non va, ti vedo.
- Mi dispiace per prima, al parco. - Disse tristemente dopo un po’ 
- Dispiace anche a me. Ma sono preoccupato Ziva. Per te e per la nostra famiglia. Non vorrei che vi accadesse qualcosa, a nessuno di voi tre.
- Non lo voglio nemmeno io e non sai quanto questo pensiero mi angosci adesso. Devo ancora metabolizzare la cosa. Domani godiamoci l’ultimo giorno di ferie, poi lunedì chiamo il mio ginecologo per prendere appuntamento per una visita.
- Vuoi evitare di pensarci ancora per un giorno?
- Tony, come faccio a non pensarci! Voglio solamente dire di non discutere, di non arrabbiarci, come adesso.
- Ok, ok. Ci penseremo da lunedì.
- Mi accompagneresti?
- Se lo vuoi sì.
- Certo che lo voglio, perchè non dovrei volerlo. - Riprese la mia mano stringendola.
- Non lo so, magari volevi essere da sola, più tranquilla.
- Se ci sei tu sono più tranquilla.
- Bene - sorrisi addentando un pezzo della mia bistecca. - Però mangi qualcosa? - Le chiesi quasi supplicandola. Sorrise, riavvicinò il piatto e mangiò un po’ di quella poltiglia di salmone con le verdure al vapore.

Nathan continuò a dormire in braccio a me nel breve tragitto che ci separava da casa. In ascensore Ziva si appoggiò alla mia spalla e chiuse gli occhi, in attesa di arrivare all’ultimo piano. Entrati a casa prese nostro figlio dalle mie braccia e lo portò in camera sua, avrebbe avuto bisogno di un bel bagno, ma evitò. Gli mise solamente il pigiama, spogliandolo e rivestendolo con calma, per non svegliarlo. Si lamentò un paio di volte, ma continuò a dormire mentre lei rimaneva con lui, seduta solo a guardarlo dormire, come faceva sempre quando era triste o qualcosa non andava. Era un campanello quello, che ormai riconoscevo benissimo. Se Ziva aveva un problema, si rifugiava in nostro figlio. Volevo entrare per starle vicino, chiederle cosa la turbasse, ma sapevo che mi avrebbe risposto che andava tutto bene, come sempre quando non voleva parlarne e se era lì con lui, vuol dire che non voleva farlo.
Andai in camera mi diedi una rinfrescata e poi mi misi a letto a leggere qualche notizia sul notebook, aspettando che venisse a dormire. L’attesa si protrasse più di quanto pensassi, un paio di volte almeno fui tentato da andare a vedere se andava tutto bene, ma evitai. Se c’era una cosa che avevo imparato era darle i suoi spazi. Quando decise di raggiungermi in camera, mi fissò per qualche istante prima di andare in bagno, forse si aspettava che le chiedessi qualcosa, ma non lo feci, le sorrisi solamente e lei andò in bagno forse ancora più turbata da questo mio atteggiamento. Chiusi il computer e lo riposi nel cassetto del comodino. Uscì dal bagno e si mise seduta sul bordo del letto, senza dire nulla.
Si spogliò, lentamente, avrei potuto pensare anche che volesse provocarmi, se non avessi saputo che quella non era proprio la serata adatta. Si mise solo una tshirt, era giugno ma faceva già abbastanza caldo. Aspettai che si sdraiasse, poi quando si voltò a guardarmi aprii le braccia e lei si avvicinò, appoggiandosi a me. Teneva la testa appoggiata tra il mio petto e la spalla, la avvolsi nel mio abbraccio e mai come in questa giornata, tante volte, mi ero sentito di volerlo fare. Abbracciarla, proteggerla, dal mondo e dai suoi fantasmi che ora la stavano assillando. Ora era arrivato il momento di parlare.
- Se questa sera non ti ha calmato nemmeno Nathan è qualcosa di serio.
- Che vuoi dire?
- Pensi che non mi sono accorto che quando sei nervosa vai da lui e lo guardi dormire?
- Non ci faccio nemmeno caso - Era imbarazzata
- Come mai questa sera non ha fatto effetto?
- Perchè è per lui se sto così.
- Che succede a Nathan? - Mi tirai su preoccupato, lei si accorse che mi ero irrigidito e mi passò una mano sul petto rassicurandomi
- A lui nulla, sono io.
- Non capisco Ziva…
- Quando Nathan è nato lui era tutto per me. Io avevo solo lui e lui aveva solo me. È stato un rapporto totale, sotto tutti i punti di vista, lui dipendeva da me ed io da lui. Lui era la mia àncora, più di quanto io non fossi la sua. Ho paura di non riuscire ad amare questo bambino nello stesso modo e nello stesso tempo ho paura che dandogli tutte le attenzioni di cui avrà bisogno Nathan si possa sentire trascurato. Mi sento male per questo, perchè so che sono dei discorsi sbagliati. Mi sento in colpa verso questo bambino se non potrò dargli tutto l’amore che si merita e che dovrebbe avere. Mi sento una pessima madre. - Parlava con la voce spezzata, come se stesse per piangere
- Tra gli effetti collaterali della gravidanza c’è anche questo?
- Cosa, le crisi di pianto? - Mi rispose tra le lacrime che non riusciva più a trattenere
- No, quello lo so, anche se non ho esperienza. Mi riferivo al vaneggiare. Sei una madre fantastica per Nathan e lo sarai anche per lui o lei. Perchè ti devi angosciare con cose così assurde? Quello che è stato con Nathan è stato diverso, ok, ma questo non vuol dire che non amerai questo piccolino. E nessuno dei due sarà trascurato, lo so. Al massimo trascurerai me, lo so già. - Le dissi sorridendo
- Ti amo.
- Cosa ho fatto stasera per meritarmi tanto? Addirittura una dichiarazione così, da te, non me l’aspettavo. - Sdrammatizzare era la cosa migliore in quel momento e sembravo essere riuscito nell’intento di farla rilassare
- Quello che fai anche adesso, mi fai stare meglio.
- Sono qui per questo, è tra i doveri dei mariti far star meglio le mogli quando sono in crisi.
- Sei un ottimo marito allora.
- Grazie, lo so. Che ne dici se domani portiamo Nathan allo zoo?
- Va bene… 

Ebbi la sensazione che la sua risposta sarebbe stata quella qualsiasi cosa avessi proposto, perchè probabilmente nemmeno mi stava più a sentire. Si accoccolò meglio sul mio petto, cingendomi la vita con un braccio, la sentii più rilassata e poco dopo si addormentò. Le diedi un bacio sui capelli, spensi le luci e anche io mi lasciai vincere dal sonno. Quella lunga, intensa, giornata era finalmente finita.

Andammo realmente allo zoo il giorno successivo, fu una giornata intensa e divertente, con Nathan che correva da una parte all’altra per vedere tutti gli animali. Ascoltammo varie spiegazioni da parte del personale del parco sulla vita degli animali e nostro figlio rimase affascinato soprattutto dai gorilla e gli oranghi e fece sorridere tutti quelli che stavano vicino a noi, quando un cucciolo si aggrappò alla madre stringendola forte e lui disse a Ziva che faceva come lui con lei. Quella dichiarazione così spontanea di Nathan non la lasciò indifferente, lo prese in braccio e lui immediatamente si strinse a lei. Tutti i discorsi e le sue preoccupazioni della sera precedente mi tornarono in mente e fu così anche per lei a giudicare da come cambiò la sua espressione.
Proposi di cambiare zona, di andare verso i leoni, le tigri e gli altri grandi felini. Ziva lo rimise giù e lui ricominciò a correre. Spingendo il suo passeggino ebbi la sensazione che sarebbe stato utile solo per appoggiarci le nostre cose fino a quando non sarebbe crollato esausto.
Una leonessa si prende cura dei propri cuccioli tenendoli al sicuro vicino a se, strofinando il muso ora verso uno ora su un altro. Nathan si avvicinò meravigliato nel vedere questi grandi animali, la leonessa ruggì quando un maschio si avvicinò a lei e ad ai cuccioli, proteggendoli tra le sue zampe.
- Secondo me la mamma è più simile alla leonessa - gli dissi, guardando Ziva
- Perchè? - Mi chiese lui curioso e stupito dell’affermazione
- Lo vedi come protegge tutti i suoi cuccioli e come si arrabbia quando si avvicina qualcuno che non vuole?
- La mamma non si arrabbia - rispose lui tranquillo.
- Ah no? Tu non hai mai visto la mamma arrabbiata arrabbiata? - Scosse la testa negando - Beh allora sei fortunato, perchè quando la mamma si arrabbia, ruggisce anche più forte della leonessa! 
Guardò serio Ziva che sorrideva divertita e poi me.
- Tu l’hai vista arrabbiata?
- Sì, tante volte. Ho anche avuto paura!
- L’hai fatta arrabbiare tu?
- Qualche volta… - dissi sorridendo e guardando Ziva che mi guardava a sua volta
- Più di qualche volta Nathan… Tuo padre era insopportabile!
- Ero. Quindi non lo sono più!
- Non provocare Tony!
Lui osservava il nostro battibecco scherzoso prendendoci fin troppo sul serio.
- Papà, non far ruggire mamma!
Scoppiammo entrambi a ridere
- Vieni qui leoncino - gli dissi  prendendolo in braccio - E’ ora di andare a mangiare, se no la leonessa si arrabbia!

Mangiammo tutti hot dog e patatine e parlammo anche della festa di compleanno di Nathan, che condizionato da quella giornata, disse che la voleva con gli animali. Ero preoccupato per il poco tempo a disposizione per organizzare la sua festa, ma ero altrettanto deciso che tutto fosse grandioso come si aspettava.
A metà pomeriggio, come preventivato, la stanchezza di impossessò di Nathan che si addormentò nel passeggino mentre tornavamo indietro. Era stata veramente una bella giornata ed eravamo riusciti a godercela a pieno e Nathan era rimasto entusiasta dello zoo e degli animali, tanto che ci  fece promettere che saremmo tornati presto per vedere come crescevano i leoncini.
Il giorno seguente tornammo noi a lavoro e nostro figlio nella versione estiva dell’asilo, fatto di tanti giochi all’aria aperta. Durante la pausa pranzo approfittammo io per trovare una location adatta per il compleanno di Nathan ed al secondo tentativo trovai quello che cercavo e Ziva per parlare con il suo ginecologo che le fissò le analisi per la mattina seguente e la visita due giorni dopo. Mi sembrava un tempo eccessivamente lungo da sopportare, anche perchè avevamo deciso di comune accordo di non parlarne più fino a quando avremmo visto il suo ginecologo. Ziva a parte una sonnolenza maggiore non aveva alcun sintomo, niente nausee nè stanchezza. Paradossalmente questo stare bene la preoccupava. Fu così che la sera prima della visita, mentre eravamo a letto e stavamo per dormire, si volto verso di me e si sfogò.
- E se non sono incinta? Se non c’è nessun bambino?
- A me fare pratica e riprovarci non dispiace
- Tony, dico sul serio…
- Anche io!
- Ci ho pensato sempre in questi giorni, mi sento bene, troppo bene…
- Avevi detto di non pensarci fino alla visita.
- Non potevo non pensarci.
- Potevi parlarmene prima, potevi dirmelo, no? - La rimproverai affettuosamente. - Ci ho pensato sempre anche io. A lui e soprattutto a te, perchè ti vedo che non sei tranquilla e secondo me non ti fa bene.
- Tony, io lo voglio questo bambino - sembrava volermi rassicurare.
- Certo che lo vuoi, lo so. Ora dormi però, ti devi riposare. 

 

—————————

 

Con la scusa di dover organizzare alcune cose per la festa di Nathan, alla quale erano invitati anche tutti i nostri colleghi oltre i compagni dell’asilo, per la quale invece Tony aveva già delegato tutto a personale più esperto di noi, quel giorno prendemmo il pomeriggio libero per andare dal mio ginecologo.
La sala d’attesa sembrava troppo piccola per contenere l’ansia di tutte le coppie presenti, con donne più o meno avanti nella gravidanza a giudicare dalla varie pance e padri tutti più o meno ansiosi. Tony non era un’eccezione. Aveva cominciato a fare un gesto che non gli avevo mai visto fare prima, si rigirava la fede nervosamente.
- Ti sei pentito? - Gli dissi scherzando appoggiando la mano sopra la sua, lui mi guardò un po’ perplesso come se non avesse capito quello che gli stavo dicendo, assorto nei suoi pensieri aveva sentito la mia voce ma non aveva capito una parola di quello che avevo detto.
- Eh? 
- Stai torturando la fede.
- Ehm sì, sono un po’ nervoso…
- Non sei l’unico - gli indicai con la testa un uomo in fondo alla sala che muoveva ripetutamente una gamba e si strusciava le mani sulle gambe. - Per me è il colpevole, lo potremmo anche far confessare in questo momento, qualsiasi cosa. - Sorrise e mi strinse la mano.
- Non pensavo mi avrebbe fatto questo effetto - ammise candidamente - per te è diverso, ci sei già passata.
- Per me è diverso perchè ci sei tu.
Non finimmo il nostro discorso perchè l’assistente del dottor Wood mi chiamò. Tony non si alzò, rimase seduto, allungami la mia mano e lo esortai ad alzarsi. Mi seguì felice.
Ci accomodammo alla scrivania dove il dottore consultava la mia cartella clinica.
- Bene signora David, mi hanno consegnato le sue analisi confermano che lei è incinta. Per il resto sono perfette, quindi non si deve preoccupare.
Io e Tony ci stringemmo la mano, guardandoci e sorridendo appena un attimo, poi tornammo attenti su quello che ci stava dicendo il dottore, sugli integratori da assumere e su alcune precauzioni da adottare.
- Signora David, immagino che non abbia cambiato lavoro, vero?
- No, dottore. Però ho già avvisato il mio capo. Niente lavoro sul campo.
- Era proprio quello che volevo dirle, visto i precedenti. - Tony strinse di più la mia mano, un gesto istintivo e vidi i suoi occhi cambiare espressione. Il dottore non si accorse di nulla e continuò ad aggiornare la mia scheda con le varie informazioni che gli davo alle sue domande. Mi disse che secondo i suoi calcoli approssimativamente ero incinta di 5 o 6 settimane. Mi prescrisse altri esami da fare e mi diede appuntamento per una visita di controllo dopo 2 settimane raccomandandosi di chiamarlo se avessi avuto qualsiasi tipo di disturbo.

Uscimmo dallo studio mano nella mano, prima di andare a riprendere Nathan avevamo ancora del tempo ed andammo nel nostro parco, sulla nostra panchina. Mi appoggiai a lui che subito mi cinse la vita con il suo braccio per stringermi di più, mentre mi dava un tenero bacio a fior di labbra e senza rendercene conto, ci trovammo con le nostre mani intrecciate sul mio ventre, a proteggere e coccolare la piccola vita che stava nascendo. C'eravamo solo io e lui e ci stavamo parlando senza dirci nulla. Per le chiacchiere, per programmare il futuro, per i discorsi pratici c'era tempo. Ora era solo il tempo di essere vicini, di essere noi. Renderci conto di quello che ci stava accadendo non praticamente, ma emotivamente, accettarlo, metabolizzarlo e capire che era vero, che non era una proiezione, ma era lì, sotto le nostre mani, così piccolo che non si sarebbe visto nemmeno con un'ecografica ma c'era e stava cominciando a vivere. Sentivo le mani di Tony tremare impercettibilmente mentre stringeva le mie e poi aprile, per sfiorare appena la mia maglietta e carezzare la sfoffa con le dita. Cercai di nuovo le sue labbra, ma lui aveva chiuso gli occhi e non se ne accorse. gli diedi quindi solo un leggero bacio sulla guancia che lo sorprese. Era un gesto al quale non era più abituato, ma dal sorriso che mi regalò lo aveva apprezzato. Appoggiai la testa sulla sua spalla e chiusi gli occhi per qualche secondo anche io.
Era tutto perfetto.

 

 

NOTE: Dopo che ho visto la fine serie della 13° stagione sono abbastanza turbata. Mi scuso per l’attesa, ma continuare a scrivere non è stato facile, lo stato d’animo con cui scrivevo, soprattutto questi capitoli che dovevano essere gioiosi, era diametralmente opposto e credo che un po’ abbia risentito anche la riuscita dalla storia stessa, dove la notizia è stata accolta con dubbi e preoccupazioni. 

Il capitolo non è riuscito proprio come speravo ed è anche un po’ più corto rispetto ai miei standard, però avevo bisogno di pubblicarlo per mettere un punto all’ultima settimana e andare avanti.

   
 
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