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Autore: Cathy Earnshaw    17/05/2016    1 recensioni
La Terra dei Tuoni è un luogo popolato da creature magiche ed immortali, e una convivenza pacifica non è facile. L'equilibrio è fragile, la pace è labile e soggetta alle brame di potere. E quando i Draghi attaccano la capitale del Regno dei nani, questi reagiscono con violenza, ponendo i presupposti di una nuova guerra.
Nota: Tecnicamente "La guerra dei Draghi" è il prequel di "La Cascata del Potere", anche se la scrivo ora, a "Cascata" conclusa. Le trame non hanno grossi punti in comune, perciò l'ordine di lettura non deve essere necessariamente quello temporale.
Buona lettura!
Cat
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Di guerre e cascate - La Terra dei Tuoni'
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Capitolo 9
Meowin
 
 
Horlon avrebbe tanto desiderato avere accanto il suo segretario, in quel momento. Di fronte al Consiglio – o ciò che ne restava – non sapeva che cosa dire e che cosa fare. Poteva solo aspettare passivamente che gli eventi precipitassero. Dopo l’attacco a Spleen, non era più riuscito a vedere la conclamata sensatezza della loro posizione di stasi, nonostante l’avesse cantata così bene a Tom solo tre giorni prima. Forse poteva avere una logica prima dello stregone, ma ora? Ora che il ragazzo si era mostrato così propositivo, valeva ancora la pena di continuare ad aspettare?
«Tutto bene?» sussurrò Glenndois sporgendosi verso di lui.
Horlon annuì. Suo fratello si comportava da duro, ma tutta quella spavalderia non gli aveva risparmiato né le occhiaie, né il colorito spento.
«Pertanto chiedo di poter richiamare parte delle truppe stanziate nei territori ad est del mio Regno, perché ci raggiungano qui e si tengano pronte a partire in qualunque momento» concluse Kirik.
Horlon si riscosse.
«Come hai detto?» esclamò.
Kirik lo guardò, interdetto.
«Voglio richiamare una parte delle…»
«No, no. Hai detto che vuoi che siano pronte a partire. Per dove?»
Storr si schiarì la voce.
«È da mezz’ora che ne parliamo, Lon. Dormivi?» domandò con un sorrisino a metà tra la preoccupazione e la perplessità. Horlon si sentì scaldare le guance.
«Scusate, credo di essermi distratto un momento.»
«Alla faccia del momento» disse Richard con una risata.
Storr sospirò.
«Kirk, ti dispiace…?»
Il nano annuì.
«Per l’estremo sud. Per gli Alti Nidi e tutto ciò che rappresentano.»
Horlon raggelò. Mentre lui fantasticava, nel mondo reale si programmava un attacco frontale al draghi. Meraviglioso.
«Io non ho niente in contrario ad accogliere il tuo esercito qui» disse Storr. «Ma per gli Alti Nidi aspetterei un attimo.»
«Non mi sembra che aspettare si sia mostrato proficuo, finora.»
«Attaccare gli Alti Nidi scatenerà una nuova rappresaglia» disse Glenndois.
«Ma ora abbiamo uno stregone!»
Nastomer sobbalzò.
«Non vorrei sembrare ingrato o insolente, ma di moltiplicarmi non sono capace. Immagino che un attacco diretto richieda la mia presenza, e se sto a sud non posso difendere nessuno qui, né da nessun’altra parte.»
Lo sguardo di Kirik si indurì, e Horlon sentì risuonare una sirena d’allarme nella testa.
«So che chiedo molto, ma non si potrebbe attendere almeno l’esito dell’indagine sulla scomparsa del Capitano Lantor? Per attaccare Bearkin a casa sua dobbiamo essere certi che la situazione sia favorevole.»
Calò un silenzio teso che durò per qualche secondo interminabile. Fu Storr a spezzarlo.
«Dubiti della lealtà di Lantor?» domandò.
Horlon si strinse nelle spalle.
«Non mi ispira l’idea di rischiare inutilmente. Per carità, possiamo restarci secchi comunque, ma se possiamo evitare è meglio.»
Kirik si concesse una risatina nervosa.
«D’accordo, elfo. Nemmeno a me va di lasciarci le penne da fesso. Ma nel frattempo rifletteteci. Non mi dispiacerebbe una collaborazione con il Reame Eterno.»
Horlon annuì, sentendosi addosso il peso della disapprovazione di Glenndois. Che poi il problema fosse ciò che aveva lasciato intendere di Lantor oppure il fatto di non aver escluso a priori un aiuto nello sterminio dei draghi non sapeva dirlo, ma non gli interessava granché.
 
Meowin si guardò intorno alla ricerca di qualcosa che era ormai certa non avrebbe trovato: a Shiren non era rimasta traccia alcuna del passaggio del Capitano Lantor. Una parte del suo plotone – ex plotone – era ancora là, naturalmente, capitanati dal Tenente Eskin, ma della persona di Lantor non era rimasta traccia. Non aveva lasciato nulla dietro di sé, non un appunto, non un calzino sporco…
Non appena ricevuto il messaggio del Re, si era diretta a Lenada. Il viaggio era stato veloce perché non aveva cavalcato un cavallo qualunque, ma un Antico del Sud, una creatura dalla resistenza e dalla velocità impareggiabili, figlio di un’antica razza che si diceva discendere direttamente dagli Unicorni. Il Re aveva equipaggiato i suoi servizi segreti al meglio delle sue possibilità, perché potessero essere ovunque si richiedesse il loro intervento.
Prima di partire, Meowin aveva inviato messaggi ai suoi colleghi perché iniziassero a raccogliere dati, e la prima risposta l’aveva raggiunta prima ancora che avesse messo piede in città: nell’estremo sud, sulle vette degli Alti Nidi, qualcuno parlava la lingua degli elfi, quella lingua antica che nessuno utilizzava se non nelle occasioni più formali. Qualcuno che aveva l’aspetto del Capitano Lantor. Meowin non aveva bisogno di verificare l’attendibilità della fonte: gli altri spioni erano stati selezionati da lei stessa e avevano ricevuto l’approvazione del Re. Così si era affrettata ad aggiornare Sire Horlon, e nel frattempo si era spostata a Shiren, dove ancora si trovava.
Era bastato poco per capire che i pochi abitanti indenni non serbavano un buon ricordo di come gli elfi erano intervenuti durante l’attacco dei draghi, anche se non lo dichiaravano apertamente. Era sufficiente osservare le occhiate che lanciavano loro, però, per intuire molte cose, per quanto il Tenente Eskin in persona fosse tuttora impegnato nel recupero della cittadina ferita. Raccogliere testimonianze non rappresentava certo la parte più divertente del suo lavoro, ma non si poteva evitare. Travestita da contadino, si era spacciata per nipote di un cittadino di Lenada in visita allo zio, e nessuno aveva avuto nulla da opinare. Aveva lavorato con sua madre come attrice per molti anni prima di darsi allo spionaggio, quello era il suo pane quotidiano.
Prese un respiro profondo prima di addentrarsi nella zona ad accesso limitato. La parte maggiormente danneggiata del paese era stata interdetta per impedire ai cittadini di finire coinvolti nei continui crolli, ma la sorveglianza del perimetro era stata ridotta con il passare dei giorni, e ormai solo una guardia era rimasta a tutela del divieto. Meowin aggirò l’ostacolo senza difficoltà e si diresse verso il centro del paese. Non che sperasse di trovare qualcosa là, ma se non altro non volava una mosca e poteva fermarsi a riflettere con calma.
La richiesta del Re non era giunta inaspettata, in realtà. Dopo aver saputo che il Capitano Lantor era stato convocato a Cyanor d’urgenza, si era aspettata qualche tipo di risvolto. Ciò che l’aveva realmente colpita era stato il tono e l’urgenza della richiesta. Lavorava come spia per il Re da quattrocentocinquantotto anni e mai prima di allora aveva colto un simile allarme in un suo messaggio.
Il tempio del Dio del Fuoco era in gran parte crollato, ma un pertugio consentiva di accedere al recinto sacro, il cuore dell’edificio. L’aveva scoperto la sera prima, girovagando in cerca di prove nell’unico luogo in cui i soccorsi non avessero compromesso tutto. Scivolò agilmente all’interno della rovina e respirò quell’aria che aveva il coraggio di profumare d’incenso, nonostante tutto.
Lantor era nato a Lumia circa milleduecento anni prima dal cugino della Regina Mael, madre di Horlon e Glenndois. Non aveva mai fatto altro che combattere: sin da giovane aveva mostrato interesse per l’arte militare e aveva combattuto accanto al Re in prima linea durante la rivolta degli orchi. In quell’occasione suo padre era caduto sul campo, e Lantor era subentrato nel suo grado dopo essersi ripreso da una ferita infertagli dalla daga di un orco. Da molti anni ormai era al comando della divisione cavalleria dell’esercito del Reame Eterno, e aveva tenuto personalmente i rapporti diplomatici con i governatori delle città del sud e dell’est. Non si era mai sposato e non aveva figli noti. “Nemmeno occulti, altrimenti lo saprei”, appuntò mentalmente Meowin. Dopo l’attacco dei draghi alla città di Vecchiopendio, Horlon aveva spedito Lantor e una parte della sua divisione a Lenada, città che rappresentava un punto nevralgico per gli scambi del sud della Terra dei Tuoni. Da lì non si era più mosso, se non per prestare soccorso alle città poste sotto la tutela del suo plotone. E il suo intervento era sempre stato tempestivo e produttivo. L’unica macchia sulla sua carriera militare poteva considerarsi Shiren.
Meowin prese un respiro profondo, rischiando di finire soffocata dall’aria pesante.
Che motivi potevano avere i draghi di rapire un Capitano dell’esercito elfico? Contrattare qualcosa, forse? Di certo non una tregua dal momento che sul campo erano in netto vantaggio. Anche se la presenza del nuovo stregone aveva rimescolato le carte, Bearkin continuava a fare danni. E se volevano qualcosa da Horlon perché aspettare tanto a porre i termini del riscatto? E soprattutto perché sequestrare una persona lontana dal Re quando si poteva rapire Lady Ailyn, o Rowena? “In effetti, lo stesso giorno della scomparsa di Lantor è stata attaccata anche Spleen, dove loro risiedono”, si disse. Alla serata sociale della Regina Erina anche loro erano presenti, ed erano rientrate a Spleen con i metodi tradizionali, carrozza e cavalli, quindi perché non approfittarne? No. Lantor si trovava con Bearkin per scelta. Non poteva esserci alternativa. Il Capitano non aveva disertato, aveva tradito.
 
«Non puoi proprio dirmi niente?»
Nastomer sospirò. Per qualche motivo che sfuggiva al suo controllo razionale, finita la riunione aveva d’istinto cercato Selene per pranzare con lei. Così aveva dovuto prima affrontare le occhiatacce di Erina, e poi la tempesta di domande di sua nipote sul contenuto della riunione. Tempesta che non si era ancora placata.
«Proprio niente» disse, lanciandole un’occhiata che sperava risultasse minacciosa. «Con i tempi che corrono, sarebbe anche meglio che tu non andassi in giro a fare troppe domande.»
«Io non le faccio in giro, le faccio a te» rispose la ragazza con un sorriso candido.
Nastomer scosse il capo, sconfitto.
«Sai una cosa? Ieri ho sentito Storr raccontare ad Erina di quando siete andati a Spleen ad abbattere i draghi…»
«Non siamo andati ad abbatterli, ma difendere la città! Se ti sentisse Horlon farebbe un colpo!»
«Beh, il concetto è quello. Comunque, Storr ha detto che sei stato straordinario, e che senza di te non ce l’avrebbero mai fatta.»
«Può darsi che sia vero» mormorò Nastomer, reticente ad ammettere che il suo contributo era stato determinante per l’esito dello scontro.
Selene batté le mani e proseguì.
«Quindi mi domandavo: se uno stregone può essere così utile, perché non averne due?»
Nastomer si irrigidì.
«È meglio non farli nemmeno certi discorsi» tagliò corto.
«Perché no? Pensaci.»
Nastomer la zittì posandole una mano sulla bocca e si guardò intorno.
Nella cucina del palazzo erano tutti indaffarati, nessuno badava a loro.
«Già sulla mia esistenza si è dibattuto molto, e si dibatte ancora. Uno stregone è una lama a doppio taglio. Pensa a cosa succederebbe se improvvisamente io decidessi di schierarmi con Bearkin! E se invece restassi fedele all’impegno preso con i grandi Re, e vincessimo questa guerra, riesci ad immaginare che peso potrebbe avere in futuro il mio appoggio per i vari regni? Solo al pensiero mi viene la nausea!»
Lo sguardo azzurro di Selene fu attraversato per un momento da una nuvola scura, per schiarirsi però subito dopo. Sorrise.
«Lo dicevo per te. Non saresti solo e avresti qualcuno ad aiutarti.»
Nastomer si sforzò di sorriderle. Gli si era chiuso lo stomaco.
«Grazie, Selly, ma non devi preoccuparti per me. E soprattutto non devi farti sentire da nessuno a dire queste cose. Potresti finire nei guai se qualcuno interpretasse male le tue parole.»
La ragazza arrossì lievemente e annuì.
«Ci hai mai pensato all’immortalità, Tom?» domandò ancora. «Voglio dire, al fatto che prima o poi tutte le persone che ami moriranno, mentre tu… tu non invecchierai di un giorno?»
Dicendolo, rabbrividì e il suo sguardo si perse nel vuoto.
Nastomer le sorrise, sperando di essere almeno un pochino rassicurante.
«Non ti arrendi, eh? Non ci ho pensato troppo, in verità, ma immagino che almeno gli elfi sopravviveranno.»
Selene sembrò mettere a fuoco qualcosa, poi sorrise a sua volta.
«Sì, hai ragione, dimentico gli elfi. Di certo loro ti faranno compagnia» esitò. «Ma io ti mancherò almeno un pochino?»
«Oh, Dei! Quanti anni hai?»
«Sedici.»
«Bene, non ti sembra un po’ presto per preoccuparti della morte?»
«Non è mai presto, soprattutto se si è in guerra.»
Lo stregone dovette riconoscere che tutti i torti non aveva.
«Perdere le persone che si amano è inevitabile, prima o poi succede per forza.»
«Chissà perché questo non mi fa sentire meglio.»
«Posso sapere da dove ti deriva tutta questa apprensione, oggi?»
Selene si ricaccio nella treccia un ciuffo ribelle.
«Stanotte ho fatto un sogno in cui tu morivi.»
Gli occhi le si fecero lucidi e Nastomer rimase congelato, impreparato davanti alle lacrime di una ragazza.
«Stai piangendo perche io sono morto… in un sogno?!» mormorò.
La ragazza annuì e si sfregò gli occhi.
«Non mi prendere in giro. È stato orribile!»
Nastomer era ben lungi dal farlo. Anzi, il pensiero che ci fosse ancora una persona a tenere a lui in quel modo gli aveva improvvisamente scaldato il cuore.
«Non piangere, Selly. Ti prometto che non morirò, va bene? E ti prometto anche che…» esitò.
«Che?» domandò la ragazza incuriosita.
Stava per dirle che le sarebbe rimasto accanto, ma improvvisamente non fu più sicuro che fosse ciò che Selene desiderava. In fondo, se uno stregone era popolare perché era una novità, prima o poi quella follia collettiva sarebbe passata. Forse sarebbe passata anche a lei.
«Ti prometto che andrà tutto bene» concluse con un sorriso.
Selene sorrise a sua volta. Per una volta se l’era cavata.
 
Era già buio quando la delegazione di Cyanor mise piede a Lenada. Tutti e quattro concordi nel rimandare le indagini al giorno successivo, cercarono alloggio nella prima locanda che incontrarono sul loro cammino, con il solo desiderio di sedersi su qualcosa di fermo e possibilmente imbottito. Non c’era un gran movimento in città dopo il tramonto. La tensione nell’aria era palpabile, nonostante gli elfi del Tenente Eskin pattugliassero le strade. Non ci voleva un genio per capire che davanti ad un drago un cavaliere avrebbe potuto fare ben poco.
Quando l’oste servì lo stufato ai quattro nuovi avventori si fermò ad osservarli. Impialla ricambiò il suo sguardo con aria truce, e Oliandro non riuscì a biasimarlo: non era stato un viaggio rilassante per nessuno, e in aggiunta i due mortali avevano il poco funzionale bisogno fisiologico di dormire.
«Grazie, amico, questa è davvero una benedizione!» esclamò Mark ingozzandosi di carne.
Oliandro trattenne una risata cogliendo lo sguardo schifato che Frunn rivolgeva al mago.
«Siete di passaggio?» domandò l’oste.
«Siamo qui per conto di Sire Horlon, del Reame Eterno, per indagare sui fatti di Shiren e sul Capitano Lantor» rispose Oliandro.
«Quello che è scomparso? È vero che è scappato verso est?»
L’elfo scambiò un’occhiata con Frunn prima di rispondere.
«In realtà non lo sappiamo ancora. Siamo qui proprio per capire che fine abbia fatto.»
L’uomo annuì.
«Capito. Beh, si vede subito che non siete gente qualunque.»
«Davvero?» domandò Mark guardandolo da dietro il cucchiaio.
«Siete gente educata, voi! So non è gentile dirlo, ma il vostro Capitano scomparso non aveva la bella abitudine di salutare, né di chiedere per piacere…»
Un avventore berciò qualcosa all’indirizzo dell’oste e quello si allontanò.
«Non mi piacciono gli umani» bofonchiò Impialla a bocca piena.
«Grazie tante!» esclamò Mark.
«Se è per questo non ti piacciono neanche gli elfi» precisò Oliandro.
«Beh, ci sono delle eccezioni.»
I quattro risero.
«Non vedo l’ora di infilarmi in un letto» aggiunse il mago.
«Puoi proprio dirlo, ragazzo» concordò il nano.
 Mark raccolse gli ultimi bocconi di stufato, poi si stiracchiò.
«Gli elfi non dormono mai?»
«Non ne hanno molto bisogno» rispose Oliandro. «Qualche ora ogni tanto è abbastanza. Alcuni però lo fanno per scelta.»
Mark spostò lo sguardo da lui a Frunn, in silenzio.
«Raramente. Dormo raramente e non ne traggo grande giovamento» aggiunse.
«A periodi» disse Frunn. «Ultimamente me ne manca il tempo.»
Oliandro gli lanciò un’occhiata.
«Mio zio ti fa correre anche di notte?»
Frunn lo guardò storto, spingendosi in su gli occhiali con aria di superiorità.
«Tuo zio è uno di quelli che scelgono di dormire.»
Mark lasciò perdere il discorso e Oliandro gliene fu grato. Frunn si era messo sulla difensiva.
Nel giro di mezz’ora il nano e il mago si congedarono, lasciando i due elfi soli.
«Credi che troveremo qualcosa sulla via di Shiren?» domandò Frunn giocherellando con il proprio bicchiere.
«Nah. Se ci fosse stato qualcosa, il Tenente Eskin l’avrebbe notato e avrebbe fatto rapporto.»
«Giusto» mormorò Frunn.
«Senti, ma tu una volta non uscivi con un tipo che si chiamava Eskin?»
«È un omonimo, l’Eskin che dici tu gestisce una stazione di cambio vicino a Phia.»
«Ah, ecco.»
«Ma di sicuro non mi sarei fatto abbindolare dal Re se fosse stato quellEskin. Col cavolo che ci sarei venuto, fin qui» aggiunse con un mezzo sorriso.
«Com’è andata a finire?»
«Da quando ho iniziato a lavorare per Horlon non l’ho più sentito.»
«Frunn…» gemette Oliandro.
«Che c’è? Non stavamo mica insieme!» si difese l’elfo arrossendo.
Oliandro sospirò e lasciò perdere. Era inutile parlarne, quando c’era di mezzo il Re, Frunn non capiva più niente.
«Ho bisogno di bere qualcosa» concluse. «Mi fai compagnia?»
Frunn scosse il capo.
«Devo fare rapporto e aggiornare le cronache.»
«Veramente?! Stai veramente lasciando il tuo migliore amico solo al bancone di un’osteria?!» domandò incredulo.
«Proprio così!»
«Una birretta ti farebbe solo bene.»
«No, grazie. Non bevo alcolici» disse alzandosi.
«Sei un codardo! Hai paura di quello che potresti confessare!»
«Precisamente» tagliò corto. «Buonanotte, Dodo. Non fare tardi.»
«Va bene, mamma» gli gridò dietro alzandosi a sua volta e avvicinandosi al bancone.
Andare a letto per che cosa? Per fare tanti sogni belli? Come i bambini umani, o come suo zio? Era dai tempi della rivolta degli orchi che l’aveva capito: sognare è puro masochismo. Si trascinò su uno sgabello e piantò i gomiti sul banco. Frunn non era un buon amico. Se lo fosse stato non l’avrebbe lasciato solo con l’alcol a quell’ora e con simili pensieri in testa. E comunque, lui restava convinto che una birra gli avrebbe fatto bene.
«Cosa ti porto, amico?» domandò l’oste.
«Qualunque cosa, purché assomigli ad una birra.»
L’uomo gli volse le spalle e armeggiò con i bicchieri. Un altro avventore si sedette accanto a lui e disse:
«Faresti una bionda anche a me?»
L’oste annuì senza voltarsi. Oliandro non prestò attenzione al nuovo venuto fino a quando questi non allungò la mano per afferrare il proprio boccale con uno scatto. Sul dorso della mano destra aveva una cicatrice che ricordava una mezzaluna. Era piccola, ma l’elfo la notò ed ebbe un tuffo al cuore. Non l’avrebbe confusa con nessun’altra al mondo: quella era la mano di Meowin.
«Hai trovato quello che cercavi a Shiren, ragazzino?» domandò l’oste.
«Macché! Il centro del paese è recintato e sorvegliato, non mi hanno lasciato passare.»
Oliandro prese un sorso di birra. Non era così male. Poi si volse verso di lei.
«Che cosa cercavi a Shiren?»
«Documenti» rispose senza scomporsi. «Il testamento di mio zio, che è morto nell’attacco dei draghi.»
«Io a Shiren non ci sono ancora stato, ma se è vero quello che dicono i tuoi documenti saranno meno di cenere.»
«L’elfo ha ragione. Tentativo lodevole quanto inutile, il tuo» disse l’oste.
Meowin sospirò con aria affranta.
«Domani devo andare là» disse Oliandro prendendo un lungo sorso dal bicchiere. «Potrei dare un’occhiata io al posto tuo.»
«E perché dovrebbero farti passare?»
«Perché sono ambasciatore di Re Horlon.»
L’elfa si volse lentamente, con aria stupita.
«Questo sembra interessante» disse.
Guardandola finalmente negli occhi, Oliandro poté apprezzare il suo travestimento. Indossava abiti stinti e larghi, perfetti per il figlio di un contadino e altrettanto per nascondere le sue forme. I lineamenti delicati potevano tranquillamente appartenere ad un ragazzino. Un berretto di lana malconcio le nascondeva le orecchie, e i corti ciuffi castani che ne spuntavano non erano affatto fuori luogo. Il suo viso era abbronzato quanto quello di chi passa le giornate sotto il sole, ma gli occhi erano sempre gli stessi, verdi e limpidi, e ammiccavano impercettibilmente.
«Che cosa vuoi in cambio?» disse dopo aver bevuto a sua volta un sorso di birra.
Sì, sembrava davvero un giovane umano.
«Informazioni» rispose Oliandro.
Meowin ci rifletté un momento, poi disse:
«Bene. Quando io avrò i miei documenti, tu avrai le tue informazioni.»
L’elfo scoppiò a ridere, seguito dall’oste.
«Queste nuove generazioni non hanno più niente da imparare» commentò l’uomo.
Oliandro annuì.
«Se le cose stanno così, l’affare salta.»
Il presunto ragazzino spalancò gli occhi.
«Cosa?! Perché?!»
«Perché domani non me ne farò più niente delle tue informazioni. Le avrò già raccolte da me.»
Meowin si rabbuiò, bevve, poi prese un respiro profondo.
«Va bene, va bene… cosa vuoi sapere?»
Oliandro lanciò un’occhiata all’oste, che si stava allontanando per servire un altro cliente.
«Prima di tutto, vorrei sapere se qualcuno ha notato qualcosa di strano la mattina della scomparsa del Capitano.»
«Non ho sentito niente di specifico, ma qualcuno dice di aver visto un drago poco lontano da qui, verso sud. Inoltre, mio padre si stava recando a Shiren proprio mentre il Capitano Lantor tornava qui, ma non l’ha incontrato.»
Oliandro si incupì.
«Prossima domanda» incalzò Meowin.
«Hai incontrato il Tenente Eskin?»
«No. Pare sia una brava persona.»
«Ma?»
Bevve di nuovo.
«Ma a Shiren non sono contenti lo stesso.»
«Perché?»
«Sembra che l’intervento degli elfi non sia stato proprio tempestivo, quando la città è stata attaccata. Gli elfi non vano molto a genio in questi giorni, ecco.»
Oliandro annuì. Non si prospettava una trasferta semplice. Se non altro partivano preparati. Il presunto ragazzino scolò l’ultimo sorso di birra.
«Allora? Affare fatto?»
«Un’ultima domanda. Lantor ormai era di stanza qui da qualche mese… Sai se qualcuno ha notato un cambiamento in lui? Non so, il suo modo di fare, o la sua routine quotidiana…»
«Tutti parlano di lui come di un tipo irritabile con cui preferivano non avere nulla a che fare. Insomma, stava sulle palle a tutti. Ultimamente passava molto tempo in giro per le amene campagne del circondario. Pare avesse aumentato le ronde.»
«Perché?»
«E che ne so, io! Mica so leggere nel pensiero! Comunque con quelle belle orecchiette svettanti di sicuro non riuscirai a farti dire nulla dagli umani. Ti consiglio di cercare informazioni tra i tuoi simili» aggiunse abbassando la voce. «Ce l’abbiamo questo accordo, adesso?»
L’elfo annuì.
«Molto bene» concluse. «La casa di mio zio era la seconda sulla destra del Tempio.»
Meowin lasciò sul bancone due monete per l’oste e mollò una pacca sulla spalla di Oliandro prima di alzarsi.
«Ci vediamo qui domandi sera con i documenti. E porta il tuo amico… quello carino» disse andandosene.
Oliandro ghignò. Quale modo migliore di obbligare Frunn a bersi una salutare birra?
L’oste si sporse sul bancone.
«I giovani di oggi non hanno un minimo di pudore…»
«Ma hanno il senso degli affari, mi pare» disse con un sorriso.



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Mi rendo conto che non sta succedendo praticamente nulla, e me ne scuso, ma tutti questi elfi che vivono di vita propria si stanno scrivendo da soli il loro copione. AIUTATEMI!
   
 
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